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Autore: Jenny Ramone    18/04/2016    3 recensioni
Parigi, maggio 1789.
Irène Fournier è una giovane venditrice di giornali dal passato misterioso e oscuro che vive in miseria a Montmartre con il suo fidanzato, Jean e il loro bambino.
Quando si diffonde la notizia che Louis XVI ha deciso di convocare gli Stati Generali, Irène si rende conto che è giunto il momento di combattere per i diritti del popolo e in particolare delle donne: fa in modo di aiutarle con tutti i mezzi possibili e partecipa attivamente a tutti gli avvenimenti fondamentali della Rivoluzione Francese.
Ma nel frattempo il suo passato è dietro l'angolo, pronto a tornare a perseguitarla...
Londra, 1799.
Dieci anni dopo Irène, fuggita in Inghilterra dopo il 9 Termidoro e la caduta di Robespierre, racconta la propria storia di amore, coraggio, passione, sacrifici, dolore e amicizia a William, un giornalista inglese che sta scrivendo un saggio sulla condizione femminile per un circolo di intellettuali progressisti.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
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 “Accomodati pure, Irène.
Ada è uscita a fare una commissione, non vedevo l’ora di togliermela di torno, non ne potevo più di sopportare le sue arringhe moraliste su quanto ho sbagliato ad accettare questo lavoro.
Sono costretto a tenerla qui al lavoro perché ho bisogno di un’assistente e se non altro è precisa e meticolosa quando mette in ordine i miei documenti e le bozze degli articoli da mandare alla stampa però è sempre più ferma nelle sue convinzioni e convinta che da quando mi hai iniziato a raccontare la tua storia , in questa stanza alberghi il Demonio.
Lasciamo perdere.
Cosa accadde a Gustave?
Ci deve essere una spiegazione del perché si sia ucciso. Sicuramente.
Ormai la storia si fa sempre più complicata e, oserei dire, confusa.
Seguirti diventa difficile però anche sempre più interessante”-spiegò il mio collega, intingendo la penna nel calamaio e preparandosi a scrivere.
Io sospirai:”Effettivamente per una persona esterna alle vicende può essere più complesso seguirle, alcune volte anche io temo di confondermi.
Sono accadute talmente tante cose, è stato un periodo così intenso che a volte tendo a confondermi, dimenticare qualcosa e narrare qualcosa di inesatto.
Tu scrivi tutto quello che ti dico, ti consiglio di segnartelo minuziosamente, poi se avessi sbagliato qualcosa quando saremo giunti quasi alla fine potrò ricontrollare tutti i tuoi appunti e cercare di capire se ho saltato qualche punto, potrò anche chiedere agli altri se sono stata abbastanza precisa nelle vicende che li riguardano, quando li porterò nel tuo studio”.
Mi fermai un attimo.
“William?”-domandai.
“Tu capisci tutto quello che dico?
Se non riesco a tradurre al meglio qualche cosa, ti prego di fermarmi…
Più avanti chiederò a mia nipote di venire a tradurre per me, quando dovrò entrare nei dettagli in certi punti del racconto.
Marianne è nata qui,  parla l’inglese molto meglio di me…
Posso chiederti perché non conosci la mia lingua?
Insomma, credevo che il francese fosse la lingua della cultura, anche qui da voi…”.
“Beh… infatti lo è.
Però non l’ho mai imparata, comunque non abbastanza bene per intraprendere una conversazione a livello di difficoltà delle nostre perché non provengo esattamente da una famiglia ricca, non ho potuto impararlo con un insegnante o frequentando qualche salotto.
Quando ho iniziato a lavorare nel giornalismo, ho dovuto imparare qualcosa, ciò che basta a intrattenere una conversazione piena di convenevoli e frasi fatte con gli intellettuali che a volte mi è capitato di incontrare per il mio lavoro, come quelli per cui stato scrivendo il saggio sulle donne.
E poi non nascondo che avevo un’opinione non molto positiva di voi, qui in Inghilterra è difficile concepire come si possa anche solo pensare di fare del male al sovrano.
Voi lo avete addirittura giustiziato.
Secondo la morale e la legge è un atto empio, è terribile.
Devo dire che però ho cambiato idea sui francesi da quando ho conosciuto te e da quando hai incominciato a raccontarmi davvero in che condizioni misere vivevate.
Ci vorrebbe anche qui una qualche rivolta nel West End, così che il governo apra gli occhi e prenda provvedimenti…
La povertà dilaga.
Poi da quando hanno cominciato ad aprire le fabbriche, da quando si è iniziato ad usare il telaio a vapore la popolazione della città è aumentata… molti contadini si sono riversati a Londra e negli altri grandi centri urbani in cerca di un’occupazione migliore ma non capiscono che è uno specchio per le allodole e che in realtà vengono sfruttati.
Tornando al nostro discorso, scriverò tutto ciò che dirai, trascriverò minuziosamente le tue parole, come ho fatto fin’ora”-confermò lui” prego, inizia a parlarmi di cosa accadde a Charlotte per esempio”.
“Bisogna contestualizzare meglio l’episodio.
Pochi giorni dopo la morte di Gustave, Charlotte sparì: c’era chi diceva che frequentasse la zona del Palais Royale e che si prostituisse, altri dicevano che era finita in prigione, altri ancora che aveva lasciato la città.
Presto però nessuno pensò più a lei e continuammo la nostra vita di sempre.
Maxime il giorno dopo essere arrivato a casa mia era andato da quello scrivano e era riuscito a farsi promettere il posto alla fine del mese, nel frattempo si era trovato un lavoro come facchino, in capo ad una settimana aveva trovato anche una stanza a basso prezzo nel Faubourg Saint Antoine, in centro,  e vi si era trasferito.
Proprio in quel periodo ricevetti una delle solite lettere di ammonimento del caro Armand, all’incirca così concepita:

Mi fa piacere sapere che anche tuo fratello è arrivato in città.
Lo credevo morto ma a quanto pare mia madre lo ha aiutato.
Poco importa, potrei sempre prendere due piccioni con una fava.
Non ti consiglio di parlarne con lui, se non vuoi pentirtene, capisci, potrebbe essere pericoloso, anche per lui.
Ti osservo sempre più da vicino, Iréne.
Devo solo trovare il momento giusto per agire e pianificare la mia vendetta ma tanto non hai fretta, vero?
Tuttavia devo dire di averti pensato a lungo, in questo periodo.
E ho concluso che forse ucciderti o farti arrestare effettivamente non sarebbe l’idea più adatta, vale la pena cercare di riconquistarti.
E ce la farò, credimi.
Ti pentirai di aver scelto quel poveraccio, riuscirò a farti aprire gli occhi.
Io sono in città e questa volta non ho intenzione di andarmene a breve per cui ci sarà sicuramente occasione di incontrarci di nuovo.
Non avresti mai creduto che avrei partecipato alla Rivoluzione, vero?
Ti sorprenderò, anche se probabilmente non saremo d’accordo nemmeno su questo.
Lasciami pensare a quando potrei darti appuntamento, mi farò sentire presto.
Armand”.


Ovviamente questa volta mi spaventai davvero appena lessi quella velata minaccia a Jean, non sapevo come interpretarla, se la stessi interpretando in modo corretto.
Non potevo però intervenire in alcun modo, se non affidandomi alla fortuna e al fatto che mio marito non avrebbe mai incontrato Armand.
Non ne feci parola con lui, come sempre, ma cominciai a capire che avrei dovuto confessarlo a qualcuno e l’unica persona che avrebbe potuto aiutarmi era proprio Maxime: sapevo che avrei potuto anche contare su Frédéric e Madame Delacroix ma non volevo coinvolgerli più di quello che già non fossero.
Frédéric aveva una moglie, forse avrebbe avuto anche dei figli, non sarebbe certo stato corretto metterlo in una posizione così scomoda e Madame era già stata minacciata più volte dal figlio minore, richiedere un suo intervento avrebbe potuto significare metterla davvero in estremo pericolo.
Sapevo che sarebbe stato complicato spiegare a mio fratello tutta la storia, che mi avrebbe preso per pazza dopo aver saputo da quanto tempo andava avanti quella vicenda e che avrebbe reagito male, impulsivamente, senza calcolare il pericolo che avrebbe potuto correre.
Lo avevo visto più volte dare in escandescenze per motivi ben più futili, ha un carattere molto simile a quello di Adrien, non per niente vanno molto d’accordo.
Avrebbe rischiato, con l’intento di aiutarmi, di mettermi ancora di più nei guai.
Una domenica pomeriggio io e Thérèse stavamo attraversando Rue de Rivoli quando incontrammo Etienne: ci fermammo a salutarlo ma mi pareva inquieto, preoccupato.
Aveva i capelli appiccicati alla fronte per il sudore, nonostante il freddo  e gli abiti in disordine, la camicia mezza strappata, lo sguardo stravolto.
Si fermò di colpo davanti a noi, ansimando per la corsa che doveva aver fatto fin lì.
Sembrava che misurasse le parole che ci diceva, non era il solito Etienne, spontaneo, divertente e alla mano.
Notai che continuava a voltare la testa a destra e a sinistra, come se si aspettasse di vedere arrivare qualcuno da un momento all’altro o come se qualcuno lo inseguisse e,quando lo lasciammo, si mise di nuovo a camminare velocemente, quasi correndo.
“Mi piacerebbe rimanere ancora qui a parlare con voi ma devo proprio lasciarvi, ho un impegno urgente e non posso mancare”-si scusò”immagino che voi ragazze abbiate comunque altre cose a cui pensare, ci vediamo con più calma in questi giorni”-aggiunse,cercando si cambiare argomento.
Impegno urgente la domenica, l’unico giorno in cui non era al lavoro?
