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Autore: Ella Rogers    17/04/2016    4 recensioni
"Chi non muore si rivede, eh Rogers?"
Brock Rumlow era lì, con le braccia incrociate dietro la schiena e il portamento fiero. Il volto era sfregiato e deturpato, ma non abbastanza da renderlo irriconoscibile, perché lo sguardo affilato e il ghigno strafottente erano gli stessi, così come non erano affatto cambiati i lineamenti duri e spigolosi.
"Ti credevo sepolto sotto le macerie del Triskelion."
La risata tagliente di Rumlow riempì l'aria per alcuni interminabili secondi, poi si arrestò di colpo. L'uomo assunse un'espressione truce, che le cicatrici trasformarono in una maschera di folle sadismo.
E Steve si rese conto che, per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Brock Rumlow si mostrava a lui per quello che realmente era, privo di qualsiasi velo di finzione.
"Credevi male, Rogers. Credevi male."
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Road of the Hero'
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Escape
 
Kristen si obbligò a rimanere immobile, accucciata proprio dietro la macchina mangia anima. Se spingeva lo sguardo alla sua destra, poteva scorgere il corpo del dottor Lewis, steso lungo il pavimento e privo di sensi.
Era successo tutto troppo in fretta, perché qualcuno nella stanza avesse avuto anche solo una possibilità di difendersi dall’intruso. Soldati e scienziati erano crollati al suolo, uno dopo l’altro, colpiti da un fantasma comparso dal nulla.
Un fantasma parecchio incazzato.
Forse, era stata risparmiata perché non ritenuta una minaccia. O forse lui non l’aveva vista. Qualsiasi fosse la motivazione, aveva ora l’occasione di dare l’allarme.
L’apparecchietto per le emergenze pesava come un macigno nella sua mano. Il pollice era piazzato sopra il pulsante di accensione, ma non affondava per premerlo, perché Kristen non ci riusciva.
Una leggera pressione e tutti i soldati dell’Hydra presenti nella base sarebbero affluiti lì, per freddare l’inaspettato intruso. Se invece avesse rinunciato a dare il segnale, avrebbe regalato all’intruso minuti preziosi e forse sufficienti ad uscire dalla base, perché comunque Schmidt non sarebbe rimasto ancora per molto all’oscuro del sabotaggio.


La Myers si sporse appena oltre il suo angolino sicuro e riuscì a scorgere un paio di occhi dello stesso colore di un cielo durante la tempesta. L’azzurro era stato quasi del tutto inghiottito da un grigio metallico che conferiva allo sguardo una scintilla fredda e letale, così come freddo e letale era il braccio bionico su cui spiccava una stella rossa.
Sapeva fin troppo bene quale fosse l’identità dell’uomo che le era di fronte. Aveva lavorato con lui - su di lui -, quando era stato scongelato per l’ultima volta, meno di un anno prima.
E le era parso di lavorare su di una macchina, una macchina dall’aspetto umano. Era stato facile manovrarlo, senza essere atterrita dal senso di colpa. Lo aveva trattato come un mero involucro vuoto, certa che non ci fosse un’anima in lui ed entusiasta dell’inestimabile occasione offertale da Alexander Pierce, che si era detto impressionato dalle sue capacità e le aveva avanzato l’offerta di un lavoro fisso.
 
Peccato che non ci fosse stato il tempo di accettarla l’offerta, grazie a Capitan America.
 
Aveva rischiato di passare la restante parte della sua vita in una prigione, accusata di cooperazione con il nemico, con quell’Hydra che aveva creduto fosse SHIELD e basta.
Solo dopo il crollo del Triskelion, Kristen aveva capito perché le era stata intimata dallo stesso ora defunto Pearce tanta segretezza, riguardo gli affari del soggetto dal braccio di metallo. Perché quelli erano affari dell’Hydra e non dello SHIELD.
Aveva odiato Pearce, per averle mentito e quasi distrutto la vita. Aveva odiato lo SHIELD e il Governo, per non averla aiutata, perché lei era stata ingannata, in fondo.
Ancora si rimproverava per essersi fatta raggirare troppo facilmente. Era bastato un codice genetico artificialmente rafforzato, per mandarle in pappa il cervello.
 
Adesso doveva la sua libertà a Schmidt, il protettore inaspettato che le aveva donato la possibilità di riscattarsi e di rifarsi una vita e, cosa più importante, le stava offrendo l’occasione di realizzarsi.
Kristen era divenuta una delle menti più in vista nel campo dell’ingegneria genetica praticata prettamente su essere umani. Il nuovo potenziato era anche una sua creatura e avrebbe dovuto sentirsi orgogliosa di sé stessa, dinanzi ad un risultato che aveva superato ogni aspettativa.
 
Peccato che la sua testa fosse ora satura di devianti dubbi, grazie a Capitan America.
 
Violenza. Abuso.
Erano queste le parole che non riusciva a scrollarsi di dosso.
Lavorare con un soggetto cosciente e non consenziente era stato come ricevere un crudo schiaffo in faccia. L’esperienza aveva fatto crollare il cinismo che da sempre la caratterizzava e nel cuore era sbocciata la compassione.
Quanti uomini aveva utilizzato come cavie? E quanti tra loro erano stati davvero consenzienti? Sotto l’influsso di droghe e sedativi, le erano sembrati giocattoli inanimati e non si era sentita poi così male nell’usarli.
Allora perché adesso si sentiva maledettamente sporca?
La sola idea che migliaia di persone morissero a causa di ciò che lei aveva contribuito a creare le faceva contorcere le budella.
 
“Per qualsiasi cambiamento c’è un prezzo da pagare. Io sono disposta a pagarlo. L’Hydra lo è” aveva affermato, ma non ne era più certa.
Non aveva più alcuna certezza.
Grazie a Capitan America.
Rumlow l’aveva avvertita. Le aveva detto di non farsi coinvolgere dallo spirito del giovane super soldato.
 
“Sai essere convincente, ma sprechi solo fiato con me.”
Non era stato poi tanto sprecato quel fiato, alla fine dei conti. E aveva anche capito perché il giovane era tanto temuto dai piani alti.
Un leader carismatico, ecco qual era l’arma più potente posseduta da Steve Rogers.
Era riuscito a far rivoltare in massa centinaia di agenti SHIELD, spingendoli a dare la vita per fermare il progetto Insight. Da nemico di Stato a leader di una rivolta conclusasi con la distruzione del Triskelion, proprio una bella impresa.
 
E lei voleva davvero che lo spirito del ragazzo svanisse per sempre?
 
Sorrise appena, mentre tornava a rannicchiarsi dietro la macchina, e chiuse gli occhi, abbandonando il capo all’indietro e ascoltando il Soldato d’Inverno portare via il testardo ragazzino dagli occhi limpidi.
Si chiese se un giorno si sarebbero rincontrati e se avrebbe mai potuto perdonarla, per i crimini di cui si era macchiata. Si chiese anche chi sarebbe stata la fortunata che l’avrebbe fatto suo. E si chiese come diavolo fosse riuscita a farsi abbindolare da lui in un modo tale, da arrivare a mettere in discussione perfino se stessa.
 
