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Autore: Peppermint_Angel    28/04/2016    1 recensioni
Arielle è una ragazza come tutte le altre. Alla sua età, non c'è molto oltre il lavoro; per lei, tuttavia, pare esserci una via di fuga. Arielle ha un dono, quello di riuscire a fare sogni lucidi, che riesce a controllare e modellare a suo piacimento. Ma, un giorno, questa sua abilità sembra sfuggirle di mano. Il mondo in cui mette piede nei suoi sogni, è davvero irreale? E chi è il misterioso essere che dice di esserne il re, e le propone un patto così difficile da rifiutare?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“…E ti dico, non me lo dimenticherò mai!” aggiunsi, con veemenza “Quel sogno l’ho fatto anni fa, eppure è nitidissimo.”
“Io non sogno mai!” Mormorò Nimue a bassa voce, sollevando gli occhi pensierosa.
“A volte è un bene…” la consolai, con un sorriso.
 
*
 
Mi chiamo Arielle, ho 24 anni.
Sono una ragazza come tutte le altre: forse l’unica cosa che mi distingue dalla massa a un primo sguardo sono i capelli color rame, ma è cosa di poco conto.
Amo viaggiare, e per fortuna ho un lavoro che mi permette di farlo molto spesso.
 
Nimue è la mia migliore amica. Non c’è niente che non le direi, ed ecco il motivo per cui le stavo raccontando il mio strano sogno. L’ho fatto una notte, tanto tempo fa, mentre ero ancora alle scuole medie…e il suo ricordo non mi ha mai abbandonato.
Parliamo spesso di sogni, io e lei, che siano reali o meno. I miei di solito sono quelli meno terra terra! Questo perché il dono che ho, forse il più grande che abbia ricevuto finora in vita mia, è il saper sperimentare quelli che vengono definiti “sogni lucidi”.
 
Alcune persone allenano la propria mente per arrivare a sperimentare quello che io faccio ogni notte quando mi addormento, ma per me è completamente naturale: ho la capacità di rendermi conto che sto sognando, e di manipolare il sogno a mio piacimento.
Posso volare su un drago, far crescere montagne, giocare con le fate e vivere i mondi che voglio non appena chiudo gli occhi.
Ci sono volte, tuttavia, in cui non riesco a cambiare quello che vedo. Sono rare, ma questo sogno era una di esse.
 
*
 
“Quando ci rivedremo Ari?” Nimue interruppe il filo dei miei pensieri.
“Oh…tra due giorni parto per Parigi. Starò via una settimana, poi sarò di nuovo a casa.” Le risposi, finendo di bere la mia tazza di the caldo. Verde al gelsomino, il mio preferito. 
Nimue fece il broncio.
“E dire che io devo stare chiusa in ufficio da mattina a sera.”
“Oh, dai! Come se io fossi in giro a divertirmi!” la rimbeccai ridendo “A proposito di viaggi, però, devo andare. Domani sistemo gli ultimi documenti e preparo i bagagli…mi alzo presto”.
 
Mi alzai, con calma, evitando abilmente gli assalti giocosi dei suoi due cuccioli di border collie, e mi avviai verso la porta.
 
 _____________________________
Ero immobile sull’orlo di un precipizio.
 
Un momento.

Non era un precipizio…quello intorno a me non era bosco, quelle a terra non erano semplici rocce.
Erano travi, che dovevano aver sorretto il tetto di una casa, tempo fa. Ora erano nere, consumate da pioggia e vegetazione, che le aveva invase rendendole un piccolo ecosistema a se stante.
E a terra, invece della nuda roccia, c’era marmo. Forse era stato bianco una volta, ma gli arbusti avevano trovato la loro strada tra le pietre, e in ogni crepa, ogni fessura di quelle rovine distrutte, ora cresceva una pianta, o un fiore. Vi era un senso di abbandono che permeava ogni cosa, eppure non era una sensazione spiacevole. Sembrava di essere in un mondo sperduto e dimenticato da ogni dio esistente, eppure allo stesso tempo così bello che sembrava essere stato custodito gelosamente da esseri sovrannaturali.
 
Mi era chiarissimo, quello era un sogno.
 
Il salto di fronte a me, tuttavia, non mi tentava. Prima di piegare un mondo alle mie regole, cerco sempre di esplorarlo nella sua follia.
Mi voltai, e vidi che poco distante da me c’era un’intera foresta di travi come quelle che avevo accanto. Mossi qualche passo nella loro direzione, intenzionata a dare un’occhiata più da vicino. I miei piedi, nudi e pallidi, poggiavano sul marmo sentendo ogni più piccola crepa. Ancora non sapevo a cosa andavo incontro.

Le travi non formavano nessun percorso da seguire. Sembrava proprio che qualcosa di immenso fosse crollato, in modo tanto grave che, più che creare un sentiero, ostruivano qualsiasi via possibile. Mi arrampicai su una trave dopo l’altra, scostando spesso rami e rampicanti con le mani mentre scavalcavo i pezzi di legno.

Finalmente, giunsi in una radura.

“Che strano” pensai, “una radura?” Mossi qualche passo verso il centro dello spiazzo.

*

Prima che potessi guardarmi intorno e cercare di capire dove mi trovavo, qualcosa all’improvviso si mosse sotto di me. Dalla sorpresa mi sfuggì un grido!

Una rete, fissata a uno dei pochi alberi robusti che avevo visto finora, si era sollevata da sotto i miei piedi e ora mi teneva imprigionata a mezz’aria. Era successo tutto così in fretta che prima che pensassi di reagire passò qualche secondo. Siccome non mi piaceva la piega che aveva preso il sogno, e non volevo si trasformasse in un incubo, cercai di far si che la rete si aprisse, e immaginai di dirigermi verso il suolo lentamente, per evitare lo schianto. Avrei sistemato le cose in un batter d’occhio.

