Brookwood
di
Mary Chilton
©MARY CHILTON
IMPORTANTE: E’
VIETATA LA RIPRODUZIONE
DI QUESTO
MANOSCRITTO, ANCHE PARZIALE,
SENZA L’ESPRESSA
AUTORIZZAZIONE DELL’AUTRICE
Prima edizione
(prima stesura)
1 Capitolo: piccolo,
grande problema
«Chi sei tu,
che difeso dall’ombra
della notte,
entri nel mio chiuso
pensiero?»
Romeo and Juliet – William Shakespeare
(1594-1595)
I signori Hill godevano di un certo prestigio a Londra.
Henry Hill era il direttore della banca centrale della città,e Agnes Evans in Hill era la regina dei salotti
londinesi nonché la migliore wedding planner di tutta Londra, famosa per il suo
stile sfarzoso e ricercato. Il signor Hill era piuttosto basso per essere un
uomo, portava lunghi baffi rossi con una spruzzatina di grigio sulle punte e
aveva i denti sempre un po’ gialli per i troppi sigari che quotidianamente
fumava. Il grosso naso a patata che diventava per ogni singolo pretesto rosso
come una ciliegia matura. Aveva completi sempre pronti che sfruttava o per il
lavoro o per le serate più occasionali a cui era invitato, contornati da una
cravatta sempre e rigorosamente grigia.
Agnes Hill era una donna di classe e di una bellezza come
poche; più alta del marito di cinque centimetri abbondanti portava i capelli
biondi e boccolosi in un caschetto giovanile che le valorizzava quel piccolo
naso all’insù che accentuava l’altezzosità che si portava dietro dalla culla. Era
elegante e sofisticata riconosciuta da tutte le novelle spose come la miglior
organizzatrice di matrimoni di tutta l’Inghilterra. Quando si muoveva nell’aria
sembrava disegnasse linee sinuose con le
mani, con quell’aria catatonica di mentre rifletteva.
Coloro che avevano l’occasione di vederli insieme restavano
sempre leggermente sbigottiti da una coppia così singolare e tutti si ponevano
sempre la stessa domanda: come mai lei lo ha sposato? Ovviamente nessuno aveva
mai osato pronunciare una domanda tanto sfacciata e così tutti arrivavano alla
stessa conclusione: per soldi.
Mrs Hill era famosa anche per la sua lingua lunga e
biforcuta e Mr Hill per il suo tallone d’Achille: il poker che tanto amava e
che già una volta stava per ridurlo sul lastrico.
I signori Hill si sposarono a ben trentacinque anni ed
ebbero la loro unica figlia a trentotto.
MacKenzie Annabel Hill. Una bambina assolutamente deliziosa
che aveva preso la bellezza del viso della madre e la bassezza del padre. Così
gracile e piccola era il giocattolo preferito delle amiche pettegole di Mrs
Hill che fin da quando era in fasce se la rigiravano tra le mani facendole le
smorfie più buffe per farla ridere. A cinque anni la chiamavano già “signorina”
, sembrava Mrs Hill in miniatura, solo, ripeteva sempre Mrs Hill, lei aveva i
capelli biondi che la facevano sembrare un angelo, mentre MacKenzie aveva
ereditato il rosso tiziano del padre. A sei anni la mandarono in una scuola
privata femminile nella quale si distinse per il suo amore per la letteratura,
inutile dirlo Mr Hill la vedeva già come la J.K.
Rowling della nuova generazione; cominciò a comprarle i libri più rari e
antichi ed ogni mattina, dopo averlo letto attentamente lui, le passava la sua
copia del “Financial Times” gongolando appena gli
occhietti verdi della figlia si posavano sulle pagine economiche. Mrs Hill non
ne era altrettanto contenta, che aveva sempre visto un figlio come il
continuatore della sua attività; ecco perché aveva sperato tanto nell’avere una
femmina, un maschio non sarebbe mai stato adatto per essere un wedding planner.
