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Autore: Egomet    05/04/2009    6 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stette immobile, a fissare la porta, come se quel legno scuro potesse in qualche modo cancellare quanto accaduto. A Davide non piaceva litigare con le persone, e non era certo un tipo da attaccabrighe, infatti quanto successo gli cadde addosso come pioggia, gelida, pesante, paralizzante.
L’aveva cacciata di casa; diamine, l’aveva fatto per davvero. Ora non c’era più, se n’era andata. Non gli piaceva affatto il mattone che teneva sullo stomaco, ma non sapeva come liberarsene.
Provò a convincersi che ora aveva un problema in meno, che non doveva più preoccuparsi di quell’assurda storia. Ma non era un insensibile, e purtroppo per lui, il rimorso anche se non era proprio in errore, lo sentiva. Lo sentiva eccome.
 
La ragazzina bionda camminava a passo veloce per la strada, e sapeva che era semplicemente ridicola con quello zaino e il borsone, contenente tutte le sue cose, appresso. Ancora arrabbiata per prima, incapace di sbollire se non sfogandosi contro qualcosa, ad un certo punto gettò a terra il borsone, accanto una panchina, e si sedette.
Strinse forte le mani e piantandosi le unghie nei palmi sbatté i piedi a terra. Si fissava le scarpe accigliata, la fronte corrucciata. Sapeva che sarebbe stata incapace di pensare a qualsiasi cosa se prima non avesse sfogato la sua rabbia.
Così si mangiò letteralmente il labbro inferiore finché non le fece male, poi incrociò le braccia, imbronciata, e borbottò fra sé insulti.
Quando credette di essersi sfogata abbastanza, pensò al da farsi.
Era sola, in mezzo alla strada, sbattuta fuori di casa. E per giunta iniziava a farle male la testa.
Quello non era proprio il momento di mettersi a fare i capricci.
Il problema principale era, in quel momento della giornata, trovare un posto dove dormire, anche perché l’indomani aveva scuola.
Dove sarebbe potuta andare?
La prima ipotesi che formulò aveva il nome di Damiano, ma questa venne immediatamente scartata dalla sua mente, ben decisa a chiuderla con lui.
Però ne aveva bisogno in fretta, di una casa.
Ma per quanto provasse a pensare a chi potesse aiutarla, le tornava in mente sempre lo sguardo che il ragazzo le aveva rivolto poco meno di un’ora fa.
Al che, ricordandoselo, ebbe un momento in cui vacillò. Tentennò e non si sentì più così tanto sicura. Ma l’attimo dopo, avvertendo che era vulnerabile, subito provvide a scacciare quel pensiero che le stava scomodo.
Voleva farlo sparire. Sparire, ridurlo in cenere.
Ma prima aveva altre faccende più urgenti da sistemare.
Prese dalla tasca del giubbino bianco il suo telefonino e fece il numero.
-Ciao Pa’- incominciò, la voce incerta.
Dopo un rapido scambio di convenevoli educati, le domandò
-Senti ho un problema. Un grosso problema. Posso dormire da te stanotte?-
La voce dell’amica che le dava il consenso funse meglio di un ricostituente per i suoi nervi.
Almeno, se non altro, aveva un posto dove dormire.
Qualche ora dopo, consumato un buon pasto caldo, era infilata tranquilla sotto le coperte di un letto a castello, nel materasso inferiore.
-Cosa è successo?- domandò Paola, quando la guardia della madre si fu abbassata, sporgendosi verso sotto.
-Ho litigato con Davide- rispose la bionda, girandosi nel materasso.
-Come mai?-
-Ha scoperto che volevo abortire- confessò senza mezzi termini.
Paola si girò a pancia in giù per guardare l’amica negli occhi, per osservarne la reazione.
Francesca non era arrabbiata come prima, non era triste. Era tranquillamente infilata sotto le coperte e sbadigliava piano.
-E ora?- si azzardò a domandare la ragazza dai capelli neri.
-Ora niente. L’ho lasciato perdere-
Stettero entrambe in silenzio, l’una troppo timorosa per parlare, l’altra decisa a eliminare quel nome per sempre.
-Tanto non mi serviva più, oramai... sai che penso di fare?-
-Cosa?-
-Rimettermi con Bruno-
-Ma sta con Elena-
