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Autore: Delirious Rose    15/04/2016    1 recensioni
Sbatté le palpebre un paio di volte e poi aggiunse, forse più a se stesso: “Non sapevo che tu fossi una Podestaria. Questo cambia molte cose.”
Lei lo guardò confusa, come se stesse parlando una lingua che suonava familiare ma che non riusciva a capire. “Pode-che?”
“Magus, strega o qualsiasi altro termine comune per indicare una persona iscritta nel Registro: Podestarius – o Podestaria, al femminile – è il termine più corretto.”

Virginia Bergman è una ragazza come tante: le piacciono i dolci di sua madre, la Matematica e, come il 15% della popolazione, ha dei poteri che considera come un'accessorio fuori moda. Tuttavia, quando al suo penultimo anno di scuola una supplente mette in pericolo la sua media, IContiNonTornano l'aiuterà a superare le sue difficoltà: chi si cela dietro questo username, un geek grassoccio e brufoloso o... un ragioniere azzurro? E di certo ignora ciò che questo incontro porterà nella sua semplice vita.
Svegliati, bambina, e guardati dall'Uomo dalle Mille Vite.
{Nuova versione estesa de "RPN"}
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
Capitoli:
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Podestaria

 

 

Capitolo 18

 

“Ti avevo detto che non era necessario,” borbottò Virginia, aggrottando la fronte stizzita.

“Andiamo Vir’, dovresti essere un po’ più riconoscente! Inoltre i gentiluomini sono piuttosto rari al giorno d’oggi,” la rimproverò sua madre; poi si volse leggermente e fece un occhiolino. “Giusto, Biagio?”  

Le labbra di lui si arricciano in un sorriso lusingato e divertito, e rispose: “Più che altro, mio nonno mi ha detto di essere ineccepibile con… un certo tipo di amicizia.”  

Virginia alzò gli occhi e sbuffò. “Sei terribile, sai?” borbottò di nuovo e cercando di non mostrare quanto il fatto che Biagio fosse venuto per riaccompagnarla a casa la lusingasse.  

“Ma non puoi negare che ti avevo avvertito,” rise lui, ricambiando il gesto di Mrs. Bergman e caricandosi su una spalla la borsa di Virginia, quindi aggiunse: “Parlate pure con il primario, nel frattempo mi occuperò io dei bagagli.”  

Virginia lo seguì con lo sguardo e, quando Biagio non fu più nel suo campo di visione, lanciò un’occhiataccia a sua madre. “Perché lo hai lasciato fare?” sibilò.  

Mrs. Bergman alzò gli occhi e le braccia in un gesto esasperato. “Vuole solo essere cortese, Vir’! E poi non potevo dirgli semplicemente no grazie quando si è presentato al caffè pochi minuti dopo l’apertura – Biagio è stato il primo cliente della giornata, oggi,” rispose un po’ sulla difensiva. Poi prese a braccetto Virginia e la condusse nella direzione opposta rispetto a Biagio. “Ne riparliamo più tardi, ok? Il primario non ci aspetta.”  

Virginia sbuffò innervosita, ma si lasciò comunque guidare da sua madre fino all’ufficio del primario dove Biagio le raggiunse poco dopo, rivolgendole un sorriso incoraggiante quando lei e sua madre furono chiamate nell'ufficio. Virginia si sentì piuttosto nervosa e sedette impacciatamente sulla sedia che le era stata indicata: con il cuore in gola senza sapere esattamente perché, guardò il primario sfogliare rapidamente la sua cartella medica. 

“I risultati delle sue analisi sono molto incoraggianti, Miss Bergman. Tuttavia, è meglio che si astenga dall’esporsi all’attività di altri Podestari e dall’usare i suoi poteri per un mese,” disse scrivendo su un foglio, che poi le porse. “Questo è l’esonero dalle lezioni  di Scienze Soprannaturali.”

Virginia prese il foglio e lo lesse rapidamente, mormorando: “Beh, in Sixth Form le lezioni pratiche sono quasi inesistenti…”  

“Prevenire è meglio che curare, signorina. Le ho prescritto una cura di dieci giorni: una compressa di Hexenazine due volte al giorno, lontano dai pasti; e cinquanta gocce di Maghor Alpha tre volte al giorno a stomaco pieno.” Il primario la studiò in silenzio per un po’, poi le chiese: “Ha già preso appuntamento per il suo prossimo test di Haltey?”  