Rimase immobile, con il dispositivo ancora tra le dita e nessuna intenzione di dare l’allarme.
 
‘Buona fortuna, Steve Rogers.’
 
 
 
                                                    ***
 
 
 
Non era stato difficile recitare la parte del folle disperato che tenta di derubare un riccone accompagnato da due guardie del corpo belle grosse.
Quando quattro giorni prima Henry Benson aveva svoltato in quella stradina secondaria, dopo essere uscito dalla Tower tutto soddisfatto, James era riuscito a inscenare una fittizia aggressione, con l’unico obiettivo di piazzare sotto la pelle dello schifoso subdolo bugiardo una minuscola cimice spia, attraverso la quale aveva potuto sentire le sue conversazioni e seguire i suoi spostamenti.
Aveva dovuto lasciarsi malmenare un po’ dalle due guardie in nero, ma ne era valsa la pena, soprattutto con il senno di poi.
Dopotutto, era stata una buona idea requisire l’attrezzatura dello SHIELD - o dell’Hydra - dalle case sicure di cui conosceva la collocazione, quelle che gli erano state indicate da Pierce come punto di ritrovo, in caso di contrattempi sul lavoro.
 
James era venuto a conoscenza degli sporchi piani dell’Hydra, proprio attraverso l’ignaro Benson.
Screditare i Vendicatori, affibbiare loro la colpa di cospirazionismo contro l’umanità, prendere possesso della Stark Tower, prendere possesso di un certo Bruce Banner.
E prendere possesso di Capitan America.
Quei bastardi erano riusciti dove anche il Soldato d’Inverno aveva fallito. Solo che, questa volta, l’Hydra non aveva intenzione di limitarsi a uccidere il Capitano.
Ciò che James aveva sentito venir fuori dalla bocca di Benson, durante le sue amabilissime chiacchierate con un certo Sir, lo aveva allarmato parecchio - da quanto non provava una così profonda ansia?
Era arrivato a Washington prima dello stesso Benson, ma della base non aveva scorto nemmeno l’ombra, nonostante avesse cercato e cercato e cercato - ed era forse paura quella instillatasi nel suo animo? Poteva ancora provare paura?
 
Poi c’era stata la svolta.
Henry Benson era arrivato a Washington e gli aveva mostrato la via d’accesso alla base dove Steve era stato portato.
James avrebbe preparato un accurato piano di estrazione, se la parola cancellazione non avesse fatto capolino un solo giorno dopo l’arrivo del commissario.
Era stato quel Sir a pronunciarla e, sempre attraverso la non notata cimice, aveva potuto ascoltare la risata irritante di Benson.
 
Entrare nella base, che si diramava sotto le macerie del Triskelion, non era stato difficile e sperava che uscirne sarebbe stato altrettanto semplice, nonostante la quasi completa inorganizzazione del recupero.
 
Doveva portarlo fuori da lì.
 
 
La sua mano di metallo lasciò andare il collo di una delle guardie armate che aveva trovato a protezione della stanza.
Raggiunse a grandi passi il giovane intrappolato nella maledetta macchina e qualcosa nel suo stomaco si mosse con dolorosa violenza, mentre immagini rarefatte gli affollavano la mente.
Steve, il piccolo Steve ora non più così piccolo e … Credevo fossi più piccolo …
 
No. Non era tempo di piegarsi sotto il peso dei ricordi.
 
Strinse le fredde dita lucenti attorno la spalla destra del biondo, i cui occhi azzurri erano spenti, svuotati di qualsiasi emozione. Parevano quasi vitree biglie opache.
Inanimati.
“Sono qui.”
E le dita di metallo affondarono con maggiore insistenza nella spalla del giovane super soldato, che parve reagire sensibilmente.
 
“Sta’ sveglio, Steve.”
 
Trovò il meccanismo per sbloccare le morse in vibranio che artigliavano il ragazzo e lo sollevò di peso, tirandoselo contro e sorreggendolo per la vita con l’arto bionico.
Steve si reggeva in piedi a malapena. L’impressione di avere tra le mani una bambola rotta gli fece accapponare la pelle ed era peggio di quando l’aveva tirato fuori dal Potomac mezzo morto.
Riuscì a trascinarlo fuori dalla stanza, ma non fece molto strada, prima che un vociare sommesso e ancora lontano raggiunse il suo fine orecchio.
 
“Andiamo, Steve. Riprenditi.”
 
James si ritrovò a scuotere il biondo per le spalle con una certa violenza, nella speranza di scorgere anche solo un guizzo fuggevole attraversargli le iridi.
E, alla fine, tra uno scossone e l’altro, ci fu davvero quella sperata e fievole scintilla.
 
 
 
“Sto per vomitare” balbettò Rogers, prima di piegarsi in avanti e rigettare l’anima sul pavimento.
Quando riuscì a recuperare il controllo, gli occhi arrossati ma vivi si spalancarono esageratamente nel realizzare di chi fossero le braccia che lo stavano sostenendo, evitandogli di crollare a terra, spossato e ridicolmente tremante.
“Bucky?”
Con l’indice gli toccò il petto, per essere sicuro che quello non fosse solo uno stupido scherzo della sua mente ora non così sana.
No. Non era un’allucinazione. Era proprio lui, con indosso la spiacevolmente familiare uniforme nera e la faccia di chi non dorme da giorni.
 
“Dobbiamo muoverci” si limitò a comunicare Barnes, con una certa freddezza.
 
L’espressione totalmente confusa e persa di Rogers indusse James a sforzarsi di essere più Bucky e meno Soldato d’Inverno.
“Steve, senti. Lasciamo a dopo le spiegazioni, okay?”
 
Steve.
Il giovane Capitano non riuscì ad evitare di sorridere, perché gli faceva uno strano effetto ascoltare il proprio nome pronunciato da Bucky, Bucky che sembrava ricordare e che era venuto a tirarlo fuori dai guai. Decise che si sarebbe aggrappato alla piccola e calda fiammella accesasi improvvisamente nel suo animo, per sfuggire al gelo e al buio che lo stavano ancora reclamando. Doveva farsi forza e guardare solo avanti, per il momento.
 
“Ti seguo.”
 
James annuì e prese ad avanzare lungo i corridoi, con passo veloce e sicuro. Ogni tanto, lanciava qualche sguardo dietro di sé, per accertarsi che Steve ci fosse ancora, dato che versava in pessime condizioni fisiche, nonostante cercasse di non darlo troppo a vedere.
Era così strano averlo tanto vicino. Quella vicinanza lo destabilizzava parecchio, perché metteva la sua mente in subbuglio. Immagini sfocate di una vita lontana tendevano ad accavallarsi l’una sull’altra, sottraendogli concentrazione e lucidità.
Non era più abituato a sopportare la forza delle emozioni. Il freddo vuoto che aveva abitato il suo cuore tanto a lungo, si era colmato di troppe cose troppo in fretta.
 
