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Autore: Elwing Lamath    18/04/2016    6 recensioni
[Orchestra!AU, conductor!Arthur, pianist!Merlin]
Arthur Pendragon è il giovane direttore della London Symphony Orchestra, un dio dorato della musica classica internazionale, adorato dai suoi musicisti e dal pubblico.
Merlin Emrys è il miglior pianista solista al mondo, un prodigio d'oltreoceano che ora tutti i teatri del mondo si contengono.
I guai iniziano quando Uther, padre di Arthur e direttore amministrativo dell'orchestra, decide di assoldare Merlin come solista per il finale di stagione. Dovranno suonare il concerto n°5 per pianoforte e orchestra di Beethoven.
Arthur ama Beethoven, ma odia Emrys.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Principe Artù, Un po' tutti, Uther | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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NOTE DELL'AUTRICE: Buon lunedì a tutti! Ok, è un po' ironico perchè si sa, il lunedì non è mai un buon giorno XD. Mi spiace di aver prolungato un po' l'attesa per questo terzo capitolo, ma eccoci qua finalemente!

Non avete idea di quanto mi faccia piacere che questa storia vi stia piacendo, che la stiate seguendo e commentando. un grazie davvero di cuore a tutti voi! <3

In questo capitolo il rapporto/conflitto di Arthur e Merlin va avanti, ed iniziano a prendere posto sulla scena alcuni membri della tavola rotonda... Ci sono parecchi pessi musicali in questa parte di storia, per cui ho pensato di inserirli, oltre che all'inizio del capitolo come al solito, anche in messo al testo, nel punto in cui li suonano i personaggi, in modo che possiate aprirli e ascoltarli insieme a loro (alcuni non sono dall'inizio, ma ho riportato a quale punto dobbiate saltare). Spero vi piaccia...

Un bacio..

Elwing


MUSICHE:

Concerto n° 5 per pianoforte e orchestra (Beethoven) --> https://www.youtube.com/watch?v=XMuzOeasxEM

Sonata n°32 per pianoforte opera 111 (Beethoven) * --> https://www.youtube.com/watch?v=9V03NB2cVQM

Sonata n° 14 per pianoforte "Al chiaro di Luna" (Beethoven) * --> https://www.youtube.com/watch?v=oj75TeQmSHA

Sonata n° 7 per pianoforte (Beethoven) * --> https://www.youtube.com/watch?v=UAof8RCks7Y

*=queste tre sonate sono suonate da Arthur nel capitolo, motivo per cui ho riportato qui versioni suonate da un altro pianista rispetto al concerto (Pollini al posto di Kempff), in modo da differenziare la sua sonorità da quella di Merlin, anche perchè, penso che il suo modo di suonare il pianoforte potrebbe avvicinarsi più all'incisività e alla pulizia di Pollini più che al romanticismo di Kempff. Anche a voi il giudizio su questo ;)

Sonata n° 11 per pianoforte opera K331 (Mozart) --> https://www.youtube.com/watch?v=vp_h649sZ9A


≈L'IMPERATORE≈

Capitolo III

 

 

Quella notte Arthur la passò seduto al grande pianoforte a coda nel suo altrettanto grande loft di Southbank, grato di non doversi preoccupare dei vicini che erano fuori casa, perché aveva bisogno di sfogarsi.

Suonò per incanalare l’energia della sua rabbia in qualcosa che non fosse distruttivo, in qualcosa che lo facesse sentire bene.

Ripassò tutte le parti del pianoforte nell’Imperatore, preparando una sorta di vendetta contro Merlin per l’indomani. Voleva saper la parte meglio del suo solista, premeditava di spremerlo fino all’esasperazione, fino a che Beethoven stesso non fosse risorto per chiedergli di avere pietà nei confronti del pianista. Emrys l’idiota non sarebbe riuscito a mandare a monte il suo concerto, nossignore. Arthur era pronto a farlo camminare sulle ginocchia, se necessario.