“Se n’è sempre occupata la scuola,” rispose Mrs. Bergman. “Solitamente prenotano dopo le vacanze di Pasqua.”  

Il primario annuì, lo sguardo di nuovo sulla cartellina medica. “Dati i risultati delle analisi, le consiglio di effettuare un test quanto prima.”  

Nel sentire quelle parole, Virginia si sentì improvvisamente smarrita, come se qualcosa di fondamentale le fosse venuto meno . Deglutì il vuoto, poi sussurrò: “La… la mia Classe è aumentata, vero?”  

Il primario sospirò, sollevando appena gli occhiali e massaggiandosi il setto nasale. “No, Miss Bergman, ma i suoi valori di triviammine sono al limite consentito per la Classe B: anticipare il test di Haltey è la prassi, in questi casi.” Forse toccato dalla preoccupazione che traspariva dal volto di Virginia, le sue labbra ebbero un piccolo spasmo che ricordava un sorriso incoraggiante. “Si astenga dall’esposizione e dall’uso dei suoi poteri e vedrà che tutto andrà bene.”  

Virginia si limitò ad annuire appena e a mormorare il suo congedo e, una volta che fu di nuovo in corridoio, nascose il volto sul petto di sua madre e singhiozzò.  

“C’è qualcosa che non va?” chiese Biagio con una punta di preoccupazione, rimettendo rapidamente il suo taccuino in tasca.  

Virginia scosse la testa, lasciandosi guidare da sua madre.

Mrs. Bergman, invece, roteò gli occhi e sospirò, stringendo affettuosamente la spalla di Virginia. “Sì, tutto bene, è solo che Vir’ ha paura che la sua Classe di Haltey aumenti di nuovo, tutto qui.”  

“Non voglio diventare una classe C!” ammise infine Virginia, tirando su col naso per la rabbia.  

“No che non lo diventerai!” La rassicurò sua madre, stringendole le spalle affettuosamente. “E appena posso telefonerò a Mrs. Coleman per chiederle il numero del centro. O preferiresti fare il test da un medico privato?”   

Virginia fece spallucce e, una volta nel parcheggio dell’ospedale, calciò un ciottolo. “L’importante è che faccia il test prima possibile, no?”  

“Devi anticipare il test di Haltey?” chiese Biagio, aprendo la propria auto e facendo salire Virginia e sua madre. Quando Virginia annuì, aggiunse: “Se vuoi, posso chiedere a mia madre se può darvi un nome o due. Se non erro, uno dei suoi compagni di università sta cercando di riprodurre alcune tecniche d’indagine usate ad Alkonost.”  

Virginia aggrottò le ciglia, chiedendosi se quell’ultima frase fosse qualcosa di positivo – non le andava di fare da cavia per qualcosa che non era scientificamente provato. Fu alquanto contraddetta quando sua madre, invece, rispose con un è molto gentile da parte tua.  

Non sarà potente ed esperta come Bob, ma è una empatica migliore di te, pensò Virginia mentre imboccavano la strada per la sala da tè.  

Virginia si lasciò sprofondare nel sedile posteriore, aspirando leggermente l’odore di cuoio e tabacco che le ricordava il profumo di Biagio, e sentendo senza ascoltare sua madre chiacchierare dei suoi nipotini. Non sapeva dire perché, ma nonostante le rassicurazioni del primario non riusciva a scuotersi di dosso la cattiva sensazione che la perseguitava dal giorno della crisi. Poteva sentire nelle ossa e nello stomaco che quello era stato solo l’inizio di qualcosa di formidabile1 e di cui non poteva fare a meno d’essere spaventata. Non voleva che la sua Classe di Haltey aumentasse, non voleva rinunciare alla sua ambizione di lavorare nella Finanza – certo, avrebbe di gran lunga preferito dedicarsi alla Matematica pura, ma si era già fatta i conti in tasca alla fine della scuola media. Osservando il paesaggio scorrere oltre il finestrino, si chiese quali avrebbero potuto essere le sue alternative: si rese conto che non erano molte, per non dire nessuna.  

Biagio è una Classe E e ha dovuto rinunciare all’insegnamento.  

