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Autore: Velvetoscar    19/04/2016    2 recensioni
Louis, con suo sommo orrore, frequenta un'università d'élite in cui Zayn Malik è un nome che conta, Niall Horan non sta zitto un momento, ci sono pianoforti dappertutto, e Harry Styles, l'unico figlio maschio di un ex cantante rock strafatto e pazzo clinico, ha un sorriso perfetto e due occhi spenti. [Larry/minor-Ziam]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 21.

Il giorno dopo Louis non trova Harry.

Arriva presto per la loro lezione, l’ansia che gli intorpidisce la punta delle dita. Ha pensato a questo momento tutto il giorno, tra corsi interminabili e conversazioni raffazzonate. Tra ogni appunto scribacchiato, ogni pagina di libro voltata, e ogni tentativo di ignorare i sussurri di pettegolezzi che lo circondavano riguardo i ragazzi (a un certo punto una ragazza aveva orgogliosamente dichiarato alla sua amica che Zayn e Harry avevano fatto a botte per lei; Louis aveva riso così forte che il suo professore si era interrotto, a metà frase, trasalendo), aveva prestato attenzione solo parzialmente, i suoi pensieri e i battiti del suo cuore intrappolati da qualche parte nelle stanze di Harry ad agitare le domande senza risposta che gli scivolavano dalla lingua. Anzi, era così impaziente per la lezione con Harry che aveva persino bocciato la proposta di Niall di andarsi a prendere una bistecca con vino al suo ristorante preferito. La situazione era seria fino a questo punto.

Ma adesso è arrivato e quando fa per aprire la porta, è chiusa a chiave.

E quando bussa, non si apre.

E quando gli manda un messaggio con dv sei? non ottiene risposta.

E allora qualcosa si sgonfia dentro di lui.

E torna fino al suo appartamento a piedi, la delusione e una sensazione tutta nuova di paura che gli penetra nella ossa e gli torce i peli sulla nuca.

Fantastico.

**

“Se è scomparso un’altra volta, giuro su dio, faccio una strage!” tuona Louis appena entrato nell’appartamento.

Niall alza lo sguardo dalla batteria, un grosso maglione pallido tirato sui gomiti, bacchette a mezz’aria sopra la testa, pronte a battere. “Eh?” chiede, tutto orecchi.

“Harry. Non è in casa. Se n’è andato, vero? Se n’è andato un’altra volta, e noi siamo costretti a starcene con le mani in mano a fare le belle statuine mentre lui marcisce in qualche fosso, probabilmente morto stecchito, e nessuno se ne-“

“Di che cazzo parli, ciccio?” chiede Niall, la faccia incredibilmente sbigottita mentre abbassa le bacchette, lanciandole da qualche parte, e prestando la sua completa attenzione a un Louis parecchio sconvolto che adesso si sta strappando la giacca di dosso con più forza di quanta ce ne vorrebbe.

Forse è troppo nervoso oggi. Per colpa dell’ansia e così via.

“Mando un messaggio a Zayn!” sbotta all’improvviso a nessuno in particolare, la lampadina che gli si accende sopra la testa. Corre precipitosamente nella stanza adiacente, levandosi le scarpe con un calcio e lasciandole sparpagliate sul pavimento.

“Un messaggio per dirgli cosa?” gli urla dietro Niall.

“Che Harry è scomparso!”

Dov’è Harry?, picchia senza pietà sul cellulare, a una velocità allarmante.

“Dovresti lasciar perdere,” dice Niall ad alta voce, raccogliendo una delle bacchette dimenticate e facendosela roteare tra le dita.

“Troppo tardi!” canticchia Louis. Schizza di nuovo nel salotto, adesso con addosso una tuta, e fissa famelico il cellulare quando vibra.

La risposta:

Boh che ne so

“Ma che cazzo,” sospira Louis, portando gli occhi al cielo dall’esasperazione e buttando il cellulare sulla superficie più vicina. “Ti pareva che non sapeva niente. C’è qualcuno che sa qualcosa in questa scuola?” domanda con forza. Poi infuria di nuovo verso camera sua.

Niall lo fissa. “Stai bene, Lou?”

“Io? Sto benissimo! Sto da dio, cazzo! Non è di me che mi preoccupo, ma di Harry! Se n’è andato di nuovo, Niall, di nuovo! E dopo quella telefonata di ieri, posso solo immaginare cosa significhi! Ha detto che ci saremmo visti oggi ma non è nelle sue cazzo di stanze e-“

“Forse è uscito.”

“Come? No. No! Avevamo ripetizioni! Non se lo sarebbe mai scordato così! Perché dici cose stupide-“

Niall fa un fischio basso, interrompendo la sequela agitata e bombardante delle parole di Louis. “Stiamo parlando di Harry? Perché ti garantisco che una cosa così se la scorderebbe. Perché ti stupisci? Lo sai com’è fatto.”

Louis trattiene un ruggito.

Sì. Lo sa com’è fatto Harry. Ma a quanto pare, Niall no.

“Non è così, Niall. Non è un bastardo egoista e crudele.”

“Ah no?” domanda, buttando la bacchetta in aria prima di riprenderla, gli occhi concentrati sul movimento.

Louis turbina su se stesso per fissare il ragazzo, le mani sui fianchi. “Non fai ridere.”

“Gesù,” borbotta Niall, alzando gli occhi al cielo. “Forse sei davvero innamorato di lui.”

“NON SONO INNAMORATO DI LUI,” strilla in risposta, poi entra rabbiosamente in bagno, sbattendosi la porta alle spalle.

Niall batte le palpebre.

“Okay. Bene. Cambiando discorso. Ho preso A al mio ultimo esame!” gli urla, scivolando giù dallo sgabello della batteria.

Segue una breve pausa prima che la voce smorzata di Louis si levi da dietro la porta del bagno. “Vuoi dire Rory ha preso A?”

Niall ride. “No, voglio dire che Google ha preso A.”

“Neanche te lo chiedo che significa.”

Niall fa un sorriso enorme quando Louis finalmente spunta fuori dal bagno, i capelli umidi mentre si passa un asciugamano sulla faccia.

“Tra l’altro, mi ha contattato mio padre. Lo studio torna a lavorare alla nuova canzone di Des.”

Louis si pietrifica. “Prego?”

“La nuova canzone – quella in cui suono la batteria – torniamo a lavorarci. Mi ha mandato un messaggio stamattina.”

“Allora Des…” deglutisce, stringendo l’asciugamano umido tra le mani, la mente che subito torna alla porta silente di Harry. “Des è tornato? A registrare allo studio?”

Quello fa spallucce. “Sì, credo di sì.”

“C’è anche Harry con lui?”

“Come cazzo faccio a saperlo? Me l’hanno appena detto… non ci sono ancora andato personalmente, no?”

Louis lo ignora, i pezzi del puzzle che lentamente si uniscono nella sua testa. Ovviamente. Des è tornato. Harry aveva ricevuto una telefonata, era scappato via, era sembrato quasi felice, perfino…

Des è tornato.

Un sorriso gli sboccia sul volto.

“Probabilmente Harry è con lui,” sorride, guardando Niall.

“Probabilmente, sì.”

“Vai allo studio stasera, allora?”

“Già.”

“Mi fai sapere se c’è anche lui?”

Niall butta indietro la testa dall’esasperazione. “Che palle, Louis…”

“Niall,” lo minaccia, e raccoglie una delle sue scarpe perdute, facendo per scagliargliela in testa.

“Sì, sì, va bene, d’accordo. Ti mando un messaggio.”

“Grazie,” gli sorride, prima di lasciar di nuovo cadere la scarpa a terra e unirsi a Niall che si sta ora avvicinando al frigorifero. Gli scompiglia i capelli solari e gli dà una pacca sul sedere.

Cosa a cui, naturalmente, Niall non reagisce, rimanendo completamente imperturbato.