Si ritrovò a picchiare sui tasti con una tale rabbia e violenza che le parti più dolci del concerto arrivarono a sembrare snaturate. Fu quello che lo fece fermare a pensare. Perché tutto quel risentimento, quell’odio verso Merlin? Era davvero il pianista il reale oggetto della sua rabbia? Un vuoto lo afferrò allo stomaco, non volendo rispondere a quegli interrogativi. Scacciò quei pensieri, focalizzandosi nuovamente sulla tastiera che aveva difronte.

A quel punto il desiderio di rivalsa non fu più abbastanza. La sua musica cambiò, letteralmente.

Suonò con tutta la forza che aveva in corpo. Le note della sonata numero 32 di Beethoven ( https://www.youtube.com/watch?v=9V03NB2cVQM ) scorrevano ora potenti attraverso il suo corpo teso fino alle mani, per poi sfociare sulla tastiera e materializzarsi in quel suono pieno e maestoso che facevano di Beethoven il suo compositore preferito. Lasciò che la frustrazione scorresse via veloce e veemente con le cascate del terzo movimento della sonata Al chiaro di luna ( https://www.youtube.com/watch?v=oj75TeQmSHA Vai al minuto: 8:35 ). Si scoprì così a suonare per un motivo totalmente diverso, dimentico di sé stesso, immerso in un oceano di note.

Suonò, perché in notti come quella gli era necessario come l’ossigeno perdersi nell’unica cosa che lo facesse veramente sentire vivo, la musica.

Suonò fino a che i calli sotto alle dita non iniziarono a dolergli. E poi suonò ancora. Suonò fino a che le palpebre non divennero pesanti. Quando gli occhi gli si chiusero, le mani ormai da sole carezzavano malinconiche le note sul secondo movimento della sonata numero 7 ( https://www.youtube.com/watch?v=UAof8RCks7Y ). Un dolce lamento ammorbidito dal sonno, dal quale si ridestò con gli occhi lucidi e la testa stranamente leggera.

Erano le cinque di mattina quando approdò stremato sul suo letto, piombando sul materasso con un tonfo sordo, i nervi finalmente distesi. Sprofondò in un sonno senza sogni.

Entro tre ore avrebbe dovuto essere di nuovo in piedi per un’altra giornata di prove.

 

 

Il cervello di Arthur in seguito si rese conto di non aver propriamente registrato di essersi alzato dal letto, né di essersi vestito. La strada fino al Barbican Centre gli sembrò ben più sfocata di quanto non avrebbe dovuto essere.

Varcata la soglia di quello che avrebbe potuto essere definito come il suo piccolo regno, Arthur fu ridestato dal suo torpore da una dolce melodia che proveniva dalla sala prove per pianoforte. La riconobbe immediatamente: Sonata numero 11 in La maggiore, primo movimento ( https://www.youtube.com/watch?v=vp_h649sZ9A ). Wolfgang Amadeus Mozart, puro genio e sregolatezza.

Quello che lo colpì fu il modo in cui quella musica veniva suonata. Mozart poteva non essere uno dei compositori più difficili da eseguire, ma Arthur aveva sempre pensato che per suonarlo e sentirlo veramente, il musicista doveva essere qualcuno che aveva assaporato la bellezza della vita, qualcuno che riusciva a vedere la gioia di stare al mondo e farla passare attraverso la tastiera. E per come sgorgavano le note ora da quella stanza, Arthur credette di poter percepire direttamente sulla propria pelle quell’entusiasmo di vita. La melodia si spandeva nell’aria leggera, morbida come una carezza, eppure tanto energica e vibrante da far spezzare il ritmo del respiro ad ogni variazione di tono e intensità nella frase.

