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Autore: Betta7    26/04/2016    3 recensioni
La ragazza S. e il ragazzo A.
Il Destino è un mistero che ci avvolge completamente nelle sue mani e, tra due anime affini, niente può fermare il corso dell'Amore.
" Non riuscivo a pensare lucidamente e, anche se era piuttosto stupido e alquanto imbarazzante, non riuscivo neanche ad immaginare quanto sarebbe stata bella.
Stringevo tra le mani il pacchetto con la rosa all'interno e, riflesso su di esso, vidi Sana scendere dalle scale.
Mi sembrò che il mio cuore si fosse fermato e che, improvvisamente dopo qualche secondo, avesse ripreso a battere. "

" Appoggiai di nuovo la testa sulla sua spalla e mi lasciai portare da lui, e mi resi conto in quel preciso istante dell'enorme fiducia che riponevo in quel ragazzo.
Eravamo amici-nemici, da sempre, eppure non avrei affidato la mia vita in mano a nessun altro. "

Dopo University Life, un'altra storia su un rapporto ai limiti dell'impossibile, un passo separa l'Amicizia e l'Amore.
Ma il Destino sa sempre cosa fa.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Natsumi Hayama/Nelly, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 13.
Confessioni.
Pov Akito.
Ci eravamo addormentati come due bambini, sfiniti dalle mille incomprensioni che avevamo affrontato in quegli ultimi giorni ma, avendo lasciato la finestra della camera aperta, il freddo mi aveva infastidito e mi ero svegliato di colpo. Mi alzai per chiuderla bene e ne approfittai per mettere Sana sotto le coperte, perchè aveva la pelle d'oca e non volevo rischiare che si ammalasse, anche se avrei di gran lunga preferito continuare ad ammirare il suo corpo da quella prospettiva. Addormentarmi dopo fu ancora più difficile, l'improvvisa vicinanza di Sana mi aveva scombussolato totalmente e non riuscivo a pensare lucidamente quando l'avevo a così poca distanza. Mi rendevo conto di essere patetico, la maggior parte dei ragazzi della mia età aveva già il futuro programmato, una ragazza fissa da almeno un paio d'anni, mentre io mi ero ritrovato ad avere sempre storie di poco conto, tutte volte a dimenticare quella ragazzina smorfiosa che mi aveva catturato alle elementari. Quale pazzo rimane innamorato della stessa ragazza per così tanto tempo? Un masochista, sicuramente, ma il problema era che non riuscivo a staccarmi da lei. Sin da piccolo avevo sperimentato che l'influenza di Sana era sempre stata positiva per me, lei mi spronava, mi costringeva a mettere in discussione me stesso e i miei rapporti, ma anche quando il nostro legame si limitava ad una semplice amicizia io non riuscivo a non pensare a lei in altri termini. Era come una droga, da anni ormai mi ritrovavo a soffrire quando non potevo averne la mia dose giornaliera e in quel momento mi venne da sorridere pensando che invece nell'ultimo periodo sarei potuto andare in overdose. Sana era sempre con me, tranne quando si occupava di Kaori, e la sua costante presenza si era rivelata distruttiva per la mia salute mentale il più delle volte. Nonostante quello, però, mentre la guardavo dormire scordavo improvvisamente tutti i motivi per cui mi faceva uscire di testa e mi ritrovavo a chiedermi perchè ancora fossimo a quel punto di stallo. Eravamo sposati, solo sulla carta purtroppo, ma comunque il nostro rapporto non poteva essere considerato una semplice affinità creata negli anni. Mi rendevo conto di farle un certo effetto, perchè ogni volta che ci sfioravamo la vedevo irrigidirsi, sentivo i suoi muscoli tendersi fino allo sfinimento e il suo cuore battere all'impazzata. Sapevo che c'era qualcosa tra noi e il fatto che lei non volesse ammetterlo mi feriva, perchè significava che decideva volontariamente di precludersi una storia con me, incasinata per quanto potesse essere, ma comunque un vero rapporto.