“Stai sviluppando un'ossessione,” gli sospira soltanto in risposta, a bassa voce.

“Non è vero. Ora. Mi porti fuori a cena? Voglio lamentarmi della scuola e del mondo.”

E, detto questo, escono.

**

Harry non c'è il giorno successivo. O il giorno ancora dopo. O quello dopo ancora.

E non è nemmeno mai allo studio, cosa di cui Louis viene informato coscienziosamente da Niall ogni secondo, anche se Niall insiste che le registrazioni stanno andando benissimo, tanto che la canzone è quasi finita. (“È venuto perfino Des oggi.” “Oh, davvero? E com’è andata?” Niall alza le spalle. “Bene, credo. Era un po’ taciturno. Se n’è stato sulle sue. È un signor musicista, però. La canzone che ha scritto è incredibile.” “Oh davvero? Che bello. C’era anche, ehm, hai capito, Harr-“ “No, Louis, Harry non c’era.”)

Allora Louis gli manda messaggi. Più di quanti gli vada di ammettere. Gli manda messaggi prima di ogni sessione di ripetizioni. Sto arrivando. Farai meglio a esserci. Stronzo. O qualche variante. Gli manda messaggi quando non riesce a studiare, il cervello che scappa in mille direzioni diverse (la maggior parte di quelle direzioni conducono alla porta di Harry, che è una cosa proprio meravigliosa) e che non gli lascia altra alternativa che scrivergli un, dv sei, o l’occasionale, stai bene?, e a volte il, mi bocceranno e sarà colpa tua. Pensaci Curly. E ovviamente il, puoi almeno rispondere x assicurarmi che non sei morto? Sarebbe carino.

Tutto invano.

Ed è un po’ preoccupante, sì, parecchio. Ma Louis continua a ripetersi, ogni volta che arriva alla porta di Harry e bussa inutilmente, sentendo uno strano tipo di delusione attanagliargli lo stomaco quando comincia ad allontanarsi in silenzio, che probabilmente è felice, al sicuro, sarà con suo padre. Cosa che… beh. Louis non sa se questo è un bene o un male.

Ma vorrebbe davvero pensare che il fatto che Harry sia con suo padre è una buona cosa e sicura. Quindi lascia perdere.

Lascia perdere, e non fissa il suo cellulare speranzoso, non passa davanti alle stanze di Harry ogni giorno nella speranza di vedere una luce, non rimane nei giardini ad aspettare un movimento, uno scintillio, qualunque cosa, e non ricostruisce nella sua testa la loro ultima conversazione all'infinito. Non fa nessunissima di queste cose perché è quasi arrivata la fine del semestre, dicembre è alle porte – la prossima settimana – e Harry Styles è solo un ragazzo che, a conti fatti, non è sicuro possa essere considerato suo amico.

E non c’è altro da aggiungere, davvero.

Già.

Nient’altro.

**

Sono in biblioteca – anche Niall – e sono passati quattro giorni dall’ultima volta che ha visto Harry.

“Non preoccuparti per lui,” lo aveva rassicurato Zayn con uno sbuffo di fumo, e Louis aveva sorriso e annuito, facendo scivolare la conversazione in un territorio più leggero e divertente, mentre le rotelle nella sua testa scattavano e cazzeggiavano, imperturbate.

E mentre Louis non etichetterebbe questi sentimenti come ‘preoccupazione’, per così dire, continuava comunque a pensare a Harry a dispetto delle rassicurazioni borbottate di Zayn.

Perciò non c'è da stupirsi del fatto che ora sta pensando a lui mentre gli altri si crogiolano nel silenzio, Zayn che sottolinea passaggi del suo romanzo, Liam che clicca febbrilmente sul suo Macbook, lo schermo azzurro che mette in evidenza le linee di ansia incise sul suo volto, e Niall che batte con la penna un ritmo continuo sul tavolo, facendo finta di leggere gli appunti. Perché la quinta sedia al loro tavolo – la sedia all’angolo, incorniciata da scaffali e fitti muri di legno marchiati da graffi di secoli fa – è vuota. Perché quella è la sedia che Harry ha stabilito per sé. Quella su cui esige di sedersi perché è “romantica e solitaria e distaccata il tanto che basta per rimanere poetica.” E anche se Louis aveva riso della sua spiegazione all’epoca – gli aveva pure lanciato una gomma in testa, cosa che gli aveva guadagnato un’occhiataccia e una palla di carta in faccia – adesso quasi la capisce, quando la guarda lì nella sua oscura solitudine, dimenticata e sconsolata nell’angolo. È quasi tentato di sedercisi anche solo per dissipare la pura solitudine che emana. Quasi.

Mentre è perso nei suoi pensieri, intento a fissare la sedia vuota, un gentiluomo rugoso dall’aspetto elegante passeggia accanto a loro e si ferma di scatto quando vede Liam.

“Liam Payne!” lo saluta, mentre gli occhi pregni di stress di Liam si alzano, sorpresi. L’uomo gli sorride, i pantaloni stirati e la giacca inamidata in contrasto con le uniformi uguali dei ragazzi di cotone pesante e poliestere. “Il ragazzo di William Payne, giusto?”

La faccia di Liam si apre all'istante in un sorriso esperto, la sua posa si riduce ad assoluta perfezione. “Giustissimo, signore,” sorride, alzandosi in piedi e stringendo la mano dell’uomo con entusiasmo.

“Tuo padre ci ha raccontato di quanto stai andando bene, questo semestre.”

Liam fa una risata squillante, alzando le spalle con modestia. “Beh, di certo lo spero. Effettivamente mi piace mantenere i voti alti in pari con le mie abilità.”

L’uomo approva con un sorriso, osservando Liam dall’alto in basso con i suoi occhi vecchi da elitista. A Louis viene quasi voglia di schizzargli la bottiglia d’acqua in faccia.

“Tuo padre dice che stai riscuotendo risultati egregi anche nel giornale scolastico. Siamo orgogliosi del nostro giornale universitario… ha una reputazione da sostenere. Come sono certo che tu sappia.”

“Sì, signore.”

Louis alza gli occhi al cielo.

“Dice che potresti sostituirlo prima di quanto si pensi.” Probabilmente lo dice come un complimento, ma Liam sembra più terrorizzato che altro. “Siamo tutti in trepida attesa di vedere come te la caverai quest'anno, Liam. Non deludi mai.”

Liam fa un’altra risata, leggermente maniacale, mentre l’uomo continua a sorridere, completamente ignaro. “E spero di non farlo mai!” Liam ride educato, gli occhi increspati.

Quello annuisce un’ultima volta, prima di dargli una pacca sulla spalla. “Meglio che vada. Porgi i miei saluti a tuo padre.”

“Certamente, signore. Buona giornata, signore.”

Appena l’uomo scompare, Liam cade nella sua sedia, gli occhi spalancati, scuri e spaventati. “Mio padre parla di me??” sibila. “E che cosa dice?! Come faccio a lavorare con tutta questa pressione? Come ha potuto farmi una cosa simile?!”

Per Louis, il lato senza freni di Liam è una scoperta recente. E, sinceramente, lo trova esilarante. Ridacchia al vederlo sbiancare a ogni parola convulsa che gli sfugge dalle labbra.

“Perché è fiero di te,” fa le fusa Zayn in risposta, alzando lo sguardo dal libro.

Liam si fa cadere la testa fra le mani. “Già. Beh, io lo odio.”

“Non è vero. Sei solo stressato, tutto qua,” lo consola Zayn, e subito si alza per massaggiargli le spalle.

Louis, i piedi sul tavolo, con i pantaloni della tuta, masticando una matita, li guarda.

“Se vi sento sussurrare anche solo una smanceria, non esiterò a prendervi a pugni nelle palle.”

Niall ride fragorosamente, Zayn ridacchia, e Liam assume un’aria sconcertata.

