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Autore: SabrinaSala    16/04/2016    16 recensioni
André l’aveva penetrata con quel suo sguardo irriverente e sornione, annientandola, spazzando via in un battito di ciglia la sua ostentata sicurezza, fragile come il più sottile bicchiere di cristallo.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4 - Io, lontano da te, chi sono?
 
 
André scivolò dentro una bettola che sapeva di vino fin dalla strada. Un’aspra zaffata di mosto lo colse appena superata la soglia.
Esitò. Poi si chiuse la porta alle spalle e avanzò fino al bancone.
Aveva camminato per ore. Esiliato da Palazzo Jarjayes.
Parigi lo aveva accolto al pari di una corpulenta matrona con la sua rumorosa indifferenza.  Prima stordendolo con gli accesi colori del mercato, poi abbracciandolo nella penombra ristoratrice dei vicoli.
Carico di rabbia, si era imposto di non pensare a lei, trovandola ovunque. Nel blu cangiante dei fiori più belli, nei barbagli dorati della Senna al tramonto, nelle sete preziose che occhieggiavano dai negozi, nella corsa spietata delle carrozze che battevano le strade senza fare attenzione ai passanti…
Oscar era ovunque! Dentro e fuori di lui.
La sua voce, così particolare, gli riempiva la testa.
Il suo profumo, marcatamente muschiato, impregnava i suoi polmoni e così ogni suo respiro.
La sua ombra gli si era inesorabilmente incollata addosso.
In un altro momento, in un'altra occasione, si sarebbe nutrito di tutto questo.  Adesso, la collera per la sfida disattesa, la più importante, gli ottenebrava il cervello.
Irritato da quel pensiero, ordinò da bere.
Sì! Avrebbe bevuto e lo avrebbe fatto senza di lei.
In attesa della bottiglia, volse lo sguardo attorno, le braccia conserte appoggiate al bancone di legno marcio che trasudava liquore e tabacco. E quella bettola, rumorosamente affollata, gli strappò un sorriso cinico e beffardo.
“Al diavolo le cupe serate ad aspettare che tu dica una parola, Oscar!” brindò afferrando e sollevando il bicchiere che un oste compiacente aveva provveduto a riempirgli.
Si portò il vetro sporco e spesso alle labbra e tracannò le prime sorsate.
Una risata lo interruppe. Gorgogliante, piena, spaccona.
Volse appena la testa, intercettando con lo sguardo un giovane gigante bruno in uniforme blu, impegnato in un’originale tenzone con un paio di procaci fanciulle. Malamente seduto su una sedia, il braccio sinistro oltre lo schienale e le gambe allungate sul tavolo, il soldato rideva e amoreggiava, recuperando con un gesto secco e deciso un foulard rosso cupo dalle avide e insolenti mani di una delle due pretendenti. Con la stessa disinvoltura, il fazzoletto finì annodato  al collo robusto e abbronzato dell’uomo.
André tornò a fissare il bicchiere semi vuoto. Afferrò la bottiglia, socchiudendo le palpebre.
Ecco come ci si divertiva, a Parigi.
Ecco quello che un giovane uomo della sua età avrebbe dovuto fare.
Sfrontato, si attaccò al collo della bottiglia e prese un altro paio di sorsate. Tutto d’un fiato. Disgustato dal sapore acidulo di quel vino scadente. Poi allontanò il fiasco  dalle labbra e lo sollevò a mezz’aria.
«Salute! » affermò.
La risata alle sue spalle si interruppe. Solo un momento. Poi riprese, irresistibile.  André si passò il dorso di una mano sulle labbra. Lentamente. Gli occhi chiusi.
“Ridi, soldato. Ridi ancora” pensò, compiaciuto. Desideroso di condividere quella virile voglia di vivere. E al contempo irritato, stizzito.   “E tu, Oscar, da quanto tempo non ti concedi una risata?”
Batté un pugno sul banco.
Oscar! Ancora Oscar! Sempre Oscar!
Cosa avrebbe dovuto fare per allontanare il suo fantasma, il suo pensiero, almeno per quella sera?
Si volse ancora. Attratto irrimediabilmente dall’energia che sprigionava da quel soldato. Bello, spregiudicato, libero…
Decise che anche lui, quella sera, avrebbe avuto una donna.
 