Perchè si comportava in quel modo? Cosa la spaventava? Forse il fatto che io potessi tradirla, ma non capivo nemmeno da dove arrivasse quella ferma convinzione. Credeva forse che fossi una specie di dipendente dal sesso e che non sapessi controllarmi? Per poco non scoppiai a ridere, l'unica che non capiva che ero innamorato di Sana da tutta la mia vita era proprio Sana. Tsuyoshi mi aveva avvertito che non sarebbe stato facile farle capire i miei sentimenti e soprattutto farle accettare i suoi, ma non pensavo che sarebbe stato così difficile.
Mi voltai improvvisamente quando notai che Sana si muoveva nel sonno e che, facendolo, si era accovacciata vicino a me, poggiando il viso sul mio petto. Avrei voluto addormentarmi e svegliarmi in quella posizione per il resto della mia esistenza, ma sapevo già che non era così semplice e che non bastava desiderare qualcosa perchè accadesse, quindi abbandonai le mie speranze e cercai di godermi il momento. Le sue guance erano calde, la sua bocca quasi toccava la mia pelle e io mi sentivo marchiato a fuoco, come se quel semplice contatto potesse portarmi all'autocombustione. Mosse la testa e la sua chioma rossa fu illuminata da un raggio di luna che entrava dalla finestra e mi sembrò di vedere la pura poesia che dormiva affianco a me. Le accarezzai i capelli, sapendo che quell'istante non sarebbe durato a lungo e che avrei dovuto imprimermi nella memoria quel momento. I desideri spesso non si avverano, e continuando in quel modo io e Sana eravamo destinati a prendere i nostri e gettarli nel primo cassonetto dei rifiuti. Dovevamo trovare un po' di coraggio, qualcosa che spingesse entrambi al limite per poter comprendere veramente che ciò che volevamo era proprio davanti ai nostri occhi. Ma lei era per eccellenza la donna che scappa di fronte ai sentimenti e io non ero di certo la persona più espansiva dell'universo quindi, alle quattro e ventidue del mattino, mi chiesi: saremmo mai usciti da quel circolo vizioso?

Pov Sana.
Mi svegliai di soprassalto quando mi accorsi che il mio cuscino era fatto di pelle e tanti muscoli. Avevo la faccia praticamente affondata nel petto di Akito e il mio viso si alzava ed abbassava regolarmente insieme al suo torace. La cosa di per se' non sarebbe stata particolarmente imbarazzante, avevamo dormito così tante volte insieme che avevo perso il conto delle volte in cui mi ero svegliata in quella posizione, ma stavolta era diverso perchè ero praticamente nuda, coperta solamente da quel completino striminzito che avevo indossato la sera prima. Il cardigan era scivolato, o forse lo avevo tolto per il caldo, non ne avevo idea, ma l'unica cosa che mi separava da Akito era un reggiseno di pizzo e un minuscolo strato di tessuto al posto delle mutandine. Mi vennero le vampate, chissà se si era svegliato e mi aveva visto conciata in quel modo, e chissà quante battutine aveva escogitato per prendermi in giro per il mio seno assolutamente inesistente.
Ma cosa mi era saltato in mente? Perchè mi ero messa quel completino, per piacere a chi? Io e Akito non avevamo quel tipo di relazione e lui non aveva mai manifestato il volere di averla quindi la situazione era ancora più imbarazzante.
Cercai di muovermi piano, allontanandomi da lui, ma mi sentii stringere di colpo ancora più vicina. Era sveglio. E io ero nuda.
Lo vidi voltarsi, rendersi conto di ciò che stava accadendo e subito abbassare lo sguardo e fermarsi a guardare il mio seno. Avrebbe fatto una battuta crudele tra 3...2...1...
«Credo che sia la cosa più bella che io abbia mai visto.»
Rimasi interdetta, pietrificata accanto a lui, scioccata dalle sue parole e dall'effetto che mi fecero. Sentivo caldo, troppo caldo. Nonostante fuori ci fossero due gradi al massimo, se qualcuno mi avesse toccato anche per sbaglio si sarebbe ustionato.