“Si fa per dire,” borbotta piano, incapace di reprimere un ghigno, e Niall ride più forte, un suono che riempie i soffitti silenziosi dalle volte infinite, rimbalzando sugli scaffali polverosi e sui tappeti logori, i libri antichi, le statue di marmo, e la sedia vuota al loro tavolo, inviolata.

Sedia a cui Louis continua a non pensare mentre Zayn manipola la schiena di Liam con le sue mani fresche e tranquillizzanti.

Il silenzio si infrange nuovamente, circa un’ora dopo.

“Mi sono rotto le palle. Voglio uscire,” annuncia Niall, facendo cadere il quaderno sul tavolo e sospirando aspramente, il rumore che stride nell’aria.

Tre paia di occhi si sollevano come se fossero uno.

“Non è neanche il finesettimana!” dice Liam, offeso anche al solo pensiero.

Niall fa spallucce. “Beh? Prima uscivamo tutte le sere della settimana.”

“Ah, i bei tempi andati,” si lamenta Louis, accigliandosi di fronte alla sua pila di libri e alle cataste disordinate di fogli. “Magari potessi venire…”

“Magari?” Liam lo guarda a bocca aperta, quasi strilla. Louis inarca le sopracciglia. “Ma state bene?? Come potete anche solo considerare di farvi quattro passi per la città quando abbiamo esami e saggi ed editoriali e scadenze e schemi e progetti e appuntamenti e…” E a ogni compito della lista, la voce gli si alza di un'ottava, fino a che uno Zayn sconcertato non è costretto ad avvolgere le braccia attorno alle spalle tanto, tanto tese di Liam, mormorandogli parole rasserenanti nell’orecchio e accompagnandolo altrove per farlo rilassare un po’.

“Va tutto bene, Li. Tutto bene. Sh,” sospira in un dolce tono di raso, massaggiandogli gentilmente le braccia quasi tremanti con i pollici.

Louis ridacchia mentre Niall alza le sopracciglia davanti alla scena.

“Vaaa bene. Allora vieni, Tommo?” chiede, voltandosi verso Louis.

Lui sospira. “Nah, ciccio. In un mondo perfetto verrei, ma così com'è…”

“D’accordo,” conclude l’altro, balzando giù dalla sedia e mettendosi la penna in bocca, il quaderno al fianco. “Fa’ come vuoi. Divertitevi, ragazzi. Ciao, zucchero.” aggiunge, pigiando a casaccio un bacio sulla guancia di Louis prima di dirigersi altrove.

Louis lo guarda, con affetto ed esasperazione allo stesso tempo. “Ti giuro, Irlanda. Se prendi voti più alti di me questo semestre, ti squamo con una graffetta.”

Niall indugia, voltandosi, le sopracciglia quasi nascoste nell'attaccatura dei capelli. “Troppo severo, non ti pare?”

Louis si guarda, lui e gli stessi calzini che ha da giorni, i pantaloni flosci con un’insopportabile macchia arancione degli spaghetti che ha mangiato ieri sera, e non vuole nemmeno parlare della sua pelle grassa e ispida, o al grappolo di olio che sostiene di essere un ceppo di capelli che al momento si trova sulla sua testa. Tutto perché ha passato più tempo a studiare che a lavarsi o a dormire. E poi guarda Niall. Il solare, dorato, pulito, e tranquillo Niall.

“No.”

E Niall ride, rovesciando la testa all’indietro, i denti bianchi e immacolati, prima di avviarsi fuori dalla porta senza pensarci due volte.

“E tu che dicevi che io e Liam facevamo schifo,” lo stuzzica Zayn con un sorrisetto.

“Già. Perché io e Niall non scopiamo come voi due stronzi,” borbotta, riuscendo soltanto a far allargare il sorriso di Zayn e gli occhi di Liam.

E poi torna al suo libro, ignorando con fermezza il modo in cui Liam e Zayn si guardano, e la sedia vuota all’angolo.

**

È passata un'altra giornata di lezioni – portando con sé un altro notevole voto di esame (è davvero questa la vita vera?) – e Louis si sta ancora una volta avviando verso Harry, preparandosi già al silenzio che sa che incontrerà, arrancando sotto la pioggia battente e gelata, un cappello di lana in testa che gli copre a stento le punte delle orecchie arrossate. Tira fuori il cellulare, come di consuetudine, e tamburella un, Mi sa che mi ritocca la porta chiusa. Dovresti proprio rispondermi e magari risparmiarmi la fatica, peste.

Sale i gradini accanto ai giardini come un automa soprappensiero, cammina fino alla porta, gira il metallo sbiadito del pomello, dà una spinta alla porta di legno pesante e… ed è aperta.

Per poco non cade.

Prima che abbia il tempo di ricomporsi – la borsa a tracolla quasi lo tira per terra, e con forza – sente qualcosa muoversi appena al di fuori del suo campo visivo.

"Louis Tomlinson," lo saluta la voce, e lo stomaco di Louis invece che fare un tonfo sordo per la delusione, sale su da qualche parte accanto alla bocca.

Non si aspettava di trovare Harry in casa. E nemmeno si aspettava di trovarlo… con in mano delle fragole? Con un completo rosso e un papillon, gliele offre con un sorriso smagliante da una ciotola dorata.

Se deve essere proprio sincero, aveva più o meno dato per scontato che Harry sarebbe stato nelle morse della disperazione al loro prossimo incontro, visto il ritorno di Des e tutte le impreviste complicazione che sembrano accompagnarlo. Ma di certo non si tratta di un contrasto sgradito.

"Fragola?" propone Harry come se fosse una battuta da copione, con una presentazione perfetta. "Sono la mia nuova fissa."

Louis lo guarda, si è ormai ricomposto, e si chiude la porta alle spalle, il cappello che gli cade, la felpa che gli scende disordinata, e la borsa accanto a lui sul pavimento.

"Harry," dice, scioccato, la voce resa leggera dalla sorpresa, fissando la scena assolutamente inaspettata davanti a lui. "Sei tornato."

Harry sorride in risposta, perfetto e affascinante, ma non è completamente finto, per cui sorride anche lui.

E subito si sente felice oltre ogni comprensione, ma anche in un certo senso sbigottito e confuso, quindi borbotta, "Beh, almeno uno di noi due è di buon umore," mentre lo fissa, mentre ancora assorbe i dettagli della situazione.

Harry? Completo rosso? Fragole? In autunno? Harry? Tornato? Felice?

"Sono deliziose," risponde Harry a una domanda mai posta, e raccoglie una fragola dalla ciotola e se la porta alle labbra, la cui tonalità si armonizza perfettamente al frutto in questione. Con un ghignetto ghignante che spiana la strada a tantissime domande, morde il frutto, il succo danza sulla morbida imbottitura delle sue labbra, prima di lanciarsela per intero in bocca, staccando lo stelo con delicatezza e buttandolo via.

Louis osserva il movimento, prima di trascinare i piedi sul posto.

Non vuole rompere l'atmosfera di buon umore. Davvero. Non gli va.

Ma muore di curiosità e anche di preoccupazione, la mente ancora ferma sulla misteriosa telefonata che aveva portato via Harry, quindi il suo sorriso si attenua guardando il volto dell'altro, pregno di una tranquillità e di una serena felicità che Louis aveva solo intravisto l'ultima volta. È la cosa più vicina a una felicità "autentica" che Harry abbia mai avuto, ed è meraviglioso. Ma lo spaventa anche un po', perché l'incoerenza sembra essere un tema ricorrente della vita di Harry, e la felicità è bella e cara, ma come si comporta quando viene immersa in acque inquiete?

Sarà anche felice adesso, ma se dovesse succedere qualcosa? Crollerà? Pesantemente? Finirà per schiantarsi al suolo in un disastro incandescente?

Louis non lo sa.

Quindi lo studia un attimo prima di azzardarsi a dire: "Dove sei stato? Che è successo?" nel più noncurante dei toni che gli riesce. Che non è noncurante per nulla, tanto che sul finale le parole si riducono un po' a uno squittio.