Rogers, dal canto suo, si sforzava di mantenere il passo, mentre osservava una sfilza di uomini stesi a terra - non aveva idea se vivi o morti - che testimoniava il precedente passaggio del Soldato.
Poi, l’occhio gli cadde su una porta a vetri alla sua destra, poco distante dal punto in cui il corridoio svoltava verso sinistra.
“Il mio scudo.”
Il cerchio in vibranio, che aveva perso durante la colluttazione sull’Empire, era proprio oltre quella porta.
 
“Steve” lo richiamò James, quando si rese conto che il biondo aveva smesso di seguirlo.
“Dammi un attimo.”
 
Il Soldato non fece nemmeno in tempo a replicare, che Rogers aveva già mandato in frantumi i vetri, per entrare nella piccola stanza dalle grigie pareti e un pavimento composto da lucenti piastrelle bianche. Era quasi del tutto spoglia, dato che oltre un tavolino e un armadio metallici non c’era altro.
Steve si affrettò a recuperare lo scudo giacente sul tavolo e, solo dopo, notò un pezzo di tessuto blu spuntare da uno zaino nero gettato nell’angolo tra la parete e l’armadio.
“Grandioso” esultò, scoprendo i pezzi della sua uniforme malamente ammassati nello zainetto, che mise in spalla.
Soddisfatto, fece per uscire dalla stanza, ma qualcosa - una sensazione - lo trattenne. Si voltò indietro e, senza esitazione, spalancò le ante dell’armadio, spezzando con facilità la catena che le teneva bloccate.
 
“Steve.”
 
Il secondo richiamo di Barnes, il giovane Capitano nemmeno lo udì.
C’era una sola cosa nell’armadio. Un lungo cilindro di vetro contenente una spada dall’elsa bianca.
 
Quella spada.
 
Steve sarebbe rimasto fermo lì ancora per parecchio, a fissare l’arma aliena - la terza presente sulla Terra, dopo il Tesseract e lo scettro di Loki -, se Bucky non l’avesse preso per un braccio e costretto a muoversi, con una certa urgenza.
 
“Stanno arrivando. Andiamo, Steve.”
 
Il suono ritmico di passi veloci si stava facendo pericolosamente vicino.
Barnes prese a correre, tenendo saldamente Rogers per un polso, quasi avesse paura di perderselo. Sapeva bene che il biondo stava faticando parecchio a stargli dietro, ma non potevano permettersi il lusso di perdere altro tempo, non quando erano così vicini all’uscita.
Mancava davvero poco. Ancora una svolta e …
 
Cazzo” imprecò fra i denti il Soldato, bloccandosi di colpo, e Rogers quasi gli finì addosso, preso alla sprovvista dall’arresto improvviso.
 
Uno squadrone di soldati con le armi spianate separava adesso i due super soldati dalla scala che conduceva alla botola, che rappresentava la loro via di salvezza. Così vicina, eppure irraggiungibile.
 
“Pensavi davvero di entrare e uscire indisturbato, portandoti via le mie cose?”
 
La situazione già brutta divenne orribile, quando gli uomini di cui avevano sentito i passi poco prima arrivarono alle loro spalle, capeggiati da Teschio Rosso e Rumlow.
Tornare indietro non era più possibile. Erano praticamente pressati tra due squadroni armati e pronti a riempirli di piombo.
Barnes si sforzò di sorvolare sulla presenza fuori dal tempo - non che lui e Steve fossero da meno - e si affrettò a raggiungere la pistola nella fondina stretta attorno la coscia destra, perché non aveva intenzione di arrendersi senza lottare. Percepì Rogers tendersi dietro di lui, mentre i nemici si avvicinavano ulteriormente.
 
“Avanti, Soldato d’Inverno, consegnami il ragazzo e, forse, potrei risparmiare la tua vita. C’è posto anche per te nel mio personale esercito.”
 
Barnes percepì la rabbia incendiargli le membra e gli istinti assassini gli raschiarono lo stomaco, desiderosi di esprimersi nella loro più pura brutalità.
“Ho smesso di eseguire ordini” sibilò glaciale, assottigliando lo sguardo in direzione di Schmidt.
“Scelta sbagliata” lo irrise quello e gli bastò un cenno, perché Crossbones puntasse la pistola proprio in faccia al Soldato.
Nello stesso istante, Rogers si frappose tra i due, con lo scudo alto davanti a sé.
 
“La tua è una mossa inutile, Capitano. Se non sarà Rumlow a ucciderlo, lo farà uno qualsiasi dei miei uomini e tu non puoi di certo prevedere da dove arriverà ogni singolo colpo. Fa’ il bravo e arrenditi.”
Il sorriso sulla faccia di Schmidt si fece più tagliente. Non aveva gradito affatto quell’intrusione e odiava che qualcuno che non fosse lui stesso si prendesse la briga di modificargli i piani. Quindi, avrebbe riportato Rogers indietro, lo avrebbe cancellato e riprogrammato, trasformandolo nel suo personale giocattolo, senza contare il vantaggio di poter avere tranquillamente a disposizione uno degli ingredienti del nuovo siero.
Il Soldato d’Inverno, di cui Rumlow gli aveva parlato mesi prima, era solo un impiccio se non intendeva sottostare al suo comando. Avrebbe potuto riprogrammare anche lui, ma a cosa gli sarebbe servita un’arma ormai superata?
Schmidt odiava tutto ciò che era inutile o incontrollabile e, grazie al suo nuovo personale esercito, avrebbe realizzato una bella pulizia mondiale.
Questa volta, non avrebbe permesso al ragazzino a stelle e strisce di rovinargli i piani.
 
“Farò tutto quello che vorrai, ma lascialo uscire da qui.”
 
Bucky dovette reprimere la voglia di picchiare Steve in quello stesso momento.
Rumlow, invece, non si stupì più di tanto, perché conosceva Rogers, sapeva che il ragazzino si sarebbe fatto ammazzare per i suoi amici.
E James Barnes era molto di più di un amico.
 
“Ti sfugge il fatto che non sei nella condizione di contrattare, ragazzo. Ma, devo ammetterlo, la tua proposta è allettante” convenne Schmidt e portò una mano al mento, con fare pensoso.
La tensione in quel momento era tanto elevata, che credere nell’eventualità di rimanere tutti fulminati non era poi così assurdo.
Il silenzio si protrasse per lunghissimi secondi, durante i quali gli occhi infossati di Teschio Rosso sembrarono accendersi progressivamente di una luce morbosa.
 
“Perché non cominci con il metterti in ginocchio e pregarmi di lasciare andare il tuo amico? Mettici impegno, mi raccomando. Convincimi.”
 
