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Autore: Northern Isa    29/04/2016    0 recensioni
Inghilterra, XI secolo. Una terra di cavalieri e stregoni dominata da re Ethelred l'Impreparato, sopravvissuta alle incursioni vichinghe, si appresta ora a vivere un periodo di pace.
Nonostante la tregua, l'equilibrio tra maghi e Babbani è sempre più instabile, non tutti i Fondatori di Hogwarts condividono l'operato del sovrano e c'è chi auspica un dominio dei maghi sull'Inghilterra. Una nuova minaccia è alle porte: Sweyn Barbaforcuta e i suoi Danesi sono ancora temibili, e questa volta hanno un esercito di Creature Magiche dalla loro. Roderick Ravenclaw, nipote della celebre Rowena, farà presto i conti con quella minaccia. Ma scoprirà anche che il pericolo maggiore per lui proviene dal suo passato.
[Questa storia partecipa al contest "Gary Stu, noi ti amiamo" di Santa Vio da Petralcina]
Genere: Angst, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corvonero, Godric, Nuovo, personaggio, Priscilla, Corvonero, Salazar, Serpeverde, Serpeverde, Tassorosso, Tosca, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Capitolo 29


Roderick avvertì il suo pomo d’Adamo muoversi su e giù nel deglutire. Biascicò un ringraziamento, dopodiché si sedette sul sedile che re Sweyn gli indicava. Questi, invece, rimase in piedi.
Per un po’ parve non essere interessato ad altro che non si trovasse fuori dalla finestra. Mentre il sovrano osservava il paesaggio, Roderick osservava lui. La luce che filtrava attraverso la finestra andava ad annidarsi tra i nodi della sua barba. Tra le sopracciglia cespugliose e la massa di capelli chiari, la sua fronte quasi scompariva, così il mago non poté rendersi conto se era aggrottata.
«Mio figlio Knut mi ha riferito che rivorresti la tua bacchetta» esordì il Danese, senza distogliere lo sguardo dal paesaggio fuori dalla finestra.
Roderick si inumidì le labbra secche. Un paio di giorni prima, mentre era insieme al principe, aveva distrattamente espresso la considerazione che la sua bacchetta era ancora nelle mani delle guardie che lo avevano fatto entrare al castello appena giunto a Londra. Da allora, non aveva smesso di sentirsi nudo. Per anni era vissuto a stretto contatto con quell’oggetto che era ormai diventato un prolungamento del suo braccio. Lo utilizzava per fare qualsiasi cosa, anche per svolgere le incombenze più semplici, e si era disabituato a svolgere i lavori manuali. Tuttavia alla corte di re Sweyn sembrava non esserci posto per la magia, e Roderick aveva dovuto abituarsi, pur senza smettere totalmente di sentirsi fuori posto.
«Sì, maestà» rispose. «È che sono abituato… Mi appartiene…»
Roderick smise di parlare quando si accorse che aveva incominciato a balbettare. La sua bacchetta era parte di sé e di certo gli avrebbe fatto più che piacere rientrarne in possesso, ma non era quello a cui stava pensando. Re Sweyn era, in quel momento, da solo. Da solo con me.
Il Barbaforcuta si allontanò dalla finestra e mosse un passo verso di lui, emettendo un verso a metà tra un grugnito e uno sbuffo.
«Deve essere bello essere un mago» rilevò.
Roderick rimase in attesa, interdetto. Re Sweyn non era un uomo che si sforzava di fare conversazione, perciò doveva puntare a qualcosa.
«Sì, lo è» concordò dopo un po’.
Il re prese a passeggiargli intorno con fare casuale.
«Nessuno della mia famiglia ha mai avuto dei poteri magici, eppure conosco stregoni potenti. Io il comando l’ho preso con queste.» Mostrò a Roderick le mani. Il giovane notò che erano grandi e callose, e una sottile cicatrice bianca ricopriva il dorso della destra. «La mia gente ama la forza, e io gliel’ho mostrata. Ma non pensare che basti. Un re deve occuparsi del suo popolo, e il suo popolo lo deve amare. Sai cosa serve affinché un re sia amato?»
Roderick negò scuotendo il capo, incerto.
«Deve avere la fiducia della sua gente.» Sweyn si fermò proprio davanti al mago e protese il busto solido verso di lui, scrutandolo con i suoi perforanti occhi verdi. «Tu sai cos’è la fiducia, Roderick? Tua madre te l’ha insegnato?»
Un’altra volta il giovane si trovò a deglutire con difficoltà.
«Sì, maestà. Lo so bene.»
Il Barbaforcuta si ritrasse, apparentemente soddisfatto.
«Voglio che tu lasci Londra per un po’, e che torni nel Norfolk. C’è un Lord di cui ancora non mi fido… Slytherin. Lo conosci, vero?»