Abbassai lo sguardo, imbarazzata, e come se mi leggesse nel pensiero la sua mano arrivò sul mio mento perchè ci guardassimo ancora. Quando i suoi occhi incrociarono di nuovo i miei intravidi in loro un'intensità e una tenerezza che non avevo mai notato.
Avvicinarmi a lui era pericoloso, più di quanto avessi mai pensato, perchè adesso avevo qualcosa da perdere. Stavo per perdere me stessa, la mia indipendenza e soprattutto il mio cuore, perchè Akito sarebbe stato capace di prenderlo tra le mani e distruggerlo in un secondo.
Mi scostai come se non sopportassi la sua presenza, e vidi la sua mascella contrarsi come se fosse furioso o peggio, disperato.
«Dobbiamo andare in ospedale.»
Lui mi guardò come se avesse ricordato di colpo la situazione che avevamo attorno. Sbuffò silenziosamente mentre recuperavo il cardigan da sotto le lenzuola e mi coprivo alla meglio. Sembrò non apprezzare particolarmente quel gesto, lo sentivo rimuginare dall'altro lato del letto e mi venne da ridere, perchè non lo avevo mai visto così infastidito. Mi alzai e andai verso la camera di Kaori per prepararla, la trovai sveglia nella culla, intenta a fissare il carillon che le avevo comprato. Mi meravigliai del fatto che era la prima notte che non mi svegliava piangendo e quindi era la prima notte che dormivo sei ore di fila. Probabilmente Akito si era svegliato e aveva dato da mangiare alla piccola oppure non mi spiegavo come potesse essere accaduto. Ormai dormire per me era diventato un privilegio, mi capitava spesso di addormentarmi mentre guardavo la tv durante il pomeriggio e Akito, quando tornava da lavoro, mi trovava in uno stato pietoso sul divano. Ero stanca, e mi sforzavo di non pensare che quell'esperienza avrebbe potuto ripetersi con un bambino mio. Un bambino mio e di Hayama.
La mia mente viaggiò per un attimo, mentre prendevo Kaori in braccio e la portavo in bagno per lavarla, e mi immaginai col pancione, e Akito che l'accarezzava. Pensare a un figlio era veramente surreale, oltretutto impossibile, visto che non riuscivamo a trovare un punto di incontro.
Dopo aver vestito Kaori di tutto punto, mi preparai in fretta per andare in ospedale. Indossai una semplice gonna bordeaux e una maglia con le maniche in pizzo, mi truccai poco e andai alla ricerca delle scarpe. Uno stivaletto basso sarebbe andato bene, anche perchè non avevamo molti progetti per quel giorno, a parte andare a trovare Natsumi e il signor Hayama.
Uscii dalla camera mentre Akito si stava abbottonando i polsini della camicia, col petto ancora totalmente scoperto. Pensai che la mia vita non sarebbe potuta essere più complicata, perchè ogni volta che tentavo di tracciare un confine, lui puntualmente si faceva trovare nudo da qualche parte o faceva qualcosa per cui andavo fuori di testa e la cosa non andava bene.
Gli sorrisi spontaneamente e lui fece lo stesso, poi prese Kaori e io la coprii per bene, altrimenti per la fortuna che avevamo si sarebbe beccata una bella febbre.
Akito mi aprì la portiera, aspettando che mi accomodassi in macchina, e per tutto il tragitto tra di noi le cose sembravano tornate alla normalità. Ridevamo, ci prendevamo in giro, e sperai che quella serenità potesse durare per sempre, perchè fino a quel momento non avevo mai pensato che il nostro rapporto potesse funzionare, nonostante tutto l'impegno che ci mettevamo.
Invece, quando lui si voltò a guardarmi, a sorridermi, pensai davvero che le cose si sarebbero sistemate.

Pov Akito.