Lo scudo di Capitan America cadde sul pavimento e l’eco del tonfo parve quasi un laconico lamento.
“Non farlo, Steve. Mi ucciderà comunque, lo sai.”
Nella voce di Bucky persisteva un’incrinatura che poteva quasi identificarsi con un senso di ansia mista a rabbia.
Steve era consapevole che di Schmidt non doveva fidarsi, non era di certo uno stupido, ma cos’altro avrebbe potuto fare?
Erano maledettamente spacciati. Non c’erano vie di fuga. Nemmeno combattere era una soluzione ammissibile, perché i nemici si sarebbero accaniti su Bucky e lui non avrebbe potuto proteggerlo da tutte le pallottole che gli avrebbero scaricato addosso.
Cosa avrebbe potuto fare? Cosa avrebbe potuto offrire, se non l’unica cosa che Schmidt non avrebbe rifiutato, perché troppo orgoglioso, egocentrico e sempre in carenza di adulazione?
Sé stesso. Ecco cosa stava offrendo a Teschio Rosso. Ed era quasi certo che quel bastardo, pur di vederlo piegato al suo volere, avrebbe tenuto in vita Bucky.
Steve avrebbe fatto qualsiasi cosa, per concedere al suo migliore amico - a suo fratello - anche uno straccio di possibilità di avere salva la vita.
Bucky era venuto fin là sotto per strapparlo alle grinfie dell’Hydra e questa consapevolezza dava a Steve la forza sufficiente ad affrontare un’umiliazione senza precedenti.
 
Schmidt fece un passo avanti, portandosi pericolosamente vicino a Rogers, e gli indicò il pavimento con la mano.
“Avanti. Non essere timido.”
Per un secondo, il giovane super soldato assaggiò la possibilità di spaccargli la faccia, ma affogò la pungente voglia istantaneamente. Si voltò a guardare Bucky, che gli ripeté di non farlo, ma non aveva scelta. Prese un profondo respiro e tornò a puntare le iridi sulla faccia mostruosa dell’odiato nemico.
Quando poggiò il primo ginocchio a terra, ebbe l’impressione di sentire il suo stesso spirito dibattersi e gridargli di smetterla. Ignorarlo gli costò uno sforzo immane.
Poteva definitivamente seppellire il suo orgoglio.
 
“Bravo ragazzo.”
 
 
 
Uno schianto improvviso fece sussultare ogni singolo presente.
La botola che sbarrava l’uscita era schizzata verso il basso e profonde crepe si erano disegnate sul grigio pavimento di cemento, laddove il cerchio di metallo si era schiantato.
Tutte le lampade a led si spensero simultaneamente e la base piombò in un fitto e raccapricciante buio.
 
Istintivamente, Steve cercò lo scudo a tentoni e lo trovò abbandonato alla sua sinistra. Riconobbe il braccio bionico di Bucky, quando una mano fredda gli afferrò una spalla e lo tirò indietro, lontano da Schmidt.
 
Un grido infranse il silenzio e a questo ne seguirono altri, accompagnati da tonfi e spari.
 
“Cos’è?”
“Un mostro! È un dannato mos-”
“Il mio braccio!”
“È qui! È qui!”
 
Steve e Bucky rimasero immobili, accovacciati a terra, indecisi su come muoversi.
Un fascio di calda luce penetrava dal foro orfano della botola e rischiarava appena qualche metro del corridoio. Rogers notò un’esile figura muoversi veloce tra il mucchio scomposto di soldati, ma prima che riuscisse a formulare un pensiero coerente, qualcosa trascinò lui e James verso il vano.
Sospinti da una forza invisibile, furono letteralmente scaraventati fuori dalla base e entrambi provarono per alcuni istanti l’ebbrezza di vincere la forza di gravità.
 
Steve si ritrovò a rotolare tra polvere e detriti.
Era fuori.
Fuori.
Libero.
Il sole rosso del tramonto incendiava il cielo e la fredda brezza invernale gli scompigliò i capelli con gentilezza.
Peccato che quel mero momento di labile felicità venne stroncato fin troppo presto, perché i soldati dell’Hydra - quelli sopravvissuti all’attacco del nuovo intruso - stavano dilagando fuori dalla base ed erano intenzionati a riacciuffarlo.
Rogers scattò in piedi e si guardò intorno, in cerca di Bucky, ma non riuscì ad individuarlo in quella landa deserta che nemmeno un anno prima aveva ospitato il Triskelion.
Dove era andato a finire?
 
“Rogers!”
 
‘Oh, no. Non Rumlow’ si lamentò interiormente il biondo.
Non poteva affrontalo. Non aveva la forza di combatterlo. I suoi sensi erano completamente falsati, a causa del trattamento ricevuto dall’Hydra, e dall’addome provenivano insopportabili stilettate di dolore. Non si spiegava come fosse ancora in grado di stare in piedi.
Si preparò a difendersi come meglio poteva, consolato dal fatto di avere lo scudo con sé, ma Rumlow non riuscì nemmeno lontanamente a sfiorarlo.
Il Capitano lo vide perdere il contatto con la terra, quasi come fosse un burattino attaccato a dei fili invisibili che erano stati strattonati verso l’alto. Il marionettista fece in modo di scaraventare l’uomo parecchio lontano, regalandogli un bel volo.
 
‘Non dare di matto, Rogers’ si impose Steve, quando fu a un passo dal realizzare quel che era accaduto.
Una mano si appoggiò con delicatezza sulla sua spalla sinistra e il biondo non poté evitare di rabbrividire, a causa di quel leggero contatto.
 
“Ti ricordavo più alto.”
 
Non avrebbe dovuto stupirsi. Anzi, avrebbe dovuto capirlo prima, quando il sistema elettrico della base sotterranea era andato in tilt.
Il marionettista non poteva essere nessun altro, se non lei.
Il giovane super soldato voltò appena il capo, per poterla guardare in viso. Il cuore si contrasse in modo strano, quando si ritrovò a specchiarsi in occhi blu come gli abissi.
Lei, però, aveva lo sguardo fisso dinanzi a sé e il taglio pericolosamente affilato che esso aveva assunto esprimeva una gelida rabbia.
Una scintilla fugace illuminò la notte racchiusa in quelle iridi inumane.
 
Nell’istante successivo, ogni singolo nemico presente venne come risucchiato nella cavità che costituiva l’accesso alla base. Gli uomini si dibatterono inutilmente contro la forza incorporea che pareva averli artigliati per le gambe e che li trascinava di nuovo sottoterra. Nemmeno Brock fu risparmiato e le sue ingiurie fecero piegare le labbra di Rogers in un fievole sorrisetto.
Dopo che la piazza fu ripulita, un ingente ammasso di detriti andò a sigillare l’entrata della base.
 
Steve si accorse che lei gli teneva ancora la mano sulla spalla e la vicinanza era tale da permettergli di avvertire il suo calore.
Non poteva che definirsi stordito e confuso in quel momento. Era un miracolo che riuscisse a mantenere un minimo di contatto con la realtà.
Di colpo, la sua salvatrice fece mezzo giro su sé stessa, spezzando il contatto tra loro, e il biondo la imitò meccanicamente.
 
“Scusami per averti spedito così lontano. Ho perduto la presa su di te nell’istante sbagliato.”
 