Arthur, che si era fermato in ascolto, lentamente, come se avesse paura di spezzare quell’incanto, si avvicinò alla porta aperta soltanto a metà e guardò all’interno della sala prove, senza entrare e cercando di non farsi vedere. Razionalmente non avrebbe saputo dire perché, ma non si stupì quando riconobbe Merlin seduto a uno dei due grandi pianoforti al centro della stanza. Era come se una parte di sé avesse capito, dal primo momento in cui l’aveva udita, che quella musica apparteneva a lui, e non sarebbe potuta essere di nessun altro pianista.

Merlin non sembrava concentrato sull’esecuzione, ne sembrava trasportato. Le mani chiarissime che si muovevano leggere sui tasti, appena in tensione, quel poco che bastava per rendere così squillante l’esecuzione senza farla sembrare nervosa. Il busto che ondeggiava lievemente seguendo la musica, come un ramo mosso da una brezza. La sua figura sottile sembrava essa stessa un elemento della sonata, proprio come Arthur l’aveva visto in ogni video su YouTube (sì, va bene, li aveva guardati), anche se ora non era avvolto da un elegante frac nero, ma da semplici jeans scuri e una felpa blu sformata con tanto di cappuccio.

Arthur si mosse appena per avere una visuale migliore, e questa volta si stupì nel vedere Gwaine in piedi appoggiato al pianoforte con le gambe incrociate, che guardava Merlin suonare in religioso silenzio.

Lo sguardo di Merlin si spostò su Gwaine che di rimando gli sorrise, con un sorriso che Arthur gli aveva visto raramente, privo di sarcasmo, aperto e sincero. Gli fu subito chiaro che quei due dovevano conoscersi da tempo, anche se l’amico non gliene aveva mai fatto parola. Ma anche Morgana aveva fatto lo stesso, evidentemente si divertivano tutti moltissimo a nascondergli le cose.

Merlin arrivò alle ultime note del primo movimento, concludendolo alla perfezione e rimanendo in silenzio. L’incanto in cui Arthur credeva ancora di essere avvolto fu spezzato da Gwaine, che proruppe in un applauso.

Vide Merlin rivolgersi verso Gwaine con quel suo odiosissimo sorriso che sembrava illuminare qualsiasi cosa gli stesse intorno. Insopportabile.

“Grandissimo! Non hai perso il tuo tocco, eh Merls?” disse Gwaine.

Merlin rise.

“Dai, adesso: ‘Alla turca’!” Lo incitò con entusiasmo il ragazzo castano.

Merlin scosse il capo con uno sbuffo divertito, facendo per girarsi nuovamente verso la tastiera e accontentarlo suonando il minuetto. Non fece in tempo a toccare il piano, che Arthur spalancò la porta, entrando nella sala prove e richiamando su di sé l’attenzione di entrambi. In un baleno Arthur aveva recuperato la sua proverbiale espressione strafottente, con cui aveva già accolto il pianista il giorno precedente.

“Il signor Emrys non è pagato per suonare Mozart.” Intervenne acido. Gwaine alzò un sopracciglio con un’occhiata che Arthur sapeva benissimo voler dire ‘Fai sul serio?’, mentre Merlin lo fulminò sul posto con lo sguardo. “O mi sbaglio forse?” rimarcò il concetto.

“No.” Ringhiò secco Merlin.

Arthur esultò nella sua mente per la sua, se pur minuscola, vittoria. Poi si rivolse a Gwaine: “E tu che ci fai qui?”

L’altro ragazzo, spostandosi studiatamente una ciocca ribelle dietro l’orecchio, gli rivolse quel suo sorriso pungente che prometteva solo guai: “La stessa cosa che facevi tu nascosto dietro la porta. Guardavo Merlin suonare.”

Arthur ammutolì. Si sentì arrossire, come un adolescente colto sul fatto.

Merlin ridacchiò, scambiando con Gwaine un’occhiata compiaciuta. Perché anche i suoi amici sembravano essere contro di lui nella sua personale guerra contro quel mucchio d’ossa?

Non sapendo come replicare, Arthur scelse di ignorare l’argomento. “Beh in ogni caso adesso te ne devi andare. Io e lui dobbiamo iniziare a provare.”