Sospirò e cercò lo sguardo di lui nello specchietto retrovisore: Biagio era concentrato sulla strada e ogni tanto intercalava una parola o due in quello che era quasi un monologo di Mrs. Bergman; tuttavia, per un istante Virginia fu certa che lui avesse ricambiato il suo sguardo attraverso lo specchietto retrovisore. Sospirò di nuovo e, a un centinaio di metri dallo Scarlett’s Café, prese il suo zaino.  

“Mamma, dov’è il libro di Storia?” chiese corrucciata. “E che cosa ci fa quello di Matematica? E... Mamma! Oggi non è lunedì!”   

“Certo che non è lunedì, cara, non capisco perché tu mi faccia una domanda così sciocca,” le rispose Mrs. Bergman con ovvietà nella voce. Nella sua borsa, il cellulare iniziò a squillare.  

Virginia alzò gli occhi e sbuffò. “Perché, non solo hai lasciato quelli delle lezioni mattutine che, data l’ora, non mi servono, ma mi hai anche passato i libri sbagliati! Oggi pomeriggio ho Storia, Scienze Soprannaturali ed Economia, non Matematica e Letteratura, e sarei dovuta essere nell’aula di Biologia mezz’ora fa!” 

“Scusa tesoro, ma sono certa che nessuno dei tuoi compagni di classe si rifiuterà di condividere i libri di testo,” rispose Mrs. Bergman, prendendo il proprio cellulare e ponendo fine al suo esasperante pigolare. “Pronto? -- Ora te la passo,” disse, prima di voltarsi indietro e porgere il proprio cellulare a Virginia. “è papà.”  

Virginia prese il telefono e lo portò all’orecchio. “Dimmi pa’.”  

“Perché non hai risposto quando ho chiamato sul tuo cellulare?” Esordì Mr. Bergman.  

“Scusa, non l’ho sentito suonare…” rispose lei con voce piatta, sganciando la cintura di sicurezza non appena Biagio tirò il freno a mano. “Cosa c’è?” quando suo padre non rispose, si bloccò nell’uscire dall’auto e aggiunse, la voce venata di preoccupazione: “è successo qualcosa a Poppy?”  

“No, la giumenta sta bene, è solo che...” Mr. Bergman si concesse una rara risata. “… le sono stato appresso tutta la notte, mi allontano per una tazza di caffè, e la ritrovo con un puledro che--”  

Virginia non chiuse neanche la telefonata: guardò Biagio supplichevole e disse: “Portami a casa. Subito!”  

Biagio inclinò la testa su un lato e scambiò una rapida occhiata con Mrs. Bergman, la quale alzò gli occhi. “Come vuoi, dato che sembra trattarsi di un’emergenza,” rispose tenendole la portella aperta.  

“Ovvio che lo è!” attaccò lei, mandando un bacio volante a sua madre e guardandolo con gli occhi sgranati. “Mi spieghi come potrei concentrarmi sulle lezioni senza essere certa che Poppy e il piccolo stanno bene? No no no! E ne approfitto per prendere i libri che mi servono.”  

Quelli forse furono i dieci minuti più lunghi della sua vita. Per tutto il tragitto, Virginia tenne gli occhi fissi sulla strada, mordicchiando spasmodicamente la seconda falange dell’indice, rispondendo con un vago sì certo alla domanda che le fece Biagio e, appena arrivarono a Rana’s Farm, si lanciò fuori dall’auto prima ancora che questa si fosse completamente fermata. Virginia ignorò suo padre e Finn, correndo fino alla stalla in cui Fairy Red Poppy aveva trascorso le ultime settimane:” quando entrò, sentì il cuore sciogliersi alla vista del puledrino che accennava qualche passo traballante incoraggiato dalla madre. Virginia soppresse la voglia di avvicinarsi e accarezzare la giumenta e il suo cucciolo, e attese con una certa trepidazione che Fairy Red Poppy annusasse la sua presenza: non dovette attendere molto, e la giumenta si volse verso di lei, allargando le narici e fissandola con i grandi occhi scuri.  

“Poppy, non sai quanto mi spiace non esserci stata…” mormorò Virginia quando la cavalla le diede un colpetto di benvenuto con la testa. “Anche tu eri preoccupata per me? Sai, non devi: il dottore ha detto che devo prendere delle medicine e non usare i miei poteri per un po’, tutto qua.” In risposta, la giumenta nitrì e sbuffò, scuotendo appena la testa e facendo ridere Virginia. “Sembrerebbe che tu non sia d’accordo.”  

