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Autore: Northern Isa    29/04/2016    0 recensioni
Inghilterra, XI secolo. Una terra di cavalieri e stregoni dominata da re Ethelred l'Impreparato, sopravvissuta alle incursioni vichinghe, si appresta ora a vivere un periodo di pace.
Nonostante la tregua, l'equilibrio tra maghi e Babbani è sempre più instabile, non tutti i Fondatori di Hogwarts condividono l'operato del sovrano e c'è chi auspica un dominio dei maghi sull'Inghilterra. Una nuova minaccia è alle porte: Sweyn Barbaforcuta e i suoi Danesi sono ancora temibili, e questa volta hanno un esercito di Creature Magiche dalla loro. Roderick Ravenclaw, nipote della celebre Rowena, farà presto i conti con quella minaccia. Ma scoprirà anche che il pericolo maggiore per lui proviene dal suo passato.
[Questa storia partecipa al contest "Gary Stu, noi ti amiamo" di Santa Vio da Petralcina]
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Godric, Nuovo, personaggio, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Capitolo 28


L’indomani mattina, Roderick impiegò qualche istante per rendersi conto di dove si trovava. Il letto in cui era sdraiato aveva un materasso tanto morbido quanto il suo, ma non c’era una cassapanca ai suoi piedi, inoltre era orientato in maniera diversa rispetto alla porta e alla finestra della stanza. Il giovane si mise a sedere e si rese conto che anche le coperte erano diverse dalle sue e, a ben guardare, l’arredamento di quell’ambiente gli era totalmente estraneo. Udì dei rumori fuori dalla sua porta: servette che parlottavano tra loro mentre sbrigavano le loro faccende. Una di loro nominò re Sweyn, e tutto fu drammaticamente chiaro nella mente di Roderick. Ricordò improvvisamente la fuga dal suo matrimonio e dal suo castello, l’incontro con sua madre e con il re danese, il banchetto al palazzo reale.
Si passò una mano sul volto e non si sorprese nell’accorgersi che era madido di sudore freddo. Si era infiltrato nei nemici, era in mezzo a loro. La sera prima era stato piuttosto facile brindare con re Sweyn, ma ora, dopo una notte di sonno, si sentiva come uno scalatore bloccato ad alta quota, incapace tanto di salire ancora, quanto di ridiscendere a terra.
Roderick si alzò e si vestì, ancora agitato, ma, dopo che ebbe finito di lavarsi, si sforzò di calmarsi. Non aveva fatto tutta quella strada per niente, non aveva ucciso dei messaggeri e lasciato una sposa sull’altare per essere imprigionato in una sontuosa camera da letto dalla sua stessa paura. Inspirò profondamente un paio di volte, poi, quando il suo ritmo cardiaco si fu regolarizzato, affrontò la porta e uscì nel corridoio.
La colazione si tenne nella sala del banchetto, che era stata accuratamente ripulita e riordinata dalla sera prima. Quando Roderick ne varcò la soglia, re Sweyn, già seduto al tavolo, gli fece cenno di sedersi accanto a lui. Solo dopo che ebbe mosso qualche passo sul pavimento di pietra, Roderick si accorse che sua madre Vistoria, seduta al suo fianco, con una mano reggeva il calice da cui beveva, mentre l’altra era distrattamente posata sul braccio del Danese. Il giovane distolse lo sguardo e si sedette sullo scranno all’altro fianco del re.
«Hai dormito bene, mio caro?» gli domandò Vistoria. I lunghi capelli biondi erano stati acconciati in una mezza coda che terminava con una treccia, i suoi occhi erano luminosi e attenti.
Roderick annuì, poi iniziò a piluccare il cibo che aveva davanti a sé, ma lo stomaco era strettamente annodato.
Dopo la colazione, il sovrano e suo figlio, il principe Knut, si ritirarono insieme ad alcuni comandanti dell’esercito per discutere di alcune questioni. Roderick avrebbe dato qualsiasi cosa per seguirli e ascoltare i loro discorsi, ma sapeva che l’essere entrato nella corte del re non faceva di lui un suo uomo. Se tutto fosse andato bene, Sweyn avrebbe iniziato a fidarsi di lui gradualmente, e Roderick iniziò a pensare a qualcosa per accelerare i tempi. Le sue riflessioni furono però interrotte dalla madre, che gli prese la mano e lo fece alzare dal tavolo dei banchetti.