Harry deglutisce, gli occhi che come reazione alle parole cominciano a riflettere qualcosa di più reale. Guarda la ciotola che ha fra le mani mentre le labbra gli scompaiono in una linea inespressiva. Non si muove.

Louis sospira, tirandosi meglio il cappello sulla testa, prima di strofinarsi una mano sugli occhi. Ha seriamente bisogno di smetterla di essere così diretto con Harry, lui proprio non sa incassare.

"D'accordo, senti," dice, camminando fino a raggiungerlo, illustrando le sue parole con le mani, e lo nota fare un quasi impercettibile passo indietro. "So che non ho il diritto di sapere. So che non sono fatti miei e non ho il diritto di continuare a farti tutte queste domande a cui tu non vuoi rispondere. E per questo mi dispiace, davvero. Sono un impiccione – un impiccione da paura – e vorrei poter dire che non continuerò a farti domande, ma così non sarà, e mi dispiace anche per le volte future. Ma puoi almeno, cioè, farmi sapere se va tutto bene? Così so che non devo preoccuparmi che mi vai in stato confusionale o che ne so. Perché…" Si perde, cercando le parole. Le spalle di Harry si irrigidiscono, le sopracciglia si aggrottano maggiormente mentre aspetta. "…ho estremo bisogno di ripetizioni. E, vedi, ora ho troppo poco tempo per trovare qualcun altro. Quindi, solo perché mi servi come tutor, puoi dirmi se le cose vanno bene?" conclude, e sorride mentre si abbassa per intercettare gli occhi di Harry, sentendo subito il peso della conversazione alleggerirsi un po'.

Harry fa un verso (uno sbuffo? Una mezza risata? Può essere?), spostando il peso sul posto e portando lo sguardo sul muro. La sua espressione è leggera, forse un tantino divertita, ma le parole comunque non sembrano arrivare pienamente a destinazione, e ha ancora l'aspetto facilmente mutevole di qualcuno che è ancora ampiamente a disagio.

Per cui riprova.

"E se parlassimo in codice?"

Harry finalmente lo guarda. Inarca un sopracciglio.

"Se le cose non vanno, diciamo, bene, tu mi passi una fragola. Ma se invece vanno bene, tu mi passi due fragole." Indugia. "Con tutto lo stelo." Sorride. "Me le mangio pure."

E all'altro sfugge una risata sola, che quasi manda in mille pezzi le lampadine nella stanza, per non parlare degli organi vitali di Louis che documenta mentalmente la data in cui è riuscito a ottenere una risata vera e propria da Harry Styles.

"Serve lo stelo a tutte e due?" chiarifica, le sopracciglia ancora alzate.

"Oh sì, assolutamente," annuisce Louis, sentendo le guance contrarsi mentre Harry soppesa pensieroso le fragole.

Piano piano, inizia ad armeggiare nella ciotola, le dita che toccano delicatamente il frutto, ispezionandone attentamente uno per uno prima di accoglierne finalmente due nella curva protettiva del suo palmo. Con gli occhi bassi, le porge a Louis, la mano tesa e paziente.

Louis sospira un piccolo soffio di sollievo prima di osservare finalmente il regalo, arricciando il naso mentre le fissa – una è in buone condizioni, con tanto di stelo, ma l'altra… ricorda uva passa. Che è stata digerita.

“Ehm,” comincia, pungolando con l’indice l’oggetto violaceo nella mano di Harry. “Ti spiacerebbe spiegarmi perché hai scelto questa? Ti va di farmi prendere un’intossicazione alimentare?”

All’angolo della bocca, il sorriso di Harry (sì, sorride ancora; riavere suo padre ha fatto miracoli) fa uno scatto. “Mi piace,” biascica in protesta. “L’ho scelto apposta.”

Louis alza lo sguardo. “Lui?”

“Aloysius.”

“Aloysius,” ripete piattamente. “Hai chiamato una fragola raggrinzita Aloysius.”

Harry si illumina d’orgoglio, incontrando i suoi occhi. “Già,” annuisce con occhi raggianti e un mezzo sorriso.

“D’accordo. Volevo essere sicuro,” dice, e gli porge il palmo della mano.

Senza un’altra parola, Harry gli molla i suoi tesori prima di ritirare la mano e spolverarsela sui pantaloni con aria compiaciuta.

Louis sorride, più che altro tra sè e sè, fissando il frutto che ha in mano. Non è mai stato tanto felice di vedere delle fragole in vita sua.

“Sono contento, sai,” ammette alla fine.

Harry alza lo sguardo.

Louis lo imita.

“Che sia tutto a posto,” spiega, indicando le fragole.

La comprensione si fa strada sul volto di Harry e lui annuisce. “Anch’io,” dice piano, e a tormentargli il viso resta l’ombra di un sorriso, incoraggiando ulteriormente quello di Louis.

Segue un istante in cui Louis ha ancora in mano le due fragole, guarda Harry e si sente stranamente… sollevato? Quello che prova è schizzato alle stelle, avvolgendolo in modo alieno e familiare allo stesso tempo, e non può che guardare il ragazzo di fronte a lui, che risplende vestito di vermiglio e ricorda una persona veramente umana e veramente reale; le apparenze di facciata sono crollate su tanti di quei fronti che Louis vorrebbe allungare le dita per toccarlo, solo per assicurarsi che questa sia la realtà e non una creazione contorta della sua mente.

Ma prima di poter accarezzare questi pensieri di abissale stupidità, Harry distoglie lo sguardo, posando la ciotola con delicatezza, la testa china, dandogli la schiena.

“Perché, però?” chiede di colpo, e il cipiglio è tornato. Cosa che. Più che frustrarlo gli fa battere il cuore all’impazzata, spaventato.

“Cosa perché?” chiede, sinceramente confuso.

“Perché ti rende contento?”

Eccola qui. Quella voce sottile e interrogativa di Harry che riesce sempre a schiacciargli le ossa.

Resta a bocca aperta, senza parole davanti all’improvvisa e autentica curiosità della domanda, prima di far scivolare le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni, dondolandosi un po’ sui talloni, cercando di mostrarsi il più tranquillo possibile.

“Perché. Ho un serio bisogno di un tutor.”

A Harry sfugge un’altra breve risatina (e a lui pare per un attimo che sia spuntato il sole) prima di rimangiarsela, un sorriso sulle labbra che rivolge verso il basso, richiudendosi nel suo petto e facendosi scudo dal mondo. Cosa che è un'ingiustizia colossale. Non dovrebbe nascondere i suoi sorrisi. Dovrebbe alzare il mento e usarli per alleggerire il mondo.

“E. Poi.” Indugia, osa pronunciare le ultime parole. “Sei un amico.”

Ecco qua. L’ha detto.

E basta questo perché l’atmosfera cambi.

Harry si volta, guardandolo apertamente, il viso nuovamente corrucciato.

“Louis… Io non ho ‘amici’.”

Al che, Louis sbuffa, puntando sui talloni con forza e scuotendo la testa con esagerazione sufficiente a minimizzare la delusione che prova. “Beh, non lo so, Curly. Aspetta che lo diciamo agli altri.” Azzarda un’occhiata a Harry che guarda la ciotola di fragole, taciturno e circospetto, il corpo girato per metà. La sente, sente la corda su cui sono in equilibrio. Sa che anche una sola mossa troppo impaziente spedirà Harry nella direzione opposta alla sua per proteggersi dalle sue intrusioni, che sono troppo, troppo esagerate, e troppo forzate per un ragazzo che a malapena riesce a cogliere il concetto che a qualcuno potrebbe importare della sua presenza su questa terra. Per cui si limita a buttare lì un sorriso e a concludere con un musicale, “E poi, sai, non ho neanche parlato di quanto sei stato maleducato a dirmi una cosa del genere in faccia mentre sono qui che mi dichiaro tuo ‘amico’.”

