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Autore: vanessie    22/04/2016    7 recensioni
La storia sviluppa alcuni personaggi di mia invenzione presentati nella fanfiction "Sunlight's Ray".
Una vicenda ricca d'amicizia, amore e problemi della vita quotidiana con cui ogni adolescente si trova a fare i conti...narrati da una prospettiva femminile e maschile. Non mancherà un pizzico di fantasy e un richiamo ai personaggi originali della Meyer!
Per avere una migliore visione delle cose sarebbe meglio aver letto Sunlight's Ray 1-2-3, in caso contrario potete comunque avventurarvi in Following a Star!
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sunlight's ray'
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Capitolo 2

“Una nuova vita”

 

POV Kevin

Il grande giorno era arrivato. Il 15 giugno entrai in aeroporto con zio Ethan e zia Valerie, il volo per Londra sarebbe partito tra due ore e il pensiero di lasciare gli U.S.A ancora non riusciva a rendermi tranquillo. Certo…a Dublino mi sarei iscritto all’università e avrei conosciuto nuovi amici, inoltre avrei abitato con gli zii e questo mi garantiva la presenza di un caldo affetto familiare, ad ogni modo stavo lasciando i miei amici d’infanzia, le mie sorelle e i miei genitori, dunque mi sarebbe servito del tempo per ricominciare una vita nuova in un posto nuovo. Ci imbarcammo e presi posto in mezzo agli zii. Ethan, alla mia sinistra, aveva il posto finestrino e si dilettava a scattare foto e a dare un’occhiata alla rivista della compagnia aerea. Valerie, alla mia destra, aveva aperto un libro e si era immersa nella lettura. Gli zii non avevano figli, purtroppo questo aveva fatto soffrire molto la zia, che per ragioni di fertilità non aveva potuto coronare il sogno di diventare madre. Proprio per questa ragione, entrambi avevano riversato tutto il loro amore su me, Nicole e Amy. Fin da quando eravamo piccoli infatti erano sempre stati calorosi e disponibili con noi nipoti. Controllai l’orologio e mi resi conto che eravamo già decollati verso l’Europa da tre ore e mezzo. Avrei dovuto fare i conti con una differenza di fuso orario non indifferente una volta atterrati. Mi immersi nei miei pensieri mentre ascoltavo la musica con le cuffie. I corsi alla facoltà di veterinaria sarebbero iniziati per me tra poche settimane e dovevo prendere un po’ d’informazioni a riguardo. Chissà se avrei trovato qualche amico simpatico…chissà se avrei incontrato qualche ragazza interessante…

Zia Valerie mi toccò la spalla ed io aprii gli occhi, rendendomi conto di aver trascorso qualche ora addormentato. “Kevin stiamo per atterrare!” esclamò. Toccammo terra ed entrammo in aeroporto. Londra Heathrow era affollata: uomini con la ventiquattr’ore che correvano a destra e a sinistra per non perdere i loro voli d’affari, turisti confusi che osservavano il monitor per controllare il gate del loro volo, hostess e piloti che transitavano da un terminal all’altro. “Guarda, tra un’ora e mezza parte l’aereo per Dublino” disse Ethan indicandomi il display delle partenze. Ci affrettammo per raggiungere la giusta zona d’imbarco e attendemmo a sedere sulle poltroncine azzurre. Il cuore iniziò a galopparmi senza sosta. Oh Dio! Solo poche ore e sarei arrivato in Irlanda, lì dove abitava la famosa ragazza della profezia. Non mi andava di conoscerla, non sapevo neppure che aspetto avesse e quali fossero i suoi gusti, perché mai avrei dovuto averci a che fare??? Cercai di mettere in un angolo quei pensieri, ripetendomi in testa che in realtà avevamo deciso di vivere in Irlanda per un periodo di tempo solo per capire meglio le cose, non perché seriamente si aspettavano che io sposassi questa tipa.

