{Ash of a Red Moon

[I can't escape this hell.

So many times i've tried

But i'm still caged inside

Somebody get me through this nightmare

I can't control myself

Non posso sfuggire a questo inferno
C'ho provato così tante volte
Ma mi sento sempre ingabbiato
Qualcuno mi aiuti a uscire da questo incubo
Non riesco a controllarmi]

Un letto scomodo, una stanza spoglia, e uno specchio troppo lontano per riflettere la sua immagine:

quella era la sua prigione.

Uno squarcio di luce, fuori dalla finestra aperta, aprì all'improvviso la coltre di pioggia rischiarando l'ambiente, donandogli un aspetto quasi lugubre.

«E che cazzo» esclamò il ragazzo, dando l'ennesimo colpo alle pareti ormai intaccate dalla muffa; un tremore fece vibrare le quattro mura, al freddo contatto con la mano pallida.

Nel suo sguardo, si poteva appena intravedere un accenno di tristezza, ma era solo una leggera ombra rispetto alla follia che padroneggiava negli occhi color ebano.

Occhi grandi, occhi di chi è consapevole di essere in gabbia.

Con uno scatto veloce, il ragazzo si alzò dal letto, atletico; un passo in avanti, poi uno all'indietro.

Poi una sequenza di passi, sempre nello stesso metodo, nello stesso ritmo: avanti e indietro.

E un dolore gli percorse il petto, alla vista di un ombra riflessa nella lastra lucente.

Sembrava lui, sì Sasuke, si riconosceva in quell'ombra.

Per metà un demone, per metà... un viso candido da cui svettava un occhio scarlatto.

«Ma guarda » si disse, delineando con le dita affusolate le macchie nere sul volto; in qualche modo, assomigliavano alle gocce che imperterrite infuriavano la natura circostante.

Piegò la testa d'un lato, andando ad osservare il segno.

Faceva male.

Ma per il potere avrebbe fatto questo ed altro, avrebbe perfino dato la sua vita, pur di uccidere lui.

Itachi Uchiha.

E lo sguardo insanguinato - completamente vuoto e crudele – del fratello gli balenò in testa, facendolo rabbrividire.

Sentiva ancora le sue mani, macchiate di invisibile sangue, andare a lambire la sua fronte, in un buffetto affettuoso; quelle dita all'apparenza pure, morbide, pulite.

Ma strisce cremisi si allargavano su di esse, celate abilmente all'occhio di chi non ha mai ucciso da falsi sorrisi.

«Non riesco ancora a controllarlo bene quando sono nervoso» la voce si perse nella stanza in un sussurro appena udibile. «Sarà sempre la mia condanna» dichiarò, poi, alzando la voce di qualche ottava.

Una volta aveva provato a fuggire dalla quella gabbia, una volta aveva provato a ritornare da loro.

Una volta aveva fallito.

E non aveva mai più riprovato.

[So what if you can see the darkest side of me?

No one will ever change this animal I have become

Help me believe it's not the real me

Somebody help me tame this animal

(This animal, this animal)

Che mi frega se non riesci a vedere il mio lato più scuro?

Nessuno riuscirà mai a cambiare l'animale che sono diventato
Aiutami a credere che non sono io veramente
Qualcuno mi aiuti ad addomesticare questo animale
(Questo animale, questo animale)]

«Perchè lo hai fatto?» un ricordo flebile, come lo era la voce in quegli attimi «Perchè li hai uccisi?»

Il ragazzo chiuse gli occhi, prendendo un kunai dall'apposita tasca.

Sospirò tristemente, consapevole che quel mostro - quell'animale – che era diventato lo stava divorando piano.

Avvicinò lentamente il kunai al braccio, proteso in avanti, e con un gesto veloce lacerò la pelle chiara del polso. Quel dolore, quel calore.

Poteva sentirlo, quel liquido scarlatto, colare giù per la mano, accarezzando le dita per poi infrangersi sul pavimento, come una goccia di pioggia. Un ticchettio sporadico, che svettava tra la pavimentazione di terra.

Poteva sentirlo, il suo odore, riempire dolcemente la stanza di un' aroma acre.

E poteva sentirla il conato di vomito che, inevitabilmente, sarebbe arrivata alla vista di quella scena.

Sangue ovunque su quel braccio, un pulsare regolare e insignificante.

Un dolore quasi piacevole.

«Chi sei tu? » una voce si fece spazio nella sua testa, fredda e dura.

«Come chi sono? » Il ragazzo alzò il braccio andando a sfiorare la sua immagine riflessa, il sangue che lasciava una striscia rossa al passaggio dei polpastrelli. «Non ti basta guardare allo specchio per capire, Sasuke? Io sono quello che sei diventato, sono il potere che hai cercato per tutti questi anni.» La voce risuonò nella stanza, creando un leggero eco.

«Tu non sei me, io non posso essere così... »

«Non eri tu quello che voleva la vendetta? Il potere? »

«Non a questo prezzo»

«Non ricordi che ha fatto Itachi alla tua famiglia? Non ricordi che ti ha detto quella notte di nove anni fa? »

«Lascia stare Itachi maledizione! Lui non centra adesso.»

«E' stato lui a ridurti così, è stato lui a far sì che io nascessi » una risata maliziosa seguì le parole del moro, poi un altro rumore rieccheggiò nell'ambiente. Un solo colpo al centro della lastra bastò per placare l'istinto omicida del ragazzo, mentre una venatura inquietante invase lo specchio, rompendolo. Ancora sangue. Ancora quel dolore, quel calore.

«Non sei altro che un immagine riflessa ora »

Non so cosa mi è preso quando ho deciso di scriverla. XD

Era un'idea che mi è passata per la testa quando ho letto il manga, cioè sasuke non può essere cambiato così tanto. Ùù

Io me lo sono immaginato così, il segno maledetto che “fa nascere” - xD - la parte cattiva di Sasuke, rinchiudendo quella “normale” in qualche angolo remoto della sua testolina.

Boh non so se mi sono spiegata.

Spero che abbiate capito, se no sono ben accette le domande.

Comunque le citzioni sono della canzone Animal I have Become, dei three days Grace.

Condiglio vivamente di ascoltarla *___*

Baci.

Poo