“Ma certo. Intanto mi devo trovare con Percival e gli altri fiati per lavorare sul terzo movimento.” Rispose Gwaine con noncuranza, scambiando un veloce cenno di commiato con Merlin e dirigendosi verso l’uscita a passo tranquillo, le mani infilate svogliatamente in tasca.

Quando passò vicino ad Arthur, si sporse verso l’orecchio del biondo, sussurrandogli all’orecchio: “Rilassati, principessa. Guarda che Merlin non ti mangia mica.”

Arthur si voltò a guardarlo, l’altro ragazzo aveva un sorriso sornione dipinto in volto. Strinse gli occhi lanciandogli un’occhiata significativa: “Ci vediamo dopo.”

Gwaine lo superò, continuando verso la porta. “A dopo, Maestro.” Si voltò alzando una mano come saluto. “Ciao Merls!”

Merlin ricambiò alzando anch’egli un braccio: “Ciao, Gwaine.” Gli sorrise prima di vederlo scomparire oltre la porta.

La sua attenzione poi si focalizzò nuovamente su Arthur, che lentamente stava avviandosi verso il pianoforte gemello di quello al quale era seduto Merlin. Il moro lo studiò con quei suoi grandi occhi blu, seguendolo con il movimento della testa, senza nascondere minimamente che lo stava facendo.

“E così,” iniziò Arthur con noncuranza, sistemando lo spartito che si era portato dietro sul leggio e togliendosi la giacca, “tu e Gwaine vi conoscete.”

Merlin annuì: “Sì, siamo vecchi amici.”

Arthur fu preso da un bruciante impeto di curiosità: “Quanto amici?” si sentì dire più bruscamente di quanto non fosse sua intenzione.

Il viso di Merlin si distese in un sorriso di sfida: “Molto amici.”

Arthur ebbe la sensazione che con quelle parole Merlin volesse fargli intendere qualcos’altro. Gli si torse lo stomaco improvvisamente al pensiero. Ma no, si convinse che quello fosse dovuto semplicemente alla vista insopportabile del sorrisetto di Emrys incorniciato da quelle orecchie ridicole.

Gwaine e Merlin davvero si conoscevano da una vita, da quando erano solo due ragazzini strambi, mezzi emarginati dai loro coetanei e con una spropositata passione per la musica. Si erano conosciuti al primo conservatorio che entrambi avevano frequentato, quello di New York. Si erano da subito tenacemente sostenuti l’un l’altro nel loro talento e nella loro passione per la classica, diventando grandi amici: quell’improbabile, minuto pianista di Brooklyn e quel trombettista scalzacane del Queens erano stati per anni una bella squadra. Poi però le loro strade si erano separate, portandoli in scuole e teatri diversi. Ma anche se a distanza, non avevano mai perso i contatti.

“Perché, tu non sei amico di Gwaine?” Gli domandò Merlin con tono supponente.

“Certo che sì. È uno dei miei migliori musicisti, è naturale che siamo amici.” Disse l’altro stizzito.

Arthur si accorse di avergli appena risposto con un tono simile a quello che avrebbe avuto un bambino di sette anni. Merlin, a cui quel particolare non era sfuggito, non nascose un sorriso divertito, fiero di essere riuscito nel suo intento di stuzzicarlo.

Il biondo tornò serio, girandosi verso il pianoforte: “Prendi a pagina tre. Iniziamo dal primo attacco.”

Merlin lottò per ricacciare indietro il sorriso e si posizionò alla tastiera.

Contro ogni pronostico, le prove di quella mattina filarono via lisce come l’olio. L’esecuzione di Merlin era già praticamente perfetta, ma lui ascoltava lo stesso le stringate indicazioni di Arthur con grande attenzione, annotando il suo spartito a matita. Arthur per la prima volta in due giorni, d’altro canto, aveva iniziato a comportarsi come un vero professionista e a pensare solo alla musica, anziché alle sue beghe personali con Merlin.