Quando era nata MacKenzie era la donna più felice del mondo, e già si figurava
nella sua mente le riviste delle spose con titoli come “Le Hill, madre e figlia
accanto nei matrimoni”. Quindi non si può certo biasimare la fitta di
indignazione che le prendeva quando vedeva il proprio marito cercare di
frantumare il suo sogno. Tra i due coniugi cominciò una lotta silenziosa. Il
padre non perdeva occasione di regalare alla figlia poesie di Emily Dickinson,
i manoscritti di Jane Austen e delle sorelle Bronte.
Sempre e soli personaggi femminili per farla immedesimare quel tanto che
bastava. La madre, al contrario, la portava al lavoro con tutte le scuse
immaginabili e le mostrava quel mondo sfarzoso ed elegante che un giorno
sarebbe potuto diventare suo. MacKenzie riuscì in qualche modo ad unire i
desideri dei genitori. Leggendo le storie d’amore della Austen pensava a come
sarebbe stata la sua una volta grande e quale vestito da sposa della madre
avrebbe scelto per il matrimonio. Accontentando il padre continuò la sua
assidua passione per la lettura e, accontentando la madre, chiedeva ogni volta
che poteva di accompagnarla a lavoro. I genitori comunque non risultavano
troppo soddisfatti di quella situazione di parità. Volevano che la figlia
avesse già le idee ben chiare sin da piccola, che avesse già il suo futuro
scritto
-Io alla tua età- le raccontava sempre il padre –sognavo già
le banconote delle sterline. Cominciai ad accumularle con i lavori più umili e
a nasconderle sotto il cuscino per non farle trovare a tuo zio John, che, ah
sì, quella canaglia cercava sempre di rubare. Che malandrino lo zio John! Ma mi
ha dato lui l’ispirazione di un posto veramente sicuro per i soldi: la banca!
Non troverai mai luogo più sicuro di una banca Mac! E se tu sogni le favole e
nascondi i libri sotto il cuscino perché non potresti diventare scrittrice?-
Ma MacKenzie non aveva mai veramente ascoltato i genitori,
non pensava assolutamente alle responsabilità, al lavoro, al futuro. Era una
bambina dopotutto, che viveva nello sfarzo e nella ricchezza. Perché avrebbe
dovuto maturare prima del dovuto? MacKenzie invece di provare gli abiti da
damigella che le mostrava la madre preferiva di gran lunga uscire nell’immenso
giardino e cavalcare un po’ la sua puledra. Dopotutto si è bambini una volta
sola.
Ma quando compì otto anni il padre abbandonò la consorte e
la figlia in seguito ad un infarto. Era sempre stato debole di cuore, ma
nessuno né Mrs Hill né tantomeno MacKenzie erano pronte per una perdita tanto
sconvolgente. La madre non andò al lavoro per mesi, mentre MacKenzie, nella sua
innocenza, cercava di continuare a vivere come aveva sempre fatto, quasi
credendo che il padre sarebbe tornato un giorno a bussare al portone. A badare
a lei c’era la cara tata, segnata dalle rughe della vecchiaia e del dolore;
mentre Mrs Hill ogni giorno stava in camera sua a piangere tutto il giorno
raccomandando sempre la tata di non far entrare MacKenzie perché la vedesse in
quello stato. Ma MacKenzie era pur sempre una bambina, e come tale era curiosa
di sapere perché la madre se ne stesse tutto il giorno chiusa in camera. Così
una sera mentre si apprestava ad andare a fare il bagno, scorse la luce della
stanza della madre accesa. Era una delle poche volte in cui la badante l’aveva
lasciata da sola così, in punta di piedi, si avvicinò alla porta socchiusa. Mai
MacKenzie fu schiacciata dalla realtà come in quel momento: vide la madre
inginocchiata sul pavimento scossa da tremori incontrollabili, i capelli sempre
tenuti con grazia in qualche elegante chignon erano ora disordinati e
arruffati. Il colorito della madre, già pallido per natura, era del tutto
bianco. MacKenzie balzò indietro da quella visione. Era come se avesse scorto
un fantasma che aveva tutte le fattezze della madre, e fu così che soffocò quel
ricordo nella sua mente: come un fantasma che era entrato in casa sua per
beffeggiarla con una visione così orribile, dopotutto si sa, i fantasmi sono
dei veri burloni. Perché agli occhi di MacKenzie la madre appariva ancora come
la donna perfetta e bellissima che era sempre stata. Ogni volta che scendeva a
cena era sempre impeccabile e non vi era alcun cenno della sofferenza che Mac
aveva visto in quel fantasma.