Harry ricambia il suo sguardo.

Louis attende che lui lo assolva.

“Le fragole non le mangi?” chiede, e Louis sbatte le ciglia perché, no, questa non se l’aspettava ma… funziona. Perché Harry è ancora nella stanza e non sta sbattendo porte né sta abbassando le gabbie dietro i suoi occhi.

“Certo che sì,” dice subito nonostante la sorpresa, e se le lancia in bocca senza un attimo di esitazione, ignorando con decisione le rughe vistose di Aloysius. Mastica, all’inizio convinto, poi soprappensiero, mentre il sapore gli inonda la bocca. “Sai, devo proprio dirtelo,” dice, a bocca piena, “Probabilmente è la migliore fragola rigurgitata che abbia mai mangiato.”

La faccia di Harry immediatamente cancella l’apprensione e il disagio che prima ospitava, sostituiti da un piccolo, quasi sciocco sorriso. “Non è rigurgitata!” insiste, con un che di talmente infantile che Louis sente il proprio sorriso scaldarsi.

“Allora è bolo di gufo?” continua, incitato, e la breve, veloce risata nasale di Harry irrompe nella stanza e nelle particelle di aria, lasciando Louis e la terra stessa in visibilio. “È questo che stavi facendo? Cercavi la tua Edvige? E fai mangiare a me i suoi resti?”

A quel commento Harry alza gli occhi, ma le labbra rimangono increspate, e va a grandi passi verso l’armadietto delle porcellane. “Usciamo. Faremo ripetizione un’altra volta. È una bellissima giornata,” dice dal nulla, aprendo le ante di vetro e ispezionando le sue tazze di tè.

Louis sussulta, lanciando uno sguardo fuori dalla finestra al cielo grigio torbido e alla pioggia gelida. “Ehm.”

“È il tempo perfetto per un picnic,” continua lui, prima di scegliere due tazzine chiudendo piano le ante. Si volta trepidante, squadrandolo. “Che ne dici?”

“Dico che sei pazzo da legare e che fa un freddo cane lì fuori. E piove. E un picnic potrebbe ucciderci,” risponde, sentendo ancora un po’ del gelo che l’ha accompagnato nella sua breve passeggiata fino a qui. Certo che no, non avrebbe fatto un picnic a fine novembre. E poi Harry non era una creatura delicata?

Harry sospira, portando gli occhi al cielo, raccogliendo la ciotola di fragole dal tavolo. “Non essere noioso.”

“Non sono noioso!” strilla, mentre Harry gli offre una tazzina rossa con una piccola rondine dipinta sul fianco.

“La tua tazza preferita, giusto?” chiede, l’oggetto sulla mano tesa, e Louis annuisce, borbottando mentre accetta l’offerta in un assenso biascicato.

“Non ci vengo lì fuori a fare un picnic con te,” mette in chiaro in un tono che non ammette repliche, lasciando la tazzina a penzolare a malincuore dalle sue dita.

“Invece sì. Io adoro la pioggia.”

“Buffo, perché io no. Forse la odio pure. E comunque non sono neanche sicuro che questa si possa classificare come pioggia… credo sia più dalle parti della ‘neve’, sinceramente. Visto che è inverno.”

Ma Harry nemmeno lo sente, già in marcia verso la porta.

“Ehi! Dove vai?!” gli domanda con forza, correndogli dietro per raggiungerlo.

“Da Zayn,” risponde subito quello, la testa alta.

“Per cosa?”

“Per il picnic. Voglio tutti.” Cosa accidenti—?

“Ma sei fatto?”

“Certo che no,” risponde con semplicità, e la conversazione muore mentre voltano l’angolo per la torre di Zayn.

Louis segue le grandi falcate di Harry mentre salgono le scale, la mente che si agita dalla confusione (ma che diamine…?!) finché non raggiungono la porta di Zayn ed entrano, trovando Zayn, Liam, e Niall stravaccati in diverse posizioni di noia e/o stress esausto.

“Amori miei!” li saluta Harry grandiosamente, allargando le braccia in saluto. Alle sue spalle, Louis alza gli occhi al cielo. “Siete cordialmente invitati a un picnic. Fuori. Adesso. Ciascuno si porti la sua tazza.”

Louis ride. “Come se qualcuno potesse mai essere d’ac-“

“Sai, non è un’idea malvagia,” dice Zayn dal tavolo, circondato da montagne di libri e raccoglitori.

…Come prego?

Zayn poi guarda Liam, interrogativo, valutando la sua reazione.

“Assolutamente no,” risponde Liam in automatico, e Louis fa un sospiro di sollievo. “Lo sai quanto ancora devo fare?? Non ho nemmeno cominciato i tabulati, Zayn. I tabulati,” sottolinea con impeto.

“Sto con Payne. Siete usciti? Si crepa dal freddo. No grazie. Preferisco stare qui,” dice Niall, spalmato sul divano, armeggiando col cellulare.

Zayn porta gli occhi al cielo mentre Harry mette il muso e Louis fa un balletto di vittoria mentalmente.

E poi Zayn si alza, tirando Liam per le braccia fino a rimetterlo in piedi. “Dai, amore. Ti farebbe bene un po’ d’aria fresca. Ci divertiamo. Poi per il resto della sera facciamo il tuo tabulato, sì?”

Liam mette il muso, il labbro inferiore che sporge in modo ridicolo, mentre guarda Zayn in quegli abissi di calma che alcuni chiamerebbero ‘occhi’. Louis lo vede già cedere (fantastico, davvero), fino a quando alla fine le spalle non gli cascano in segno di sconfitta e lui sospira, annuendo stancamente.

“D’accordo,” dice Liam, guardando Harry. “    Ci sto.”

Harry si illumina.

“Beh, io no,” borbotta Niall dal divano.

“Ti compro delle spogliarelliste, dell’alcol, e parlerò delle tue impeccabili doti di batterista agli amici di mio padre,” lo corrompe Harry, annoiato e impaziente.

E Niall scatta in piedi. “Vada per il picnic.”

“Oh, meraviglioso,” commenta Louis, levando le braccia al cielo mentre i ragazzi cominciano a indossare indumenti più caldi, imbacuccandosi in maglioni alla moda e infilando i piedi in pesanti scarpe di pelle. Si guarda i suoi, di vestiti – jeans aderenti rosso carminio, converse bianche, e una felpa grigia con la zip fatta non proprio del più pesante dei tessuti – e non solo non si sente vestito all’altezza, ma neanche per il tempo giusto. “Morirò di ipotermia,” dice neutro, gli occhi stretti rivolti a Harry.

“Per questo beviamo il tè,” spiega Harry come se fosse una spiegazione vera, e Louis lo guarda in silenzio mentre quello comincia ad armeggiare nelle stanze di Zayn e… comincia a preparare una teiera di tè.

Louis si massaggia le tempie.

Ma cos’è diventata la sua vita?

**

Sono fuori, diluvia acqua gelida (o, come a Niall inesplicabilmente piace descriverla, “pipì del Gigante di Ghiaccio”) e l’unica cazzo di ragione per cui Louis partecipa a questa mascherata è perché fa brillare Harry come un albero di Natale, come non aveva mai visto prima, e un po’ lo aiuta a scacciare il gelo in una maniera piccola, pacata e altruista. Cazzo, se Harry è finalmente tornato, così come suo padre, ed è apparentemente felice e di buon umore e vuole farsi un picnic nel bel mezzo dell’inverno, beh… cazzo. Non c’è molto altro da dire, no.

Almeno Liam si è portato un pallone da calcio. Con sommo orrore di Harry.

“In teoria questo sarebbe un picnic,” insiste piagnucolando, nel suo vestito rosso, tazza di tè alla mano, mentre il vento gelido gli scompiglia i ricci e gli colora i lineamenti di toni rosa pallido.

