I
giorni successivi alla mattina in cui tutto si era distrutto fra lei e Jack,
Riley li passò piuttosto isolata dal resto del mondo. Fatta eccezione per il
lavoro, la ragazza tendeva a mantenere solo nella misura necessaria i rapporti
e i contatti con le altre persone. Non voleva che queste capissero che qualcosa
la preoccupava e non voleva neanche che le sue amiche le facessero domande a
cui non le andava di rispondere. Elizabeth – la sua amica più fidata – sarebbe
stata in grado di accorgersi che lei era turbata da qualcosa anche solo
guardandola al termine del loro saluto, per tale motivo, Riley, all’invito
dell’amica a bere qualcosa aveva risposto che non si sentiva molto bene.
I
giorni trascorsi da sola erano diventati cinque, poi una settimana, in tutta
fretta. Per quel lasso di tempo Riley aveva continuato a passare le serate in
solitudine, raggomitolata sul divano, alla ricerca di qualcosa alla televisione
che non la facesse pensare a niente, ma con l’orecchio sempre teso per vedere
se, dal pianerottolo, sentiva provenire qualche rumore riconducibile a Jack. Lo
sentiva solo entrare e uscire di casa. Sentiva il via vai che caratterizzava
spesso il suo appartamento, ma nient’altro. Non c’erano stati altri litigi
telefonici, né battibecchi di varia natura con qualcuno. Sembrava che le
giornate di Jack proseguissero nello stesso modo di sempre.
Riley
aveva ripensato spesso a quello che era accaduto, al modo in cui, in una sola
mattina, uno dei legami più belli che avesse mai stretto si era spezzato per
colpa sua. Le era impossibile non ripensare a quella notte continuamente, anche
se si sforzava in ogni modo possibile di concentrarsi su altro. Le ci sarebbe
voluto molto tempo per riuscire a superare l’ennesima delusione amorosa e certo
non si stava applicando per semplificarsi il lavoro. Continuava a cercarlo, a
sperare di sentirlo bussare alla sua porta come aveva fatto in molte occasioni.
Alle volte, quando sentiva provenire dei suoni dal pianerottolo, si avvicinava
all’ingresso di casa cercando di fare meno rumore possibile e sbirciava dallo
spioncino della porta. Dentro di sé si augurava sempre che Jack, mentre
passava, si fermasse e suonasse all’appartamento 24, ma non era mai accaduto.
Lui richiudeva la porta dietro di sé e si allontanava, imperscrutabile. Quando
accadeva, Riley si sentiva una stupida e tornava ad accucciarsi sul divano.
Non
aveva più pianto da quel giorno. Quando, quella mattina, aveva sentito Jack lasciare
il suo appartamento si era raggomitolata stretta sul pavimento del bagno e
aveva dato fondo a tutte le lacrime che possedeva. Poi non ne era scesa dai
suoi occhi una di più. Ripensare a Jack la faceva sentire avvilita e frustrata,
azzerata a tal punto da impedirle di piangere.
Avrebbe
voluto risolvere le cose e, conoscendosi, sapeva che se si fosse impegnata ci
sarebbe riuscita, ma non se la sentiva ancora. Sette giorni non erano
sufficienti affinché lei mettesse da parte frustrazione e sensi di colpa, anche
se farlo significava riconquistare – almeno in parte – un legame a cui
teneva fin troppo.
*
La
famiglia Miller aveva da sempre l’abitudine di consumare ogni pasto insieme. Jack
si presentava puntuale ogni giorno un’ora prima che la domestica portasse in tavola
le pietanze. Suo fratello Connor e la madre, Nicole, arrivavano insieme appena
uscivano dai loro uffici. In quell’ora di attesa Jack trascorreva i minuti
chiacchierando con sua nonna – una donna per cui aveva sempre nutrito un
profondo rispetto – sorseggiando insieme a lei un Martini, un bicchiere di
brandy o dedicandole qualche canzone suonata al pianoforte.
Quel
giorno, però, era evidente che in Nicole qualcosa non andava. Si era presentata
a casa trafelata, aveva stretto il figlio in un abbraccio sbrigativo e si era
sistemata a tavola continuando a sfogliare un grosso plico di carte stampate. Jack
era rimasto a guardarla in piedi, al lato opposto del tavolo, un bicchiere con
poche dita di brandy in mano.
Nei
giorni precedenti Nicole, a cui non sfuggiva nulla di quanto accadeva ai due
figli, non aveva dato segni di essersi accorta di ciò che era successo a Jack dopo
la sua rottura con Riley. Il giorno stesso in cui lui si era svegliato nella
camera della ragazza era stato assente e di poche parole, ma nessuna domanda
gli era stata rivolta. La cosa era sospetta, per tale motivo cominciò a credere
fortemente – soprattutto per via del comportamento attuale della madre – che
qualcosa turbasse fortemente la donna. Connor, invece era il solito, diviso fra
il telefono cellulare e la compagna, Amber.
«Mamma,
va tutto bene?»
