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Autore: Niruh    21/04/2016    3 recensioni
Andrea ha 23 anni e una vita monotona tra università, amici e bar in cui lavora per mantenersi lontano da casa. Un giorno però nel suo locale entra Vanessa, una ragazza solitaria dai tratti delicati e orientali. Vanessa è talmente persa nel suo mondo e così poco consapevole della propria bellezza che Andrea se ne innamora all'istante, ma sa così poco di lei che quando scompare per l’ennesima volta può solo aspettarla, o no?
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tè al Ginseng

Capitolo 7

“Sai che fra poco atterreremo su un aeroporto che in realtà è un’isola artificiale e che a causa del suo peso sul fondo sabbioso dell’oceano è sprofondata di dodici metri?” Ezio fornì l’informazione ad Andrea in un assurdo tentativo di fomento. Andrea sapeva che quella dell’amico era solo curiosità su strutture ed edifici, ma lui preferiva non sapere certe cose. Soprattutto a duemila metri d’altezza.
Guardò fuori dal finestrino e gli parve di essere ancora più in alto. Stava calando la sera e questo non faceva che accentuare quella sensazione di vuoto sotto i piedi.
“Ma tranquillo. Gli ingegneri giapponesi sono dei geni” gli spiegò Ezio piegandosi leggermente per guardare anche lui il panorama con un gran sorriso soddisfatto, come se fosse stato lui a sistemare il problema.
“Hanno bloccato il cedimento e ora è inferiore ai venti centimetri l’anno”
Andrea pensò che la cosa non lo rassicurava affatto. C’era poco da scherzare, lui attirava le sfighe ed inciampava da seduto. Poteva capitargli di tutto.
“Sono offeso che tu non me ne abbia parlato sedici ore fa, avrei passato il viaggio a pensare ai ricordi belli della mia infanzia” disse Andrea scherzando solo in parte.
Era stato un viaggio sfiancante, ma pensare a Vanessa lo aveva tenuto vigile e attento. Non solo alle loro valigie, ma anche a quello che Ezio ciarlava in inglese al personale in aeroporto o in aereo.
Aveva scambiato messaggi con Vanessa appena ne aveva avuto la possibilità nelle zone con la connessione gratuita ed aveva provato ad essere evasivo su quello che stava facendo.
Se potesse vedermi in faccia, mi sgamerebbe subito.
“Questa guida dice che dobbiamo assolutamente provare le polpette di polpo” disse Ezio alzando l’opuscolo su Osaka che aveva preso a Tokyo. L’ultimo scalo infatti l’avevano fatto proprio lì e l’aeroporto era pazzesco. Avevano vagato per un’ora inebetiti da tutto quello che si trovavano davanti agli occhi.
“Ti devo ricordare perché siamo qui?”
Ezio alzò gli occhi al cielo. “Lo so benissimo, ma devo parlare con la gente del luogo per trovare la tua dama. I venditori ambulanti di polpo sembrano saperla lunga” e ammiccò nella sua direzione.
Andrea gettò di nuovo lo sguardo fuori dal minuscolo finestrino e pensò a Vanessa.
La terra da lì sembrava piccola e piena di luci, ma questo non faceva che accentuare quanto fosse grande e rimarcare nella sua testa quanto sarebbe stato difficile trovare la ragazza.
Ma i ripensamenti erano meno di quanti ne avrebbe immaginati. Voleva conquistarla, baciarla, stringerla a sé. Voleva rendere reali mesi e mesi di sguardi rubati e bozzetti.
Quando scesero dall’aereo e gettarono uno sguardo verso la struttura dell’aeroporto Ezio emise uno sbuffo curioso.
“Quel marpione di Renzo Piano. Lo riconosci ovunque” disse guardando la copertura a forma di ala della struttura.
Mentre il vento gli sferzava sul viso Andrea guardò la città collegata all’isola artificiale e si aggrappò alla speranza di trovare presto Vanessa e dirle finalmente tutto quello che provava per lei.
Quella sensazione che lo legava a lei lo aveva accompagnato per tutto il tempo e strinse forte la tracolla in cui aveva messo il libro della ragazza.