-No che non ci sta. Lo so che si sono lasciati. Devo solo far finta che in questo mese non sia successo nulla- spiegò la bionda.
-Insomma, non è che non sia successo nulla...-
-Sì, ma non ha importanza- ribatté subito e aggressiva Francesca, rivolta al materasso superiore –Domani parlerò con Bruno e vedrai. Tanto i suoi gli hanno regalato un appartamento per i diciannove anni, vero?-
-E ci credo, sono ricchi quelli...-commentò Paola, che già cominciava ad addormentarsi -comunque davvero farai finta che non sia successo nulla?- chiese ancora.
La risposta arrivò, come prima, fredda e secca.
-Certo. Non ha significato nulla per me-
Paola si rassegnò e si limitò a chiudere gli occhi. Ormai aveva imparato a sue spese che, quando l’amica rispondeva così, o era troppo incavolata per ragionare, oppure non voleva ammettere una cosa.
Ma era anche lei troppo stanca per decidere quale fosse la verità nascosta dietro quel suo tono.
Erano le otto e cinque, e lei era già lì, seduta sul muretto di pietra, appoggiata al cancello, a guardare due sue amiche fumarsi una sigaretta prima di scuola.
Si controllava costantemente in un piccolo specchio, aggiustandosi i ciuffi biondi per acconciarli meglio.
Francesca, al sentire il motore di una macchina parcheggiarsi, e riconoscendo il profilo che tante volte si era sognata ad occhi aperti, fissò lo sguardo sul ragazzo che stava scendendo.
Lui e la sua auto, lui e la sua giacca nera, lui e il suo viso bello.
Quante volte aveva desiderato potergli anche solo parlare, quando era più piccola. Ma lui era solo uno studente del quinto. E poi, il miracolo.
Quella serata finita per caso con un bacio. E poi un altro, e un altro ancora.
E come era bello sentirsi dire quelle cose, in un sussurro o poco più, capaci di scaldarti il cuore. Come era bello sentirlo abbracciato, sentirsi invidiata dalle sue amiche.
Quei due mesi passati insieme a lui, ora dimenticati, le tornavano utili.
Francesca non voleva assolutamente rimettersi insieme a lui, né provava ancora qualcosa per quel ragazzo che ora le gettava uno sguardo.
Ma aveva imparato a mentire benissimo, e a rigirare le cose, quando serviva, a suo vantaggio. Perché non bastava avere le potenzialità per ottenerle, bisognava anche saperle chiedere.
Decisa a compiere quel passo, saltò giù dal muro e si avvicinò a lui.
Bruno si liberò dei suoi amici quando lei gli domandò se potevano parlare.
-Cosa c’è?-
La bionda lo fissò negli occhi marrone scuro, vedendoli fiduciosi e per nulla arrabbiati o sospettosi.
-Sai, ho pensato tanto in questi giorni-
Bruno non ribatté, ma si sedette e la ragazza si avvicinò.
-Forse...-
Se una delle sue qualità era l’intelligenza, la caparbietà e l’essere testarda e tenace, possiamo aggiungere all’elenco che la ragazzina sapeva dire bugie.
-...volevo parlare un po’ con te. Sai, ho fatto un po’ di scemenze in questo mese-
-No, ma dai...- sorrise il ragazzo.
-...tra cui trattarti malissimo- proseguì astuta e finta dispiaciuta lei. Lo guardò negli occhi; sapeva qual era l’espressione che lo faceva sciogliere.
E Bruno si sciolse.
Inclinò la schiena avanti in modo da esserle più vicino.
-Dici che posso provare ancora?- mormorò, facendosi sempre più vicino.
-Credo di sì- rispose piano la ragazza.
Dopodiché Bruno congiunse le loro labbra.
Francesca tentennò al suo gesto, incerta se ricambiare o meno. Poi, pensando che sarebbe sembrato sospetto il contrario, protese anche lei le labbra per baciarlo.
Ma era un bacio acquoso, impacciato, come di chi non sa bene dove mettere le mani. La bionda non voleva davvero baciarlo, ma ci fu costretta. Impacciata fra le sue mani forti che la tenevano ferma, cercò di staccarsi. In quel momento le tornò in mente l’ultima frase di Davide.
‘Sono solo deluso’.
E d’improvviso si sentì falsa, ipocrita e sporca. Quella sensazione non le piaceva affatto, e immediatamente fece pressione sul torace del ragazzo per spingerlo via. Lui si staccò e le sorrise, ricambiato.
Almeno sapeva fingere.
 