Così la bambina cominciò a pensare che il padre era stato
rapito da degli spiritelli, i quali ne avevano fatto il loro re, poi avevano
mandato il fantasma a MacKenzie per confonderla. Mac si affacciava alle
finestre e osservava il cielo, pensando al padre, sperduto in chissà quale
pianeta lontano, a combattere armato di spade e fucili per proteggere il popolo
degli spiritelli. Lui avrebbe vegliato sempre su di lei e la mamma, ma ormai
apparteneva ad un altro mondo, non poteva tornare indietro! Con questi pensieri
MacKenzie si addormentava felice di avere un padre tanto coraggioso. Quando
provò a parlare alla tata della sua scoperta fu però bruscamente interrotta
dalla vecchia:
-MacKenzie, insomma, ormai sei una signorina, smettila di
sognare ad occhi aperti! Degli spiritelli, questa poi! Non devi danneggiare il
ricordo di tuo padre con queste sciocchezze!-
-Ma cara tata, è vero! Mi hanno mandato anche un fantasma
per confondermi!-
-Ora basta ragazzina insolente, non tollero più questi
discorsi. Va a letto, questa sera non avrai neanche una briciola per il tuo
comportamento!-
Tata Maggie non era cattiva, anzi era una delle persone più
buone e dolci al mondo, ma era molto affezionata al padrone che ora non c’era
più e non tollerava che la figlia dovesse pensare cose simili di un uomo che
ora riposava in pace.
Dopo un anno dalla morte del padre Mrs Hill cominciò a
portare a casa un uomo che MacKenzie non aveva mai visto, al quale fu
presentata ufficialmente dopo all’incirca un mese.
-Wilbur, questa è mia figlia MacKenzie. Tesoro questo è il
signor Wilbur Patterson, è un mio nuovo amico.-
Era un uomo alto e magro, con degli occhiali tondi sul naso
e il naso adunco. Aveva sempre le labbra serrate come se temesse di aprire la
bocca e stava rigido come un palo sia in piedi sia a sedere. MacKenzie tutto sommato
lo trovò un uomo buffo nella sua stranezza, ma degno di rispetto e simpatia. Le
strinse la mano teso il primo giorno che si presentarono e tentò un mezzo
sorriso che sapeva tanto di smorfia, che fece ridere Mac, subito fulminata
dalla madre.
Le visite di Mr Patterson divennero quotidiane a casa Hill e
piano piano MacKenzie si abituò alla sua compagnia e
lui alla sua. La madre gongolava segretamente nel vedere MacKenzie così
tranquilla nel parlare con Wilbur. Dopo un anno ancora la ormai ancora per poco
Mrs Hill diede alla figlia la notizia.
-Io e Mr Patterson ci sposiamo tesoro, andremo tutti e tre
nella sua villa di campagna nel Surrey a Brookwood-
MacKenzie non fu troppo felice della notizia, ma non per il
matrimonio tra la madre e Mr Patterson, ma per il fatto di dover lasciare
Londra, la sua casa. Non riusciva ad immaginarsi di vivere in campagna, senza
che passasse qualche bus rosso di tanto in tanto, senza sentire i rintocchi del
Big Bang. Come sarebbe sopravvissuta alla quiete e al silenzio della campagna?
Comunque riuscì a soffocare quei timori e a rivolgere un
sorriso alla madre e le sue congratulazioni. Si ritirò presto quella sera,
dicendo di avere una terribile emicrania. Salita in camera cominciò a piangere,
versando lacrime che sapevano di sale e che solcavano quel bel visino come
delle rughe sciupandolo. Probabilmente fu da quella sera che MacKenzie cominciò
davvero a pensare come un adolescente e non come una bambina di undici anni.