Fu quando arrivarono all’ultima scala cromatica ascendente poco prima della conclusione del movimento che si ruppe l’idillio. ( https://www.youtube.com/watch?v=XMuzOeasxEM Vai al minuto: 17:19)

“No! No! No!” Arthur interruppe bruscamente Merlin prima che terminasse la scala. L’altro si fermò a guardarlo stupito, sollevando le sopracciglia: “Devi lasciarle più respiro! Non è una corsa!”

“No.” Disse atono Merlin.

“Come sarebbe a dire no?”

“No, ti sbagli. Deve essere incalzante invece. È un correre fino ad un picco, e poi è un ruzzolare a valle.” Disse Merlin serio, ma non indispettito, al contrario di Arthur invece, che stava già inarcando le sopracciglia pronto a sfoderare il suo celebre broncio. “Ascolta.”

Il pianista quindi eseguì la scala: partendo con grande energia, toccando i tasti con incisività, all’inizio dando quel respiro di cui parlava Arthur, ma poi cambiando totalmente intenzione, diventando sempre più incalzante, una corsa col fiato corto, veloce, sempre più veloce. Poi, una singola nota, pulita e brillante, dopo la quale fu chiarissima l’immagine sonora di cui Merlin parlava: una caduta, una cascata di note che si accavallano rapide e leggere rotolando giù dal pendio della tastiera, per poi giungere al fondo e rotolare ancora per un poco, sino al lungo trillo in mi bemolle acuto. Merlin si fermò a guardare Arthur.

Questi scosse il capo: “Assolutamente no. Non è così che va suonato.” Gli disse secco.

“Non è così che va suonato?”

“Che fai adesso Merlin, il pappagallo? Comunque no. Non so a quali strani magheggi da jazzisti sei abituato tu a New York, ma qui prendiamo molto seriamente Beethoven. Perciò ti dico che non lo suonerai in quel modo, perché non è così che va suonato.”

A quel punto Merlin si stufò: “E tu chi sei per decidere cos’è sbagliato e cosa no?” gli ringhiò contro.

Arthur, dipingendosi un’espressione saccente in volto, si portò una mano sotto il mento, facendo finta di riflettere sulla domanda: “Mmm, vediamo… Non saprei, forse il dannatissimo direttore di quest’orchestra!?” gli sbraitò contro.

“E io sono il piano solista. Questa è la MIA parte.”

Fu come essere ritornati al giorno precedente, tutti i presunti progressi da parte di entrambi sul comportarsi in maniera civile andati in fumo molto rapidamente.

Arthur si alzò in piedi, avvicinandosi a dov’era seduto Merlin, sovrastandolo con chiaro intento minaccioso: “Non me ne frega niente. Io sono il tuo Direttore, questa è la mia orchestra, e tu farai esattamente quello che ti dico io!”

Arthur pensava che il suo sguardo fulminante avrebbe avuto l’effetto di intimidire il pianista, ma Merlin al contrario, non solo ricambiò lo sguardo, ma si alzò dallo sgabello per fronteggiarlo meglio, data anche la loro irrisoria differenza di altezza.

“Non sono il tuo cazzo di schiavetto, Arthur.” Pronunciò il suo nome come se fosse stato quello l’insulto.

Arthur strinse appena gli occhi, sfidandolo. Merlin gli si avvicinò ancora, con un movimento appena percettibile. I due adesso si fronteggiavano coi corpi in tensione, i volti vicinissimi, più vicini di quanto probabilmente si rendessero conto, presi com’erano dal loro scontro, perché quando Merlin parlò, Arthur sentì direttamente il suo respiro sulla propria pelle.

“Pensi di saper suonare Beethoven meglio di me?” gli soffiò Merlin tra i denti.

“È probabile.” Rispose Arthur con lo stesso tono di sfida.