Davide si svegliò di soprassalto, quando erano ancora le otto della mattina; guardò l’orologio e subito disse
-Oh mi sa che fai tardi se non ti muovi-
Non ottenne alcuna risposta, e perciò ancora rintontito dal sonno si voltò a destra. Ma non c’era nessuna ragazzina addormentata che gli avrebbe risposto male. Meditò per un po’ sulla situazione finché non ricordò come stavano le cose.
Di prima mattina non era certo molto sveglio, ancora intorpidito dalla dormita.
In un’altra parte, in un’altra casa, in un altro letto ma alla stessa ora, una chioma bionda scapigliata si rigirò nel cuscino.
Incontrò col braccio un corpo accanto a sé, e prima di potersi rendere conto di chi fosse, venne avviluppata da un braccio.
-Buongiorno- le mormorò qualcuno all’orecchio, incominciando a baciarla sul collo.
Francesca si contorse leggermente sotto la sua pseudo tortura.
Non era abituata a ricevere attenzioni che entrassero nel contatto intimo, in fondo era un mese che non baciava un ragazzo e dovette ammettere che l’intrusione sul suo collo le dava fastidio.
Davide non aveva mai osato toccarla, rispettando fedelmente i suoi spazi.
Si rannicchiò contro la propria spalla, mugugnando versi senza senso.
Bruno rise e la lasciò stare, mettendosi su un fianco. Quando la ragazza riemerse dal cuscino vide che lui la fissava sornione, col petto scoperto.
-Che ore sono?- domandò per prima cosa.
Lui si chinò su di lei, dandole un bacio e staccandosi con uno schiocco leggero.
-Ora di baci- rispose.
Ma prima che ricominciasse, Francesca lo spinse su e si sedette. La maglietta larga del pigiama le calò giù per le spalle.
Assonnata, si passò una mano fra i ciuffi biondi sbadigliando, poi guardò l’orologio.
Bruno, eccitato dalla vista della pelle delle sue spalle scoperte, si precipitò a baciarla anche lì.
La bionda lo lasciò fare, ma poi si accorse che era tardi. Terribilmente tardi.
-Oddio!- esclamò, spingendolo via e scivolando giù dal letto.
-Dove vai?-
-A scuola- rispose, affrettandosi a vestirsi. Ma perché diamine la mattina doveva fare sempre così tardi?
Anzi, era molto tardi, più delle altre volte.
-Che pa**e, eddai...- Bruno cercò di tirarla nuovamente sul letto, ma lei si oppose. Vedendo che lui persisteva, iniziarono a saltarle i nervi.
Si girò verso di lui, rabbiosa.
-Senti se tu non ci vuoi andare fatti tuoi, ma io ci tengo e ci vado!- rispose stizzita, liberandosi dalla sua presa e afferrando le scarpe.
Il ragazzo si ritirò fra le lenzuola.
-Scusa, scusa... calmati...- fece insaccando la testa nelle spalle.
Lei detestava che le dicessero di calmarsi. Anzi, era peggio perché si incavolava ancora di più. Le salì alla lingua una brutta risposta, che però trattenne mordendosi a sangue il suo labbro inferiore ormai provato.
Non era lo scenario più adatto per litigare con il ragazzo che la ospitava.
Infondo, tutto quello che doveva fare, era liberarsi del bambino e far finta che fosse innamorata di lui.
 