Il volo fu breve, ma quel poco tempo nella mia mente fu infinito. Atterrati a Dublino andai con gli zii in un hotel del centro storico. I Cullen ci avevano trovato questa sistemazione temporanea, tra soli due giorni infatti saremo andati a vivere in una casa situata a Dalkey, il paese d’origine di mia mamma. Andai in camera mia, adiacente e comunicante con quella degli zii. Provai a riposare per smaltire il più velocemente possibile il fuso orario…come se fosse stato facile! Ogni volta in cui provavo a chiudere gli occhi il volto di una donna sconosciuta, quella della profezia, compariva nella mia mente e venivo assalito da una miriade di pensieri. Alla fine tuttavia riuscii a dormire. Fu un sonno affollato di sogni strani, popolati da persone che conoscevo ma che non avevano nulla a che fare l’una con l’altra. Sogni ricchi di paesaggi sconosciuti, colori, suoni, ma comunque inconcludenti. Aprii gli occhi dolcemente, il mio orologio da polso segnava le 14.10. Non male, ero riuscito a riposare per 7 ore consecutive. In effetti mi sentivo meglio, la mente più lucida, gli occhi meno appesantiti e quel fastidiosissimo mal di testa causato dal fuso orario era sparito. “Ben svegliato Kevin” “Grazie Valerie” “Hai visto? Ho fatto bene a farti dormire. Si vede che stai meglio!” “Sì. Ho bisogno di farmi una doccia adesso” “Vai tesoro, il bagno è libero. Ethan è andato a sbrigare le ultime commissioni per la casa” mi informò. Mi alzai dal letto, presi dalla valigia della biancheria pulita, un paio di jeans e una maglia di cotone grigia a maniche lunghe con cappuccio. Era il 15 giugno e l’aria decisamente ventilata e pregna di pioggia, faceva sì che in Irlanda l’estate fosse davvero lontana. Le temperature erano primaverili, ma certo per me non faceva differenza. Avevo i miei 42° corporei. Entrai nel bagno e chiusi a chiave. Tolsi i vestiti che avevo e aprii l’acqua della doccia. Aspettai che si riscaldasse un po’ e mi infilai sotto al getto d’acqua. La sensazione di rilassatezza e benessere che un gesto semplice come il farsi la doccia portava con sé era favoloso. Mi sciacquai bene e usai un bagnoschiuma al muschio e limone che era in dotazione nella stanza dell’hotel. Mi lavai i capelli e, quando finii, uscii e infilai l’accappatoio. Dopo essermi asciugato i capelli, mi lavai i denti. Uhm, sì, decisamente meglio. Quel cattivo sapore che avevo in bocca se ne andò, lasciando spazio alla menta del dentifricio. Tolsi l’accappatoio e misi i vestiti puliti. Tornai in camera. Ethan era rientrato da poco e se ne stava seduto accanto a sua moglie sul divanetto della nostra suite. Guardavano distrattamente un programma televisivo locale. Finii di rivestirmi e infilai anche le mie amate Converse, avevo una passione per quelle scarpe. Li raggiunsi. “Kevin ascolta, sappiamo che per te quest’allontanamento da casa non è stato facilissimo da accettare, ma ricordati, nessuno ti obbligherà mai a far nulla, vogliamo solo capire meglio il senso della profezia, tutto qua” affermò Ethan “Sì lo so, tranquillo” “Vedrai sono sicura che ti troverai bene. Devi iniziare l’università e quale miglior occasione per farsi nuovi amici? Inoltre se hai bisogno di noi, zio Ethan ed io siamo disponibili sempre e comunque, non esitare a dircelo” disse la zia. Mi alzai e li abbracciai per dimostrargli il mio affetto.