***
 
Oscar François de Jarjayes si umettò le labbra. Gli occhi socchiusi, sorseggiò il vino speziato. La piccola ruga tra le sopracciglia nascosta dalle ciocche di capelli biondi.
Attorno a lei, che occupava la solita poltrona damascata nel salotto dove ogni sera amava concedersi quel piccolo rito, si affaccendava un giovane valletto dai modi impacciati.
Il rumore la infastidiva. La percezione delle sue movenze la irritava quanto il liquido rosso che le riempiva oltre misura il bicchiere di cristallo.
André avrebbe saputo dove fermarsi, pensò, e come regolare la temperatura di quella stanza. Né troppo calda, né troppo fredda… rimuginò sollevando a mezzo le palpebre a fulminare, con uno sguardo severo, il giovane Matthieu intento ad attizzare le fiamme che già guizzavano alte nella bocca del camino.
Questo pensiero la irritò maggiormente e la mano, elegantemente abbandonata sul bracciolo, si strinse attorno al legno intarsiato.
«Il conte Hans Axel di Fersen è venuto a farti visita, Oscar…»
La gracile voce di nonna Grandier, inaspettata, ruppe il filo dei suoi pensieri.
Sollevò le palpebre.
«Il conte di Fersen? » domandò, sorpresa, dissimulando un sussulto.
«E’ molto tardi, Oscar… Vuoi che gli dica di tornare domani? »
Oscar si sollevò dalla poltrona.
«No. Va bene così» disse. «Fallo entrare, Marie» la esortò, rivolgendosi poi al valletto perché preparasse un secondo bicchiere e distogliendo volontariamente il pensiero e l’orecchio allenato a riconoscere ogni suono, ogni passo.
Inutile accorgimento, perché avvertì chiaramente il suo incedere leggero e cadenzato. E il suo cuore battere all’unisono, accompagnandolo fino a quella stanza.
«Oscar!» proruppe Fersen apparendo sulla soglia con un largo e caldo sorriso.
Avvezzi alla rassegna, gli occhi di Oscar percorsero rapidamente l’intera figura del conte. Ravvisandone ogni cambiamento. Percependone ogni piacevole dettaglio.  Poi si blindarono dietro le palpebre, mentre lei tornava a sedersi e invitava l’ospite a fare altrettanto.
«A cosa devo questa gradevole sorpresa?» domandò, intenzionata a contenere l’emozione che tentava di incrinarle la voce.
Hans Axel di Fersen prese posto di fronte a lei, accettò il bicchiere che gli veniva porto e si rilassò contro lo schienale morbido della poltrona.
«Avevo solo bisogno di un volto amico» rispose, allargando il sorriso ma ammantandolo di un leggero velo di malinconia.
Oscar avvertì una fitta allo stomaco e si impose di trattenere il rossore.
Quell’uomo aveva il potere di destabilizzarla. Di strapparle ogni corazza di dosso. Di renderla fragile, esposta e disposta a tutto pur di riflettersi nel suo sguardo dalle delicate sfumature grige. Questo la spaventava. La imbarazzava ma, soprattutto, la incuriosiva.
L’irritazione iniziale si era, negli anni, tramutata in muta e dolorosa consapevolezza.
Un’attrazione inevitabile e sincera. Si era invaghita di quell’uomo benché sapesse che il suo cuore fosse già occupato da un’altra donna: la Regina di Francia.  
«Speravo di vedervi, ieri sera, al ballo…» chiosò lui, «Ma vi ho attesa inutilmente», si lamentò.
«Non avevo motivo di partecipare» mentì Oscar, apparendo volutamente distratta.
Nella stanza riecheggiò la breve ed elegante risata del conte.
«Che sciocco che sono» si schernì. «Cosa sareste venuta a fare, visto che la vostra Regina era assente»
Oscar trasalì serrando le labbra. Sollevò il mento. Il suo sguardo percorse la figura che aveva di fronte, impegnata a suggere il profumato liquido rosso. Le labbra appoggiate al cristallo trasparente.
Si trovò a seguirne ogni piega, ogni sensuale movimento. Labbra perfette…
Labbra morbide e decise, come quelle di André?
Un brivido le percorse la schiena, scuotendola prima che potesse controllarsi.
«Avete freddo? » si preoccupò il conte, trovandola pallida.
Maledetto André, pensò Oscar.
“Puoi mandarmi via. Ma non puoi tenermi lontano da te” ! Era questo che intendeva con quella frase? Tormentarla e importunarla, ancora e ancora?
In un moto di rabbia inopportuna strinse i pugni, distogliendo lo sguardo.
«Forse siete stanca» continuò Fersen, non avendo ottenuto risposta.
Si alzò.
«Meglio che tolga il disturbo. Sono stato un egoista» disse. «Preso dalle mie sciocche necessità, non mi ero reso conto di quanto fosse tardi. E voi vorrete sicuramente riposare»
Oscar si sporse istintivamente in avanti. La sua mano afferrò quella grande e calda del conte.
«Non ve ne andate» proruppe con maggiore enfasi di quanta avrebbe desiderato. Incrociò i suoi occhi, grigi e delicati, interrogativi. «E’ tardi è vero» si schermì.
«Anche per tornare a casa» si giustificò. Lasciò la sua mano «Rimanete qui, questa notte. Ve ne prego».
Sapeva che il conte avrebbe frainteso le sue parole. Sapeva che vi avrebbe letto solo un naturale desiderio di rispettare l’etichetta. Che sarebbe apparsa ai suoi magnifici occhi solo come un perfetto padrone di casa.
Fersen la sogguardò stupido. Sollevò un sopracciglio e piegò le labbra in un sorriso.
«E sia!», accettò. «In fondo, non c’è nessuno ad aspettarmi» rise.
Poi si guardò attorno. Sorpreso.
«Non vedo il vostro attendente…» constatò. «Il caro, vecchio André»
André! Sempre André! Si spazientì Oscar.
Era così difficile vederli come due realtà separate? Era così scontata la presenza di lui laddove c’era lei?
Tornò a poggiare le spalle allo schienale, accavallò le lunghe gambe e allacciò le dita sotto al mento. Lentamente.
Solo allora e solo dopo  aver ripreso padronanza delle proprie emozioni, rispose:
«Vorrei uscire a cavallo, domattina…»
 