Premette la fronte contro la guancia dell’animale, accarezzando il collo e il crine scuro.  

“Non so perché, ma mi sento come quella volta che Finn mi costrinse a vedere IT. Per più di un mese costrinsi mamma a dormire con me, tanto avevo paura,” mormorò pensierosa. “È come se in ogni angolo buio ci fosse un mostro pronto a mangiarmi viva…”   

Svegliati, Piccola Renna, e guardati dall’Uomo dalle Mille Vite.  

Virginia si irrigidì, fissando un punto imprecisato della stalla, poi scosse la testa e rise nervosamente. “Adesso devo andare Poppy, ma promesso: dopo la scuola ti darò una bella strigliata con i contro fiocchi e penseremo a un bel nome per il tuo piccolo!” Concluse con un tono forzatamente gioviale e dando un bacio rumoroso alla giumenta.   

Virginia decise di andare a prendere i suoi libri prima e di salutare suo padre poi; incrociato Finn che con un dipendente stava scaricando i bidoni di latte ormai vuoti, entrò in casa dalla porta sul retro. Si sentì un po’ interdetta nel non trovare Mockey o Lady Dèa ad accoglierla. Rimase sullo stoino per pochi instanti, indulgendo negli odori famigliari e rassicuranti di Rana’s Farm –quello dello stufato preparato per suo padre e suo fratello e i loro dipendenti; quello del prodotto usato da sua madre per pulire il parquet; il vago sentore di animale e pelo bagnato. Virginia sorrise a se stessa, felice d’essere tornata, rassicurata dal trovarsi fra quelle mura. Sentendo la pendola in soggiorno battere le dodici meno un quarto, si riscosse e si affrettò verso la sua camera – l’ultima cosa che voleva, era obbligare Biagio a pranzare con suo padre, Finn, Mr. Higgins e Leonard per subire il loro interrogatorio – tuttavia, non appena raggiunse il piano superiore, si sentì contradetta.  

Biagio indugiava sulla soglia della sua camera, dei libri sotto un braccio e lo sguardo fisso su un punto preciso degli stipiti, come se stesse studiando il modo in cui la vernice nascondeva la grana del legno. Un miagolio, e Lady Dèa apparve ai suoi piedi e fissò Virginia con i suoi occhi azzurri.  

“Virginia--”  

“Fammi capire, io non posso entrare nel tuo studio, ma tu puoi fare avanti e indietro nella mia camera?” lei lo interruppe, incrociando le braccia sul petto e inarcando un sopracciglio.  

Lui spostò lo sguardo su di lei, inclinando la testa in confusione. “Non farei mai una cosa del genere, non senza chiederti il permesso,” rispose Biagio con il tono ovvio di chi sa d’aver ragione.  

“Davvero?” Insistette Virginia, sollevando il mento. “Io non ricordo di averti autorizzato chissà che.”  

Biagio sorrise e puntò il pugno libero sull’anca. “Mentre eravamo in auto, ti ho chiesto: pensavo di prenderti i libri di testo, mentre controlli la giumenta, è un problema? Al ché tu hai annuito; poi ho aggiunto: devo prendere Scienze Soprannaturali ed Economia, giusto? E tu mi hai risposto: sì, certo.” Rise leggermente, vedendo Virginia schiaffeggiarsi la fronte e borbottare fra i denti. “Non ti preoccupare, non è mia abitudine frugare nella biancheria intima di una ragazza,” aggiunse facendole l’occhiolino.  

Virginia avvampò, un po’ per la vergogna è un po’ per l’imbarazzo, e cercò di nascondere il suo rossore prendendo Lady Dèa fra le braccia e affondando il naso nel pelo lungo e serico della gatta. Anche Mockey uscì dalla stanza, strusciandosi contro le gambe della sua padrona e ronfando in benvenuto.  

“Credo sia meglio andare. Non vorrei avere un malinteso con tuo padre: non sono nelle sue grazie e non desidero inimicarmelo ulteriormente.” Tuttavia, Biagio non si mosse e tornò a osservare gli stipiti della porta, la sua espressione improvvisamente grave.

“A-andiamo allora?” balbettò lei.  