I due giorni d’hotel trascorsero abbastanza in fretta. Stavamo per raggiungere la casa in cui avremo vissuto. Prendemmo l’autobus diretto a Dalkey e ci sedemmo. Intorno a me c’erano persone di varie età: chi tornava dal lavoro, chi da un pomeriggio tra amici. Ragazzi, adulti, signore anziane. Avevano tutti i tratti somatici tipici degli irlandesi. Pelle chiara, capelli rossi o biondi e mi guardavano un po’ come se fossi un marziano. Sicuramente doveva essere il colore della mia carnagione ad incuriosirli. Osservai fuori dal finestrino e restai affascinato dagli immensi prati verdi, dai boschetti, dalle isolate strade che portavano ai vari paesini. Scendemmo dall’autobus quando arrivammo a destinazione. Trascinai il mio trolley fino all’ appartamento che nonna Esme e nonno Carlisle ci avevano affittato. Lo trovammo con estrema facilità seguendo la cartina. L’appartamento era composto da un soggiorno spazioso, una cucina, un bagno e due camere. Era arredato in modo semplice ma funzionale e si trovava a pochissima distanza dalla fermata del pub, nel quale avrei lavorato due sere a settimana per aiutare gli zii con le spese. Non volevo gravare sulle spalle dei miei familiari. Andammo poi a fare la spesa nel vicino supermarket e comprammo un bel po’ di cose per riempire il frigorifero e la dispensa vuota. Tornammo a casa, dove aiutai la zia a sistemare la spesa, per poi passare a sistemare i miei vestiti nell’armadio della camera. Portai in bagno asciugamani, accappatoio, spazzolino, dentifricio e saponi vari. Misi le scarpe nella scarpiera dell’ingresso e poi trovai un posto per il mio computer portatile. Telefonai a mamma e papà e li rassicurai dicendogli che stavo bene, che il viaggio era stato lungo e noioso, che la casa in cui mi trovavo era carina. Quando terminai la chiamata mi preparai dei semplici panini. Ero stanco e volevo rilassarmi sul divano. Mangiati i panini mi distesi sul divano del soggiorno a guardare la tv. Trasmettevano un vecchio film che mi piaceva, sebbene lo avessi già visto parecchie volte. Mi appisolai sul divano, me ne resi conto solo quando una musica più forte proveniente dalla televisione mi svegliò. Mi alzai e andai a dormire in camera da letto. La mattina seguente mi svegliai alle 10.30. Avevo dormito benissimo, nessun rumore si percepiva nelle vicinanze. Mi alzai dal letto e, ancora con il pigiama, andai a sedermi fuori dalla porta di casa, dove erano stati disposti un tavolino e tre sedie da esterno. Gli zii erano usciti, lasciandomi un biglietto sul tavolo. La via semideserta era battuta da una finissima pioggerellina che bagnava appena la vegetazione. Soltanto qualche passante con l’ombrello transitava sulla strada. Rientrai in casa e feci colazione. Mi cambiai, infilai le mie converse blu e bianche e mi avviai al pub.

 

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Il proprietario mi aveva dato appuntamento alle 11.30 per conoscermi di persona. Presi l’ombrello e a piedi raggiunsi il mio nuovo luogo di lavoro. “Salve, sono Kevin Black, avevo un appuntamento con il proprietario” dissi ad un ragazzo “Certo, seguimi” rispose. Mi portò dall’uomo che gestiva il locale, ci presentammo e lui mi fece qualche domanda personale. Il posto che mi offriva era quello di cameriere. Vista la grande affluenza del venerdì e del sabato sera aveva bisogno di un aiuto nel servizio e per me andava più che bene. Dal lunedì al venerdì infatti sarei stato al college e avrei avuto tempo per studiare. Il venerdì sera e il sabato sera di sicuro non avrei avuto granchè da fare, dato che non avevo amici con cui uscire, dunque tanto meglio impegnarmi al pub piuttosto che deprimermi in casa. “Bene Kevin, piacere di averti conosciuto di persona, ti aspetto venerdì allora!” esclamò “Piacere mio signor Ward, a venerdì” risposi. Feci una passeggiata per il paesino, fermandomi a scattare qualche fotografia ai luoghi naturali più suggestivi. Madre natura era stata generosa con quel piccolo borgo antico: la vegetazione, il mare, il lago, i prati verdi…tutto era magnifico. Osservai alcuni ragazzi di circa 12/13 anni che si divertivano a fare i salti sullo skateboard, sorrisi ricordando quando avevo la loro età e andavo con Jonathan al parco. Anche noi ci divertivamo con lo skateboard e i roller-blade. Stavamo fuori fino alle 18 nelle giornate estive e spesso restavo a cena da lui. Leah ci preparava sempre una torta per finire il pasto in bellezza e noi ne eravamo felicissimi. Avevo tanti amici a La Push ma lui era il mio preferito non ne sapevo il motivo. Un giorno, da piccolissimi, giocammo insieme e da lì cominciò tutto, era stato come un colpo di fulmine d’amicizia ed eravamo cresciuti diventando inseparabili, fino a quando Jonathan partì per il college. Essendo due anni più grande di me, il momento della nostra separazione era arrivato già da un po’, ma comunque eravamo ancora legatissimi. Ci sentivamo spesso e nei momenti in cui entrambi eravamo a Forks uscivamo. Mi distolsi da quei pensieri con un sospiro, lui mi mancava da morire e mi faceva male ricordare. Spostai gli occhi in un’altra direzione. Due ragazze della mia età erano sedute su una panchina a parlare. Talvolta mi fissavano e chissà cosa si stavano dicendo…che palle essere soli lontani da tutto e da tutti. Volevo bene a Valerie e Ethan, ma un rapporto d’amicizia con un coetaneo mi mancava. Scacciai la tristezza, nascondendola bene in un angolo del mio cuore, dove nessuno poteva vederla. Tornai a casa quando ormai era già buio. Cenai con gli zii, chiudendomi in un silenzio quasi irreale mentre guardavamo la tv. Speravo vivamente che con l’inizio del lavoro al pub e dei corsi al college le cose sarebbero migliorate. Parlare con altri, incontrare gente nuova, fare nuove esperienze era ciò di cui avevo bisogno.