Roderick rimase così spiazzato dal cambio di argomento, che per qualche istante rimase imbambolato a osservare i baffi color sabbia del Danese, uno dei quali più sollevato rispetto all’altro. Re Sweyn stava sorridendo.
«Sì, mio signore» fu costretto ad ammette Roderick.
«Molto bene. Sarà più semplice se sarai tu a parlare con lui. Con Bachelor è stato facile, era di pasta più tenera. Ma so che questo Lord Slytherin è da tenere sotto controllo.»
Roderick avrebbe voluto sapere di più. Il re aveva voluto intendere che l’arciduca Beauregard era passato spontaneamente dalla sua parte, o che era stato ucciso? E di sua zia Rowena cosa ne era stato?
Iniziò ad avvertire il sudore freddo bagnargli la schiena. Nonostante desiderasse sapere con tutto se stesso, continuò a stringere le labbra. Il Barbaforcuta aveva parlato di fiducia: lo stava mettendo alla prova. Porre quesiti scomodi, che avrebbero avuto il solo effetto di svelare la sua debolezza, non sarebbe stato certo un buon inizio.
«Come desiderate, maestà.» Le parole che uscirono dalle sue labbra furono quelle giuste, ma il tono fu di un’ottava superiore al normale. Il re danese lo scrutò attentamente, e Roderick sentì che gli leggeva dentro. Per togliersi da quella situazione scomoda, si alzò. «Quando desiderate che parta?»
Il Barbaforcuta si accarezzò la barba, continuando a studiarlo. Lo sguardo del mago percorse la sua figura, la mente in corsa tra più pensieri. Quella conversazione era scomoda, lo sapeva bene. Il suo volto doveva tradire la sua agitazione, ma non riusciva a calmarsi. Aveva passato settimane intere a pianificare quel momento, e ora non sapeva come comportarsi. Aveva desiderato ardentemente di poter parlare a quattr’occhi con il sovrano, e ora che erano da soli doveva lottare contro l’impulso di scappare via da quella sala.
«So che Lord Slytherin ti ha preso sotto la sua ala protettrice a Hogwarts.» Sweyn non lo perdeva di vista un istante, come una fiera che ha puntato la sua preda. Roderick annuì. «Forse è stato più di questo» continuò il re, inclinando leggermente il capo. «È stato un padre per te.»
Il mago annuì e stirò le labbra in un sorriso forzato.
«Sì, maestà, è così. Come sapete, ho perso mio padre che ero molto piccolo.» Senza che il suo cervello lo avesse comandato, le sue dita si serrarono in un pugno. «È stata mia zia Rowena a occuparsi di me, e Lord Slytherin mi è stato sempre accanto.»
Sweyn sgranò gli occhi e socchiuse le labbra sotto i baffi, mostrando tutta la sua soddisfazione per averlo colto in fallo. Prima che potesse parlare, però, il giovane continuò:
«Tuttavia sono consapevole del fatto che non sia il mio padre naturale. Adesso ho trovato mia madre, e con lei esiste certamente un legame più profondo, mentre Lord Slytherin è, in fin dei conti, un estraneo.»
Il Danese tornò ad assumere la sua solita espressione. Roderick si esibì in un secondo sorriso, questa volta più sicuro. Era figlio di una Veela, non era la prima volta che esercitava il suo fascino per avere ragione in un confronto.
«Ho capito cosa mi state chiedendo» disse, distendendo nuovamente le dita e mostrando i palmi al sovrano. «Una dimostrazione di fedeltà. E vi capisco, altezza. Ora che siete risultato vittorioso, chissà quanti falsi alleati hanno bussato alla vostra porta. Ma io non sono altro che un figlio che è stato separato troppo a lungo da sua madre. Sono felice di averla trovata, e sono felice che lei abbia trovato voi.»
Ebbe l’impressione che un fugacissimo lampo avesse attraversato le iridi di re Sweyn, ma poteva essersi trattato solo di un riflesso. Roderick sapeva di aver osato, toccando dettagli così intimi, e sapeva inoltre quanto Sweyn fosse riservato, ma aveva avuto bisogno di pronunciare quelle parole per dimostrare tutta la sua onestà. Ora che aveva toccato quel punto, bastava che facesse marcia indietro per cogliere nel segno.
«Maestà» disse ancora, chinando appena il capo. «So che voi siete un uomo che badate ai fatti, e io concordo con voi. Affidatemi qualsiasi missione volete che io esegua, lo farò al massimo delle mie possibilità, mantenendo alto il vostro onore.»
Dall’espressione del re, Roderick non riuscì a capire se era riuscito a fare breccia nel suo muro di diffidenza.
«Vistoria mi ha parlato molto bene di te. Ti ho osservato, sai, in questi giorni. Mi sembra che tua madre abbia ragione su di te, ma devo verificarlo una volta per tutte.»
Il giovane sorrise e allargò le braccia, muovendo un passo verso re Sweyn.
