Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Neverland98    26/04/2016    2 recensioni
Una versione riscritta de L'attacco dei Giganti, in cui tutti i personaggi principali sono del sesso opposto. Ai coraggiosi che avranno il coraggio di leggere questa storia, buona lettura! ;)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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III
 
Distretto di Throst
 
 
 
 
 
I primi raggi del sole filtrano attraverso i vetri della finestra.
Disegnano dita di luce sul pavimento che rimbalzano sulle coperte.
Li guardo giocare, espandersi a macchia d'olio man mano che il sole si alza nel cielo.
Sono di nuovo rimasta sveglia fino all'alba.
Mi capita spesso.
Da piccola potevo dormire fino a mezzogiorno inoltrato, ma da qualche anno è diverso.
Da qualche anno riesco a chiudere occhio solo poche ore a notte, durante le quali sogno qualcosa cui continuo ad ambire anche durante il giorno: la libertà.
Mi guardo intorno.
Una stanza da letto mediocre. Adatta ad una persona mediocre.
In una casa mediocre.
O meglio, una prigione.
Mi metto a sedere, appoggiandomi con le spalle allo schienale del letto.
Gli uccelli cinguettano fuori dalla finestra. Li invidio.
Con le loro ali, sono liberi di andare ovunque desiderino.
Possono decidere della loro vita, senza nessuno che dica loro cosa fare.
Prendo il nastro grigio dal comodino, intreccio i capelli lunghi e lascio che la treccia cada sulla spalla destra. Mi scosto la frangia dalla fronte. Sono sudata.
E' sempre così. Come se quel poco di sonno che dormo durante la notte mi costasse una fatica immensa.
Mi faccio forza e mi alzo. I
nfilo la prima casacca scura e i primi pantaloni che trovo, poi torno a letto.
Roteo gli occhi al cielo - o meglio, al soffitto pieno di crepe  e muffa nerastra.
Sospiro. Posso fare solo una cosa per passare il tempo. Una delle cose che mi piace di più.
Afferro l'album da disegno e la matita poggiati sul comodino.
Mi sdraio prone, adagio l'album sul cuscino, mi tiro le coperte fin sulla testa e, puntellandomi sui gomiti, inizio a disegnare.
E' una cosa molto infantile, ma mi sento al sicuro sotto le coperte.
E' come se riuscissi a creare un angolino tutto mio nella prigione che mi circonda.
La matita si muove quasi autonomamente sul foglio.
Dopo poco, all'ombra di due sopracciglia folte e arcuate,  due occhi scuri mi fissano dal foglio.
Hanno un taglio particolare, allungato, ma ampio. L'iride è calcata, nerissima. Penetrante.
Mi piacciono tantissimo. E' la prima volta che mi sento così soddisfatta di un disegno.
Con i polpastrelli sfumo gli angoli, in modo da creare un'ombra delicata sotto le sopracciglia.
Sto molto attenta. Ho paura di sbagliare e rovinare tutto.
Sarebbe uno spreco, dubito che riuscirei di nuovo a creare qualcosa di così perfetto.
Due occhi così affascinanti.
La fronte è ampia, il naso lungo e dritto. Una linea perfetta, leggermente all'insù. Quel tanto che basta per conferire un po' di delicatezza all'insieme marcato e mascolino del viso.
Persino le ombreggiature e gli sfumati sono al posto giusto.
Non so cosa mi sia preso, oggi.
E' come se nella mia mente avessi un'idea precisa di cosa voglio rappresentare, come se stessi facendo un ritratto ad un modello immaginario.
Lo vedo davanti a me. E' bellissimo. La rappresentazione dei tratti somatici che più mi piacciono.
In altre parole, non posso fare a meno di constatare, con un po' di malizia, è l'incarnazione del ragazzo dei miei sogni.
Qualcosa di freddo e bagnato mi solletica la guancia.
E' una gocciolina di sudore, realizzo sorpresa.
Non pensavo di aver faticato tanto.
Ma è solo quando cade sul disegno e forma una macchia sbavata che devo trattenere un'imprecazione.
Con le dita cerco di limitare i danni.
Non vorrei rovinare questo disegno per nulla al mondo.
Sono persa in contemplazione, quando la sua voce mi fa trasalire.
-E' pronto!- urla, dal piano di sotto.
Mi si accappona la pelle. Ma che ore sono?
Guardo fuori dalla finestra. Il sole è alto in cielo, e il cinguettio pacifico degli uccellini è stato sostituito da un intrecciarsi di voci disarmoniche provenienti dalla strada. Con orrore, capisco che è mezzogiorno passato.
Accidenti, le ore sono letteralmente volate.
Fisso la finestra per qualche istante, a bocca aperta. Probabilmente con un'espressione ebete.
Non riesco a capacitarmene. E' come se fossi stata risucchiata da quell'accidenti di disegno.
- Jane! E' pronto!-
Insiste. Oh, accidenti.