Gli ultimi giorni di un maggio caldo scivolavano via, assieme con le fatiche che comportava quell’ultimo sforzo prima del traguardo. La scuola ed i professori esigevano sempre più attenzione in vista delle valutazioni finali. Francesca era preoccupata anche di questo, poiché temeva che Damiano potesse venire a scuola a controllare i suoi voti. Inoltre il caldo la rendeva isterica e spossata, e andava a letto sempre più tardi nel tentativo di finire i compiti.
Prendeva sempre buoni voti, ma il crollo fisico fu evidente.
Come le fece notare Paola una mattina, la sua pancia stava lentamente iniziando ad arrotondarsi, cosa che la spaventò tantissimo. Non ci teneva affatto che il mondo sapesse il suo segreto.
Bruno le aveva promesso che avrebbe fatto di tutto pur di far finire quella storia il prima possibile, e per ora la bionda sapeva soltanto che era andato a parlare con un dottore.
Dopodiché, nessuna notizia incoraggiante per lei.
Affianco alla minima crescita della pancia, come per un rapporto inversamente proporzionale, si andava sempre più sciupando.
Il caldo, i troppi pensieri forse, le facevano passare l’appetito con un conseguente deperimento; perse ben cinque chili in una sola settimana, e per lei che era stata sempre di piccola costituzione, non era una bella notizia.
Bruno cercava di non farle mancare nulla, ma molte volte era costretto a rimediare una cena scarsa, o un pranzo alla buona. Non era un gran cuoco.
Lei stringeva i denti e teneva duro, era certa che con lo scomparire del bambino, sarebbero scomparse anche tutte le sue fatiche.
Ma non sapeva fin quando avrebbe potuto reggere.
Capitò che un giorno si sentisse all’improvviso mancare la forza, la testa le girava tantissimo senza un perché. Il vomito meno frequente aveva lasciato il posto a piccole perdite, che non miglioravano il suo morale.
Mano a mano che andava avanti, scaricava tutte le colpe di quel suo stato debole, fragile, stanco e improduttivo che assumeva.
Come se già non bastassero questi suoi problemi, iniziò a sentirsi un po’ sola e incompresa.
Paola la rassicurava, la sosteneva e passava molte tempo con lei capendo il suo momento di disagio e sofferenza.
Ma non poteva certamente capire come ci si sentiva, con quel peso nella pancia. Il bambino le sottraeva energie fisiche e mentali, rendendola ancora più debole.
Anche se non lo dava a vedere, e non voleva ammetterlo, Francesca sarebbe presto crollata.
Aveva bisogno d’aiuto.
Era seduta al tavolo a farsi i compiti, quando sentì la porta aprirsi. Bruno le si avvicinò alle spalle.
-Usciamo stasera?- domandò allegro.
Ma la bionda scosse la testa, tornando a guardare il suo libro.
-Devo studiare-
Il ragazzo sbuffò sonoramente, e le circondò le spalle con un braccio, schioccandole affettuoso un bacio sul collo.
-Ma stai sempre a studiare, secchiona?- le domandò con un sorriso.
La ragazza si lasciò abbracciare e baciare, ma non vi partecipò con tanto entusiasmo. Poi si sciolse dal suo abbraccio.
-Sono stanca. Sono stanchissima, non ce la faccio più-
Bruno si fece serio e la guardò negli occhi.
-Ho parlato col dottore. Ha detto che fra una settimana ci fa sapere-
Francesca si lasciò andare con la schiena contro il suo torace, delusa. La faccenda era troppo lunga.
-Non può sbrigarsi, pure lui?- chiese seccata.
-Non dipende da me. Ancora una settimana, bimba-
Lei chiuse gli occhi al nomignolo, imponendosi di non rispondere. Lasciò che le mani di lui vagassero alla ricerca delle sue forme, provando a scacciare la malinconia e la stanchezza che la attanagliava.
Quella sera si trovò sdraiata nel letto, avvolta dalle lenzuola e dalle mani del ragazzo. Lo stava baciando, o per meglio dire cercava di farselo piacere. Le sue mani si infilarono sotto la maglietta larga del pigiama, alla ricerca della pelle.
Bruno provò ad osare di più, infilandole la lingua fra le labbra.
Francesca si staccò, girandosi dall’altra parte.
-Ho sonno...- mormorò chiudendo gli occhi.
Lui brontolò seccato, cosa che la innervosì tanto da farle rispondere.
-Senti te l’ho detto! Non mi va di farlo!-
-E ma scusa che ca**o, non ti posso baciare, non vuoi essere toccata, cosa sto a fare io qua?- domandò lui.
La ragazza bionda avrebbe potuto rispondergli la verità, ma non ritenne proficuo farlo perché poi non avrebbe più avuto un posto dove andare.
Contro ogni suo principio aveva provato a chiamare Damiano, ma non ottenendo risposta. Il tutto stava, per lei, nel far scomparire il problema principale. E farlo il più presto possibile.
 