«Il re è occupato, ma io e te possiamo fare un giro per il castello! Magari possiamo avventurarci anche fuori dalla mura, se una scorta potrà seguirci.»
A Roderick nessuna delle due proposte andava a genio, ma sapeva di non avere scelta, così seguì la madre. Questa volta lei parlò poco, ma volle sapere dal figlio tutto ciò che aveva fatto in quegli anni. Il mago raccontò così degli studi a Hogwarts. Parlò dapprima stentatamente, a disagio nel raccontare dettagli di sé a quella che era praticamente un’estranea, ma poi le parole uscirono più agilmente dalle sue labbra, interrotte giusto di tanto in tanto da frequenti esclamazioni deliziate o da qualche scoppio di risa di Vistoria.
Terminato che ebbe di raccontare delle Investiture, Roderick tacque, incapace di trovare altri argomenti di conversazione. La Veela lo condusse nel cortile del castello e si sedette accanto a lui su una panca di quercia intagliata. L’aria era pervasa dall’odore di terra bagnata e dalle voci delle persone impiegate al castello.
«Dimmi di più» lo esortò Vistoria, intrecciando le dita sul ginocchio, incassando la testa tra le spalle e rivolgendogli un sorriso malizioso.
«Non c’è molto di più» rispose Roderick, facendo spallucce. Probabilmente sapevano già del suo legame con Lord Slytherin, ma, nel caso in cui si fosse sbagliato, non sarebbe stato lui a rivelarlo, esponendo così il Fondatore. «Ti mostrerei qualche incantesimo che ho imparato, ma non ho la mia bacchetta. Credi che potresti farmela riavere?» domandò con finta noncuranza.
Vistoria ignorò volutamente il quesito, si avvicinò ancora di più a lui e sbatté le ciglia nella sua direzione.
«Oh, deve esserci dell’altro. Sei un ragazzo molto bello, non a caso sei mio figlio» disse, accarezzandogli il mento. «Non riesco a credere che un giovane avvenente come te non abbia l’amore di una fanciulla.»
Roderick strinse le labbra. A quell’ora, Lamia doveva odiarlo, e Abigail… molto probabilmente pure, si rese conto.
«Non lo so» rispose con franchezza. Ma io ne amo una, avrebbe voluto aggiungere. Parole che non uscirono mai dalle sue labbra.
Vistoria ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano.
«Non sarà un problema, vedrai» gli disse, sorridendogli maliziosamente e osservandolo avidamente con i suoi occhi chiari. «Se le donne inglesi non si fanno avanti, probabilmente ti innamorerai di una Danese. A dispetto delle apparenze, non è gente fredda.»
«E tu ne sai qualcosa, di ciò che prova la gente del nord, non è così?» domandò seccamente Roderick, prima di riuscire a impedirselo. Vistoria sollevò le sopracciglia chiare e schiuse le labbra, apparentemente senza capire il riferimento del figlio. Poi la comprensione si fece gradualmente strada nelle sue iridi e le impedì di articolare una risposta.
Un rumore di passi sul selciato del cortile costrinse entrambi a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra e a voltarsi. L’oggetto dell’allusione di Roderick avanzava con suo figlio Knut al suo fianco, seguito da un piccolo drappello di Danesi armati di lancia, arco e frecce.
«Ti cercavo, Roderick» esordì il re, raggiungendolo con un paio di ampie falcate. «Stiamo uscendo per una battuta di caccia, seguimi, se vuoi.»
Il giovane mago non riuscì a credere alle sue orecchie. Per quanto rude e ben lontano dai costumi inglesi, quello articolato da re Sweyn era un autentico invito. Per il suo secondo giorno a Londra, era ben più di quanto avesse osato sperare.
Roderick scattò in piedi, tenendo le braccia rigide lungo i fianchi.
«Ma certo, altezza, è un onore per me.»
Barbaforcuta gli lanciò un’occhiata obliqua, dopodiché gli voltò le spalle per ordinare al suo seguito di procurare alcuni cavalli. Quando tornò a rivolgersi a Roderick, non aveva perso la sua aria enigmatica.
«Pare che un cinghiale indemoniato infesti questi boschi» disse, indicando un punto imprecisato alla sua destra con un vago gesto della mano.