Biagio fece scorrere il palmo della mano sinistra sullo stipite. “Perché hai ridipinto? Cancellando i simboli magici, hai indebolito le barriere poste a protezione di questa stanza. Inoltre…” Indicò con indice e medio due angoli della camera. “… le trappole a Sud e a Est sono da sostituire.”  

“Simboli magici? Barriere? Trappole? Di che accidenti stai parlando?” chiese Virginia corrugando la fronte. “A parte il fatto che sono libera di decorare la mia stanza come mi pare e piace, ma per quanto fossi affezionata ad àkkhu, i disegni che aveva dipinto dappertutto erano un po’ troppo naif, per usare le parole di Finn.”  

Biagio aprì la bocca per rispondere, ma poi cambiò idea. Con un sospiro, s’incamminò verso le scale.   

“So che mi hai fatto promettere di non dirti cosa fare e cosa non, tuttavia…” Esitò sul gradino, poi si volse verso di lei. “Le barriere sono deboli e rozze, ma sembrano essere rivolte contro qualcosa o qualcuno di ben preciso, per cui mi sentirei un po’ più tranquillo se mettessi almeno del sale sul tuo davanzale, vuoi?”  

Virginia ricambiò il suo sguardo confusa: fece per chiedergli di cosa stesse parlando, ma lui aveva ripreso a scendere. Lo seguì poco dopo, soprappensiero e quasi scontrandosi con lui quando si bloccò sulle scale. Mr. Bergman li fissava come se avesse mangiato un limone acerbo, gli occhi stretti a due sottili fessure nel cercare gli indizi di chissà quale attività illecita sulle loro persone; dietro di lui, Mr. Higgins inarcò un sopracciglio con curiosità, dando uno scapaccione a Finn quando aprì la bocca per sputare una delle sue solite battute di cattivo gusto.  

“Non resti a pranzo, Vir’?” Le chiese suo padre con la calma che annunciava la tempesta – nonostante avesse posto la domanda a Virginia, il suo sguardo non si era spostato da Biagio.  

“Sua moglie s’è raccomandata di non tardare troppo,” rispose Biagio, con voce urbana e gioviale, mentre scendeva gli ultimi gradini. “A quanto pare, il piatto del giorno di oggi è uno dei preferiti di Virginia.”  

Mr. Bergman lo guardò come per dire nessuno ti ha interpellato, poi riprese rivolto a Virginia. “Sei uscita dall’ospedale, dovresti restare a casa e riposarti…”  

Virginia sbuffò, facendo spallucce. ”Mi sono riposata abbastanza. E poi il primario non ha detto nulla contro il tornare subito a scuola.” Non era una vera bugia, quella. Poi piantò un bacio sulla guancia ispida di suo padre e aggiunse: ”Ci vediamo stasera e mi raccomando abbi cura di Poppy.”  

 Biagio l’aspettava, tenendole aperta la portella: Virginia esitò prima di salire e, non appena imboccarono la strada comunale, lui accese il lettore CD come se volesse scoraggiare ogni tentativo di dialogo con la musica - jazz, ma le sue conoscenze sul genere si limitavano a Louis Armstrong ed Ella Fitzgerald. Virginia dovette ammettere che c’era qualcosa di rilassante nella melodia - sorridendo appena quando si ritrovò a canticchiare Someday my prince will come - tanto che sentì scemare quella sensazione di paura e sgomento che l’attanagliava da quando s’era svegliata in ospedale.

 

 

I tavoli della sala da tè erano occupati principalmente da impiegati in pausa pranzo, ma l’ora di punta non era ancora iniziata, così Orla li condusse al solito tavolo in fondo, quello vicino alla vetrina girevole con i dolci della casa, e chiese loro cosa desiderassero - Biagio volle provare la zuppa di patate e porri, entrambi ordinarono il piatto del giorno. Mentre mangiavano, con Orla che lanciava loro un occhiolino malizioso ad ogni andirivieni dalla cucina, Virginia si sentiva sulle spine: sapeva che Biagio le avrebbe fatto domande su quel suo lapsus, le aveva espressamente detto che era un argomento di cui parlare, eppure Biagio sembrava aver dimenticato tutto. 

Forse è meglio così, si disse, mentre sua madre usciva dalla cucina con due porzioni di stufato alla birra e colcannon. 

“Tutto a posto?” Mrs. Bergman chiese con un sorriso. 

Biagio annuì. “Grazie, e tutto ha l’aria deliziosa.” 