-Vacci tu!-
-No vacci tu, mi vergogno!-
-E va bene, ci andrò io!-
Una ragazza si alzò dal tavolo del bar, quasi vuoto di prima mattina, e avanzò verso il bancone. Arrivata lì ordinò, con voce incerta e arrossendo, tre frappé al cioccolato.
Davide, senza nemmeno alzare lo sguardo, afferrò tre bicchieri e incominciò a preparare l’ordinazione.
La ragazza, più che il frappé, guardava lui.
Quando finì e gliene porse due, si offrì di portare il terzo al tavolo.
-Grazie, sei molto gentile- gli sorrise la ragazza.
Davide alzò un sopracciglio, perplesso. A lui tutto ciò non interessava.
La maglietta nera si stava appiccicando al suo torace, e da una tempia colava un rivolo di sudore.
Fatto il suo lavoro, si allontanò aggiungendo un sorriso extra. Quel che non sapeva era che le tre ragazze continuavano a guardarlo anche se se n’era andato.
Lo specchio grande e lucido posto dietro il banco gli restituì la sua immagine. Era serio e scocciato, del tutto preso dal lavoro di riporre con ordine le bevande sullo scaffale alle sue spalle.
Al posto del mento rasato e pulito si faceva vedere un filo di barba che non guastava affatto, almeno secondo le tre ragazze. Non era un tipo mingherlino, anzi aveva due spalle larghe e un torace non magro ma ben tornito.
Se non altro, non era da buttare.
Tornò ad occuparsi del suo bancone in attesa che Bruto portasse le nuove scorte. Nemmeno un attimo dopo Silvia si sedette ad uno sgabello e mantenendosi la testa con una mano sorrise
-Hai fatto colpo, a quanto vedo-
Il ragazzo, meno che mai stupito e meravigliato in primis di tutta quell’attenzione rivolta a lui, la osservò sospettoso.
-Ma che dici?- commentò imbronciato, certo che lo stesse prendendo in giro.
-Peccato che non sappiano che sei fidanzato con quella ragazzina, Francesca-
A quella uscita lui fissò con sguardo serio e penetrante la ragazza di fronte a sé. Gli venne quasi da ridere.
-Io e Francesca non siamo mai stati insieme- decretò deciso e sicuro.
Fidanzati? Ma come le veniva in mente? Per quelle poche volte che erano stati insieme al bar, non gli sembrava che avessero dato in atteggiamenti che facessero sembrare il tutto equivoco. Non facevano mica la coppietta felice. Anzi, sottolineò in mente, era tutto il contrario, perché di solito era il luogo dove lei si divertiva a sfotterlo e prenderlo in giro più spesso.
Per quanto Silvia non fosse un genio, non credeva che quei loro comportamenti facessero pensare che stessero insieme.
Ma la frase che lei disse dopo lo meravigliò ancora di più.
-Allora se non è così lei non si arrabbia se ti invito a cena fuori una di queste sere?-
E quello cos’era? Un invito a cena? Un appuntamento? Il mondo era per caso impazzito?
Lei era Silvia. Silvia, la ragazza perfetta, con i fianchi ondulati, le forme pronunciate, ammirata da tutti i clienti; la stessa ragazza che un mese fa aveva visto baciarsi appassionatamente con un tipo.
-Scusa ma tu non hai il ragazzo?- domandò sospettoso.
-Sì, ma mica lui deve saperlo per forza-
Davide non rispose nulla, sbigottito. Stette zitto finché Silvia, vedendo che non accennava a risponderle, si alzò dallo sgabello dicendo
-Beh non devi rispondermi subito. Pensaci, tanto io sto qua-
Così si allontanò.
Il vecchio Davide si sarebbe preso a cazzotti per non aver approfittato di una simile occasione. Era quello che aspettava da quando l’aveva conosciuta, era quello per cui aveva tanto faticato, il momento che aspettava da mesi e mesi.
E non era nemmeno stato lui a domandare, ma l’aveva cercato lei.
Attendeva quel momento da una vita.
Ma stranamente, per una strana legge del fenomeno fisico chiamato amore, che non segue né formule, né regole o misure, Davide scoprì, con grande delusione, che non gliene importava nulla.
Ciò che un mese addietro gli avrebbe provocato le guance rosse, ora lo lasciava totalmente indifferente. Ciò che avrebbe dovuto dargli alla testa peggio di un vodka, lo rendeva sobrio e anzi gli scivolava addosso come acqua.
Quelle forme che gli facevano perdere la testa, ora le guardava come troppo oscene e grossolane. Meglio qualcosa di più umano, no?
Si stupì di quel suo pensiero, e per non pensarci più continuò con più impegno a lavorare.
 