Per di più al pomeriggio, quando al massimo un operaio che lavora tutta la settimana passerebbe quel giorno libero a dormire, a uscire con la moglie o a andare in un Cafè a bere con gli amici?
Scrollai le spalle pensando che probabilmente mi stavo preoccupando troppo e ripresi a camminare con la mia amica: entrammo in alcune botteghe e non ci pensammo più.
Presto però cominciarono ad accadere altri fatti strani di cui fui testimone, che definirei parecchio inusuali.
Una sera che non faceva troppo freddo io e Jean avevamo approfittato del fatto che Gabrielle, mia suocera, era venuta a cena da noi per poi lasciarle Renè e uscire a fare due passi quando, mentre camminavamo per il quartiere, udimmo delle risate infantili e un rumore sordo, come di qualcosa di pesante trascinato per terra provenire da un vicolo buio e maleodorante”.
“Li conoscevate?”-domandò il mio collega, a bassa voce, dopo aver tirato fuori un foglio pulito.
“Io e mio marito ci dirigemmo verso il punto da cui sentivamo provenire quelle voci e ci trovammo davanti ad una vecchia bottega di un macellaio, ormai in rovina, chiusa da anni.
La vegetazione si era impadronita dell’ingresso, verdi piante rampicanti con leggere sfumature color ruggine sulle foglie salivano per la porta, rami ornati di fiori selvatici e rovi uscivano dalle finestre.
Jean passò una mano su un vetro, per pulire la polvere e le ragnatele che disegnavano strane forme geometriche sul davanzale e guardò all’interno: una flebile luce si propagava nella stanza, i ganci per appendere i maiali proiettavano grottesche ombre sul muro.
Improvvisamente si voltò e mi fece segno di seguirlo all’interno, senza parlare.
Raggiunse i bambini alle spalle: “Buonasera piccoli cittadini!
Cosa ci fate qua, a quest’ora?
Si può sapere cosa state maneggiando?”-domandò, prendendo il più grande dei tre per un braccio e obbligandolo a spostarsi.
In un angolo, dietro a quello che era stato il bancone della macelleria, seduti in cerchio per terra alla luce fioca di una candela stavano infatti Gérard, Jacques e Philippe: al centro del cerchio si trovava una cassa per tenere la carne sottosale.
Gérard rimase un attimo interdetto:”Cittadino Jean, non sei il benvenuto nel nostro rifugio…”-incominciò mentre cercava di nascondersi nelle tasche qualcosa ma mio marito riuscì a fermarlo e, sul pavimento di rozzi mattoni, cadde una moneta d’oro: Jean si inginocchiò per terra e, con un gesto deciso, aprì la cassa.
All’interno c’era un gran numero di altre monete, molto più denaro di quello che eravamo abituati a vedere di solito.
Allibito, chiese spiegazioni:”Dove lo avete preso?
Dì un po’,Gérard, sei andato a rubare?
Cos’è, Véronique non fa abbastanza per te, hai bisogno di soldi?"-lo rimproverò, tirandogli uno scapellotto:“Chi vi ha dato queste monete?”.
Philippe uscì dalla penombra:”Una signora…una ricca signora…”-mi sussurrò timidamente il piccolo, aggrappandosi alla mia gonna.
Jacques alzò le spalle e intervenne, non prima di intimato al fratellino minore:”Chiudi il becco tu!”.
” Ce li ha dati una cittadina che aveva un’aria da ricca, noi non rubiamo.
Io ho pensato che sarebbe stato meglio non accettarli, mio papà dice che non devo accettare l’elemosina perché non abbiamo bisogno di essere compatiti però quando abbiamo visto tutto quel denaro…Non sono riuscito a rifiutare la mia parte”-precisò  il bambino, con lo sguardo a terra.
“Gérard, è vero?”- lo interrogò Jean, tenendolo per il colletto della camicia.
“Che aspetto aveva questa signora?
Sei sicuro che non volesse niente in cambio?”.
Il ragazzino si liberò dalla presa con uno strattone e si alzò, spavaldo:”Beh, hanno ragione.