La città gli si rivelò speziata, piena di colori e vita. Non aveva mai visto niente di simile. I grattaceli si scontravano visivamente con i piccoli negozietti di specialità locali e le luci brillavano sotto il cielo scuro. La strada poi, gli sembrava infinita.
“Ho bisogno di un attimo” rivelò ad Ezio fermandosi.
L’amico posò lo zaino a terra e lo guardò leggermente preoccupato.
“Ehi, tutto bene?” chiese.
Andrea inspirò un paio di volte. Gli mancava l’aria, improvvisamente.
Sembrava che la foga, la fretta, avesse incontrato l’aria fredda per poi rimandarla nei suoi polmoni, spiazzandolo.
“Non la troverò mai. E’ una pazzia”. Si piegò un po’ e posò le mani sulle gambe.
Ad Ezio sembrò di rivederlo ad otto anni al campetto di calcio, nel panico e senza aria dopo aver scoperto da un compagno che i suoi genitori avrebbero divorziato.
“Ci sono io qui” gli disse posandogli una mano sulla spalla.
Poi abbozzò un sorriso. Se c’era una cosa in cui era bravo, da sempre, era far star meglio il suo migliore amico.
“So cosa ti ci vuole. Un bel piatto di qualsiasi cosa riusciremo ad ordinare”.
Andrea fece una risata che uscì quasi come uno sbuffo e si trasformò in vapore nell’aria fredda.
Entrarono in un piccolo locale caratteristico. La lunga descrizione in giapponese dei piatti non spaventò Ezio che sfoggiò il suo miglior inglese per ordinare. Non gli servì a molto, in realtà.
“Yes, that. Quello” e indicò la foto di una ciotola di ramen. Provò anche a mimarla.
Two” continuò mostrando due dita. La ragazza dietro al banco cercò di non ridere e gettò uno sguardo complice ad Andrea confermandogli che aveva già capito l’ordine da un pezzo.
Presero posto ad uno dei tavolini e poco dopo la stessa ragazza portò loro due grandi ciotole fumanti.
Il profumo che il vapore sprigionava nell’aria era così buono che per un attimo i ragazzi dimenticarono persino se stessi.
Andrea tolse la sciarpa e, nel posarla sulla panca, perse il sorriso che la ragazza gli rivolse.
“Ehi, tu hai già la tua di dama” sbottò Ezio fintamente seccato.
Andrea guardò l’amico confuso per poi prendere un paio di bacchette di legno e dividerle.
“In che senso?”
“Stai scherzando, vero?” Le sopracciglia di Ezio si alzarono per rimarcare il suo stupore, ma Andrea lo ignorò e iniziò a mangiare.
Assurdo.
“Come faremo a trovare Vanessa?” chiese Andrea dopo il primo boccone bollente.
Ezio prese una porzione bella grossa e la studiò per poi mangiarla piano. Dopo prese un pezzo di carne sotto lo sguardo attento di Andrea e masticò anche quello molto lentamente.
“Oh, Dio. Non hai la minima idea di come faremo” capì Andrea.
Ezio si offese.
“Ehi, anche se hai proposto tu questa pazzia, se non ti avessi detto che sapevo come fare non saresti mai venuto.”
Andrea sapeva che l’amico voleva solo aiutarlo, ma essere così vicini a Vanessa senza la minima traccia su come trovarla era ancora più frustrante che essere a migliaia di chilometri da lì.
“Ci dormiremo su e troveremo qualcosa. Sai che ragiono meglio sotto pressione” disse Ezio addentando altra carne. Andrea notò che aveva ripreso il suo solito ritmo. Scosse la testa.
“Come quella volta all’esame di stato?”
“Esattamente. Quel cento è scritto a penna sul mio diploma, mio caro Andreuccio” disse Ezio assumendo un’espressione fiera.
“Ancora non so come te l’abbiano dato, quel cento” rimarcò Andrea ripensando all’improvvisazione dell’amico sulla domanda di storia dell’arte. Ezio aveva sempre avuto ottimi voti, complice la volontà e la scioltezza nell’esprimersi. Ma quella volta, Andrea se ne era accorto, era stato colto di sorpresa. Aveva sfoggiato un’improvvisazione degna di teatro e conquistato lo stupore del professore esterno.
“Perché sono geniale e non posso farne a meno. Troverò la tua dama grazie alle mie abilità”.
Ezio era sicuro, profondamente sicuro. O almeno così doveva mostrarsi ad Andrea. Così come aveva fatto all’esame di maturità grazie alla sua faccia tosta.
Ma in quel momento c’era molto di più in ballo. Cercando di conquistare quella ragazza, l’amico aveva finalmente mostrato la scintilla di un tempo nello sguardo, quella forza che solo la pittura sapeva dargli e lui avrebbe fatto di tutto perché non la perdesse.
Trovare l’ostello non fu difficile come pensavano. Andrea era stanchissimo tanto che a stento riuscì a lavarsi. Tra gli occhi pesanti e la sensazione confortante delle coperte, scrisse la buona notte a Vanessa sperando di vederla al più presto.
Ezio vide l’amico crollare e fissò il soffitto illuminato dallo schermo del cellulare di Andrea.
Doveva esserci un modo per trovare quella ragazza. Doveva.