Un'altra goccia di sudore cade sul foglio. Questa volta non mi trattengo dall'imprecare. Cerco di fare il possibile per rimediare al danno, ma il mio è un gesto maldestro. L'impronta del pollice per eliminare la goccia d'acqua è troppo frettoloso, così il nero dell'ombra sbava e altera il contorno perfetto del naso. Cerco di rimediare con la matita, ma i passi che sento farsi sempre più vicini mi impediscono di concentrarmi.
Devo sbrigarmi. Presto sarà qui.
Accidenti. Accidenti. Accidenti.
Ed eccola, come previsto.
La porta si spalanca  all'improvviso e sbatte contro il muro.
Per un secondo, il mio cervello va in tilt. Ha una sola priorità: nascondere il disegno.
Non deve vederlo. Non deve vederlo. Non deve vederlo. Non deve vederlo. Non deve vederlo.
Salto - letteralmente - giù dal letto, spingendo via la coperta.-Ti ho detto di bussare!- strillo, furiosa.
Mia madre è sulla porta. La figura massiccia brandisce in una mano una padella ancora fumante.
- Cos'è quella cosa? L'hai portata qui?-
- Non scendevi, quindi ti ho portato il pranzo.-
Si avvicina. Nonostante il profumino sia più che invitante, e il mio corpo si è ricordato di avere uno stomaco, indietreggio.
- Devi smetterla. E' chiaro? Non ce la faccio più. Sei soffocante!-
Stringo i pugni.
Sono arrivata al limite della sopportazione.
Mia madre è sempre stata un tipo iperprotettivo, asfissiante e, a lungo andare, insopportabile.
Il tipo di madre che ti presenta agli altri bambini, pregandoli di giocare con te, mettendoti in ridicolo davanti a tutti.
Quella che se cadi mentre stai correndo, ti sgrida in mezzo alla piazza, dandoti dell'imbranata ed insistendo di riportarti a casa in braccio, perchè anche se hai undici anni, sei comunque piccola e troppo debole per reggere il dolore di un ginocchio sbucciato.
Il tipo di madre che non ti permette di uscire di casa per più di due ore, che ti segue se ti allontani troppo, che ti aspetta a braccia conserte se fai un minuto di ritardi.
Il tipo di madre che non ti ascolta, che non accetta il fatto che tu stia crescendo e che tu non sia più una bambina indifesa.
Il tipo di madre che vorrebbe che tu fossi simile a lei, perchè sei la sua figlia femmina adorata, e invece, anzichè interessarti di ricamo e cucina, ti piace giocare con i maschi, sporcarti di fango e fare la lotta. E, soprattutto, più che il matrimonio, sogni di diventare un soldato e di andartene di casa.
Il tipo di madre, in una parola, che più che una madre è un carceriere.
Odio che entri in camera mia all'improvviso. Disegnare, per me, ha un valore altissimo. E' un momento in cui le mie emozioni più disparate, quelle che persino io non comprendo, prendono forma sulla carta. Si trasformano in qualcosa di concreto, che posso guardare e contemplare.
I miei disegni sono preziosissimi, è come se fossero parte integrante di me. Ne sono gelosissima e non sopporto che qualcuno li tocchi o addirittura li guardi senza il mio permesso.
Specialmente mia madre, che è convinta di conoscermi fin nel profondo della mia anima, quando non è così. Accidenti. Non è così.
- Ma ti ho portato il pranzo...-
Rieccola, con quegli occhioni da cagnolino bastonato. Come se la cattiva della situazione fossi io. La figlia che non vuole bene alla madre. Non ce la faccio più. Non vedo l'ora di arruolarmi nell'esercito, entrare nel Corpo di Gendarmeria e scomparire definitivamente dalla sua vita.
- Non mi va!- sbotto.
Sta per replicare, ma io sono più veloce. Le sbatto la porta in faccia.
E' un tonfo così forte che fa tremare il muro.
Per una frazione di secondo, quasi penso di aver esagerato. Ma è solo per una frazione di secondo.
Rimango un po' così, ferma, tentando di calmarmi.
Devo finire il disegno.
Ho ancora i pugni serrati.
Mi guardo alle spalle: il letto è un disastro. Le coperte sono a terra, così come il cuscino. Nessuna traccia del disegno.
Mi chiedo dove possa essere. Ricordo soltanto che volevo nasconderlo, ma non ho idea di dove.
Poi, con orrore, mi accorgo di stringere qualcosa nella mano destra. Qualcosa di freddo al tatto.
Lentamente, schiudo il pugno.
E il disegno è lì. Stropicciato. Sbavato. Irriconoscibile.
Sento le lacrime pungermi gli occhi.
Lacrime di frustrazione. Di rabbia.
Rivolgo un'ultima occhiata disgustata al foglio che stringo tra le mani. Poi lo strappo.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo autrice:
Ehiehiehi!
Finalmente compare uno dei miei personaggi preferiti: Jean!! (O Jane, in questo caso, lol)
Anyway, il capitolo riprende quello che succede in uno degli episodi speciali, in cui ci viene spiegato a grandi linee il rapporto difficile di Jeanboy con la madre.
Io, però, ho cercato di reinventarlo e integrarlo per farlo quadrare con questa versione femminile del nostro eroe.
That said, non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! * freme*
Bacioni!!
 
   
 
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