Non l’abbiamo vista bene perché era in carrozza, quando ci siamo avvicinati per vedere se riuscivamo a sgraffignare qualcosa anche lei si è fermata e si è sporta leggermente dal finestrino: da quello che ho potuto osservare sembrava una nobildonna di mezza età, indossava guanti in pelle nera e una pelliccia di qualche animale raro forse, sembrava una di quelle bestie che si vedono al circo, quelle specie di grossi gatti con le macchie”-spiegò, gesticolando.
“Ci ha offerto del denaro e quando ha capito che avremmo accettato…beh ora che ci penso…”-esitò prima di continuare a parlare.
“Ha chiesto dove abitava la Cittadina Edith Marchand e io gliel’ho spiegato…
A quanto pare era una sua conoscente…non avrei dovuto?
Ho pensato che volesse offrirle un lavoro…
Non c’è altro…adesso che ci avete disturbati tu e la Cittadina Iréne potete andare a fare gli sdolcinati tutti baci e carezze picci picci da un’altra parte?
Questa è la nostra zona!”-gridò indispettito.
Jean era sorpreso da quello che aveva confessato Gérard ma a lui non disse niente, mi guardò e annuì.
“Cosa ne fate adesso?
Non potete tenere il denaro qui, è vero che non ci passa mai nessuno ma non è sicuro comunque.
Potrebbero rubarvelo o accusarvi di essere dei ladri.
Vi siete cacciati in un gran pasticcio e ho paura che ne pagherete le conseguenze”-li avvertì.
“Non diremo ai vostri genitori che vi abbiamo incontrati, già così quando tornerete a casa vi prenderete una bella dose di botte e cinghiate, è meglio non infierire…”-dissi io cercando di rassicurare Philippe e Jacques, che mi fissavano spaventati, temendo che avremmo riferito la storia a Etienne e Marion ”Gérard, accompagnali a Belleville, sono troppo piccoli per andare in giro da soli a quest’ora”-ordinai.
“Eh certo, così voi due fate sparire il malloppo… non mi fido!”.
Mio marito promise che non avrebbe toccato nemmeno un centesimo così, dopo esserci accertati che andassero davvero a casa, uscimmo dal vicolo e continuammo la nostra passeggiata, in silenzio.
C’era qualcosa che non funzionava in ciò che ci avevano raccontato i bambini… insomma, loro erano i primi ad avere un amor proprio e non accettare nemmeno una moneta se qualcuno cercava di avvicinarli per fare loro l’elemosina, quella misteriosa signora doveva aver proprio ispirato la loro fiducia.
Quando tornammo a casa, Gabrielle ci venne incontro spaventata:” Ho visto delle ombre passare per la via.
Si muovevano rasentando il muro, silenziosi come dei gatti.
Uno di loro si è fermato proprio sotto la finestra: a quel punto un soffio di vento ha spento la candela e mi sono seduta per terra, in un angolo, al buio più completo, stringendo Renè.
Avrei potuto giurare che ci fosse qualcuno.
Non lo so, figlio mio, probabilmente è solo suggestione e stanchezza”-disse a Jean mentre indossava lo scialle e si avviava alla porta”sarà stato un gatto o un mendicante che passava sotto casa”.
Presto ci saremmo accorti che si stava profilando una situazione molto più complessa e pericolosa di quella che ci avevano prospettato ingenuamente i bambini.
Nessuno di noi avrebbe potuto prevedere quello che successe dopo, quando iniziammo a guardarci l’un l’altro chiedendoci cosa ci stessimo nascondendo a vicenda.
 

ANGOLO AUTRICE: Bonsoir!
Ci siete ancora?
Lo so che avevo promesso di aggiornare entro il 15 e sono in ritardo ma ho avuto gli esami dopo mi sono dovuta un attimo riprendere prima di rimettermi al pc.
(Comunque sono andati bene, un 18 ma era letteratura greca e non mi interessava che finire sto esame e non vederla più, un 27 e un 29), by the way non divaghiamo.
Grazie per aver letto il capitolo, Alla prossima! :)
Jenny

 


 

 

  
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