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Autore: Soly_D    24/04/2016    3 recensioni
• Day 1: Kiss [«Lo sai, no, Nami-San?, quanta voglia ho ora di baciarti».]
• Day 2: Presence [Per un attimo Nami rivide nel volto sorridente di Sanji quello altrettanto bello e rassicurante di sua madre.]
[SaNami♥ | prompt usati: 2/7]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Sanji | Coppie: Sanji/Nami
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Eight ways to steal my heart away
[SaNami Week 2016]




Day 2: Presence


Nami camminava tra gli alberi del suo orto, il vestito leggero frusciava ad ogni passo mosso da una brezza lieve e i tacchi dei sandali provocavano un suono ovattato sull’erba fresca del prato. Con una mano si premeva sulla testa il cappello primaverile a tese larghe, con l’altra stringeva un cesto di vimini; il viso era rivolto all’insù, verso il cielo azzurro e sgombro di nuvole.
Era proprio una bella giornata. I raggi del sole, caldi e luminosi, si diramavano in tutte le direzioni: alcuni penetravano tra le onde del mare, creando sottili luccichii argentei; altri battevano sulla Merry, filtravano attraverso i rami degli alberi, rimbalzavano sulle foglie verdeggianti e sui frutti maturi. Riparato da quelle chiome rigogliose, l’orto che Nami aveva piantato sulla nave si manteneva costantemente fresco e all’ombra, un piccolo paradiso dove la navigatrice amava rifugiarsi nelle giornate più calde e meno impegnative.
Afferrò la scala a pioli che giaceva sul prato e la poggiò contro il tronco di un albero, poi salì lungo le assi di legno stando ben attenta a dove metteva i piedi. Arrivata in cima, cominciò a staccare con una mano i mandarini, per poi riporli nel cesto di vimini appeso all’altro braccio.
Qualche minuto prima Sanji si era gentilmente offerto di aiutarla nella delicata impresa [«Sarò il tuo umile assistente, Nami-swan~♥»], ma Nami aveva rifiutato, non perché non si fidasse di lui − Sanji era forse l’unico, insieme a Robin, che avrebbe trattato con cura quei frutti che a lei erano tanto cari − ma per Nami raccogliere i mandarini significava avere un colloquio con il proprio passato, rispolverare vecchi ricordi, tristi o felici. Era un momento speciale che desiderava trascorrere da sola, in silenzio, lontano da tutti, per godersi a pieno l’odore familiare e invitante dei mandarini così come la luce e il calore del sole che filtravano attraverso il fogliame e le solleticavano piacevolmente il volto in un sottile gioco di ombre e luci.
Nami staccò dall’albero un altro mandarino rigirandoselo tra le dita con aria soddisfatta. Era perfettamente tondo, la buccia dura e di un arancio vivace nascondeva certamente una polpa morbida e succosa. Con impegno e volontà aveva fatto davvero un ottimo lavoro, e presto quei mandarini sarebbero finiti su una tavola finemente apparecchiata, magari in una brocca di vetro sottoforma di spremuta polposa e dissetante, o come ingrediente principale per una torta dal sapore dolciastro, oppure come semplice frutta fresca tagliata a spicchi ed elegantemente disposta su un piatto di porcellana per essere mangiata alla fine del pranzo.
Nami sorrise a quei pensieri, riponendo il mandarino nel cesto ormai pieno. Era certa che in un modo o nell’altro il cuoco di bordo, con le sue mani esperte, avrebbe reso giustizia a quei frutti così preziosi.
Riportò lo sguardo tra i rami e tese un braccio in avanti per prendere un ultimo mandarino nascosto tra le foglie, più lontano rispetto a quelli precedentemente raccolti. Riuscì a sfiorarlo con le dita ma non abbastanza da poterlo staccare. Allora si aggrappò alla scala e si sporse maggiormente verso il centro dell’albero, allungando il più possibile il braccio. La mano finalmente si chiuse a pugno intorno al frutto ma la scala traballò pericolosamente. Nami sgranò gli occhi, ritraendosi con un movimento brusco, e così facendo la scala si staccò dal tronco dell’albero cadendo all’indietro e trasportando con sé anche la navigatrice.
«AAAH!».
Chiuse gli occhi, non potendo contrastare in nessun modo la caduta, e tutto ciò che le venne in mente fu un vecchio ricordo, un ricordo di quando era bambina e le interessava solo scorrazzare per l’orto di sua madre, disegnare cartine geografiche e rubacchiare oggetti preziosi giù in città.