Riusciva a distinguere il giusto dallo sbagliato senza bisogno di suggerimenti
da parte della tata, si fidava solo ed esclusivamente del suo cervello,
rinnegando qualsiasi pensiero fantastico che le veniva alla mente. Quello che
ancora non riusciva ad accettare era l’assenza del padre. Aveva pensato che era
stato rapito da dei sottospecie di folletti, ora le sembrava solo assurdo
considerare l’idea dell’esistenza di spiritelli e fantasmi. Ormai la sua mente
era diventata così razionale che non sopportava di restare nel dubbio: suo
padre era morto, ma ci sarebbe sempre stato un barlume di speranza in un
piccolo angolo del suo cervello di ritrovarselo di fronte. Così chiese a tata
Maggie di accompagnarla alla tomba del padre; la tata ne fu più che contenta,
dichiarando di trovarsi ormai di fronte ad una vera donna. Raggiunta la tomba
bianca e perfettamente esposta alla luce del sole che si rispecchiava su le
pietre lucenti incastonate nel marmo creando dei giochi di luce, la tata
scoppiò a piangere senza ritegno ignorando la presenza di MacKenzie.
Quest’ultima rimase all’inizio leggermente abbagliata da quella visione quasi
paradisiaca, finche non osservò le parole incise nel marmo, fissandole bene
come un chiodo nella sua testa:
“HENRY ANTONY HILL”
Un mese dopo MacKenzie seguì la madre e Mr Patterson a
Brookwood dove si sarebbe tenuto il matrimonio. Era un paese piuttosto
pittoresco, le case lungo la strada principale erano dipinte delle più
variegate tonalità di rosso e di uno stile antico che a Mac ricordarono molto
quelle dei romanzi che leggeva. Di tanto in tanto passava qualche macchina, ma
la strada era tutt’altro che affollata e, aprendo il finestrino, si riusciva a
respirare un’aria talmente fresca che a MacKenzie riusciva a suscitare un senso
di nausea. La madre sembrava entusiasta quasi quanto lei di trovarsi in un
luogo così arretrato invece che nella sua sicura e calorosa Londra, ma era
troppo intenta ad osservare Mr Patterson con occhi da pesce lesso invece di
guardare il paesaggio. Arrivarono a quella che più che una villa, aveva l’aria
di essere una fattoria. Entrarono con l’auto tappandosi le orecchie per lo
stridio del cancello arrugginito e ad aspettarli davanti alla porta trovarono
tre donne. Una gli corse subito incontro goffamente abbracciando di slancio
Wilbur che rispose con altrettanto calore. La donna era piuttosto grassa con
dei capelli grigi arruffati e il viso rosso come un pomodoro lucido. Quando
sorrise, notò MacKenzie, si videro due enormi buchi davanti dove una volta ci
dovevano essere gli incisivi della donna. Mentre la donna abbracciava ancora Mr
Patterson, MacKenzie vide avanzare due donne con un sorriso bonario e un’aria gioiosa.
Una era alta e slanciata proprio come Wilbur, portava i capelli mori legati in
una coda di cavallo e gli occhi le luccicavano dalla felicità. L’altra le era molto
somigliante sia nel portamento che nel fisico, quando sorrise però si poterono
notare i denti più cavallini che la prima non aveva. Si avvicinarono a Mr
Patterson e l’abbracciarono quando la donna più grassa si fece da parte.
-Agnes, permettimi di presentarti mia madre
Jane e le mie sorelle Mary e Helena-
La faccia di Mrs Hill si illuminò in un sorriso che
MacKenzie le aveva già visto fare agli ospiti che suo padre portava a casa: un
sorriso di circostanziale gentilezza.
-Molto lieta-
Rispose di rimando Mrs Hill allungando con grazia la mano
sinuosa. Mrs Patterson gliela strinse calorosamente priva della stessa finezza.