Ma tutti lo ignorano, dividendosi invece in due squadre – Zayn e Liam contro Louis, Niall e Harry – e cominciano a passarsi la palla avanti e indietro.

Giocano per un’ora buona, correndo di qua e di là nella fredda aria grigia che lascia loro i maglioni bagnati e le scarpe infangate. Li rinvigorisce, costringendo le loro membra a risvegliarsi, e Louis si ritrova quasi a essere lieto che Harry li abbia buttati fuori nel freddo invernale. Con la pelle pallida e arrossata, le guance a chiazze, le loro risate sospirate gonfiano piume delicate nell’aria gelida, spezzando il silenzio della stradina e dando al tutto un po' di colore mentre si danno il cinque sulle mani e sul sedere, complimentandosi e prendendosi in giro a ogni giocata. È una bella partita: Liam è fantastico come al solito – “Ci sono anch’io in squadra, sai.” – e Zayn è prevedibilmente abile, come lo è Niall, e ovviamente Louis non è un novellino a calcio. Ma Harry… beh.

Harry una volta tenta di dare un calcio alla palla, e quell’unica volta, vola per terra, il piede che manco ci si avvicina alla palla. Ma nemmeno da lontano.

“Merda,” sibila, dall’erba ghiacciata, ispezionandosi le mani e il completo sporco. Ovviamente aveva insistito per tenere il vestito per il ‘picnic’. Ovviamente.

“Andrà meglio la prossima volta, Styles!” urla Niall gioviale, correndo dall’altra parte del prato, Zayn e Liam ai suoi fianchi.

Louis fa per seguirli, ma c’è qualcosa di teneramente patetico nella figura accartocciata di Harry, nei suoi piedi vari messi in strambe angolature, nelle macchie di erba e di fango che ricoprono ogni centimetro del suo completo prima immacolato. Ha messo su il muso, muto e arrabbiato, e Louis sospira, mentre il ragazzo lotta per rimettersi in piedi.

“Su, Curly. Prima di farti male,” dice, porgendogli una mano, incapace di soffocare un sorriso.

Harry indugia, scrutandolo con i suoi occhi corrucciati e irritati, e Louis non sa se è il freddo o l’imbarazzo che gli arrossa le guance, ma finalmente accetta la mano che gli viene porta, e si alza precariamente in piedi.

“Il calcio è stupido,” borbotta, la mano che subito trova il suo orologio e se lo massaggia distrattamente. Distoglie lo sguardo e si fissa i piedi.

“Il calcio è bello,” lo corregge Louis.

“Non sono bravo,” si incupisce Harry, guardando l’orizzonte. “Mai stato.” Lancia uno sguardo a Louis che sta ancora riprendendo fiato mentre lo ascolta, il berretto attaccato con tutto se stesso ai capelli, le mani ai fianchi. Harry continua, a voce bassa e titubante. “Non sono mai stato una persona sportiva. Mio padre avrebbe voluto, credo, ma… Anche a scuola…” balbetta nel suo tono basso, pungolando l’erba morta con la punta dello stivale, la mano che ancora si stringe ai polsi. Finalmente, guarda Louis, gli occhi quasi infelici e sicuramente indifesi. “Non ho la minima idea di quello che sto facendo.”

E Louis scoppia a ridere. Facendo incrinare leggermente il volto di Harry, le labbra che scattano verso l’alto.

“Non fa ridere,” sostiene, ma le labbra si alzano ancora, e Louis può solo ridere, la testa all'indietro e le braccia che si reggono la pancia mentre Harry fa del suo meglio per rimanere accigliato.

“Ehi! Ragazzi! Venite sì o no?!” urla all'improvviso Liam, fendendo l’aria tra di loro.

“Sì, sì! Un attimo!” gli urla Louis di rimando, mentre finalmente la sua risata muore.

Lo sguardo di Harry si posa nuovamente per terra. Si mastica un labbro.

“Ti posso aiutare io, sai,” dice semplicemente Louis con un sorriso.

Harry alza lo sguardo, incazzato. “Forse non voglio che mi si insegni.”

Louis alza le spalle. “E allora ignorami. Però io ti insegno lo stesso.”

Harry lo fissa.

Louis lo prende come un semaforo verde.

“D’accordo, allora, prima di tutto, sbagli completamente posizione. Devi spostare il peso, così-“ poggia le mani su quelle di Harry, spostandogli le gambe nella posizione corretta.

Preso alla sprovvista, gli occhi di Harry trovano il suo volto, fermi e diretti, mentre Louis guarda i loro piedi, istruendolo a muoversi di conseguenza. Ma mentre Louis continua a parlare, le mani che ancora gli stringono piano le sue, gli occhi di Harry, fermi sui suoi, vengono agitati da un qualcosa di indefinibile, il volto liscio che si contorce dal disagio e, di colpo, si divincola dalla presa di Louis senza neanche un avvertimento. Subito diventa freddo e allarmato, lo sguardo altrove, adesso verso il cortile.

“Voglio giocare a qualcos’altro,” annuncia all’improvviso, allontanandosi da Louis, la voce sbilanciata.

Louis batte le palpebre. Cos’è successo? Osserva Harry, i suoi piedi agitati e le mani che cercano qualcosa da fare.

“Ehm, per esempio?” chiede, perché non sa che altro dire, portandosi le mani ai fianchi e sentendo un dolore persistente sotto la pelle. Ha la vaga consapevolezza degli altri che li stanno ancora aspettando, trascinandosi impazientemente di qua e di là da qualche parte nel prato alle loro spalle.

Ma prima di ricevere una risposta, Harry è già a metà del cortile.

“Harry!” lo chiama, ma lui non si volta, la camminata decisa.

E, beh, merda.

“Dove va?” chiede Liam appena Louis si è riunito a loro.

“È incazzato perché fa schifo a calcio?” chiede Niall senza giri di parole.

Louis sospira, tirandosi il berretto sulle orecchie. “Non saprei. Se n’è andato… fine. Dice che vuole giocare a qualcos’altro.”

“Nascondino.”

Tutti gli occhi si precipitano su Zayn.

“Scusa?” chiede Louis, incrinando un sopracciglio.

“Sta giocando a nascondino,” chiarifica in tono secco, indicando con il capo la direzione in cui Harry si è incamminato. “Vuole che lo troviamo. Fa sempre così.”

Giusto. Ti pareva.

“E che cazzo. Allora troviamolo, 'sto coglione, così possiamo tornarcene dentro. Cazzo se si gela qui fuori,” si lamenta Niall, aggrappandosi al cappuccio della felpa.

E si sparpagliano.

**

Non ci mettono molto a trovare Harry. E, come da tradizione, ora tocca a lui contare, quindi adesso devono andarsi a nascondere come un gruppo di topi allo sbando (perché chi può dire di no a Harry quando ride, le guance accarezzate dal freddo, gli occhi che risplendono nel sole intrappolato dalle nuvole) e Louis ne avrebbe già le palle piene di questo gioco quando si sistema scomodo su un albero, il culo dolorante e infangato, le mani che si graffiano contro la corteccia bagnata.

Sì, è riuscito a raggiungere un nuovo traguardo: oggi si è arrampicato su un albero. E potrebbe giurare che da qualche parte l'avrebbero insignito di un distintivo. Ma ora come ora non gliene frega una pippa perché Harry ha finito di contare, Harry non si vede da nessuna parte, Louis ha freddo, e Louis vorrebbe tornare dentro a ingoiare una pentola di zuppa bollente, l’adrenalina che, ufficialmente scomparsa dalle sue vene, ha lasciato dietro di sé solo ghiacciai.

Per fortuna è allora che la testolina curiosa di Harry fa capolino dal basso mentre si avvicina con cautela, setacciando il cortile con gli occhi spalancati e penetranti.

Lo osserva attraverso i rami spogli del suo trespolo, mentre quello continua a camminare piano e senza meta attorno all’albero, ispezionandone il tronco, prima di passare avanti.