Arrivammo presto in ospedale, il giorno di Natale tutti erano in famiglia a festeggiare e di certo noi eravamo gli unici a girare per la città, con quel peso sul cuore.
Ormai era passato troppo tempo, e Natsumi aveva inizialmene risposto bene agli stimoli, ma poi aveva smesso e noi non sapevamo cosa pensare. Non volevamo arrenderci, ma la speranza ci abbandonava giorno per giorno, come una fiamma che lentamente si spegne.
Il dottore di Natsumi premeva sul fatto di trasferirla in una struttura che sarebbe stata più adatta a lei e alle sue esigenze, discorso che detto in parole povere si traduceva nel portare mia sorella in un istituto per casi di coma irriversibile. Sapevo che in situazioni come quelle ormai c'era poco da sperare, poco da pregare: Natsumi era morta e, anche se noi non riuscivamo ad accettarlo, prima o poi avremmo dovuto fare i conti con quella realtà. Pensai all'eventualità di doverlo dire a mio padre, a come si sarebbe sentito e a come avrebbe reagito. Il dolore straziante di perdere un figlio, così, per colpa di qualcuno che non le ha dato un briciolo del suo amore e a cui lei ha dato tutto, pur non meritandoselo.
La rabbia cominciò a montare dentro di me, ma cercai di domarla perchè avevo in braccio Kaori e lei, come sua madre, dipendeva totalmente da me. Cosa avrei potuto fare per crescere quella bambina? Non sapevo se sarei stato in grado di essere padre, anche se ci avevo disperatamente provato negli ultimi due mesi.
Aiutai Sana a mettersi il camice, mentre la mia mente vagava tra i ricordi di tutto il tempo che avevo passato ad odiare mia sorella, e avevo sprecato così tanto tempo. Non l'avevo aiutata, quando aveva saputo di aspettare Kaori, ero così furioso con l'energumeno che l'aveva messa incinta e poi se l'era data a gambe che non avevo pensato a come potesse sentirsi mia sorella.
«Vado io, porto Kaori con me, voglio presentargliela.» disse Sana prendendo la bambina in braccio.
Era la prima volta che portavamo Kaori da sua madre, prima non lo avevamo fatto perchè non ci sembrava il caso di far entrare una bambina così piccola in un ospedale, ma viste le condizioni di Natsumi avevamo pensato che era una cosa che dovevamo fare, per entrambe.
Lasciai che Sana entrasse con mia nipote, e solo allora mi permisi di crollare per un solo istante. Mi accovacciai sulla sedia, in sala d'aspetto, e guardando i pazienti che, come Natsumi, se ne stavano immobili in un maledetto letto, mi venne da piangere. Per la prima volta, in vita mia, le mie emozioni presero davvero il sopravvento, e non riuscii a trattenermi. Piangevo per mia sorella, per la pena che aveva dovuto sopportare, perchè non avrebbe mai conosciuto sua figlia e per Kaori che, a modo suo, aveva riportato un briciolo di normalità nelle nostre vite, anche in quella di mio padre che sembrava colare a picco lentamente.
Quando esaurii tutte le mie lacrime, mi alzai in piedi e mi avvicinai alla stanza di Natsumi per vedere se Sana voleva darmi il cambio e farmi entrare al posto suo. La sentii parlare con mia sorella, come quando si chiudevano nella sua stanza e si raccontavano le ultime novità, prima che Natsumi rimanesse incinta.
«Sai, amica, tua figlia è così dolce! Vorrei che tu potessi guardarla, che potessi renderti conto di quanto ti assomiglia.»
Sana fece una pausa, asciugandosi una lacrima che le stava scendendo per la guancia, e io cercai le somiglianze a cui lei alludeva. Non lo avevo mai fatto di proposito, sapevo che se le avessi trovate non sarei più riuscito a guardare Kaori senza crollare, e io non potevo crollare, perchè Sana e Kaori dipendevano da me, perchè la mia famiglia aveva bisogno di me.