Sulla faccia di Mrs Hill passò una rapida smorfia che però non passò
inosservata da Miss Helena a cui spuntò un lampo d’ostilità negli occhi che si
andarono a posare sul viso costantemente sorridente di Mrs Hill. MacKenzie fu
presentata con ugual cortesia e strapazzata da Mrs Patterson tutto il giorno
che continuava a chiamarla “nipotina” ed insisteva che lei di rimando la
chiamasse “nonnina”. Quando fu libera di
tutte quelle attenzioni e pizzicotti affettuosi alle guance si rifugiò nel
giardino di quella sottospecie di fattoria. Si adagiò sul prato fresco formando
una perfetta ruota con il vestito verde. Si beò un po’ di quella pace, di quel
religioso silenzio che raramente si poteva udire a Londra; quando riaprì gli
occhi sentiva qualcosa di umido sul naso, temeva di essere scoppiata a piangere
di nuovo finché non ne avvertì un altro sulla piccola mano. Alzò lo sguardo e
vide le nuvole grigie e cupe che avvertivano minacciose l’arrivo di un
temporale. L’effetto fu immediato ed ad un tratto MacKenzie si ritrovò bagnata
da capo a piedi. Era una sensazione strana starsene sotto la pioggia
completamente fradice, mai provata prima; le gocce le arrivavano veloci sulle
spalle scoperte come piccoli aghi mal appuntiti che la facevano rabbrividire e
divertire allo stesso tempo. Si sentiva libera come non era mai stata, come se
tutte quelle preoccupazioni troppo precoci per una ragazzina di undici anni le
stessero scivolando via. Reclinò il capo all’indietro raccogliendo i capelli
zuppi tra le mani. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare da quella musica
incantevole che solo la pioggia riusciva a provocare. Una sinfonia che
rilassava ed era in perfetta sintonia in qualsiasi paesaggio si trovasse; la
pioggia non stonava mai. Senza neanche rendersene conto si alzò e cominciò a
volteggiare in punta di piedi come per catturare al meglio tutta la freschezza.
Sentì un suono cristallino che combaciava perfettamente con la silenziosa danza
della pioggia, solo poco dopo si accorse che era la sua risata, Dio da quanto
non rideva in quel modo! Uno stridere di gomme e delle voci affannate
interruppero quel magico incanto; sbatté più volte le palpebre per assicurarsi
che il sogno fosse finito e si avvicinò con cautela verso il cancello chiuso.
Guardandosi intorno lo aprì lentamente ritrovandosi sul marciapiede della
strada principale. Il vociare aumentava di volume e vide una bicicletta
svoltare l’angolo a tutta fiamma. Come un fulmine le passò accanto ricoprendola
di fango e di altra sporcizia non facilmente identificabile; ignorandola
completamente, un ragazzino entrò dentro il cancello sotto gli occhi stupefatti
e infervorati di MacKenzie che, a passo di marcia e marrone da capo a piedi,
rientrò nel giardino come un piccolo draghetto che
sputa fiamme. Vide il ragazzino buttare a terra la bici e correre verso il
portone della casa.
-Ehi tu!-
Il bambino si girò sorpreso come se non si aspettasse la sua
voce e la guardò con poco interesse e frettoloso.
-Che vuoi?-
chiese brusco battendo freneticamente un piede come se
dovesse andare urgentemente al bagno.
-Nessuno ti ha insegnato le buone maniere? Guarda come mi
hai ridotta!!-
irruppe MacKenzie indignata indicando il suo vestito un
tempo di un candido verdolino.
-Si, ok… scusa ragazzina…-
-mi chiamo MacKenzie!-
-Come vuoi…-
senza più degnarla di uno sguardo spinse il portone di
quercia ed entrò nella casa di Mrs Patterson. Scioccata, Mac fece lo stesso,
entrando con poco garbo sotto gli occhi disgustati della madre.
-MacKenzie… cosa… il vestito…-
balbettò Mrs Hill soffermandosi più volte sulla parola
“vestito”.
-E’ stato un ragazzino!-
Stridette Mac con la voce leggermente tremolante per
l’umiliazione. Voltò lo sguardo e vide lo stesso ragazzo parlare freneticamente
con Mrs Patterson nel salotto che lo osservava con un sorriso esasperato e
scuoteva il capo.
-TU!-
Si diresse come un fulmine verso quello che voltò il capo
stupefatto e impaurito.
-Ah sei solo tu, ancora! Ma cosa vuoi?-
-Credevi di cavartela con quelle scuse superficiali?!-
Mrs Patterson lo guardò con un cipiglio severo.
-Jamie sei stato tu?-
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e rispose frettoloso.