No. Louis vuole essere trovato, accidenti. Fa freddo qua fuori.

Quindi si schiarisce forte la gola.

Harry piroetta su se stesso. “Ti ho sentito!” sfida, ma i suoi occhi cercano sperduti l’origine della sua voce, senza mai pensare ad alzarli.

Louis sospira, un sospiro lungo e sofferente. “Lo sai, vero, che a questo gioco fai pena?” dice, un piede che penzola dal ramo dell’albero.

Lo sguardo di Harry schizza in alto, e subito i loro occhi si incontrano.

“Che fai lassù?” chiede, stupito.

“Non ne ho idea,” borbotta, muovendosi un po’ a disagio. “Il peggio è… che non ho idea di come scendere.” Dà un’occhiata verso il basso – che non è poi così alto, a essere sinceri – prima di lanciare l’altra gamba oltre il ramo, preparandosi a scendere con un salto.

“Non pensavo fossi il tipo che si arrampica,” dice Harry, studiando i suoi movimenti incerti.

“Pensavi bene.” Scivola verso il bordo del ramo, i piedi che pendono traditori sempre più giù. Ora muore.

Harry lo guarda in silenzio. “Però sei il tipo da calcio.”

“Nemmeno, sinceramente.” Si tiene in equilibrio premendo una mano contro il tronco, pronto a precipitare. Balza goffamente giù, quasi inciampando su se stesso, e arranca nel modo più assurdo e ingarbugliato possibile, quasi crollando subito.

Li odia a morte, gli alberi.

Solo dopo che è atterrato saldamente sull’erba, finalmente in equilibrio, nota due grandi mani che lo tengono fermo ai fianchi. Sono gentili, leggere come piume, e… appartengono a Harry. Harry Styles.

Louis sposta lo sguardo dalle mani al volto che le possiede – che adesso è molto più vicino, perché a quanto pare Harry è corso per afferrarlo durante il suo capitombolo – e fissa i suoi lineamenti delicati e i suoi grandi occhi tempestosi, turbinanti e impenetrabili come il cielo sopra di loro, un caleidoscopio di emozioni che gli formicolano sotto la pelle, la vita che gli si riscalda subito per il suo tocco morbido così inaspettato e così bizzarramente scioccante.

Ma poi Harry toglie le mani e fa un fluido passo indietro, la faccia mascherata e tranquilla. Rimane in silenzio, solo i tumulti nuvolosi dei suoi occhi riempiono lo spazio tra di loro.

“Grazie, amico,” dice Louis con voce più strozzata di quando gli piacerebbe, e si sente sorridere, le guance che si scaldano contro la sua volontà. Vorrebbe fare una battuta sul fatto che allunga le mani, o insistere che non ha bisogno dell’aiuto di nessuno, ma invece continua solo a sorridere e a guardare Harry, il cui completo rosso è macchiato tristemente di fango ed erba, bagnato dalla pioggia gelida e appiccicato alla sua pelle. La sua pelle di un bianco spettrale, che si mescola alla triste atmosfera bianca, la vena sul collo che gli pulsa appena, e ha una foglia morta e friabile infilata tra i capelli color cannella dietro l’orecchio sinistro.

È la personificazione dell’autunno.

Senza pensarci, Louis gli toglie la foglia, attento a non tirare capelli, gli occhi di Harry che osservano ininterrottamente i suoi gesti, sulla difensiva, ma senza fermarlo, privi di espressione e un po’ cupi, forse un tantino a disagio.

Louis gli mostra la foglia, una volta estratta. “Foglia,” spiega, senza che ve ne sia bisogno, la voce impacciata. Gli prude la pelle. E la gola.

Lo sguardo di Harry continua a trapassarlo.

E poi d’un tratto gli prende la foglia di mano e la lancia in aria con un gesto ampio e netto, un mezzo sorriso impertinente sul volto che si intromette nella strana (strana) atmosfera tetra che si è creata, lasciando un'aria più piacevole.

Entrambi osservano la foglia turbinare, cadere in un vortice pigro fino ad atterrare sulla terra umida e ingrigita, camuffata dal fango e dalle tane delle talpe.

“Persefone è ritornata da Ade.”

Ed è l’ultima cosa che Louis si aspetta, quindi batte le palpebre voltandosi verso Harry, le sopracciglia che schizzano su. “Scusa?”

Harry si gira verso di lui, le ciglia bagnate e appiccicate che delicatamente vanno su e giù. “È caduta l’ultima foglia,” spiega con semplicità, indicando la terra. “Demetra piange perché la figlia ha fatto ritorno agli inferi.”

Louis continua a fissarlo.

Ma a Harry non importa, continua a parlare con una voce che sembra una lenta goccia languida, gli occhi colorati appena di un divertimento onirico. “Demetra controlla il grano, il raccolto e le stagioni. Il clima riflette i suoi sentimenti.” Harry alza lo sguardo sul cielo grigio e burrascoso, stringendo gli occhi contro la luce tenue e le precipitazioni. “Ecco perché è tutto grigio e morto. È triste perché si sente sola. Le manca sua figlia.”

Louis lo guarda, guarda le sue labbra ripescare le parole dalla memoria.

 “Anche il freddo? È perché è infelice?” chiede, gli occhi che saettano sul volto di Harry. 

Harry annuisce, guardando ancora il cielo.

Per qualche inspiegabile ragione, gli sale il magone. E benché non c'entri niente con Harry, sul serio, – sembra vicino alla felicità come non lo ha mai visto –, si sente lo stesso scosso, ha una sgradevole sensazione allo stomaco.

Incresca le labbra prima di avvicinarsi alla foglia caduta, raccogliendola da terra.

L'altro volge di scatto la testa verso di lui. “Che fai?”

“Me la conservo.”

“Perché?” chiede, sorpreso.

“Nel caso le dovesse mancare Persefone, gliela mostrerò,” spiega come se fosse una conversazione logica. Ma Harry non ride né alza gli occhi al cielo, e allora non lo fa nemmeno lui.

“Ma non la intristirebbe di più?” protesta quello, come un bambino curioso.

Louis scuote il capo. “No, non credo. Credo che sia un ottimo modo per ricordarle che tornerà presto.”

E allora Harry sorride, generando abbastanza luce per l’intero universo e facendo sì che per un attimo Louis si dimentichi che fuori non c’è il sole. Ha un che di meraviglioso.

Ma poi:

“Ragazzi! Mi si stanno gelando le palle!”

Niall si sta avvicinando a loro con passo pesante, inzuppato e ansante, i capelli un completo disastro. “Stiamo ancora giocando a questo gioco del cazzo o uno di voi due coglioni si è scordato di farci notare che siete stati trovati?”

Harry e Louis si lanciano uno sguardo.

“Come pensavo. E adesso porca troia, muovetevi! Gli altri stanno aspettando.”

E con un’ultima occhiata reciproca, tornano alle stanze di Zayn.

**

Il resto della giornata procede bene.

Studiano sporadicamente – o meglio, Liam studia sporadicamente – e sonnecchiano, con vestiti caldi e asciutti che li coccolano. Harry accende candele profumate (“al profumo di fragola, ovviamente. Qualunque altro profumo mi distruggerebbe.”), mentre Zayn inala sigarette e disegna sulla pelle di tutti con un pennarello nero. Abbondano cibo e console e battute che fanno ridere solo per il modo in cui ci ridono su, e c’è un’aria di meraviglia.

E Louis si sente felice.

Felice, in piedi accanto al focolare di Zayn, cerca di dare un senso ai suoi capelli scarmigliati – dopo essersi finalmente sbarazzato del suo triste, tristissimo cappello di lana che adesso profuma di erba e sudore – quando all’improvviso Harry gli si avvicina, tazza di tè in mano, con addosso un maglione immacolato rosso e dei pantaloni tra il marrone e il nero. Che non dovrebbero essere belli come sono.