Nascosta tra le foglie dell’albero, Nami se ne stava seduta su di un ramo staccando uno ad uno i mandarini maturi e riponendoli accuratamente nella cesta poggiata davanti a sé. Le gambe corte e magre si muovevano penzoloni nel vuoto, un piccolo graffio sanguinante sul ginocchio e il bordo sfilacciato dal vestitino testimoniavano che non era stato facile arrampicarsi tutta da sola lungo il tronco dell’albero, ma quello era l’unico modo che aveva per non farsi scoprire da Bellemere-san che più volte le aveva vietato di raccogliere i mandarini da sola.
Nami si sentiva abbastanza grande da non aver bisogno di aiuto.
«Bellemere-san dovrà ricredersi quando vedrà come sono stata brava», disse battendo le manine paffute tutta soddisfatta.
Non le restava che scendere dall’albero e mostrarle i suoi risultati.
Prese il cesto pieno di mandarini e strisciò lungo il ramo fino a raggiungere il tronco, ma una spina nella corteccia le punse il palmo della mano e d’istinto la bambina si tirò indietro. Quella piccola disattenzione, però, le costò la perdita dell’equilibrio. I piedi si staccarono dal tronco dell’albero e la forza di gravità la attirò verso il basso.
«AAAH!».
Sarebbe certamente caduta se non fosse stato per la presenza di Bellemere-san che l’aveva afferrata giusto in tempo tra le sue braccia insieme al cestino di vimini. Nami affondò il viso nel petto della donna, stringendo il colletto della sua camicia tra i pugnetti tremanti. Il cuore le batteva fortissimo e le lacrime premevano contro le palpebre strette per la paura.
«B-Bellemere-san... tu...».
La donna le accarezzò dolcemente la testa. «Ero proprio qui dietro l’angolo. Ho visto tutto e ti ho lasciata fare, cosicché imparassi la lezione. Quante volte devo dirti di non fare queste cose da sola?».
La bambina sollevò la testa, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. «Volevo solo dimostrarti che...».
«Lo so, Nami, lo so. Ma in due si fa più in fretta, si evitano incidenti ed è più divertente».
«Allora finiamo di raccoglierli insieme?», chiese Nami gonfiando le guance, orgogliosa.
Bellemere sorrise. «Certo, vado a prendere la scala».