-Si, andavo troppo veloce con la bicicletta, ma ora non è
importante! Il signor Fletcher sta per arrivare e…-
-Non è importante!!?- urlò Mac completamente inferocita come
non si era mai vista.
-James, va in cucina, ci penso io a Mr Fletcher e dopo
parleremo anche di MacKenzie-.
-Chi?- chiese ingenuamente James disorientato.
-IO sono MacKenzie!!- strillò ancora Mac con ormai gli occhi
lucidi. Si diresse a passi pesanti verso la sua nuova camera per cambiarsi,
seguita da tata Maggie addolorata per la figuraccia della sua pupilla. Lanciò
uno sguardo duro a quel bambino impertinente che si stava già fiondando in
cucina.
Mac si rifugiò in quella sua nuova camera, addobbata come se
fosse la stanza di una principessa. Si tolse le scarpe e il vestitino
velocemente chiudendosi nel bagno accanto. Cominciò a far scorrere l’acqua
calda nella vasca che si pienò in un secondo. Cautamente alzò un piede fino ad
immergere tutta la gamba infreddolita, sembrava che tutti i suoi muscoli
stessero cantando dalla gioia di quel bagno caldo. Sentì bussare alla porta
tata Maggie che le chiedeva se doveva entrare, la rassicurò di andare pure e,
appena sentì la porta di camera sbattere, si lasciò andare completamente a quel
tepore rassicurante. Sommerse anche la testa osservando i suoi capelli
nell’acqua danzare come lingue di fuoco, riemerse mal volentieri per il bisogno
impellente d’aria. Ora non era neanche più così arrabbiata. Proprio quando si
stava per addormentare sentì la voce gracchiante della badante leggermente
irritata.
-Muoviti MacKenzie, è ora di cena! Benedetta figliola sei forse
un pesce? Sempre a sguazzare nella vasca fino a che non la si viene a
chiamare.-
Uscì contrariata dalla vasca inspirando a pieni polmoni il
profumo di pesca che emanava la sua pelle e non quel fetore disgustoso di
prima. Si avvolse in un accappatoio e diede una veloce spazzolata ai capelli.
Appena uscì dal bagno si ritrovò davanti il brutto grugno impaziente di tata
Maggie. Sobbalzò indietro per lo spavento prima di essere agguantata per un
braccio e vestita di tutto punto con un nuovo abito bianco.
-Quel ragazzino rimarrà qui a cena, voglio avvertirti-
Mac scattò a quelle parole come una teiera a bollire che
fischia, e tanti saluti al bagno rilassante.
-E’ ancora qui?!-
La tata annuì leggermente.
-E’ il figlio degli amici dei Patterson, un vero combina
guai. Aveva rotto il vetro del negozio di un certo Mr Fletcher e aveva fretta
di rifugiarsi da qualcuno; dovevi vedere come era arrabbiato Mr Fletcher,
gridava di rinchiudere quel piantagrane-.
MacKenzie sogghignò maleficamente felice di non essere l’unica
a pensarla in quel modo.
-Comunque non lo ha fatto apposta Mac, dovresti perdonarlo.
Avete la stessa età, potreste fare amicizia.-
-Ma è un maleducato e mi sta antipatico!- si lamentò
MacKenzie.
-Non lo conosci neanche!- ribatté la tata leggermente divertita
dal tono piagnucolante di MacKenzie.
Quando la rossina fu pronta si diressero verso la sala da
pranzo. La tata le diede un leggero buffetto sulla testa e le sussurrò
all’orecchio prima di entrare
-Sii carina-
In risposta MacKenzie grugnì insoddisfatta. Aprendo il
portone si trovò davanti una tavola imbandita di un qualsiasi cibo presente
sulla faccia della terra. Maiale, insalate, tacchino … Mac era tentata quasi di
chiedere se avessero sterminato tutti i loro polli, ma si rese conto che
sarebbe parso del tutto inadeguato all’occasione. Vide il sorriso raggiante
della madre appena entrò e fu quasi sicura di vederle un avvertimento negli
occhi risentendo nell’orecchio come un fastidioso ronzio le parole della tata
“Sii carina”. Ci avrebbe provato, si convinse MacKenzie. Non avevano tempo per
i suoi capricci, ora l’unica cosa importante era sua madre e la sua felicità.