«È vero» gli fece eco Vistoria, in piedi accanto al figlio. Mentre rispondeva al re, il suo sguardo non aveva abbandonato il profilo di Roderick. C’era provocazione in quegli occhi, come se volesse sfidarlo a dire qualcosa sulla relazione che aveva intessuto con il capo danese. Il mago affondò le mani nelle tasche delle brache, e fece spallucce. In fin dei conti non gli interessava in quale letto si infilasse sua madre. Dopo ciò che aveva fatto a lui e a Rastor, niente l’avrebbe resa peggiore di quel che era. Non gli era chiaro da dove gli fosse nato quel moto di stizza che l’aveva condotto a parlarle in quel modo, ma non aveva intenzione di alimentarlo. Non quando la vicinanza e la concordia con Vistoria erano così utili per i suoi propositi.
«Il popolino non fa che ripetere altro» continuò re Sweyn, «con il terrore negli occhi e la schiuma alla bocca. Dicono che sia impossibile da uccidere. Da un Inglese, forse, ma non da noi.»
Concluse la frase con una risata bassa e gutturale, alla quale Roderick si costrinse a unirsi.
«Ma certo, maestà» finse di concordare, «la gente di qui non è abituata a bestie più pericolose di un cervo. Al di là del mare invece dovete essere avvezzi a creature ben più minacciose.»
Re Sweyn inclinò appena il capo, e in quel gesto Roderick lesse interesse, così continuò a parlare di ciò che sapeva sulle terre del nord, calcando su quanto quelle genti fossero vigorose e senza paura. Parlò anche quando giunsero gli altri Danesi con i cavalli, continuò quando lasciarono il castello e si infilarono nei boschi. Quando iniziò a udire delle grida più simili a un ruggito che a un grugnito, tacque. Strinse le dita intorno all’arco che gli aveva dato il re, rimpiangendo di non avere con sé la sua bacchetta.
Quando il drappello di cacciatori tornò al castello, anticipato da una muta di cani latranti, re Sweyn e Roderick vennero accolti come eroi. Vistoria baciò entrambi e Knut diede al mago una pacca di approvazione su una spalla. Dal canto suo, questi era solo sollevato per essere sopravvissuto. Demoniaco o no, quel cinghiale era stato un avversario davvero formidabile, che aveva messo in difficoltà alcuni dei migliori cacciatori danesi, tra cui lo stesso sovrano. Roderick aveva cacciato spesso insieme a Baldric, ma mai senza la bacchetta. Colpire la bestia con un Avada Kedavra sarebbe stato semplice, ma con frecce e arpioni non era la stessa cosa e in particolare in un momento, quando si era trovato faccia a faccia con l’animale, aveva temuto per la sua vita. Tuttavia era riuscito a evadere da quella foresta senza nulla di più grave di qualche graffio e senza aver prestato un contributo essenziale alla battuta di caccia. Alla fine era stato re Sweyn a uccidere la bestia con un potente colpo d’ascia sul collo, ma Roderick era stato festeggiato ugualmente. Pareva infatti che si fosse trovato nel posto giusto al momento giusto, e che avesse così permesso che il cinghiale venisse accerchiato. Sapeva che si era trattato di una combinazione fortunata, ma non ci tenette a spiegarlo ai Danesi.
«Tuo figlio è un cacciatore» tuonò re Sweyn dopo che Vistoria si fu staccata da lui.
La Veela giunse le mani sotto il mento e sorrise, osservando il figlio come se lo vedesse per la prima volta. Knut fece eco al padre, per poi invitare Roderick ad aiutarlo a trasportare la carcassa dell’animale.
Quella sera, i cacciatori vennero degnamente festeggiati. Il cinghiale venne impalato e messo ad arrostire su un grande fuoco, mentre alcune serve cospargevano la carne con un sugo aromatizzato che doveva essere il risultato di una ricetta danese. Il grasso colava sulle braci, facendole scoppiettare allegramente e sprigionando tutto il suo appetitoso aroma nell’aria.
«I cantori parleranno delle gesta di Sweyn il Cacciatore!»
L’esclamazione di Vistoria costrinse Roderick a staccare gli occhi dai fianchi anneriti dalle fiamme del cinghiale. La Veela sedeva accanto al re, come al solito, e gli accarezzava un avambraccio mentre questi sorseggiava un grande boccale di birra.
Come se un nuovo appellativo possa far dimenticare che si tratta di Sweyn il Conquistatore, pensò Roderick stringendo le labbra. Poi anche lui si concentrò sul suo boccale e bevve.