Il mattino seguente quando Andrea si svegliò ci mise un po’ per ricordare dove fosse. La stanchezza l’aveva messo al tappeto e aveva persino ignorato le sue solite preoccupazioni.
Pensò di scrivere a Vanessa il buon giorno, ma sul comodino non c’era traccia del suo cellulare. Eppure ricordava di averlo messo lì poco prima di addormentarsi.
Prima che provasse a tornare allo stato mentale della sera prima, Ezio entrò dalla porta.
Deve essersi svegliato presto. Non ho mai capito come fa.
“Ehi” disse Ezio.
Indossava la giacca, segno che era stato fuori dall’edificio. Doveva anche esserci del vento a giudicare dai suoi capelli. Era quasi buffo non vederlo perfettamente pettinato.
“Ha chiamato tua mamma e sono andato fuori perché qui prende malissimo”
Avevano attivato un’offerta per l’estero, ma solo sul cellulare di Andrea. Ezio glielo passò.
“Ma è tardissimo in Italia” notò Andrea. Facendo un veloce calcolo infatti ipotizzò che fosse l’una di notte.
“Ieri sera non l’abbiamo chiamata e si è preoccupata” spiegò Ezio togliendo la giacca.
Andrea lo vide andare in bagno e tornare dopo poco con il suo solito sorriso malandrino.
“Allora, mio Andreuccio dalle dubbie qualità orientative, oggi dovrai fare una cosa sola.”
Andrea per un attimo quasi temette di sentire il resto.
“Fidarti di me” concluse Ezio.
Perfetto.


Vanessa si guardò allo specchio. L’immagine che gli si mostrò di fronte era quella di un viso bianchissimo e la figura coperta da uno stupendo abito tradizionale quasi non le sembrò la sua.
Quel vestito doveva essere costato parecchio. Lo si capiva dai ricami fatti a mano e dal tessuto lucido e candido in contrasto con il blu lapislazzulo della fascia sotto al petto.
“Dillo”
“Che sembri appena uscita da un drama storico?” chiese Lara di getto sistemandosi meglio sul letto.
“No, che è una pagliacciata” disse Vanessa.
“Ti farebbe sentire meglio?” Lara conosceva talmente bene la sorella che non fu sorpresa dal suo sospiro.
“No, ma lo vorrei tanto” le confidò Vanessa.
Si guardò allo specchio un’altra volta e si sentì egoista. Di tutti i pensieri che potevano riempirle la testa in quel momento –il costo di quella stoffa, l’incontro, suo padre- lei pensò a quanto avrebbe voluto che Andrea la vedesse con quel vestito che sembrava darle una bellezza ormai persa e dimenticata.
Gettò uno sguardo al cellulare e pensò che di lì a qualche giorno avrebbe rivisto il ragazzo, lì nel suo mondo. Così lontano, ma per molti versi così simile a quello italiano.
“Devi resistere solo oggi” le ricordò Lara.
Vanessa lo sapeva benissimo. Quello era l’ultimo incontro, dopodiché suo padre le avrebbe lasciato spazio per le sue scelte.
Portò il viso più vicino allo specchio e stappò l’eyeliner per poi metterlo con attenzione, ma la mano le tremava.
Sentiva quel calore in petto al pensiero di Andrea, ma nervosismo al pensiero di suo padre.
E gli aveva anche parlato.
Forse è questo?
Parlargli aveva rotto un equilibrio abitudinario. Sembrava che questo la condizionasse anche senza esserci più.
“Come mai hai deciso di accompagnarmi?” chiese Vanessa alla sorella. Sapeva quanto Lara si annoiasse in situazioni simili e l’aveva meravigliata non poco quella mattina nel dirle che sarebbe andata con loro.
“Vedilo come supporto morale” le rispose semplicemente. Poi sorrise e prese l’eyeliner dalle mani della sorella per aiutarla. In un attimo tracciò una linea morbida e ben definita.
“Vedi, hai bisogno di me”

L’edificio dove si sarebbe svolto l’incontro era un po’ lontano dal centro e quando arrivarono Vanessa si meravigliò di tutta quella natura.
Nel bel mezzo di un bellissimo giardino orientale c’era una locanda in legno che sarebbe stata perfetta in un quadro.
“Caspita” disse Lara togliendole le parole di bocca.
Vanessa pensò ad Andrea. Lo rivide con il cavalletto e il carboncino mentre lanciava occhiate all’edificio della stazione.
E non poté fare a meno di immaginarlo lì, intento a catturare i colori di quell’ambiente con pennellate premurose.
Controllò il cellulare. Gli aveva risposto per il buon giorno e lesse l’ultimo messaggio.