Barnes si fermò a un paio di passi dai due, con in viso un’espressione diffidente e, al tempo stesso, parecchio confusa. Scannerizzò letteralmente l’ultima arrivata, colei che li aveva sottratti ai tentacoli dell’Hydra e che aveva mostrato di possedere capacità sovrannaturali.
Un corpetto nero le fasciava il busto e le lasciava scoperte le spalle, per poi fondersi con un paio di pantaloncini in tinta che le coprivano meno di metà coscia. Quella specie di costume doveva essere fatto di una lega particolare, perché aveva la lucentezza del metallo, ma pareva dotato di confortevole elasticità. Una cinta argentea le cingeva i fianchi stretti e argentei erano anche i due bracciali che le circondavano i polsi. Neri erano invece i lunghi stivali che le arrivavano poco sotto il ginocchio. I lunghissimi capelli biondi dai caldi riflessi caramello erano raccolti in un’elegante treccia, il cui culmine le sfiorava il fondoschiena.
James sospettò che la ragazza non fosse propriamente umana e gli occhi, dotati di un innaturale magnetismo, davano concreta forma a quella teoria. Si sorprese, poi, nello scorgere lo sguardo intenso che Steve le stava rivolgendo.
 
“Dovremmo muoverci. Prima o poi riusciranno a uscire, quindi sarà meglio non farci trovare ancora qui.”
La giovane mise fine al silenzio imbarazzante che si era venuto a creare.
“Chi sei?” sputò fuori James, dato che Rogers continuava a essere non molto presente.
“Una che tiene al cretino che continua a cacciarsi nei guai, nonostante le raccomandazioni.”
Chiamato in causa, Steve emise verso di disappunto e rivolse alla ragazza uno sguardo parecchio eloquente.
“Dovrei essere io quello arrabbiato, Anthea” la riprese, punto nel vivo.
Anthea emise un sospiro contrito e regalò al biondo un sorrisetto sghembo.
“Te lo concedo, Steve.”
 
A quel punto Barnes era ancora più confuso di prima.
“Tu la conosci?” chiese al Capitano, inarcando un sopracciglio con fare perplesso.
“Storia lunga, Bucky. Un giorno te la racconterò.”
 
Un fragore abbastanza intenso provenne dall’ostruito ingresso della base.
Steve, Bucky e Anthea si scambiarono un ultimo sguardo e poi si mossero, decidendo di optare per un corsa abbastanza sostenuta.
La terra che aveva ospitato il Triskelion era una specie di isolotto nel mezzo del Potomac, tra Washington e la Virginia. Non ci impiegarono molto a raggiungere una delle sponde.
Il sole stava intanto sparendo oltre l’orizzonte e l’abbraccio della notte diveniva sempre più tangibile.
 
“E adesso? Qui non c’è nessun collegamento con l’altra sponda, che è anche parecchio lontana” sbottò Rogers.
“Abbiamo sbagliato. Dovevamo andare dalla parte opposta. Lì c’è l’unico ponte rimasto intatto” fu la replica irritata di Barnes.
 
Steve non poteva stare in piedi ancora a lungo. O meglio, non poteva più stare in piedi e punto. Aveva voglia di svenire e nient’altro. La stanchezza e i traumi subiti dal suo fisico e dalla sua psiche stavano riaffiorando in superficie e aveva la sensazione di sentirne il peso su ogni lembo di pelle. Come se non mancasse, le costole e l’addome non avevano smesso di dargli il tormento nemmeno per un secondo.
Si piegò sulle ginocchia e la cosa attirò l’attenzione degli altri due.
 
Anthea si accovacciò al fianco del giovane super soldato e gli sorrise fievolmente. Non voleva assolutamente esternarlo, ma dentro sentiva ardere una rabbia e un rancore letalmente distruttivi.
Era passato parecchio tempo, era maturata, eppure vedere Steve in quello stato le faceva talmente male, che gli istinti assassini si erano ridestati con fin troppa enfasi.
 
“Vi porto io di là.”
“E come?”
Sul viso candido della ragazza nacque un’espressione che a Steve non piacque per niente.
“Oh no.”
“Vi mollerò a qualche metro di distanza dalla sponda, così atterrerete in acqua ed eviteremo che vi si spezzi qualche osso. Pronti?”
“Non credo di aver capito” ammise Barnes, intervallando lo sguardo tra i suoi due nuovi compagni di disavventura.
“Tranquillo. È questione di un attimo” lo rassicurò la giovane.
 
Steve e Bucky sperimentarono cosa provasse un sassolino scagliato da una fionda, ma non fu poi così male, se non si considerava l’atterraggio brusco nelle gelide acque del Potomac.
Anthea li seguì poco dopo, atterrando elegantemente dinanzi a loro, sulla terra umida.
 
“Sei diventata brava” bofonchiò il Capitano, mentre si trascinava fuori dall’acqua, preceduto da un James sempre più sconcertato.
L’oneiriana gli rispose con un sorrisetto orgoglioso. La sua attenzione, però, fu presto deviata da una presenza che colpì i suoi sensi come una coltellata.
Dall’altra parte della sponda, due occhi sanguigni brillavano nella penombra e parevano quasi due raccapriccianti fari. Il loro possessore era immobile, non intenzionato a schiodarsi da lì.
“Andiamo via, per favore. Non è lui, Anthea.”
Steve la stava ora tirando per un braccio, palesemente preoccupato. Anche lui aveva notato la pericolosa figura - l’Ultra Soldato - e non aveva di certo intenzione di ingaggiare un combattimento con quell’essere estremamente potente, che per grazia divina non mostrava la volontà di raggiungerli.
 
“Seguitemi. Ho un posto sicuro” convenne allora Bucky, quando si rese conto che la ragazza non era propensa a muoversi, nonostante gli sforzi di Rogers.
 
“Va bene” si limitò a mormorare Anthea, alla fine.
Ma il turbamento sul suo viso non accennò a scomparire.
 
 
 
                                                   ***
 
 
 
Il cuore le batteva talmente forte, che ebbe paura l’avrebbe tradita.
Quando il suono di passi pesanti si fece pericolosamente vicino, Virginia pregò di venire risucchiata dal pavimento su cui era stesa. Nascondersi sotto il letto le era parsa una buona idea, ma ora che riusciva a ragionare un tantino più lucidamente, si diede della stupida per non aver trovato un rifugio più sicuro.
 
‘Tony, ti prego torna’ gridò interiormente.
Il miliardario però era partito qualche ora prima, per raggiungere la Tower e recuperare il frammento di energia del Tesseract.
 
Un paio di stivali scuri si palesarono davanti al suo viso e dovette premersi una mano sulla bocca per evitare di lasciarsi sfuggire un qualsiasi suono. Sudore freddo le imperlava la fronte e si chiese quanto rumore avrebbe potuto emettere una gocciolina nello schiantarsi contro il pavimento.
Gli stivali sparirono dalla sua vista e la ramata quasi credette di averla scampata, o almeno lo credette fin quando una mano non l’agguantò per una caviglia e la costrinse a venire fuori dal suo nascondiglio.
Non riuscì a ricacciare indietro le grida di puro terrore che le infiammarono presto la gola. Scalciò come un’ossessa, mentre l’uomo la imprigionava da dietro con le possenti braccia.
 