Ma Bellemere non c’era più. Le sue braccia non l’avrebbero sorretta, le sue parole non l’avrebbero consolata.
Nami lasciò la presa con cui teneva il cestino di vimini e si abbandonò all’inesorabile caduta.
Non imparava mai la lezione, lei. Se avesse chiesto aiuto per raccogliere i mandarini, tutto quello non sarebbe successo. E invece no, testarda, si era impuntata pur di farlo da sola; era stata egoista, non aveva voluto condividere con nessun altro quel momento che lei considerava sacro perché in qualche modo la faceva sentire più vicina a Bellemere-san. E così ora si sarebbe schiantata al suolo, facendosi male, e i mandarini sarebbero rotolati per terra, rovinandosi dopo tanto duro lavoro.
Era giusto, se lo meritava. Eppure non successe nulla di tutto ciò.
Nami non sentì il contatto con il suolo, né il rumore dei mandarini che rimbalzavano sul prato. Tutto quello che riuscì a percepire fu il tonfo secco della scala caduta per terra.
Due braccia la sostenevano, uno per le spalle, l’altro per le gambe; la tenevano stretta ed erano forti e rassicuranti. Nami poteva sentire anche la stoffa liscia di una camicia a contatto con la pelle del proprio viso, mentre l’odore di nicotina le invadeva le narici.
Non osò aprire gli occhi. Si limitò a nascondere il viso in quel petto ampio e strinse con una mano un lembo della camicia.
Proprio come quel giorno di tanti anni prima il cuore le batteva forte e sentiva gli occhi umidi.
«Bellemere-san», sussurrò.
«Mi dispiace contraddirti, mia adorata, ma sono solo Sanji».
Nami pensò che quel “solo” stonasse terribilmente nella frase. Perché insomma, era piuttosto ovvio che non si trattasse di Bellemere-san − da quel che si ricordava, sua madre non aveva braccia da uomo e portava la quarta abbondante di reggiseno − ma per un momento, solo per un momento, Nami aveva avvertito la sua presenza, come se Bellemere-san avesse mandato Sanji a salvarla, a salvare sua figlia.
Era un pensiero stupido, forse, ed infantile.
Forse Sanji, degno cavaliere qual era, era semplicemente accorso al richiamo della bella donzella in pericolo.
«Mi stavi spiando, Sanji-kun?», si volle informare.
«Sì, lo confesso. Mi ero nascosto a qualche albero di distanza, nel caso in cui avessi avuto bisogno di me».
Nami increspò le labbra in un sorriso, battendo con la mano un paio di colpetti sul petto di Sanji. «Grazie».
«Oh, è stato un piacere, Nami-san~♥. Ora ti metto giù».
La navigatrice avrebbe voluto rimanere ancora un po’ tra quelle braccia, in fondo stava così bene, ma preferì che lui la lasciasse andare: non voleva che si facesse idee sbagliate sul loro rapporto.
Quando poi Nami tornò con i piedi sul prato, Sanji le passò il cesto di vimini e lei notò con piacere che i mandarini erano perfettamente intatti.
Non aveva avuto dubbi, d’altronde.
«La prossima volta mi piacerebbe aiutarti, Nami-san. In due ci si sbriga prima, si evita di cadere ed è più piacevole, no...?».
Nami sgranò gli occhi. Quelle parole le suonavano terribilmente familiari.
Sollevò lo sguardo: Sanji le sorrideva dolcemente, un po’ imbarazzato per l’invito che le aveva appena fatto, implicita proposta di passare più tempo insieme, e la sigaretta penzolava da un lato della bocca, sbuffando piccole volute di fumo.
Fu un flash. Breve, veloce, intenso, inaspettato.
Per un attimo Nami rivide nel volto sorridente di Sanji quello altrettanto bello e rassicurante di sua madre.
Con il cuore in gola e il respiro mozzato, si rese conto che Sanji sorrideva come Bellemere-san, fumava come Bellemere-san, aveva lo stesso odore di Bellemere-san e, Nami ormai l’aveva capito, la amava almeno quanto l’aveva amata Bellemere-san, e non avrebbe esitato a dare la propria vita per lei esattamente come sua madre, che si era sacrificata pur di salvarla.
Come aveva fatto a non accorgersi prima di quell’incredibile somiglianza?
«Va bene», acconsentì allora alla richiesta di Sanji. «La prossima volta io salirò sull’albero e tu rimarrai giù con il cesto, ma se ti azzardi a guardarmi sotto la gonna o cose del genere, ti riempio di pugni».
«Ti prometto che non te ne pentirai, Nami-san».
Nami sorrise, mentre gli occhi di Sanji assumevano la forma di un cuore e... «Raccoglierò i mandarini con Nami-swan! Mellorine, mellorine~♫».


Occhi materni osservavano la scena dall’alto.
«Ti ringrazio, biondino. E tu, bambina mia, tienitelo stretto, che un uomo così non lo trovi da nessuna parte».











Note dell'autrice:
Oggi vado di frettissima, quindi ci tengo a ringraziare di cuore tutti coloro che hanno recensito il primo capitolo e messo la raccolta tra seguite/preferite/ricordate spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate :) per scriverlo mi sono ispirata all'immagine qui sotto *___* alla prossima!

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