Una ragazza era seduta al tavolo, e mangiava con gusto il suo piatto.
-Davide ti giuro... sei più bravo di mamma a cucinare!-
Il ragazzo sorrise, osservandola mangiare il suo piatto soddisfatto e contento, seduto sul mobile della cucina.
-Visto che quell’estate con zio è servita a qualcosa?-
-E pensare che ti ho sempre preso in giro, scusami!-
Miriam si pulì il muso con un tovagliolo.
-Non dimenticherò mai che sono stato il primo capace di farti mangiare gli spinaci!-
-Vero- concesse la ragazza con un sorriso –quelli di mamma erano immangiabili-
-Grazie-
Davide osservò la sorellina versarsi da bere, poi domandò
-Come va a casa?-
Miriam finì di bere, poi non sorrise.
-A dir la verità, mamma non sta tanto bene- confessò.
-Come mai?- chiese preoccupato il fratello.
Lei alzò le spalle.
-Sai, penso che si senta sola. Rosario è andato all’università, tu qui da solo, papà...- lasciò cadere la frase nel nulla con un’espressione malinconica.
Una foto di un uomo sorridente campeggiava sul mobile della cucina, infilata fra i vetri.
Loro padre era deceduto qualche anno fa per una malattia al fegato, lasciando tre figli ormai grandicelli e la moglie.
Davide era il primo della famiglia, poi veniva Rosario e infine la femmina più piccola, di sedici anni, Miriam.
Ciò che accomunava i tre fratelli erano gli occhi, verdi, anche se il maggiore, Davide, era quello che li aveva più vivi e belli.
Gli altri due si limitavano a degli occhi chiari, mischiati con il marrone.
Rosario era il secondo fratello; aveva frequentato il liceo classico ed era stato ammesso alla Cattolica di Roma, facoltà di medicina.
Lui si differenziava dagli altri due per i capelli ricci.
Miriam infine era l’unica femmina, con gli occhi più scuri e i capelli lisci. Lei e Davide erano molto legati, forse proprio grazie alla differenza di età che li separava.
Era stata sempre la piccolina di casa, ma non per questo non si era meritata le attenzioni particolari che le rivolgevano. Otteneva sempre buoni risultati a scuola.
-Sai, mi ha raccontato che hai una ragazza- sorrise.
Davide inevitabilmente arrossì, accigliandosi.
-Chi, io?-
-Sì sì, tu fratellone- proseguì scherzandolo –dice che ha la mia stessa età-
In un primo momento smarrito, poi riuscì a trovare il filo del discorso e il senso, e allora capì.
-Ah...- disse –no, ma che dice, non è la mia ragazza...-
-Mamma dice che avete mangiato insieme tutti e tre-
-Sì... che imbarazzo...- si mise una mano sugli occhi, sospirando.
-Ti capisco. Ora che sa che ho il fidanzato non fa altro che starmi addosso...-
Davide scosse la testa, complice della sorellina.
-Ma perché non si preoccupa di Rosario, che non ce l’ha mai avuta una ragazza?-
-Ottimo argomento- assentì convinto il ragazzo.
-Mi dispiace per mamma- aggiunse poi, dopo un attimo di silenzio.
-Beh, ovviamente è contenta che Rosario va a Roma, perché...- Miriam si interruppe a metà frase, guardando preoccupata il fratello e temendo di aver detto troppo.
Ma Davide completò la frase, malinconico.
-Perché io non sono stato capace di farlo-
Cadde un imbarazzato silenzio.
Quel fatto gli aveva sempre pesato sulla coscienza come una colpa; ogni volta che guardava suo padre negli occhi era come se vi leggesse un dispiacere, un rammarico. D’altra parte, avevano di che consolarsi con il secondo fratello: sempre ottimi voti, una personalità del tutto diversa.
Se Davide era un tipo tranquillo, buono e calmo, Rosario era ambizioso e competitivo.
Sapeva che quando era morto suo padre, per lui era stata una grande consolazione il fatto di essere riuscito a dargli soddisfazione. Mentre invece lui, il maggiore, lo aveva solo deluso.
D’un tratto, riscuotendosi dai suoi pensieri, disse
-Mi piacerebbe fare qualcosa per mamma. Lo so che è anche colpa mia-
Miriam si sedette sul mobile affianco a lui con un salto.
-No, ma che dici?-
-Sì invece. Lei è dispiaciuta perché invece di fare come Rosario che è andato all’università, io ho solo un misero lavoro con un misero stipendio e in più vivo da solo-
Di nuovo silenzio. Quelle erano cose, antichi dispiaceri, per cui non bastava una risata o una parola buona per scacciarli, e Miriam sentiva che erano questioni troppo grandi, cose che il fratello doveva risolvere da solo. Si limitò ad osservare
-Guarda che mamma ti vuole bene. Davvero, te ne vuole tanto ed è sempre preoccupata di te. Sai, era molto contenta l’altra volta, quando è tornata a casa, che avevi una ragazza-
-Davvero?-
-Sì. Ha detto che finalmente le facevi capire qualcosa di più della tua vita, che eri un po’... scomparso...-.
-Mi dispiace che si sia illusa. Ma vorrei davvero fare qualcosa-
Stettero in silenzio, poi Miriam scese dal mobile.
-Torno a casa, devo studiare. Domani ho l’ultima interrogazione-
Davide salutò la sorellina, ancora perso nel discorso di prima, e anche quando la porta si fu chiuse dietro la ragazza restò a rimuginarci su. Ma che poteva fare?