“Lasciami!”
 
Era davvero terrorizzata.
L’avrebbero usata per ricattare Tony e questo non poteva sopportarlo.
 
“Non hai sentito la signorina?”
 
L’uomo emise un grugnito addolorato e mollò la presa su di lei, per poi crollare sul pavimento, privo di sensi.
Quando Pepper si voltò, Sam teneva ancora il vassoio argentato con cui aveva colpito l’uomo a mezz’aria.
 
“Odio essere colto del tutto impreparato” commentò il pararescue, parlando più a sé stesso che alla donna.
 
 
Ed erano stati davvero colti del tutto impreparati, quando una task force - se dell’Hydra o del Governo non lo sapevano, ma non aveva poi molta importanza, in fondo - aveva scardinato la porta d’ingresso, irrompendo all’interno dell’appartamento.
Era immaginabile il caos che si era scatenato in seguito.
La casa sicura si era trasformata in un campo di battaglia e i corridoi erano ora pericolose zone di fuoco.
Come li avessero rintracciati era un mistero. L’ipotesi che Ross potesse aver intuito qualcosa e avesse di conseguenza fatto braccare la finta Hawley era tanto probabile, quanto quella di essere stati riconosciuti da un qualche civile quando avevano messo piede fuori da lì, o quella di una falla nella linea sicura di Stark - okay, quest’ultima era forse la più improbabile.
Qualunque fosse la spiegazione, per i Vendicatori - o per ciò che restava di loro - non cambiava il fatto di essere finiti in trappola, come poveri topolini tra gli artigli di un gatto parecchio cattivo.
 
Tuttavia, la situazione non scalfì affatto la freddezza dei due assassini provetti. Non era la prima volta che affrontavano un’imboscata e non avevano intenzione di farsi prendere o uccidere come novellini inesperti. Erano pur sempre due membri degli Avengers e Fury li aveva scelti non a caso, ma perché possedevano capacità impressionanti.
No, di certo, la Romanoff e Barton non si sarebbero lasciati intimorire da una manciata di agenti armati, anche se li avevano colti di sorpresa. Pur con indosso vestiti comuni e con i pochi mezzi a loro disposizione, non avrebbero permesso che ciò che rimaneva della squadra venisse reso inoffensivo - per usare il gergo di Ross.
 
“Se arrivo in camera da letto, posso recuperare l’arco nell’armadio.”
“Ho solo sei colpi” constatò Natasha, controllando l’arma che era riuscita a sottrarre ad uno dei nemici.
“Ce li faremo bastare” replicò tranquillamente l’arciere.
“Al tre” aggiunse poi e scambiò un’occhiata d’intesa con la compagna.
 
A uno, la Romanoff era già fuori dal bagno dove si erano rifugiati e, con una precisione maniacale, riuscì a colpire i nemici che li avevano pazientemente attesi nel corridoio e che avevano creduto fossero disarmati, perché la rossa aveva avuto la premura di non farsi notare, quando si era impossessata della pistola.
 
“Avevo detto al tre.”
Clint si schiacciò contro una parte del corridoio e sgraffignò un’arma ad un uomo freddato poco prima dalla rossa, che a sua volta stava facendo rifornimento per prepararsi ad affrontare i restanti nemici.
Natasha fece spallucce e si affacciò nella cucina, tirandosi immediatamente indietro, nel momento in cui una pallottola rischiò di trapassarle la fronte.
“Stima?” chiese Barton, proprio dietro di lei.
“Ne ho visti tre, ma ne stimo cinque. Pronto?”
 
Vedova Nera e Occhio di Falco si gettarono nella cucina a capofitto e fecero appena in tempo a sparare un paio di colpi a testa, prima che una raffica di proiettili proveniente dal corridoio collegato alla stanza da letto fece il lavoro al loro posto.
 
“Quello che ho steso di là aveva un mitra” gongolò Sam, facendo capolino nel salotto.
 
Pepper era alle spalle del pararescue e, ad eccezione dell’eccessivo pallore, sembrava stare bene.
 
“Prendete tutto quello che ritenete utile. C’è l’elevata probabilità che arrivino i rinforzi. Dobbiamo trovare un modo per allontanarci da qui.”
 
Sam e Clint scattarono immediatamente alle parole di Natasha, che intanto raggiunse la Potts per sincerarsi delle sue condizioni.
La rossa poteva solo immaginare quanto fosse difficile far fronte ad una situazione del genere per una persona estranea al mondo in cui lei era cresciuta. Sangue e morte erano ormai per la Vedova compagni di vita, mentre Pepper non era ancora abbastanza temprata, affinché riuscisse ad affrontarli senza rimanerne ferita dentro.
“Cerca di tenere duro. Troveremo il modo di metterti al sicuro.”
Virginia sorrise appena, rivolgendo a Natasha uno sguardo colmo di gratitudine.
“Non dimenticare che sono la fidanzata di Tony Stark. Se sopravvivo a lui, posso sopravvivere a tutto.”
La rossa sorrise felina, genuinamente divertita. Poi si decise a muoversi, per racimolare le cose che le sarebbero state utili a preservare la propria vita e quella dei compagni.
 
Pochi minuti dopo, erano di nuovo tutti in cucina. Le due spie e il pararescue avevano riempito un paio di zaini con armi sottratte ai nemici, qualche vestito e materiale per un rudimentale pronto soccorso, componente immancabile nelle case sicure dello SHIELD. Barton aveva l’arco in spalla e la faretra conteneva meno di dieci frecce.
Sam, per precauzione, aveva già indossato il suo speciale zainetto, recuperato nell’angolo della stanza da letto dove lo aveva abbandonato quando erano arrivati lì. In quella stanza, sul pavimento, c’erano ancora le coperte e i cuscini che lui, Tony e Clint avevano dovuto usare come letti di fortuna, dato che, da bravi uomini, avevano deciso di cedere l’unico letto alle due donne del gruppo.
 
Adesso non avevano più un posto sicuro e l’incertezza di ciò che sarebbe accaduto da quel momento in avanti era una brutta bestia da affrontare.
 
“Sono qui sotto. Vedo venti uomini e quattro blindati. Sembra che la zona sia stata evacuata.”
Clint smise di spiare dalla finestra e cercò lo sguardo di Natasha, ma qualcos’altro monopolizzò la sua attenzione.
Uno dei soldati si era sollevato su un gomito ed aveva una pistola in mano.
La pistola puntava dritta alla nuca della sua Natasha.
 
Accadde tutto in fugaci frazioni di secondo.
 
Clint balzò in avanti, spinse la rossa di lato, ma non fece in tempo a scansarsi per evitare il proiettile sparato dal nemico.
 
“No, dannazione!”
La Vedova si gettò come una furia sull’uomo che aveva premuto il grilletto. Con un primo calcio ben assestato sulla mano, lo disarmò. Il secondo calcio lo colpì direttamente in faccia e la bocca gli si riempì di sangue.
Non soddisfatta, la rossa scivolò seduta sulla schiena del nemico, gli prese la testa fra le mani e, con un unico, veloce e brutale movimento, gli spezzò l’osso del collo.
 