“Louis Tomlinson,” lo saluta, e prende un sorso dalla sua tazza, studiando i gesti di Louis nello specchio. “Fai compagnia ai tuoi capelli?”

“Mi sa che è il contrario, sinceramente,” borbotta, cercando di sistemare il disastro delle sue ciocche. “E me ne stanno tenendo pure troppa, di compagnia.”

Harry sogghigna, continuando a osservarlo. Il suo sguardo è tranquillo e riflessivo, e Louis fa del suo meglio per continuare i suoi affari e non incontrare il riflesso di quegli occhi. Anche se un po’ ne ha voglia. Anche se già avverte un immotivato sorriso di soddisfazione farsi strada sulle sue labbra per la semplice ragione che Harry gli si è avvicinato di sua sponte. Come se per loro due fosse normale.

Come se fossero amici.

“Do una festa domani,” dice di colpo, le labbra grandi e rosse, dello stesso colore del maglione. “Per la fine del semestre, chiaramente.”

“Chiaramente.”

“Ti è permesso presenziare.”

“Oh, ma davvero? Mi è permesso?” dice Louis, sopracciglia inarcate, voltandosi verso Harry, le cui labbra si increspano. “Interessante modalità di invito. Come se avesse alcun peso sulla mia decisione riguardo la mia presenza.”

Harry alza gli occhi al cielo e scuote il capo, ma le labbra gli si increspano ulteriormente.

“Sai non sono bravo a seguire gli ordini,” gli ricorda con un sorrisetto, tornando allo specchio.

“Sì. Lo so.”

E lui è felice.

**

Alla fine, Niall, Louis e Harry si incamminano alle loro stanze.

Hanno le braccia tutte intrecciate, mentre Niall cammina tra loro spingendoli in avanti, saltellando come un indemoniato (ha bevuto quando nessuno lo teneva d’occhio?) e Harry sorride tra sé e sé passeggiando, un braccio tirato da Niall, mentre Louis gli lancia sguardi e fa delle battute rumorose e provocatorie per distrarre gli altri dai suddetti sguardi.

Poi improvvisamente Niall scatta in avanti senza spiegazione, facendo schioccare i tacchi nelle vera personificazione di un lepricano del cazzo.

“Sei uno stereotipo di merda!” gli urla Louis e Harry ridacchia. Louis si ferma, si volta a guardarlo e abbassa le mani dai lati della bocca, a mo’ di megafono, e lo fissa, sorpreso.

Una risatina? Harry? Prego? È un trip allucinogeno?

Guarda avanti a sé mentre Harry osserva Niall con qualcosa che potrebbe essere etichettato come dolcezza e semplicistico divertimento, o persino delizia. Cosa che gli strappa un sorriso largo prima di voltarsi anche lui a guardare Niall, che ora corre a cerchi lungo il sentiero.

“Forse dovrei inseguirlo, quel bastardello,” medita Louis, lanciando un altro sguardo a Harry, continuando a sorridere.

Quello annuisce. “Già.”

“Però, ehm, ci vediamo domani, no?” chiede, schiarendosi la gola con indifferenza e aggiustandosi la frangia.

“Sì,” dice Harry, un po’ distrattamente. “Sì, ci vediamo alle cinque in punto da me.”

“Alle sei, allora?” lo stuzzica.

Harry ghigna, gli occhi che seguono Niall in lontananza.

L’atmosfera è pacifica quanto basta, il cielo è stellato quanto basta, e le urla e i comportamenti fuori di testa di Niall sono comici quanto basta da mantenere la situazione su un versante meno che serio, quindi si schiarisce la gola, si gratta la nuca, e continua.

“Ma, cosa, cioè, cosa fai domani durante il giorno? Cioè prima delle cinque?” chiede. Si morde il labbro, aggiustandosi il cappello.

Harry assume ora un’aria confusa, espressione corrucciata, quando si volta per guardarlo. “Che vuoi dire? Durante il giorno? Non lo so.” Lo esamina. “Perché.”

“Beh, non lo so. Probabilmente Niall sarà impegnato a fare, beh, Niall tutto il giorno. Giù con la batteria ecceteraeccetera. Fumo. Alcol. Urla. Risate. Masturbazione.” Un’altra risata sfugge alle labbra di Harry, breve e improvvisa, prima di rivolgere un’altra espressione leggermente più composta a Louis, che gli sorride in risposta. Potrebbe farci l'abitudine. “E, beh, mi pareva che il nostro accordo stesse funzionando, quindi. Sarebbe orribilmente inopportuno se mi ospitassi un altro giorno? Solo per qualche ora mentre finisco i compiti e butto giù qualche appunto? Porto vino alla fragola o quel che ti pare. Se è ancora la tua fissa, ovvio.”

“In realtà credo di aver chiuso, con le fragole,” dice solo, battendo le ciglia.

“Oh, bene. Sono più un frutto estivo, non ti pare? Ti serve qualcosa di più invernale, qualcosa che stia meglio con la stagione.”

Harry alza un sopracciglio. “Davvero?”

“Sì. Tipo… che so. Qualcosa di caldo e accogliente.”

Harry sospira, portando gli occhi al cielo. “Non scelgo io i miei interessi, Louis, sono loro che scelgono me.”

E forse è perché è stata una giornata così positiva, o forse per il modo in cui Harry pronuncia il suo nome, ma Louis decide che, forse, Harry ha davvero un che di affascinante quando non rigurgita battute pronte o parole di piacere passeggero. Forse ha davvero, di natura, un che di tenero. E forse c’è più vita autentica dentro di lui di quanto non avesse pensato in origine. La vita ha solo bisogno di essere coltivata, con premura e attenzione. E forse Harry non è così lontano, forse non è perso negli angoli di tenebra.

O forse lo era e ora non lo è più.

“Beh, forse posso persuaderli a farsi piacere te, allora. Sono una creatura influente,” sorride.

Gli occhi di Harry tornano su di lui. “Forse. A domani allora, Tomlinson.”

“Di primo mattino, Styles.”

Poi si scambiano un ultimo cenno di saluto – Louis con sorriso e Harry con lo sguardo perso nel cielo notturno – e Louis fa per allontanarsi, dritto nella direzione di Niall, ormai fuori dal suo campo visivo.

Ma poi si ferma, voltandosi indietro a guardare Harry, che ha le mani infilate nelle tasche del suo lungo cappotto nero con gli occhi alle stelle.

“È bello vederti sorridere, Curly. È quasi snervante e alieno, a dire la verità – come vedere uno scimpanzé con delle gambe da urlo-“ Harry ride di nuovo, una risata forte, improvvisa e corta, “-ma è bello.”

E Harry non risponde, scuote solo il capo e morde un sorriso prima di voltarsi e camminare lontano, le gambe lunghe che lo trascinano nella notte.

NdT. Ehm. Ciao? Okay, sono passati otto mesi. Ma i mesi sono solo convenzioni numeriche che il governo utilizza per controllarci!! Or something. Non sono ubriaca, dispiaciuta e imbarazzata forse. Diciamo che ne ho passate di bruttissime in questo periodo, roba che se ci penso mi rimetto sotto le coperte per altri tre anni e questa traduzione poi si vede, se non muoio prima. È circa un mese che sono inspiegabilmente felice perché le cose sembrano finalmente andare come dico io (also, sembra che io abbia finalmente imparato ad alzare il culo per ottenere quello che voglio quindi yay). Ragion per cui ho aspettato un po' per vedere se era un miglioramento passeggero, ma pare di no. E subito ho pensato, fammi vedere se c'è ancora gente che se la legge questa fanfiction. Questo pare di sì. Quindi mi commuovo un po', che mi piace tanto tradurre questa bellissima storia e mi piace ancora di più vederla amata quanto merita. Vabbè sono una palla. Un bacio grande, e speriamo di farcela (in generale).

P.S. Canzone del capitolo: The Bleeding Heart Show dei The New Pornographers.
   
 
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