Decisi di chiamare Nicole per vedere una faccia amica. Selezionai una videochiamata su WhatsApp e feci partire la telefonata. “Ciao KJ” disse felice, lei era l’unica a chiamarmi così, utilizzando le iniziali dei miei due nomi: Kevin James. “Ciao, che fai?” “Sto per trascorrere un pomeriggio fuori con le amiche” rispose “Già…il fuso orario. Da me sono le 21.30, togliendo le 8 ore di differenza da te sono le 13.30” “Tutto ok a Dublino? Mi manchi un casino…” “Sì tutto ok, oggi sono andato al pub per conoscere il proprietario e ho fatto un giro in paese. È bello, molto suggestivo. Mi manchi anche tu comunque” ammisi “Hai fatto qualche amicizia?” “Non ancora, spero di riuscirci al college” spiegai “Ne sono certa, sei un ragazzo simpatico, vedrai che farai amicizia in fretta” “Mamma, papà e Amy stanno bene?” “Benissimo e gli zii?” “Anche loro” risposi “Mi fa tristezza vederti così serio Kevin” “Non sono serio, sono solo…in attesa di tempi migliori” “Ti voglio bene” “Ti voglio bene anch’io!” esclamai. “Tu? Novità?” le chiesi “Sono uscita a divertirmi. È arrivato anche Jonathan” “Uhm è per questo che vedo quel sorrisetto sulla tua bocca” la presi in giro “Non c’è nessun sorrisetto” “Io lo vedo eccome” “No, ti sbagli” disse “Conosco le tue espressioni facciali alla perfezione. Mi basta uno sguardo per capirti e non mi inganni” insistei “Ma non stavamo parlando di te?” domandò per deviare il discorso. “Ok…guarda quanto è buio” dissi girando l’inquadratura verso la finestra dietro di me e poi aggiunsi “Spero vivamente di svegliarmi domattina e di incontrare qualche bella ragazza, almeno mi risollevo il morale” scherzai “Vedessi quante mi chiedono di te qui a La Push e a Forks! Sono sconvolte dal fatto che starai in Irlanda per il college. Tutte che piagnucolano, si lamentano…non mi risultava che avessi lasciato tutti questi cuori infranti!” esclamò per strapparmi un sorriso “Infatti non ho lasciato nessun cuore infranto” “Forse loro speravano comunque di conquistarti” “Scusa Nicole, ma zia Valerie mi sta chiamando, devo andare, ci sentiamo presto” “Ok tranquillo, un bacio” concluse (un video di James Maslow per fingere la conversazione tra gemelli https://www.keek.com/keek/LCEqbab ).

 

NOTE:

Ciao! Prima di tutto voglio ringraziarvi, dal numero di visualizzazioni per la lettura del precedente capitolo devo dire che in molte mi avete seguita anche in quasta nuova fanfiction!

Anche questo capitolo POV Kevin è piuttosto triste e malinconico. Il giorno della partenza per l'Irlanda è arrivato, portando a galla tutte le preoccupazioni e le insicurezze dovute al trasferimento. Questo è stato un capitolo molto descrittivo, volevo farvi vedere le cose dagli occhi di Kevin. Ho voluto anche inserire un momento in cui Kevin ripensa alla sua amicizia con Jonathan e ai ricordi delle esperienze vissute insieme, del resto in Sunlight's Ray avevo già detto che erano amici, ma non avevamo visto le cose dal suo punto di vista. Lascio spazio alle vostre recensioni, a venerdì!

Vanessie

 

P.S: Una precisazione! Le mie lettrici abituali erano solite trovare una foto di inizio capitolo, in Following a Star invece le foto e le gif le troverete durante la lettura del capitolo!

  

   
 
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