Eppure, nonostante la mia buona volontà, la rete non si mosse di un millimetro. Sollevai le mani, e la tastai, per capire di cosa fosse fatta. Sembrava erba essiccata, ma aveva anche un aspetto parecchio resistente.
Mentre mi ponevo mille domande su perché non riuscissi a controllare il sogno come ogni volta che ci provavo, dal bosco emersero alcune creature.

Erano sottili, e la loro pelle era assolutamente candida. Certo, forse non la loro in particolare...cercando di mimetizzarsi, si erano ricoperti di terriccio, fuliggine, foglie secche. Ma sotto la sporcizia si intravedeva comunque l’incarnato bianco come neve. Le gambe lunghe si posavano sul terreno con una leggerezza e elasticità che non avevo mai visto prima. A differenza delle mie, parevano fatte apposta per scavalcare quelle travi che ci circondavano, ed arrampicarsi sulla poca vegetazione che lo consentiva. Le loro braccia non erano diverse, lunghissime e affusolate. Le mani, dalle dita sottili, stringevano archi e frecce, tutti puntati nella mia direzione. Un paio di loro avevano una fionda realizzata in legno nodoso. Gli archi, invece, sembravano avere una particolare attenzione nella manifattura. Erano rozzi, intagliati nel legno senza troppi complimenti, eppure qualcuno aveva utilizzato del tempo per incidervi sopra degli strani ghirigori, che avrebbero potuto essere semplici decorazioni quanto formule magiche, per quanto potevo leggere da dove mi trovavo.
Erano una decina scarsa, in tutto.

Rimasi a fissarli, immobile, spaventata dalle armi che portavano.

“È solo un sogno!” ricordai a me stessa. Eppure avevo freddo, e nell’aria c’era una sensazione di pericolo che non riuscivo a scacciare. Ecco come si sente una preda di fronte al cacciatore.

La mia immobilità dovette convincerli che non costituivo un pericolo. Abbassarono appena le armi, ma vidi che non abbandonavano del tutto l’allerta.

“Chi siete?” 
Uno di loro parlò. La sua voce era cavernosa, come se venisse dal fondo dei suoi polmoni. Era profonda, con una nota vibrante, e dava un certo senso di inquietudine.

Lo osservai, senza sapere cosa dire, per qualche secondo.
“Sono Arielle” dissi, come se lo avessi anche io realizzato in quell’istante.

Le creature si guardarono tra loro. La mia risposta non li aveva impressionati, ed era chiaro che il mio nome per loro non significava assolutamente nulla.
La stessa creatura di poco prima, che doveva essere in qualche modo alla loro testa, parlò ancora.
“Cosa siete?”

Rimasi in silenzio, questa volta nemmeno uno sforzo considerevole mi consigliò quale fosse la risposta giusta da dare.

*

“E’ un essere umano”.

Una voce risuonò nella mia testa. Nessuno aveva parlato, eppure io l’avevo sentita.
A giudicare dalle reazioni dei guerrieri, dovevano averla percepita anche loro. Si voltarono tutti nella stessa direzione, e seguendo il loro sguardo vidi un diverso tipo di creatura. Aveva pressapoco le dimensioni di un gatto, ma sembrava più essere un piccolo cervo. Aveva delle lunghe corna, ma invece che essere orientate verso l’alto come quelle dei cervi, crescevano verso il basso, in una piccola, delicatissima spirale. Ma ciò che davvero impressionava era la bellezza del suo mantello: era cangiante, dal giallo crema al blu intenso, cosparso di quelle che sembravano stelle. E che in effetti avevano tutta l’aria di esserlo, visto che sulla fronte aveva, chiaramente, la costellazione dell’orsa maggiore.

Le parole che tutti gli avevano sentito pronunciare avevano creato dello scompiglio. Le creature parlottarono tra loro per qualche minuto, prima di sfoderare nuovamente arco e frecce.

E li puntarono contro di me.
 

Mi rannicchiai immediatamente, coprendomi la testa con le braccia, solo per scoprire che il loro obiettivo non ero io, quanto la corda che teneva appesa la rete. Purtroppo lo scoprii nel modo peggiore: sensazione di vuoto e dolorosissimo tonfo.

“Ah!” esclamai, presa nuovamente in contropiede.

Senza quasi guardarsi tra loro, e di sicuro non cercando di fornire una spiegazione a me, sollevarono la rete di peso. Ci vollero solo un paio di loro, eppure non sembrava uno sforzo insopportabile. Quelle membra sottili come giunchi dovevano essere molto più robuste di quanto sembravano. Mi allontanarono dalla radura.

Voltandomi, potei vedere ancora una volta il piccolo cervo coperto di stelle. Mi osservava, ma non si avvicinò, e dopo qualche istante scomparve nella vegetazione da cui era venuto.

Rivolsi quindi la mia attenzione al piccolo plotone che mi stava trasportando, decisamente contro la mia volontà.
“Ehi! Dove mi state portando??” esclamai, furiosa.
Inutile dire che non ricevetti risposta, e questa è una cosa che mi disturba moltissimo. Probabilmente avrei solo dovuto usare un po’ più di convinzione.
“Ho detto...dove - mi state – portando??” urlai di nuovo, rivolta in particolare a quello che avevo capito essere il loro capitano, e che mi camminava al fianco.
Non si degnò nemmeno di alzare lo sguardo su di me. Disse solo:

Nikolao”.

   
 
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