Jack si
decise a chiedere quello che da un po’ voleva domandare. Nicole alzò lo sguardo
sul figlio, calando sul naso gli occhiali che le servivano per leggere.
«Potrebbe
andare meglio, Jack. Ultimamente hanno portato alla mia attenzione cose che mi
potrebbero creare non pochi problemi» detto ciò tornò a concentrarsi sulla
carta stampata.
Jack
lanciò un’occhiata perplessa verso Penelope, la nonna, la quale alzò il
bicchiere contenente il suo Martini e fece un cenno sbrigativo con la mano
libera. «Lasciala perdere, ragazzo mio. Tua madre è sempre preoccupata per
qualcosa. Ha scelto il lavoro sbagliato.»
Nicole
la fulminò con lo sguardo, ma Penelope non ci fece caso. Era abituata a simili
atteggiamenti da parte della figlia.
Il
pranzo si concluse nel solito modo. Chiacchiere di vario genere sulla
situazione politica americana e qualche piccolo pettegolezzo sui retro scena di
alcune figure altolocate. Alla fine di tutto, Jack si sentì piuttosto sollevato
all’idea di potersi alzare dal tavolo per poter uscire di casa.
Era nel
soggiorno, intento a sistemarsi la giacchetta in pelle prima di uscire, quando
sua madre lo raggiunse. Nicole si fermò nell’ingresso e guardò Jack con sguardo
grave, gli occhi castani che scrutavano da dietro le lenti degli occhiali. Lui
abbozzò un sorriso, non sapendo cosa aspettarsi. Dovette attendere diversi
secondi di silenzio da parte della madre, prima di sapere per quale motivo lo avesse
raggiunto lì.
«Da
quanto tempo va avanti?» chiese la donna, seria.
Jack non
capì di cosa stesse parlando. Aggrottò le sopracciglia, inclinando leggermente
la testa di lato. «A cosa ti riferisci?»
Nicole
sospirò, come se ciò che era in procinto di dire le facesse male. «Louis Walker. So che vi frequentate.»
Jack si
irrigidì improvvisamente. Distolse lo sguardo da quello severo della madre e si
appoggiò con le mani sul tavolo. Rimase a guardare il riflesso che gli veniva
restituito distorto dal legno chiaro tirato a lucido; il cuore aveva preso a
battere all’impazzata.
Come
fosse riuscita, sua madre, a sapere di lui e Louis era un mistero. Entrambi si
erano premurati bene di fare il possibile perché la loro relazione rimanesse
segreta alla massa. Louis non poteva permettersi che la cosa si venisse a
sapere e Jack, nonostante avesse da sempre voluto dirlo a tutti, sapeva che in
qualsiasi eventualità sua madre avrebbe ugualmente dovuto essere l’ultima a
venire a saperlo.
Il
ragazzo inspirò a fondo poi, mantenendo sempre gli occhi fissi sul tavolo,
rispose: «Sei mesi.»
«Sei
mesi?» gli fece eco Nicole, sconvolta. «Cosa ti passa per la testa, Jack?»
Lui
batté i palmi sul legno prima di voltarsi verso la madre, sentendo la rabbia
montare. «Se hai intenzione di farmi una predica puoi risparmiartela.»
La voce
gli si era involontariamente alzata a quella esclamazione. Voleva risparmiarsi
la morale di Nicole. Non sopportava di sentirla quando gli diceva che stava
sprecando la sua vita, che frequentava le persone sbagliate e che si sarebbe
rovinato con le proprie mani. Per Jack lei, che lavorava in uno degli ambienti
più corrotti e contorti che conoscesse, era la meno indicata a dirgli come
vivere le sue giornate, anche se era sua madre.
Nicole
rispose a tono all’esclamazione del figlio: «No, invece. Voglio capire a cosa
stavi pensando quando hai deciso di iniziare a uscire con Louis. Fra la miriade
di uomini che potevi scegliere, perché proprio lui?»
Jack si
passò le mani fra i capelli sempre più nervoso. «Si può sapere perché la cosa
ti crea tanti problemi?» domandò, i muscoli tesi per la rabbia.
«È un
repubblicano Jack. Concorre contro di me
per la carica di presidente. Davvero pensi che stia con te perché gli piaci? È
più facile che gli interessi informarsi per quanto riguarda i miei progetti.
Quante cose ti ha già chiesto sulla mia campagna elettorale?»
Le
parole di Nicole attraversarono Jack come lame, gelide e taglienti. Abbassò lo
sguardo, sentendosi colto in flagrante. Il suo respiro si fece improvvisamente
più rapido. Louis gli aveva posto più volte domande sulla campagna elettorale
della madre, era vero, ma Jack non vi aveva quasi mai risposto. Ciononostante Louis
continuava a cercarlo, segno che la politica era seconda alla loro storia.
Piuttosto
certo che quella fosse la realtà, il ragazzo scoccò un’occhiata furiosa alla
madre. «Non riesci a trovare una scusa migliore per convincermi a lasciarlo? Si
deve sempre parlare di te, vero?» ruggì.