«Vorrei che tu vedessi come ci siamo ridotti io e Akito, con la fede al dito! Quante volte ne abbiamo parlato? Quante volte mi hai detto che io e tuo fratello eravamo anime gemelle?»
Ogni tanto, dovevo ammetterlo, le spiavo, quindi non mi parve strano continuare con quella tradizione. Non lo facevo perchè mi interessavano i loro discorsi da donne ma perchè, come aveva detto Sana, spesso le avevo sorprese a parlare di me. Natsumi glielo ripeteva in continuazione, di darmi una possibilità, di lasciare che gli eventi facessero il loro corso, ma Sana era così testarda e non le dava mai ragione, nemmeno per un istante.
«Non te l'ho mai detto, ma credo che tu abbia ragione.»
Mi bloccai all'istante, cercando di non farmi vedere e di ascoltare meglio quelle parole.
«Credo... credo che questo matrimonio non sia stato solo frutto di ciò che è successo, credo che ci sia qualcosa tra di noi, qualcosa di forte. Ma, vedi, io sono terrorizzata. Ho così tanta paura che mi consuma.»
Sapevo che Sana non era esattamente la persona più coraggiosa del mondo quando si trattava di sentimenti, specialmente quando includevano me, ma non credevo che fosse terrorizzata. Da cosa, poi? Da me? Cosa avrei potuto farle?
«Temo che lui possa paragonarmi con qualche sua storia passata e, diciamocelo, io non sono nemmeno in competizione! Le ragazze che ha avuto mi eclissano, in tutto. Loro sapevano come trattare un uomo, come affascinarlo, io è già tanto se capisco come comportarmi con tuo fratello e, comunque, la maggior parte delle volte sbaglio ugualmente.»
Vidi Kaori muoversi, Sana la sistemò meglio tra le sue braccia esili e tornò a guardare il letto dove mia sorella dormiva.
«Temo che lui possa preferire una ragazza più... più esperta, ecco. E io non ho voglia di combattere contro la gelosia che mi divora ogni volta che qualcuna di loro lo segue durante gli allenamenti e, molto probabilmente, nel suo letto. Non voglio dovermi preoccupare di cosa starà facendo, o di chi si starà facendo. Temo che lui possa distruggermi.»
Quelle parole mi lasciarono senza fiato, per un secondo scordai persino che giorno era e dove ci trovavamo, perchè ero furioso. Come poteva anche solo pensare che, dopo che le avevo messo la fede al dito, le avrei fatto così male, andando con qualcun'altra? Certe volte mi sembrava che lei non mi conoscesse affatto, che per tutta la mia vita fossi stato davanti ad una persona che non mi aveva mai visto per ciò che ero: innamorato di lei!
Mentre Sana era ancora dentro con mia sorella cercai di calmarmi, assimilando per bene ciò che intendeva e arrivando alla conclusione che, in fondo, non potevo darle tutti i torti. Solo io sapevo che ero innamorato di lei dai tempi delle elementari, a lei non lo avevo mai detto - anche se avevo provato in tutti i modi a farglielo capire! - e quindi era lecito che, vedendo tutte quelle ragazze che urlavano come galline negli spalti e che qualcuna di loro finiva addirittura a casa mia, si fosse fatta un'idea sbagliata.
Se solo avesse saputo che in tutti gli occhi che avevo incrociato cercavo sempre quelle iridi nocciola che mi lasciavano sveglio la notte. Se solo avesse saputo che avevo sempre e solo desiderato lei. Era l'unica che aveva popolato le mie fantasie, di cui alcune volte mi vergognavo, perchè la Sana presente nei miei sogni, alcune volte era decisamente hot. M i ero fatto la fama di ragazzo difficile da conquistare, ma la cosa che mi lasciava perplessso, era come alcune ragazze potessero avere così poca autostima di sé, più le trattavo male e le scacciavo e più loro mi seguivano. Alcune volte le avevo trovate anche negli spogliatoi. Per i miei compagni di karate ero una specie di idolo, erano convinti che se respingessi ragazze tanto insistenti, era perchè ne avessi altre più calde, pronte a gettersi tra le mie braccia. Mi faceva ribollire il sangue che lei non lo capisse e dovevo assolutamente rimediare. Non sapevo come, ma lo avrei fatto.