Mrs. Bergman si chinò su di lui, con un’espressione maliziosa sul viso. “Aspetta di assaggiare il mio prosciutto glassato! Che ne dici di una di queste domeniche? No, anzi, facciamo il trentuno sera così ci siamo tutti per festeggiare il compleanno di Marcus.” 

“Ehm, mamma, non penso sia una buona idea...” Virginia rise imbarazzata e lanciando uno sguardo a Biagio - non voleva obbligarlo a sopportare suo padre e di Bob così presto. 

“Concordo con Virginia,” rispose lui, con il tono di chi vuol far ragionare una persona testarda. “Non è un po’ presto per...” 

“Sciocchezze! E poi bisogna dare a quel testone di mio marito la possibilità di --” Le parole di Mrs. Bergman furono interrotte dallo squillo di un cellulare. 

Biagio frugò nelle tasche del proprio caban e corrugò la fronte vedendo il nome lampeggiare sullo schermo. “Scusatemi,” disse, accettando la chiamata. “Buongiorno mamma, vedo che per una volta te la sei presa, la pausa pranzo!” Rise piano, scuotendo la testa alla risposta di sua madre. “Sì, torniamo all’argomento in questione. Come ti ho scritto nel messaggio, Virginia dovrebbe -- Come? -- Dammi un minuto.” Biagio pose il proprio cellulare sul tavolo e rivolse uno sguardo serio a Virginia e Mrs. Bergman. “Mamma vorrebbe parlare direttamente con voi, per cui...” 

Volse la testa verso gli altri tavoli, studiando i vari clienti e le due cameriere che si occupavano di loro. Infilò di nuovo la mano in una tasca, estraendo questa volta un portasigarette d’argento: prese un cigarillo e dopo averlo rigirato un paio di volte fra le dita, lo accese. 

“È vietato fumare!” protestarono all’unisono Virginia e sua madre. 

Biagio le ignorò. Soffiò sulla parte accesa, quindi strinse il cigarillo fra due dita e disegnò qualcosa nell’aria con la punta incandescente. I segni di luce aranciata - simboli o parole ignote, Virginia non poteva saperlo - persistettero nell’aria un istante più a lungo di quello che si aspettava, per dissolversi in fumo azzurrino ad un gesto secco di Biagio. 

“E il dottore ha detto di non esporre Vir’ alla magia!” protestò Mrs. Bergman, incrociando le braccia sul petto di Virginia in un gesto protettivo. 

“Fatto?” La voce di Isolde echeggiò, dolce e metallica, dal cellulare. 

“Fatto, puoi parlare liberamente,” rispose Biagio, spegnendo il cigarillo nel proprio bicchiere d’acqua. “Nessuno ascolterà la conversazione, a parte i diretti interessati.” 

Mrs. Bergman abbassò lo sguardo su Virginia, la quale scrollò le spalle. 

“Buongiorno Virginia!” riprese la voce di Isolde - nelle sue parole si percepiva perfettamente il sorriso che le arricciava le labbra. “E così ti hanno interdetto dalla magia, mh? Questo è ridicolo.” 

Ridicolo?” Sbottò Mrs. Bergman, offesa. “Se il dottore ha detto che--” 

“Chi parla?” La voce di Isolde fu secca come uno schiaffo. 

E Biagio non perse tempo nel rispondere: “Mrs. Bergman, la madre di Virginia.” 

“Oh, capisco.” Isolde rimase in silenzio, poi riprese: “Mi dica, signora, come si prepara un campione olimpionico per una competizione? Riposandosi tutto il giorno per salvare le energie oppure allenandosi come un forsennato?” 

“A-allenandosi, ma non vedo come --” 

“La magia è la stessa cosa, signora,” la interruppe Isolde, la voce solenne come quella di una sacerdotessa preposta al culto di un’antica divinità. “Il corpo deve abituarsi a livelli d’energia sempre più alti, gestire il flusso che scorre nelle vene riducendo il più possibile eventuali danni. Come il cuore di uno sportivo ben allenato, o come l’assuefarsi progressivamente a un veleno per proteggersi. Più un Podestarius è esposto ai poteri di chi lo circonda, più utilizza i propri, meno rischi corre.” Tacque per un attimo, poi aggiunse: “Se vuoi un consiglio, Virginia, trova qualcuno che ti insegni come usare correttamente i tuoi poteri.” Tacque di nuovo, e quando parlò si poteva percepire una vena di malizia nelle sue parole. “Non credo che a Biagio dispiacerebbe.” 