Non era abituato alla birra, che per i suoi gusti aveva un sapore troppo amaro, ma in tempo di guerra il vino aveva scarseggiato e i commerci non erano ancora ripresi. Inoltre la birra era molto più vicina al costume scandinavo, perciò non fece commenti ad alta voce e si limitò a tracannare quel liquido scuro e torbido. Quando si sollevò per l’ennesimo brindisi a re Sweyn, la sua testa prese a girare. Gli tornò in mente lo stato di ubriachezza in cui era caduto prima di andare a cercare Abigail, i fumi alcolici che lo avevano annebbiato mentre le aveva sollevato le gonne. Sapeva che se avesse continuato a bere sarebbe stato preda dell’incertezza e del timore che accompagnava silentemente il suo soggiorno londinese, e quella sera non ci sarebbe stata nessuna Abigail Preshy a confortarlo. Così allontanò da sé il boccale e accolse con sollievo la prima fetta di cinghiale che gli venne servita. Ben presto scoprì però che gli effetti della bevanda alcolica si erano insinuati nel suo cervello senza che il cibo nel suo stomaco potesse scacciarli. Il mondo era ancora nitido intorno a lui, i cantori, sua madre, re Sweyn, il principe Knut, il cinghiale sfrigolante, le patate arrosto nel suo piatto, i bagliori delle fiamme. Eppure il senso di incertezza richiamato dalla birra era riemerso prepotentemente, e lui non riusciva a pensare ad altro. Sentiva che quella battuta di caccia lo aveva avvicinato al re, ma ancora era troppo poco. Desiderava un maggiore contatto, la possibilità di restare da solo con lui, ma nello stesso tempo li temeva. Si trovava in una sorta di limbo in cui era difficile stare, una zona intermedia tra il pericolo e la più tranquilla sicurezza. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era che avrebbe dovuto inventarsi qualcosa se non voleva restare per sempre in quella zona tormentosa. Forse l’indomani avrebbe potuto proporre qualcosa, se non risultava troppo sfacciato.
A una settimana dalla fortunata caccia al cinghiale, Roderick non era ancora riuscito a fare ciò che si era prefissato. Tuttavia ebbe modo di avvicinarsi ancora di più al sovrano danese, in particolare grazie all’aiuto inconsapevole del principe Knut e di Vistoria la Veela. Il giovane scandinavo infatti sembrava provare un’istintiva simpatia per lui, e il fatto che fossero piuttosto vicini d’età rendeva scontato che trascorressero del tempo insieme. Ogni volta che Knut andava da qualche parte, Roderick lo seguiva. Il principe aveva una risata ragliante molto simile a quella di Baldric; ogni volta che il mago lo sentiva ridere ripensava alla tranquilla spensieratezza dei tempi andati. I due avevano gli stessi gusti in fatto di passatempi, così per Roderick fu piuttosto piacevole stargli dietro. Ogni volta che Knut faceva qualcosa con suo padre, anche il mago era dei loro, con profonda soddisfazione per il risultato che era riuscito a raggiungere. Ma quella che osò di più fu sua madre Vistoria. Un giorno, dopo che Roderick era tornato da una cavalcata col principe, la Veela aveva constatato che era davvero bello vederli insieme, inoltre si assomigliavano abbastanza da sembrare fratelli, e magari un giorno lo sarebbero diventati davvero. Il ragazzo non aveva risposto, ma aveva assimilato la notizia con attenzione. I sentimenti contrastanti con cui l’aveva accolta erano durati meno di un battito di ciglia, poi Roderick si era concentrato lucidamente sul significato delle parole della madre. Probabilmente Vistoria sarebbe riuscita a farsi sposare da re Sweyn, mentre in base alla sua opinione era meno facile che il sovrano riconoscesse suo figlio. Tuttavia non era nulla di impossibile, la Veela era in grado di far fare qualsiasi cosa agli uomini. Fu la stessa Vistoria a procurare a Roderick nuove occasioni per stare in compagnia di re Sweyn, nell’ottica del perseguimento di quello che il giovane aveva capito fosse il suo obiettivo.
Il mago non poteva dire di essersi totalmente guadagnato la fiducia di Sweyn Barbaforcuta, la gente del nord sembrava diffidente per natura e il re lo era quanto tutti i suoi sudditi messi insieme, eppure aveva notato che qualcosa si stava iniziando a smuovere nell’algido sovrano. Non sapeva se per merito della sua amante o di suo figlio, o di entrambi. Se il loro intervento era riuscito ad avvicinarli, risultando così un importante aiuto, d’altra parte però si stava rivelando un ostacolo: Roderick non era mai da solo con il re. La soddisfazione dei tempi iniziali si stava trasformando in frustrazione, e il giovane stentava a controllarla.