“Ma davvero?” disse il pianista sarcastico, distorcendo la bocca in un ghigno divertito. Arthur in seguito avrebbe negato a sé stesso, che il suo sguardo fosse volato alle labbra piene di Merlin mentre si erano distese in quella smorfia. Ancor di più, avrebbe negato di essersi chiesto in quel momento che effetto avrebbero fatto quelle labbra sulle proprie, se il loro proprietario avrebbe baciato con la stessa arroganza e impudenza con cui parlava. Avrebbe negato tutto, sicuramente.

Infatti rispose altrettanto acido: “è probabile che io sappia suonare qualsiasi cosa meglio di te.”

“Mettimi alla prova.” Ringhiò Merlin.

“Intendo farlo.”

Rimasero per quello che parve un tempo interminabile a lottare solo con lo sguardo, in una gara di volontà e testardaggine su chi avrebbe ceduto per primo.

Qualcuno in fondo alla sala si schiarì la gola con un colpo di tosse, che fece distrarre i due ragazzi, che interruppero il contatto di sguardi e si allontanarono immediatamente, come se fossero all’improvviso diventati due poli magnetici dello stesso segno.

Si girarono per vedere la massiccia figura di Percival che li studiava a braccia conserte accanto alla porta.

Arthur, si riscosse, come se fosse rimasto imbambolato fino a quel momento: “Sì?”

“Mi dispiace interrompervi.” Rispose Percival con il suo solito tono gentile, che nascondeva però un sottile divertimento. “Ma l’orchestra vi sta aspettando per iniziare le prove collettive.”

“Oh, sì. Certamente.” Disse Arthur superando Merlin con una spallata e dirigendosi poi con nonchalance verso la porta, rivolgendo un sorriso a Percival e avviandosi lungo il corridoio.

Merlin seguì ad ampie falcate i due uomini, stringendo i pugni lungo i fianchi mentre borbottava tra sé maledizioni contro Arthur, sentendosi le orecchie e l’intero volto in fiamme, per la rabbia. Sì, assolutamente, era per la rabbia, si disse.

 

 

Nella sala prove, tutta l’orchestra attendeva il loro arrivo. Arthur entrò, salutò brevemente e prese posto sul palchetto del direttore, senza più degnare Merlin di uno sguardo, il quale si sedette al pianoforte in silenzio, alzando poi lo sguardo verso la sezione fiati e intercettando Gwaine. Il pianista scosse il capo con un’espressione torva, indicando mutamente Arthur con un dito e portando la mano vicino alla propria tempia e roteando l’indice come a indicare che il biondo fosse matto. Gwaine gli sorrise divertito, al che Merlin ricambiò con una breve risata tra sé e sé. Fu in quel momento che Arthur si voltò di scatto verso il pianista, lanciandogli un’occhiataccia furente, consapevole in qualche modo che stesse ridendo di lui. Merlin si fece improvvisamente serio, Arthur soddisfatto si girò nuovamente, dando l’attacco all’orchestra che iniziò a provare il concerto.

Suonarono fino oltre le cinque del pomeriggio, con il direttore che aiutava e dava indicazioni a tutti, tranne che a Merlin, che quasi non fu calcolato dal biondo, ma che d’altro canto mostrò a tutti di non aver bisogno di alcun aiuto, poiché la sua esecuzione fu praticamente impeccabile.

Quando Arthur ebbe congedato i musicisti, si fermò ad aspettare che i suoi amici ritirassero gli strumenti, per poi avviarsi verso l’uscita insieme a Leon e Lancelot.

“Giornata pesante, eh?” disse Lancelot dando una pacca sulla spalla ad Arthur.

Il biondo sbuffò scuotendo il capo: “Non ti immagini.”

Leon rise: “Emrys ti sta facendo disperare?” chiese scherzoso.