Ti penso.

Quasi avvampò, ma un sorriso le illuminò il viso. Ignara che Andrea, dall’altro lato del cellulare, cercava di rimediare all’imbarazzo con un altro messaggio.

Non mi hai più mandato foto del mio ombrello. Non l’avrai fatto fuori, spero.

Vanessa gettò uno sguardo a suo padre che la stava aspettando e scrisse in fretta.

L’ho costretto a dirmi cose imbarazzanti su di te.

Andrea rispose dopo pochi secondi.

Spero non ti abbia raccontato della mia identità sotto copertura.

Vanessa scosse la testa.

L’ha fatto, detective.

“Vanessa!” la chiamò suo padre. Lei si riscosse, ma prima di incamminarsi scrisse un ultimo messaggio.

Anch’ io ti penso.


“Taxi!” Ezio gridò alla strada per l’ennesima volta, ma nessuno si fermò.
“Dici che devo mostrare la gamba?” chiese voltandosi verso Andrea che inutilmente sventolava la mano con il pollice all’insù.
“E se qui significa qualcosa di offensivo?” chiese dopo poco ad Ezio riferendosi al segno dell’autostop.
Ezio ricacciò la cartina dalla tasca e scosse la testa.
“Dobbiamo prendere per forza il taxi per andare lì” considerò.
“Non credo sia una buona idea, sai?” gli fece notare Andrea per la milionesima volta.
“Ti devi fidare di me”
Andrea si fidava dell’amico, da sempre, ma trovava la sua decisione solo una perdita di tempo.
Ezio tracciò con le dita il percorso che li avrebbe portati a destinazione.
“Ti piacerà” disse con sicurezza continuando a guardare la cartina. “Era sulla guida e ci darà tempo per pensare.” Spostò un ciuffo dal viso.
“Hai presente che quando cerchi qualcosa non la trovi, ma poi quando smetti di cercarla magicamente compare davanti ai tuoi occhi? E’ lo stesso principio”.
Andrea pensò che l’amico doveva essersi scolato litri di sakè mentre lui legava i lacci delle scarpe.
C’era una bella differenza tra una penna o un paio di calzini dimenticati da qualche parte in camera che una persona in un paese straniero.
“Non ha sen-“ iniziò, ma in quel momento un taxi si fermò ed Ezio ci si infilò dentro come una scheggia.
“Andrè, spicciati!”
C’erano un milione di motivi per non salire su quel taxi. Doveva trovare Vanessa e quello non l’avrebbe aiutato per niente. Il suo amico era diventato improvvisamente pazzo e l’autista aveva uno strano monosopracciglio.
La testa gli disse di girarsi ed infilarsi nel primo internet cafè per scrivere a Vanessa e fare la figura del deficiente nel rivelarle cosa aveva fatto. Ma almeno l’avrebbe trovata.
Se lei accetta di vedermi dopo tutte queste stronzate.
Mentre la sua testa macinava idee, supposizioni e si contorceva su se stessa, il corpo di Andrea l’aveva già fatto sedere nel taxi.
“Bravo, Andreuccio” disse Ezio soddisfatto.
Dopodiché l’autista partì come un pazzo.