Una mattina uguale a tante altre che aveva trascorso al castello londinese, Roderick terminò di fare colazione con il re, il principe, la madre e altri. Quando si sollevarono dai sedili, il sovrano e i membri del suo consiglio si accomiatarono dal resto della corte per discutere le loro questioni. Diversamente dal solito, però, Vistoria si affrettò a trattenere Sweyn per un braccio, per poi bisbigliargli qualcosa all’orecchio. La Veela aveva un sorriso eccitato sul volto, mentre il sovrano era impassibile come al solito. Annuì brevemente, dopodiché si liberò dalla stretta di lei e seguì i magnati fuori dalla sala.
Roderick rimase seduto al suo posto, tranquillo e silenzioso, giocherellando con alcune molliche che si erano depositate sulla tovaglia. Non aveva fretta di andare da nessuna parte, eppure fu costretto ad alzarsi quando sua madre tornò da lui e gli prese le mani.
«Dai, usciamo» propose la Veela. «Dobbiamo approfittare della prima giornata serena dopo tutta questa pioggia, non credi?»
Vistoria aveva lo stesso sguardo lucido che aveva rivolto a re Sweyn; quando il figlio le chiese cosa avesse, tagliò corto, dicendogli che non era nulla.
Roderick aveva appena legato il mantello sotto il mento, quando un servitore del sovrano gli andò incontro, dicendogli che il Barbaforcuta lo aspettava. Il giovane, sorpreso, si sfilò la cappa con movimenti lenti e la consegnò a sua madre. Vistoria lo osservò con occhi lustri, ma non disse niente.
Il servitore condusse il mago fin nella sala in cui il sovrano era abituato a riunirsi con il suo consiglio. Roderick ricordava distintamente quella stanza, eppure ai tempi di re Ethelred non aveva avuto una funzione precisa. Era evidente perché il conquistatore danese l’apprezzasse: era piuttosto ampia, senza risultare dispersiva, e riceveva luce per due terzi della giornata. I bassorilievi che la ornavano raffiguravano scene di vita quotidiana, il pavimento a scacchi colorati ricordava alcune fantasie che Roderick aveva visto sugli abiti di alcuni uomini del nord. Re Sweyn aveva fatto sostituire il piccolo scrittoio che si era trovato lì con il tavolo che Ethelred aveva usato per il suo, di consiglio. Roderick ripensò agli uomini che, in un’occasione o in un’altra, aveva conosciuto. Si concentrò in particolare sul canuto Lord Caradoc e sull’atletico principe Edmond. Chissà se erano ancora vivi.
Scuotendo la testa, si costrinse a smettere di pensare a loro e si concentrò sui sedili che circondavano il tavolo di legno. Erano tutti vuoti. Al limitare della sala si trovava re Sweyn. Osservava il paesaggio fuori dalla finestra e aveva intrecciato le dita dietro la schiena coperta di lana marrone.
Roderick tossicchiò leggermente per segnalare la sua presenza e il Barbaforcuta si voltò.
«Eccoti». Indicò uno degli scranni vuoti con un gesto ampio. «Siediti.»






NdA: Mi è piaciuto troppo scrivere di Sweyn Barbaforcuta. Me lo sono immaginato un po’ come il re sassone di King Arthur XD È riservato, sfrontato con i nemici, cauto con gli amici. Affiancargli Vistoria, così briosa ed esuberante, può sembrare un azzardo, ma non dobbiamo dimenticare che lei è una Veela, e per sua natura riesce ad avere tutti gli uomini in suo potere. Inoltre, come Rastor sa bene – pover’uomo – quello è solo un lato di lei, che sa essere anche ben pericolosa. Inoltre l’ho voluta caratterizzare come una creatura calcolatrice, una che è ben cosciente del potere che ha sugli uomini, e che sa anche molto bene come esercitarlo. Infatti prima è stata con il fratello di una famosissima strega inglese, ora addirittura con un re. È una che sa come apparire allegra e spensierata, a volte infantile, ma i suoi conti se li sa fare bene.
Knut invece è figo, punto.
Roderick si è ficcato in questa situazione, però appare a disagio, a volte spaventato. Sa che rischia molto, moltissimo, ed è assolutamente umano – specialmente per uno come lui – avere paura.

 
   
 
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