Sarebbe stato poco adeguato comportarsi da viziatella davanti alla sua futura
famiglia. Ogni suo buono proposito però si frantumò vedendo il posto che le
avevano riservato, ovvero accanto a quel bambino odioso. Il suo sguardo si
corrucciò e smise di avanzare, ma una spintarella da parte di tata Maggie le
fece tornare alla mente di nuovo quel ronzio “Sii carina”. Poteva farcela, per
sua madre avrebbe sopportato anche quel ragazzino. Con un sospiro profondo si
avviò altezzosa verso la sua sedia, e con un piccolo balzo si mise accanto a
quel ragazzo che,per il fatto di esserle accanto, pareva felice quanto lei.
MacKenzie cominciò ad osservare con molto interesse le punte della sua
forchetta restando in silenzio. Il ragazzino, d’altro canto, non era garbato
come lei, e, al suo arrivo, si era limitato a voltare la testa dall’altra parte
con decisione. Mrs Patterson si schiarì la gola con voluta insistenza. Il
bambino fece finta di non averla sentita e cominciò a bere dal suo bicchiere
con indifferenza.
-James…- lo ammonì severa Mrs Patterson come MacKenzie non
l’aveva mai sentita. Il ragazzino sbuffò infastidito e leggermente esasperato.
-E va bene, scusami ragazzina se ti ho sporcato il vestito-.
MacKenzie, da sempre una brava osservatrice, vide un lampo
divertito negli occhi di James, no, non divertito, esilarato da quella
situazione e un accenno di riso che tentava di sedare sulle sue labbra senza
riuscirci troppo bene. Per MacKenzie quella presa in giro fu il colmo.
-Io mi chiamo MacKenzie- sibilò glaciale. James sussultò a
quelle parole come se pensasse che le sue “scuse” avrebbero davvero sistemato
tutto.
-MacKenzie?- chiese ingenuamente meravigliato.
-Ma è un nome da maschio!- Mac, che si aspettava tutto
tranne che quell’affermazione, divenne prima dello stesso colore dei suoi
capelli e poi di un viola spaventoso per la rabbia.
-E’ unisex, imbecille!- Disse fremente di rabbia mentre le
mani cominciavano a pizzicarle.
-Non cambia che comunque è un nome da maschio- commentò con
un ghigno James.
Le mani di Mac si avventarono pericolosamente verso il collo
di James, prontamente fermate da quelle della tata, la quale sembrava
leggermente intimorita dalla reazione della signorina. Mrs Hill stava
osservando James con un’aria infuriata quasi quanto quella della figlia. Mrs
Patterson si era avvicinata verso James e gli mormorava rimproveri duri alle
orecchie tra cui MacKenzie distinse “questa volta lo dico ai tuoi genitori”,
mentre lui si sganasciava senza ritegno dalle risate. Mr Patterson, invece, se
ne stava tranquillamente a sorseggiare il brodo di pollo come se niente fosse.
MacKenzie, dopo una sgridata della tata si calmò, o almeno cercò di calmarsi.
James d’altro canto fu spostato vicino a Mrs Patterson, che mentre parlava lo
guardava di sottecchi, come se si aspettasse qualcosa da un momento all’altro,
ma James sembrava aver già scordato la sua litigata con MacKenzie e si
abbuffava indecoroso sulla sua bistecca al sangue, facendo rivoltare lo stomaco
a Mac. La serata, dopo la confusione iniziale, passò allegramente. Mrs Hill
sembrava piacere a Mrs Patterson che la guardava sempre con un lieve luccichio
negli occhi ogni volta che Mrs Hill sfiorava suo figlio. Lo stesso non si
poteva dire delle due sorelle di Mr Patterson che consideravano Mrs Hill un
avvoltoio in cerca di altri soldi. MacKenzie, al termine della serata, le sentì
confabulare contro la madre, finché non si accorsero della sua presenza e si
affrettarono a dileguarsi nelle loro camere. Quando ormai era un’ora abbastanza
tarda per dei ragazzini di undici anni i genitori di James vennero a prenderlo.