Nicole
parve sorpresa dall’affondo del figlio, ma solo per un breve istante.
«D’accordo, vuoi una motivazione migliore e che non riguardi me? È un uomo
sposato.»
Le sue
labbra si erano fatte ancora più sottili di quanto fossero solitamente mentre
continuava a tenere gli occhi fissi su Jack, lo sguardo più severo che mai. Il
giovane ricambiò quello sguardo, dopodiché si sistemò meglio la giacca e
afferrò le sue cose – una borsina in plastica e una
serie di fogli stropicciati – e si voltò appena in direzione della porta. «Lui
mi ama. Sei libera di pensare quello che vuoi, ma puoi star certa che non lo
lascerò.»
Diede
le spalle a Nicole, senza la minima intenzione di ascoltare alcun tipo di
risposta da parte sua e uscì di casa a passo spedito.
Camminando
verso il suo appartamento finì con il ripensare alla breve diatriba avuta con
la madre. Con la scusa di volere il meglio per il figlio, Nicole aveva spesso
interferito con le scelte di Jack e lui ne era stanco. Anche se Louis in più
occasioni aveva fatto pensare il peggio sul loro futuro come coppia, il ragazzo
era convinto che si trattasse solo di tempo prima che Louis si lasciasse andare
completamente. Jack ne era sicuro. Louis non lo raggiungeva a casa sua quasi
ogni giorno per parlare della carriera politica di Nicole, lo faceva per stare
con lui, per sentirlo suonare il pianoforte, per averlo. Un giorno anche sua
madre lo avrebbe capito.
Quando
raggiunse il condominio in cui viveva, il nervosismo che aveva addosso non era
ancora passato del tutto. Salì in fretta le scale fino all’ingresso di casa;
raggiunto il pianerottolo si fermò, osservando la porta d’ingresso di Riley.
Lei non era in casa. Jack conosceva a menadito gli orari lavorativi della
ragazza, sapeva che fino alle sei di sera non sarebbe rientrata.
Estrasse
il contenuto dalla bustina in plastica. Era una confezione di marshmallow, una
di quelle che lui e la ragazza erano soliti consumare insieme di tanto in
tanto, quando Jack la raggiungeva nel suo appartamento. Lui era in debito di
una confezione ed era intenzionato a portare quella che aveva comprato a Riley
quella stessa sera, nella speranza di cominciare a ricostruire il loro legame a
una settimana di distanza da quella fatidica notte. Tuttavia sentì che non
sarebbe servito. Se avesse aspettato la sera e raggiunto Riley avrebbe
certamente mandato tutto all’aria sfogandosi con la ragazza di quello che era
accaduto fra lui e sua madre. Non poteva rischiare e preferì non farlo.
L’avrebbe cercata un altro giorno, quando sarebbe stato a mente lucida e senza
nulla di irritante a confondergli i pensieri.
*
Le
borse della spesa sbilanciarono non poco Riley mentre tentava di salire le
scale del condominio con il minore sforzo possibile. Il pacco da sei bottiglie
d’acqua le stava facendo male alla mano e quando terminò anche l’ultimo
gradino, raggiungendo il secondo piano, si sentì sollevata.
Era
piuttosto stanca. La giornata lavorativa l’aveva impegnata più del solito. Sei
ore in piedi erano pesanti, soprattutto quando la notte se ne era dormite sì e
no quattro. Percorse gli ultimi metri che la separavano dall’ingresso del suo
appartamento e appena lo raggiunse posò a terra le borse della spesa e il pacco
dell’acqua, sorpresa. Ad attenderla, appoggiato in equilibrio sulla maniglia della
porta c’era una confezione di marshmallow, intatta. Il sacchetto rosso e
trasparente che conteneva i gonfi cilindretti di zucchero era della marca
preferita da lei e Jack. Sopra la confezione era stato appoggiato un foglietto,
talmente in bilico che sembrava in procinto di cadere.
Riley
afferrò il pezzo di carta, riconoscendo immediatamente la calligrafia di Jack.
Ero in debito di uno.
La
ragazza rilesse quelle parole più volte, con un’espressione indecifrabile in
viso. Infine afferrò il pacchetto di marshmallow, lo tastò senza motivo,
sentendo i dolcetti morbidi anche attraverso la plastica della confezione. Si
voltò verso l’appartamento n°23, quello esattamente di fronte al suo dove,
quasi sicuramente, si trovava Jack.
Non
sapeva per quale motivo il ragazzo avesse preferito lasciarle sulla porta i
marshmallow con un biglietto, ma per quanto le sarebbe piaciuto chiederglielo,
non lo fece. Si limitò a puntare gli occhi verdi sullo spioncino della porta.
Alzò il biglietto per farlo vedere e sorrise, come se, da dietro alla porta,
qualcuno la stesse osservando. Dopodiché recuperò le sue borse ed entrò in
casa.
Oltre
la porta del proprio appartamento Jack si sentì improvvisamente più sollevato.
Se Riley gli aveva sorriso significava che c’era ancora una speranza.