Non mi accorsi nemmeno che Sana era uscita dalla stanza di Natsumi fin quando non mi passò una mano davanti alla faccia per riportarmi sulla terra.
«Hei, dormiglione, vai a salutare tua sorella!».
Le diedi una spintarella, presi Kaori e la misi nella carrozzina, e poi mi infilai il camice.
Entrai in quella stanza con la morte nel cuore, perchè sapevo che non avrei sentito la voce di mia sorella, ma solo il rumore del monitor che segnava che il suo cuore batteva ancora, in un corpo ormai inutile.
«Hei, Nat.». Presi una sedia e mi accomodai vicino a lei, prendendole la mano. «Non hai proprio intenzione di svegliarti, eh? Se è perchè sai che poi non dormirai più per via di tua figlia penso che tu sia la persona più furba al mondo.»
Sorrisi, non perchè tutto quello mi sembrava divertente, ma per l'idiozia delle mie parole.
«Io e Sana ci stiamo ammazzando di lavoro al posto tuo, quella mocciosa non fa altro che piangere e sporcare... però è così carina. Assomiglia tutta a te.» Dalla gola mi uscì un verso gutturale, quasi un sospiro strozzato, perchè mi sembrava di soffocare dentro quelle quattro mura.
«Senti, Nat. Se è la vendetta quella che vuoi, fai come se fosse già accaduto: gliela farò pagare. Ma se stai solo cercando di farmi un dispetto per farmi stare ancora con Sana, sappi che abbiamo superato quel punto già da un po'.
Non è semplice per me, e a giudicare da quello che ti ha detto poco fa non lo è neanche per lei, ma ti giuro che ce la sto mettendo tutta per essere felice. Felice con lei.
Ma non sarò mai completamente felice se tu non mi prenderai in giro per come mi comporto con Sana, o se non mi preparerai più i muffin al cioccolato... o se non mi costringerai più a pulire la cucina dopo che l'hai distrutta per provare una delle tue ricette nuove. Quindi, ti prego, apri gli occhi e vieni a conoscere tua figlia.»
Le guardai la mano, sperando di vedere quell'impercettibile movimento che di solito si vede nei film quando qualcuno si sta risvegliando dal coma, ma più la guardavo più mi rendevo conto che non sarebbe accaduto nulla del genere.
Mi alzai di scatto, convinto che fosse arrivato il momento di accettare la realtà e trasferirla davvero in un posto che l'avrebbe accolta nel migliore dei modi, e mi diressi verso la porta.
Uscii velocemente, togliendomi il camice di dosso con la stessa delicatezza di un elefante in una cristalleria, e guardai  Sana sperando che non mi facesse nessuna domanda.
«Cos'hai?». Le mie speranze erano sempre vane.
Afferrai il manico della carrozina di Kaori. «Niente, andiamo via da qui.» dissi con decisione.
E non mi voltai indietro.

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Le mie braccia non mi rispondevano, non erano più le mie braccia, e i miei occhi, nemmeno loro mi aiutavano più. Vedevo il buio, come una finestra perennemente chiusa, e sentivo che anche la mia testa mi stava abbandonando.
Avevo sempre pensato a come potessero sentirsi le persone in coma, se capissero e sentissero ciò che gli accadeva intorno, e finalmente avevo ricevuto la mia risposta, peccato che non sarei stata in grado di raccontarlo a nessuno.
In realtà non sapevo se avevo davvero voglia di aprire gli occhi, di tornare a quel mondo che in pochi mesi mi aveva distrutta. Forse avevo scelto io di trovarmi in quel letto d'ospedale, inerme e con i miei cari a piangere per me.
Mio padre non faceva altro, lo sentivo, persino durante la notte, mentre sussurrava il mio nome e mi pregava di svegliarmi.