“Lasciamo stare! Non voglio più né vedere né sentir parlare di quel tizio per questa sera. Grazie al cielo è venerdì, e questo vuol dire solo una cosa, ragazzi miei…”

“Birra!” risposero gli altri due in coro con grande entusiasmo. Era sacra tradizione della loro compagnia la riunione del venerdì sera al pub.

 

 

Ancora nella sala prove dell’orchestra, Gwaine stava presentando Merlin a Gwen, Elyan e Percival.

Il pianista realizzò subito quanto il benvenuto degli altri membri dell’orchestra fosse infinitamente più amichevole di quello del loro direttore. Merlin, su spinta di Gwaine e a grande richiesta da parte degli altri, stava giusto iniziando a raccontare del primo concerto a New York in cui lui e il trombettista castano avevano suonato insieme, quando furono interrotti.

“Ragazzi, non so quali siano i vostri programmi per la serata, ma io vorrei tanto andarmene di qui.” Esordì sulla porta uno dei custodi, un uomo in carne sulla sessantina, con un grande barba grigia. “Potreste uscire, per favore?”

“Sì, hai ragione Joff.” Rispose garbatamente Percival. “Ti lasciamo chiudere.”

Finirono di recuperare strumenti e spartiti e uscirono tutti insieme dalla sala.

 “Mi spiace che tu non sia riuscito a finire il tuo racconto, Merlin. Mi stavo divertendo.” Disse Elyan quando ormai furono fuori dal Barbican centre.

Merlin sorrise: “E che non sono ancora arrivato alla parte migliore: quella in cui Gwaine se la fece sotto prima di salire sul palco.”

“Non è vero!” Ribatté Gwaine ferito nell’orgoglio. Merlin alzò un sopracciglio nella sua direzione con un’occhiata significativa. “Mai fatto niente di simile.”

“No, certo.” Disse Merlin sarcastico. “E allora io a chi tenevo la testa mentre vomitava nel bagno del teatro a causa dell’ansia?”

Gwaine gli puntò un dito contro: “Quello era per il torneo di dama alcolica della sera prima, non per l’ansia.”

Merlin sfoderò un sorriso sornione. “Giusto.”

Tutti gli altri risero, mentre Gwaine tentava di mettere su un broncio ostinato, con scarsi risultati.

“Ah, no! Questa non me la voglio perdere.” Disse Percival divertito, guadagnandosi un gestaccio col dito medio da parte di Gwaine.

“Ho un’idea!” Esordì Gwen, ancora quasi in mezzo a una risata. “Merlin, perché non vieni con noi al pub questa sera?”

“Sì, dai!” concordò Elyan. Percival annuì con un sorriso entusiasta.

“Ma… Non saprei…” provò Merlin.

Gwaine lo interruppe: “Assolutamente sì. Stasera sei dei nostri, non sono ammesse repliche.”

Merlin sorrise, rassegnato ma felice: “Ok, ragazzi. Grazie.”

“Perfetto!” Squittì Gwen con gli occhi illuminati dal suo sorriso. “Allora, ci troviamo alle otto Rising Sun, in Dean Street a Soho. Ci andiamo praticamente ogni venerdì.”

Merlin cercò di appuntarsi mentalmente l’indirizzo. “Dean Street… Rising Sun… Ok, metterò il navigatore e lo troverò.”

“Aspetta! Ma che scema!” Disse Gwen come se avesse avuto un’epifania, battendosi teatralmente il palmo della mano contro la fronte. “Tu hai l’albergo a Trafalgar Square, dicevi?”

“Ehm, sì.” Rispose Merlin.

“Benissimo, io abito lì vicino.” Continuò la ragazza “Passo di lì alle otto meno venti e ci andiamo insieme a piedi. Così non rischiamo di perderci il nostro piano solista nei meandri di Londra.” Gwen gli fece l’occhiolino, mentre gli altri ragazzi risero divertiti.

Si preannunciava una bella serata sia per Merlin che per Arthur, non fosse stato che nessuno dei due aveva calcolato la presenza dell'altro.

 

 

  
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