“E l’istruzione? Qui c’è scritto che sta ancora studiando”
Vanessa alzò la testa e vide che la donna dava più attenzione al foglio con le sue referenze che a lei.
Si era ridotta a quello? La sua vita era riassunta su quel foglio e veniva giudicata come ad un colloquio lavorativo.
Pensò che bastava resistere, arrivare a fine giornata e scrivere ad Andrea.
Sarebbe stata bene.
“Esco un secondo, oka-san” fu il ragazzo a parlare e ad un cenno della madre si alzò ed uscì fuori sul portico.
Vanessa non aveva affatto voglia di rimanere lì ad essere analizzata dalla donna o a guardare quanto fosse teso suo padre. L’uomo sapeva che lei non avrebbe accettato nessun fidanzamento, ma non aveva cancellato l’incontro per rispetto e si stava comportando molto bene, anche se la donna non aveva affatto gli stessi modi garbati.
Vanessa uscì da un altro balcone e con sorpresa trovò il ragazzo insieme a Lara. Stavano fumando e chiacchierando, ovviamente in Giapponese.
“Oh, eccola” disse Lara lanciando alla sorella un cenno.
“Ichiro mi stava raccontando che ha conosciuto la sua ragazza ad unKonpa. Che cosa ironica” ridacchiò Lara per poi controllare il cellulare. Vanessa cercò nella mente la definizione di quella parola e ripescò le uscite di gruppo tra i ragazzi, una sorta di forma moderna di omiai, senza genitori. Poi recepì l’intera frase.
“La tua…ragazza?” chiese irritata.
Non le importava affatto se lui fosse impegnato o meno, le importava solo quello che implicava. Ed era che suo padre era stato preso in giro.
“Mia madre non lo sa” le confidò lui accigliato. “E calmati” prese una boccata.
Che tipo odioso!
“Ok, calma” disse Lara prevedendo aria di tempesta tra i due.
“Fai poco l’offesa, mia madre ha accettato l’incontro solo perché sei una gaijin. Mio padre è stato arrestato anni fa e per le famiglie sono irresponsabile solo per le scelte fatte da mio padre” rise gesticolando, come se fosse la cosa più divertente del mondo.
Vanessa pensò che doveva essere terribile vivere con un marchio del genere. Anche in occidente ne sarebbe stato marchiato, ma in Giappone era ferro ardente sulla pelle.
Lara era ammutolita e gettò uno sguardo a Vanessa.
La ragazza ripensò a quanto aveva sofferto sentendosi inadeguata, solo perché pronunciava in modo diverso una parola o il suo volto mostrava qualche segno occidentale. Era nulla in confronto a quello.
“Poi tuo padre. Non potrebbe trovarti un marito neanche pregando tutti i giorni al tempio. Che tipo antico e insulso”
Vanessa pensò di sferrargli un pugno così forte che le formicolarono le mani.
“Come scusa?”
Lara doveva averle visto qualcosa nello sguardo perché scattò e le posò una mano sul braccio.
Il ragazzo si girò e fece un riso beffardo.
“Ho detto che tuo padre è insulso. Neanche la moglie si è saputo tenere. Mio padre è stato arrestato, ma la moglie non gliel’ha tolta nessuno”
Vanessa sentì qualcosa di strano nella bocca dello stomaco. Voleva picchiarlo, ma voleva anche volare in Italia, affondare il viso tra le braccia di Andrea ed estraniarsi da tutto.
Fece l’unica cosa simile che le venne in mente, o meglio furono i suoi piedi a farlo e la portarono via da lì.
Non si aspettava di trovare suo padre, in piedi accanto alla porta, ferito dall’aver ascoltato tutto.
Eppure Vanessa sapeva che non erano state le parole del ragazzo a fare del male a suo padre, ma la mancanza di quelle in sua difesa.
Abbassò gli occhi e tenendo il vestito camminò senza fermarsi, verso qualcosa che non le facesse male.
Il suo rifugio fu un piccolo ponte su un laghetto talmente limpido che sembrò poter riflettere persino il suo stato d’animo.
Oh, nonna, è tutto sbagliato. Non dovrei essere qui. Avrei dovuto parlare e picchiarlo.  Non sarei dovuta venire.
Se avesse parlato con Andrea, se fosse stata sincera fin da subito con suo padre. Non era stata capace nemmeno di rispettare quel loro ultimo accordo.
Le mancava casa, le mancava la sua nonna. Per un attimo le mancò anche il respiro pensando a che disastro di ragazza avrebbe presentato ad Andrea. Incapace di difendere se stessa, figurarsi gli altri.
Una folata le mosse la ciocca più lunga di capelli che ogni tanto le andava davanti agli occhi, mentre le foglie venivano suonate dal vento.
“Ehi”
Non era stato solo il vento a muoversi.
Vanessa lo intravide con la coda dell’occhio e si girò lentamente, come se temesse di essere stata burlata da un’allucinazione.
Ma non stava sognando. Lui era davvero lì.
Il ragazzo del carboncino e del tè la stava guardando. Ed aveva il sorriso più bello che Vanessa avesse mai visto.








Note dell'autore:
gaijin-> straniero
E' stato un mese da pazzi tra influenza, università, lavoro e studio. Spero che questa lunga attesa vi ripaghi. Comunque mi farò perdonare con il prossimo capitolo che pubblicherò a giorni :D
Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite e le seguite e che hanno recensito.
  
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