Considerato il suo modo di comportarsi, MacKenzie contava di ritrovarsi davanti
due persone rozze e maleducate proprio come il figlio. Al contrario dovette
ricredersi perché i signori Douglas erano l’esatto opposto del figlio. La donna
aveva all’incirca trentacinque anni e portava i capelli lunghi e mori legati
con un sottile nastro rosso, aveva gli occhi nocciola allungati e un sorriso
talmente contagioso che per un attimo fece scordare a Mac di odiare loro
figlio. Il padre era la copia sputata di James,gli stessi capelli castano
chiaro, quasi oro, spettinati, gli stessi zigomi alti e lo stesso sorriso
impertinente. Erano due persone garbate e molto dolci che a MacKenzie fecero
quasi pena per il fatto che avessero un figlio tanto scapestrato. Quando James
salutò tutti, con enorme sorpresa di MacKenzie, i suoi occhi castani, l’unica
cosa che aveva preso dalla madre, si posarono su di lei.
-Allora ci vediamo in giro Hill-.
Mac assottigliò talmente lo sguardo che quasi non le si
poteva più vedere la cornea verde tra le folte ciglia. Rispose abbassando il
tono e cercando di suonare minacciosa.
-Spero di no per te-
James sghignazzò sfacciato e salutò ancora Mrs Patterson,
per poi dileguarsi nella notte.
MacKenzie sospirò esausta e un largo sbadiglio prese
possesso del suo viso, cosa che non passò inosservata da tata Maggie che
annunciò l’ora della nanna.
-Maggie, stasera vorrei portare io a letto Mac, tu va pure a
dormire-.
MacKenzie fu portata per mano nella sua camera dalla madre e
adagiata dolcemente nel letto che la accolse come se fosse sempre stato il suo.
Proprio quando si stava per lasciar abbracciare da Morfeo la madre parlò.
-Piccola, vorrei dirti due paroline su quel bambino, James-.
Mac sospirò esausta facendo un lieve mugolio infastidito.
Mrs Hill lo ignorò e continuò a parlare.
-Potresti, provare… insomma, a conoscerlo un po’ meglio!
Potrebbe diventare tuo amico.-
A quelle parole MacKenzie si puntellò sui gomiti mettendosi
a sedere sveglissima.
-Mamma, ma che stai dicendo? Hai visto come è fatto quello
lì!-
Disse Mac stupita per la richiesta della madre, che si era
mostrata ostile a James, proprio come lei.
-Tesoro, è il figlio del migliore amico di Wilbur, nonché
suo figlioccio. E lui ci è così affezionato, credo gli faresti molto piacere se
diventaste amici.-
-Mamma è così arrogante! Non credo riuscirei a sopportarlo,
hai visto cosa è successo stasera-
Mrs Hill fece una smorfia nel ricordare il tentativo di
strozzamento della figlia.
-Cerca solo di farci pace ok? Mi renderesti davvero felice
Mac, qui sono tutti così gentili con noi che non mi sembra il massimo litigare
subito con qualcuno.-
MacKenzie abbassò gli occhi mentre sentiva il sangue
affluire verso le guance. Si era dimostrata una ragazzina viziata e immatura
quando si era ripromessa di fare una buona impressione. E tutto solo per un
bambino un po’ troppo sicuro di sé; in quel momento le sembrò una cosa talmente
stupida che si vergognò ancora di più. Se non riusciva a sopportare uno stupido
ragazzino forse era davvero una viziatella. Rialzò il capo con una nuova
scintilla negli occhi che alla madre ricordò tantissimo quelli di Mr Hill, come
quando aveva una nuova sfida finanziaria davanti. MacKenzie avrebbe messo alla
prova se stessa, ce l’avrebbe fatta.
-Lo sopporterò mamma, posso farlo-
Lo disse con quella risolutezza che ogni tanto preoccupava
Mrs Hill, la quale aveva l’impressione di parlare già con una donna invece che
con una bambina. La madre baciò la testolina rossa della figlia e le augurò la
buona notte. MacKenzie si rannicchiò nel letto in posizione fetale lisciandosi
distrattamente i capelli.
“Vuoi la sfida Douglas? L’avrai!”
E con questo pensiero si lasciò cullare dall’oscurità
rassicurante della notte.