Grazie mille a chi ha messo la storia nei preferiti e anche a chi la legge solamente.

MissQueen: mi dispiace per il nodo allo stomaco. è vero, Francesca è solo una ragazzina, e cosa dovrebbe fare? E cosa tante altre ragazze fanno? Insomma, il succo è che questa è la soluzione che a volte prendono un po' tutte. Francesca però è confusa, non ha le idee tanto chiare, soprattutto ora. "Tanto forte fuori, e tanto fragile dentro". Ottima sintesi.

Emily Doyle: Non voglio anticipare nulla, perciò continua a leggere.

Marty McGonagall: Hai ragione anche tu, ci si trova ad un bivio ma Francesca, anche se fuori sembra tanto sicura, non ha ancora ben deciso quale delle due strade vuole imboccare. E tra parentesi, certo che mi sopravvaluti.

wanda nessie: è la seconda volta che mi fai morir di risate. Bé, per ora la situazione si mantiene in stallo, ma per sapere che succede devi continuare a leggere. Grazie per i complimenti.

Jiuliet: come altre volte, riesci sempre a capire quello che voglio comunicare scrivendo. "Come fai a capire così bene cosa può sentire una donna da riuscire a scriverlo?": non lo so come faccio. Guardo. Osservo. E ascolto, tanto. Sono felice che ti sia piaciuto in particolare questo capitolo, è un momento importante della storia.

Devilgirl89: no, ma dai. Ripeto, anche se Francesca ha deciso così (e per fortuna che stava Davide altrimenti addio bimbo) ora si trova da sola. Confusa. Ma tu continua a leggere per sapere come finisce.

FeFeRoNZa: grazie mille, ma di sicuro io non farò mai lo scrittore. Grazie comunque. Francesca-testa-dura? Leggiti il capitolo.
  
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