Con il fiato corto e il cuore che batteva forsennatamente, Natasha raggiunse poi Clint, che un Sam parecchio scioccato stava sostenendo.
All’altezza della spalla destra, una chiazza rossa si stava allargando a vista d’occhio sul tessuto della maglia bianca.
La rossa controllò la ferita con occhio attento e si accorse che il proiettile non aveva trapassato la spalla, era ancora infilato nella carne.
 
“Nat, non è grave. Lo sai.”
La voce di Clint era incrinata da una nota di dolore, ma continuava ad avere quella solita pacatezza rassicurante.
 
Natasha tentò di ricacciare indietro l’ondata di rabbia e ansia, regolarizzando il respiro, mentre prendeva dallo zaino preparato poc’anzi un rotolo di bende e uno dei suoi pugnali. Raggiunse i fornelli e, una volta accesi, sterilizzò l’estremità della lama con il fuoco. Tornò da Clint, che intanto Sam aveva fatto sedere su una delle sedie ancora intatte.
Il tavolo intorno al quale avevano discusso quello stesso pomeriggio, per accordarsi su come portare avanti il piano che prevedeva l’intrusione al Pentagono, era rovesciato su di un lato e crivellato dai colpi di arma da fuoco. La lampada, che una volta era appesa al soffitto, era ora sul pavimento, ridotta in frantumi.
Si stava facendo sera e la stanza era immersa nella penombra, perciò Natasha faticò a tirare fuori il proiettile dalla spalla del compagno.
Barton aveva perso colore. Stava perdendo molto sangue e quasi non sentiva il metallo ardente del pugnale rigirarsi nella propria carne.
 
“Ci sono” esalò la rossa, quando finalmente riuscì nell’impresa.
Subito dopo lanciò a Sam il rotolo di bende, ripulì il coltello sulla manica della felpa verde e lo infilò nell’ampia tasca davanti del comodo indumento.
 
“Stringi bene quelle bende, Sam.”
 
Sam annuì e lanciò uno sguardo d’intesa a Barton, che si stava sforzando di rimanere cosciente.
Il pararescue non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine della letale russa che, senza alcuna pietà o esitazione, spezzava il collo all’uomo macchiatosi della colpa di aver attentato alla vita dell’arciere. Si domandò quale gelida oscurità si celasse nel cuore della Vedova Nera e a chi appartenesse lo sguardo che aveva scorto sul suo viso, mentre toglieva brutalmente la vita al nemico.
“Imparerai a conoscerla” gli confidò Clint, come se avesse intuito i suoi pensieri, e Wilson si limitò a prendere un bel respiro.
 
Natasha, intanto, aveva recuperato la ricetrasmittente nella tasca della tuta grigia e stava cercando di mettersi in contatto con Tony.
Non potevano uscire, perché c’era una squadra ad attenderli fuori dal palazzo. Quindi, era fuori discussione raggiungere il Van o la macchina, per tentare una fuga in strada. Se la zona era stata evacuata, allora c’erano sicuramente soldati appostati in ogni angolo del quartiere.
Perché adesso? Perché non li avevano attaccati prima?
Doveva essere accaduto qualcosa che li aveva costretti a cambiare strategia. Avevano davvero scoperto il trucco della finta Hawley? Forse Ross si era messo in contatto con quella vera e aveva scoperto di essere stato ingannato. Ma ciò non spiegava come fossero riusciti a trovarli. Quella casa sicura non era registrata nei dati dello SHIELD.
Per il momento, la rossa decise di zittire dubbi e domande.
La priorità era mettersi in salvo ed evitare che la squadra venisse smembrata definitivamente.
 
“Stark, mi ricevi?”
Dopo un lunghissimo lasso ti tempo - sembrò essere lunghissimo, dato che non trascorse nemmeno un minuto -, Stark rispose alla chiamata.
“Ti mancavo, Romanoff?”
“Stark, sta’ zitto e apri le orecchie.”
“Agli ordini, signora.”
“Ci hanno trovati. Hanno circondato il palazzo e Clint è ferito. Devi farti venire un’idea abbastanza buona per tirarci fuori da questo casino. Noi cercheremo di resistere.”
“Non tarderò” furono le uniche parole di Iron Man, prima che la comunicazione si chiudesse.
 
Natasha ripose la ricetrasmittente in tasca e sospirò.
“Dimmi che sta venendo a prenderci” la supplicò Sam, che aveva appena terminato il bendaggio.
La rossa annuì sicura e dopo tornò a concentrarsi su Clint, ancora seduto scompostamente sulla sedia e in lotta contro il dolore che non accennava a diminuire.
 
“Lo rifarei. E lo farò ancora, se sarà necessario, Nat. Evita i rimproveri, perché sai che non serviranno a niente.”
 
Natasha assottigliò gli occhi, ma poi cedette e un sorrisetto le piegò le belle labbra. Clint la conosceva troppo bene e aveva ragione. Non era la prima volta che la proteggeva, rischiando la pelle, e non c’era niente che l’avrebbe convinto a smetterla.
Lei avrebbe fatto lo stesso, in fondo. Lo avrebbe fatto per ognuno dei suoi compagni, se doveva dirla tutta.
 
“Avanti, prepariamoci ad accogliere i nuovi ospiti. Dobbiamo tenere duro fino all’arrivo di Stark. Spero troverà un modo per tirarci fuori da qui.”
 
“Stai certa che ci riuscirà, Natasha.”
Pepper venne avanti e sorrise confortante ai tre combattenti.
 
“Lui è Tony Stark, signori” celiò Sam, facendo ridere gli altri.
 
 
 
                                                   ***
 
 
 
Stavano camminando da quasi tre ore, ormai. Si erano tenuti vicino la sponda del Potomac per parecchi chilometri, prima di inoltrarsi su una strada che conduceva a Georgetown.
Non avevano dovuto nemmeno preoccuparsi degli sguardi dei passanti, perché Anthea aveva schermato la loro presenza, attraverso quello che lei stessa aveva definito come uno spesso muro di energia.
James poteva scorgerlo dal tremolio dell’aria intorno a loro e da un inusuale tepore, che scalfiva la corazza del freddo invernale.
Ancora non riusciva a credere di essere uscito intero da quella maledetta base e il merito era della sconosciuta sopraggiunta come un provvidenziale angelo custode.
La giovane si era decisamente aggiudicata un pezzetto della sua fiducia, anche se il potere di cui era dotata lo costringeva a rimanere sull’attenti.
Gli occhi bui, inoltre, erano in grado di metterlo in soggezione ed erano impregnati di un oscuro mistero. Parevano essere capaci di leggere l’anima.
 
“Il mio nome è Anthea, comunque.”
 