***
 
Forte della sua decisione, André si sollevò dallo sgabello.
Messo un primo piede a terra, barcollò lievemente. Recuperato l’equilibrio, si passò la mano aperta sul volto, sulla fronte, sugli occhi.
Il pessimo vino di quella bettola, complice lo stomaco vuoto, doveva avergli giocato un brutto scherzo.
Deglutì scoprendo la lingua e la gola felpate.
«Ehi! Bel ragazzo!» lo apostrofò una giovane donna dai lunghi capelli rossi, scivolandogli sul petto. «Non vorrai essere da meno del tuo amico laggiù!» lo esortò, afferrandogli il mento e voltandogli con decisione la testa verso il soldato dal fazzoletto rosso.
«Non è mio amico!» protestò André, sorpreso dalla sua intraprendenza. «Non lo conosco nemmeno» concluse, arretrando istintivamente di un passo.
La ragazza si staccò da lui. Portò le mani ai fianchi e si soffermò a guardarlo.
«Ma se non hai fatto altro che tenerlo d’occhio, da quando sei entrato… » disse.
«Non è che mi nascondi qualcosa, bel morettino? »
André non fece in tempo a schiudere le labbra per replicare che lei gli rubò la parola.
«E’ furbo, il tuo amico» sorrise maliziosa. «Molto furbo. Lo vedi? Ha tutte le ragazze ai suoi piedi. Ma lui si nega. E così comanda il gioco» ridacchiò sommessamente.
André tornò con lo sguardo sul giovane soldato e le sue ancelle.
Negarsi… condurre il gioco…
Il suo sguardo si adombrò improvvisamente.
Che stupido era stato!
«Ehi! » lo richiamò la sua interlocutrice e lui si volse, catturato dai suoi occhi scuri.
Era bella, pensò. Alta ma non troppo. Snella e morbida al punto giusto.
«Ti sei deciso! » lo spiazzò lei, inorgogliendosi alla carezza del suo sguardo.
André si perse nella conta delle piccole lentiggini che le punteggiavano il volto giovane ma un po’ severo. Sulle labbra seducenti e piene. E poi giù, verso l’incavo del collo e sulla linea morbida dei seni appena pronunciati che uno scollo fin troppo generoso gli offriva.
Una fitta dolorosa alla testa lo portò a serrare le labbra.
Un altro vestito, un altro collo, un'altra donna era quella che avrebbe voluto guardare. Stringere in quel momento tra le braccia. In quel momento e da sempre… Uno spaventoso senso di vuoto lo investì, togliendogli il fiato.
Solo. Perso. Incompleto.
Ecco cos’era lui senza di lei. L’ombra di un uomo. Una vita in sospeso.
Inspirò, profondamente amareggiato.  E lei? Cosa ne era di lei?
La risata fragorosa e insolente del solito soldato lo trafisse con la precisione di una spada.
Sollevò il mento. Deciso a riprendersi quello che gli era stato ingiustamente tolto.  
«Andiamo» mormorò con voce roca, deciso a punire Oscar, o forse se stesso,  per tutto il tempo che le aveva concesso e dedicato e che lei, crudelmente, aveva disprezzato e gettato via senza l'ombra di un rimpianto…


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DUE CHIACCHIERE...

Chissà che due amiche, EMERALD77 e LUCY71, non abbiano riconosciuto l'omaggio più o meno velato alle loro belle storie (TUA... DA SEMPRE di Emerald e VOLERE E' POTERE di LUCY) e  come loro non lo abbiano colto anche le loro affezionate lettrici, eheheehh...

Detto questo, sulla scia del quarto capitolo penso che qualcuno si farà qualche legittima domanda! Sono qui per ascoltarle, anche se - ovviamente - non potrò avvalorare o meno le vostre ipotesi... E chissà, se lo schizzo in apertura non abbia tratto in inganno qualcuno, ad una prima occhiata...

Con questi interrogativi, ringrazio come sempre chi legge - recensore o silente - e vi do appuntamento al prossimo capitolo!

A presto,
Sabrina

 
   
 
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