Virginia arrossì e Biagio alzò gli occhi, rispondendo. “Al massimo posso insegnarle come prendersi cura delle barriere: quelle sulla sua stanza sono in pessimo stato e dovrebbero essere rifatte.” 

“Ah, ti riferisci agli scarabocchi di Radvna?” chiese Mrs. Bergman, inarcando entrambe le sopracciglia. 

Virginia la guardò sgomenta. “Di che diamine state parlando?” 

Sua madre sospirò e fece spallucce. “Radvna era tanto cara ma... come dire...” Fece un gesto eloquente. “… un po’ paranoica. Ripeteva che dovevamo proteggerci... come se ci fossero ancora dei lupi nel Buckinghamshire!” 

A Virginia non piacque l’espressione che fece Biagio nel sentire quelle parole, come se sapesse un segreto che la riguardava e che lei ignorava, una ipotesi che le piaceva ancora meno. 

Isolde si schiarì la voce. “Tornando a cose pratiche: abbisogni di fare il test di Haltey in tempi brevi, giusto?” Virginia annuì, anche se la madre di Biagio non poteva vederla - il silenzio era un’affermazione sufficiente. “Posso farti avere un appuntamento con il dottor Saczawa: Sta lavorando su un nuovo protocollo d’indagine con Yale e Sidney, e i risultati sono più precisi quelli ottenuti con il normale test di Haltey.” 

Mrs. Bergman e Virginia si scambiarono un’occhiata, poi la prima azzardò: “Non vorremmo disturbarla, e poi pensavo di chiedere all’infermiera della scuola di Virginia il numero del centro dove ha sempre fatto il test.” 

Isolde rise. “Nessun disturbo! E poi Elijah ha un paio di debiti da saldare, non mi dispiace affatto usarli per aiutare la promessa di Biagio.” 

“Mamma!” esclamò lui - Virginia non seppe se era dovuto a un gioco di luci, ma per un istante ebbe l’impressione che le sue guance avessero avuto un lampo di rossore.  

Isolde rise e dopo i saluti di rito, la telefonata fu chiusa.

Biagio e Virginia terminarono il pranzo con una delle famose torte di Mrs. Bergman, la quale soppresse ogni tentativo del giovane di pagare il conto con un offre la casa, per questa volta. Erano le dodici e mezzo circa quando uscirono dallo Scarlett Café - Virginia fu grata di andare a scuola in auto, anche correndo non avrebbe fatto in tempo a raggiungere la fermata dell'autobus e non aveva alcuna voglia di arrivare a lezioni già iniziate - per cui indicò a Biagio quale fosse la strada più breve e partirono.

"Vuoi farlo?" le chiese lui pensieroso, quando l’edificio principale della Langlane era già in vista.

Se non fosse stato per la cintura di sicurezza, Virginia avrebbe fatto un salto di un metro nell'udire quella domanda improvvisa. Fissò Biagio con gli occhi sgranati, sentendosi la gola secca. Lui rimase in silenzio, forse in attesa di una sua risposta, lo sguardo sulla strada e sull’edificio principale della Langlane a circa un miglio.

"Seguire il consiglio di mia madre e prendere delle lezioni aggiuntive di Scienze Soprannaturali," aggiunse lui, guardandola attraverso il riflesso sul parabrezza. "Non mi dispiacerebbe aiutarti, ma la decisione è tua."

 Virginia espirò lentamente, sentendosi sollevata. “È che per un attimo ho pensato volessi…” chiedermi di fare sesso. Almeno è quello che avrebbe fatto Liam.   

L’espressione di Biagio si fece improvvisamente grave.  

Merda, pensò Virginia, guardando altrove e coprendosi la bocca. Non era stata sua intenzione finire quella frase ad alta voce.  

Senza alcun preavviso, Biagio imboccò una strada secondaria che si addentrava in un bosco.

Virginia deglutì, sentendo di nuovo quella paura rinforzarsi nel petto. "Biagio --"

"Cosa sono, un adolescente in crisi ormonale che salta addosso qualunque cosa respiri?" la interruppe, la voce sibilante come un colpo di frustra. In un certo senso, Virginia avrebbe preferito che lui avesse urlato.