Il Soldato quasi sobbalzò. Erano rimasti in silenzio per molto tempo, soprattutto da quando Steve si era arreso alla stanchezza, accettando non senza rimostranze - aveva blaterato qualcosa riguardo l’orgoglio ormai deceduto - l’aiuto che gli aveva offerto - imposto - James.
Adesso, il biondo era completamente abbandonato contro la sua schiena, con le braccia attorno al suo collo e la fronte poggiata sulla sua spalla destra, quella umana.
Bucky gli teneva le mani strette sotto le cosce, vicino l’incavo del ginocchio, evitando così di farlo scivolare. Poteva sentire il respiro caldo e regolare del ragazzo carezzargli il collo.
 
“James Barnes. O Bucky, se preferisci.”
 
Anthea gli sorrise con gentilezza e accelerò di un poco il passo, per affiancarlo, mentre continuava a giocherellare con i lacci di cuoio fissati all’interno dello scudo di Steve.
“Sei un nuovo membro dei Vendicatori?”
Il Soldato scosse il capo. Sapeva chi erano gli Avengers, ne aveva sentito parlare parecchio da quando aveva recuperato una propria coscienza.
Natasha Romanoff era una di loro.
“Sono un assassino pericoloso e instabile. Non credo di avere i requisiti adatti. Senza contare che ho quasi ucciso il loro leader.”
La vena di ironia nella voce di Bucky mascherava il profondo pentimento che gli logorava l’anima giorno dopo giorno.
“Quindi sei stato tu. Dieci mesi fa. Perché?”
Il tono della ragazza si era fatto più freddo e, nonostante la domanda fosse implicita, James capì perfettamente cosa gli stava chiedendo.
“È complicato.”
 
Non si rivolsero né la parola né lo sguardo per un po’, poi fu Anthea a rompere il giaccio.
 
“Non avrei comunque il diritto di giudicarti. E fidati, se ti dico che i Vendicatori danno una possibilità anche ad assassini pericolosi e instabili. L’hanno data a me.”
“Sei un’assassina pericolosa e instabile?”
James la guardò con genuina curiosità.
“Lo ero e potrei esserlo ancora.”
Gli occhi della giovane si posarono sul viso addormentato di Steve e un piacevole calore le invase il petto.
“Ma non lo sono, grazie a lui. Diciamo che mi ha fatta tornare in me, prima che fosse tardi.”
Il Soldato non poté fare a meno di pensare al fatto che anche a lui era capitata la medesima cosa. Steve era riuscito a risvegliare una parte di Bucky, permettendogli di riacquistare la capacità di intendere e di volere.
 
La luce pallida della luna si tuffava nelle acque del Potomac, le quali brillavano di riflesso. Il fiume era ancora visibile in lontananza, oltre la coltre di alberi del parco di Georgetown.
Una leggera brezza sussurrava nel silenzio.
 
“Cosa gli hanno fatto?”
“Volevano fargli il lavaggio del cervello. Elettroshock. Poi l’avrebbero riprogrammato, per trasformarlo in un burattino al loro servizio.”
Il tono di James era tagliente, pieno di rabbia, rancore e odio.
“È quello che hanno fatto a te, non è vero? Ne parli con fin troppa consapevolezza.”
Anche la voce di Anthea era pericolosamente incrinata. Bucky la osservò serrare i denti con forza e tendersi talmente tanto, che parve potersi spezzare.
“Sì. Ho ucciso tante persone per conto di quei manipolatori. E poi mi hanno mandato a uccidere Capitan America.”
“Il braccio di metallo?”
“Un loro regalo, per rendermi più forte.”
 
Anthea annuì distrattamente, troppo assorbita da un vortice doloroso di ricordi. Anche lei aveva provato le pene dell’elettroshock, solo che i suoi aguzzini non erano riusciti a scalfire il suo particolare cervello.
Si era detta che sarebbe rimasta poco sulla Terra, giusto il tempo di controllare che Steve stesse bene.
E non stava bene. Affatto.
Quando Daskalos e i Demoni della Notte incombevano su di lei, il biondo aveva lottato per proteggerla e per permetterle di conquistare l’agognata libertà.
Poteva quindi abbandonarlo, ora che lui aveva bisogno di aiuto?
No. Non poteva. E non voleva.
Ora toccava a lei proteggerlo. Al diavolo il resto!
 
 
“Ci siamo.”
 
Davanti a loro c’era una grande casa a due piani. Si intravedeva un ampio attico attraverso le vetrate che costituivano la facciata anteriore del primo piano.
 
“È casa tua?” chiese Anthea, sorpresa.
 
“No. Apparteneva al mio ex capo, Alexander Pearce. Lui si è trasferito all’inferno.”
James sogghignò e si sistemò meglio Steve sulla schiena.
“Non sembra avere intenzione di svegliarsi troppo presto” constatò poi, dato che il biondo non aveva fatto una piega, nonostante lo scossone per tirarlo più su non era stato molto gentile.
 
“Lasciamolo dormire. Devo prepararmi psicologicamente ai suoi prossimi progetti suicidi per sconfiggere i cattivi. Non so se riuscirei a non picchiarlo, ora come ora.”
 
Bucky rise. Quella ragazza conosceva dannatamente bene Rogers.
 
 
 
 
 
 
Note
Ciao!
Lo so, sono in ritardo, ma ho passato due settimane di fuoco. La maturità si avvicina e l’ansia comincia a farsi sentire >.<
Cercherò di non superare le due settimane per il prossimo capitolo, promesso.
 
Per quanto riguarda questo capitolo, spero di avervi soddisfatte. La faccenda si complica e ci sono tanti interrogativi rimasti aperti (Mea culpa! Una cosa più semplice non potevo farla, eh?), perciò non sarà facile ricostruire il puzzle.
Vi consiglio di stare attenti ai dettagli, anche a quelli che sembrano stupidi e piazzati a caso. Presto o tardi, tutti i nodi verranno al pettine.
L’avete riconosciuta la spada dall’elsa bianca? Viene direttamente da “Demons of light e darkness”, così come colei a cui appartiene.
 
Un saluto alle due New Entry, _Alesia_ e mrslightwood. Vi mando un abbraccio grande grande! Grazie di aver deciso di seguirmi ♥
 
Voglio poi ringraziare the little strange elf (Dimmi che sei ancora viva! Ti pregooo! Spero che i risvolti non abbiano deluso le tue aspettative, mia cara! Un bacione ♥) e Grazie a Ravinpanica (hai recensito TUTTA la storia precedente, facendomi piangere e ridere di felicità! E adesso eccoti qui, a sostenermi in questa nuova avventura ♥ Sarò sempre disponibile ad ascoltare i tuoi consigli! Un abbraccio forte ♥).
Grazie anche alla mia Sister Ragdoll_Cat, che ha la grande capacità di sopportarmi (Che ne dici? Trattato di pace o vendetta? E tranquilla per le recensioni, so che arriverai, perché lo fai sempre ♥ Tanti baci dolciosi!).
E spero che Eclisse Lunare non se la sia presa per il povero Clint xD
 
Naturalmente, grazie a tutti coloro che seguono e leggono questa storia, in particolare a voi delle liste speciali. Troverò il modo di ringraziarvi tutti!
 
Adesso vi lascio :D
Alla prossima!
Un abbraccio a tutti ♥
 
Ella
   
 
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