Avrei voluto dirgli che non dipendeva da me, che non ero io a decidere se aprire gli occhi o no, era il mio corpo... e quello ormai era come un giocattolo rotto.
Sentii il calore di una mano, era così familiare, non era la prima volta che la sfioravo ma non sentivo nessuna voce. La persona che mi stava accanto mi stringeva forte, ma non parlava. Poi si schiarì la voce e cominciò.
La riconobbi immediatamente, anche se sembrava sconvolta dalle lacrime. Dio, non volevo che piangesse per me...
«Amica!». Era così che iniziavano tutte le nostre conversazioni, non sapevo perchè, forse per rimarcare il fatto che ormai non ero più solo la sorella del suo migliore amico, ma anch'io ero una sua amica.
«Mi dispiace che debba succedere così, ma oggi ti ho portato una persona davvero speciale.»
Per un attimo avevo sperato che fosse Konhiro, che fosse venuto da me a sistemare quello che aveva distrutto, che avesse trovato il coraggio di chiedermi scusa.
Quando una mano piccola, calda, mi sfiorò le dita il mio cuore improvvisamente mi sembrò pietrificarsi.
Era una sensazione che non sapevo spiegare, che mi bruciava dallo stomaco fino al cuore, e che arrivava proprio in quel punto, dove quella minuscola manina mi stava sfiorando.
Sapevo a chi apparteneva, sapevo cosa era successo due mesi prima, ma avevo cercato di negarlo a me stessa perchè soffermarmi su quel momento sarebbe stato troppo penoso.
La voce di Sana mi riportò lì, dove stavo conoscendo il prolungamento di me stessa, mia figlia.
«Lei è Kaori, Nat. E' tua figlia, la bambina che hai portato dentro per mesi. Non pensi valga la pena, almeno per lei, aprire gli occhi e darvi una possibilità?»
La sentivo parlare, la ascoltavo, ma tutto il mio corpo si tendeva alla disperata ricerca di quel contatto, di quella sensazione che mi aveva invaso poco prima. La bambina si lamentava. Kaori... mi piaceva quel nome, Sana e mio fratello avevano proprio scelto bene.
Quella bambina era una parte di me, che se ne andava in giro in braccio a quella che ormai era mia cognata.
Avrei voluto urlare,  farle capire che ero lì, che la sentivo... ma il mio corpo mi tradiva.
Per tutto il tempo in cui Sana fu nella mia stanza, e la mano di Kaori sfiorava delicatamente la mia, non ascoltai nulla di ciò che mi stava raccontando. Avevo capito che era preoccupata per il rapporto che aveva con mio fratello, ma io avevo cose più importanti a cui pensare: dovevo aprire gli occhi e riprendermi mia figlia.
E magari lasciare che quei due risolvessero i loro problemi.




E' passato un po' di tempo. Mesi, credo. E sono terribilmente dispiaciuta per questa assenza così prolungata.
L'università prende tutto il mio tempo, non riesco nemmeno a respirare, figuriamoci mettermi a scrivere o pubblicare.
Quando trovo un momento di calma mi metto al pc e faccio entrambe le cose. Allooooora... come vedete abbiamo sentito finalmente la voce di Natsumi, che adesso è determinata ad aprire gli occhi.
Sana, d'altro canto, è terrorizzata di lasciarsi andare con Akito, che teme la respinga per la sua inesperienza (come sempre, aggiungerei) anche se in realtà non è solo questo che la turba.
Vedrete, in seguito.
Comunque... voglio ringraziarvi uno ad uno per l'appoggio costante che mi date, con le recensioni, i messaggi che mi chiedono di aggiornare e tutto il resto.
E soprattutto, come sempre, ringrazio la mia stupenda Beta, Dalmata, che non fa altro che sopportare i miei sbalzi d'umore e la mia mancanza di ispirazione (come adesso).
Un bacio a tutti e al prossimo aggiornamento.
Akura.
   
 
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