"Scusami se ti sembro in malafede!" ribatté lei, senza sapere neanche dove avesse trovato il coraggio per esprimersi. "Ti imponi per venirmi a prendere in ospedale, trovi una scusa per entrare in camera mia o per restare soli in macchina: non ti sembra ovvio che pensi tu stia cercando un'occasione per scoparmi?"

"Permettimi di dire una cosa, Virginia." La guardò negli occhi con solennità. "Per usare un tuo termine, io non ho alcuna intenzione di scoparti, né oggi, né mai." La parola sembrò ancora più brutta pronunciata dalla sua bocca. "E quello che abbiamo fatto nel mio studio non conta e sai bene perché."

Il filtro d'amore. Se non fosse stato per quello non mi avresti degnata di uno sguardo, vero? Tuttavia, Virginia tenne per sé quella domanda. Invece deglutì le lacrime di umiliazione che minacciavano di sgorgare.

"So perfettamente di quanto io possa essere noiosa sotto quel punto di vista ma, appunto, se la mercanzia non ti aveva soddisfatto, non eri tenuto a comprarla," spuntò infine. 

“Non è questo il punto! Ma ci sono tanti motivi per fare sesso,” mormorò Biagio, fissando gli alberi oltre il muso dell’auto. “Per soddisfare un semplice bisogno o per ricercare piacere; per lavoro o per passione; per ottenere qualcosa di materiale o immateriale; perché lo si vuole fare o perché non si ha altra scelta. Per imporre il proprio volere, per punire, premiare o consolare. Perché è quello che richiede un incantesimo o per onorare una divinità. Per rispettare le tradizioni, perché si preferisce usare le lenzuola invece dell'acciaio; per mero dovere nei confronti della propria famiglia, con solo una tenda sottile fra te e... e i genitori d'entrambi, i sacerdoti e dodici maledetti testimoni imposti dalla Legge." Biagio aveva sputato le ultime parole con una rabbia che non era rivolta a Virginia. Inspirò ed espirò profondamente più volte, poi riprese con più calma guardandola. "Non è questo quello che voglio per noi. Tu non sei una prostituta che si vende per pochi spiccioli o una schiava da ingravidare solo per avere una balia a basso prezzo: sei una giovane donna di cui fare tesoro. Per cui te ne prego: non svilire in questo modo te stessa e quello che provo per te."

Virginia non ebbe il coraggio di guardare i suoi occhi più a lungo e cercò di trattenere un singulto. Non era stata sua intenzione parlargli di Liam così presto - anzi, avrebbe preferito tacere e dimenticare - eppure le parole uscirono dalla sua bocca come l'acqua da una diga rotta, incapace di trattenerle o di almeno ingentilire i fatti. Biagio non pose domande, né la spronò a scendere nei dettagli: le strinse semplicemente le mani, la cinse nel suo abbraccio dall’odore confortante di cuoio e muschio, e baciò via le sue lacrime una ad una.

 

L’inutileangolo dell’autrice

 

 *L'autrice è in ginocchio sui ceci, con i bambini che le fanno favalluccio sui polpacci*

Lo so, sono eoni che avrei dovuto postare questo capitolo e/o rispondere a quei quattro gatto che seguivano la storia, MA un sacco di cose sono successe e ho preferito concentrarmi sulla versione inglese (se fate un salto sul mio profilo Wattpad, noterete che lì sono a quota 32 capitoli completi). L'intenzione è di finire quella a breve - bambini permettendo, dovrei farcela per fine mese, con un mese di ritardo sulla tabella di marcia - e poi sfruttare la traduzione in italiano per riscrivere alcuni capitoli e sostituirne altri, in modo da rendere il tutto dal PoV di Virginia. Dopo di ché, la palla passerà alla mia beta per la revisione finale e poi... direttamente autopubblicazione, ergo mi scuso se con questo aggoirnamento vi lascio con un po' di amaro in bocca u.u

Vi ricordo la pagina FB dedicata a “Podestaria”: mipiaciatela e non esitate a lasciare una parolina o due, aiutatemi a farla crescere perché è molto, molto importante per me e per i programmi che ho per questa storia!

Grazie a chi, non solo ha letto queste righe, ma lascerà anche un commento.

 

Kindest regards,

D. Rose

   
 
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