«Mio signore e sovrano, non potete immaginare quale gioia mi dia compiacervi. Ho trascorso una vita intera senza genitori, e ora ho ritrovato mia madre. Spero di conquistare la fiducia anche di un padre e di un fratello.»
Il Barbaforcuta rimase fermo dov’era, il suo volto era una maschera di granito. Roderick era però convinto di sapere cosa stava facendo. Gli conveniva osare, o mai più avrebbe avuto un’occasione simile. Le parole che aveva appena pronunciato erano risuonate così sentite che lui stesso ne fu quasi commosso.
«Mio signore» riprese, muovendo un altro passo verso di lui. «Andrò nel Norfolk quando me lo ordinerete e farò qualsiasi cosa voi vogliate. Non esiste nulla di più importante per me che dimostrarvi la mia fedeltà.»
Re Sweyn distolse lo sguardo. Era abbastanza a disagio da interrompere il contatto visivo con lui, ma non tanto da sbatterlo fuori.
«Il viaggio sarà lungo, dopodomani partirai. Seguirai le mie istruzioni e tornerai con l’alleanza di questo Lord Slytherin. Se dovessi avere dei ripensamenti, lì nel Norfolk, sarà meglio per te non tornare affatto.»
Roderick annuì.
«Ma certo, maestà. Vedrete, non vi deluderò.»
Re Sweyn si mosse e lanciò uno sguardo dietro la finestra. Il sole era alto nel cielo, e probabilmente gli ulteriori impegni che costellavano la giornata del sovrano incombevano. Roderick capì che il Danese non avrebbe aggiunto altro.
«Mio signore» disse, muovendo ancora un passo verso di lui. «Vi ho detto quanto questa missione conti per me. Ora, vi prego…» Questa volta fu lui a distogliere lo sguardo, incapace di sostenere oltre quello glaciale del re. «Concedetemi la vostra benedizione.»
Re Sweyn lo scrutò come se stesse soppesando le sue parole.
«Vi prego» disse ancora Roderick, continuando a sorridere. Mosse un altro passo verso di lui.
Il Barbaforcuta arretrò.
«Vi prego» ripeté il mago, mentre sentiva gli angoli della sua bocca calare.
Il re danese guardò oltre Roderick, poi si voltò verso al finestra alle sue spalle.
Le mani di Roderick tremarono vistosamente.
«VI PREGO!» urlò con quanto fiato aveva in gola. La saliva gli inumidì gli angoli della bocca.
Sweyn si portò una mano alla cintura, nello stesso istante Roderick protese le braccia davanti a sé.
Vide il buio, lo sfondo di pietra della Camera dei Segreti, contro il quale strisciava un orrore innominabile. Poi tutto fu spazzato via da due bagliori di fuoco, che saettarono davanti a lui come comete dotate di una coda di fumo. Un attimo dopo colpirono Sweyn Barbaforcuta, che andò a urtare pesantemente la parete accanto alla finestra.
Un odore di carne bruciata invase la sala, penetrando nelle narici di Roderick. Il suo stomaco si rivoltò, ma lui si rifiutò si assecondarlo.
Intorno a lui, tutto era rumore. Le fiamme che crepitavano sulla veste di lana del re, divorando tessuto, pelle, carne, ossa. Passi concitati rimbombavano sul pavimento come un tuono lontano. Una porta si spalancò, degli uomini imprecarono, una donna urlò. Fu il suono più terribile che Roderick avesse mai udito, centinaia di unghie che grattavano sull’ardesia grezza.
Qualcuno corse verso il re per estinguere le fiamme. Qualcun altro afferrò Roderick per le spalle e gli torse le braccia, per un istante ebbe la fugace visione dei palmi delle sue mani che fumavano. Qualcosa colpì il retro delle sue ginocchia, costringendolo a terra.
Altre voci si accavallarono le une alle altre, altre mani lo strattonarono.
«Sweyn, Sweyn!» continuava a urlare la voce femminile. Roderick vide sua madre, la chioma non più lucente, ma opaca e scarmigliata, lanciarsi sul corpo fumante del re danese. Vide le sue mani cercare di coprire un buco di notevole diametro che si era aperto sul suo petto, ma non c’era niente da fare. Non c’era alcuna ferita da tamponare, solo il pavimento impregnato di sangue e tessuti bruciati sotto il pesante corpo dell’uomo. Alcuni soldati trassero la Veela per le spalle, costringendola ad alzarsi, e le sue urla ripresero, più terrificanti che mai.
Uno schiaffo in pieno volto costrinse Roderick a distogliere lo sguardo da sua madre. Un Danese gli afferrò i capelli e lo strattonò, imponendogli di alzare il viso.
Davanti a lui si ergeva il principe Knut, terreo in viso, con gli occhi sbarrati rivolti verso il padre.
«Portatelo nelle segrete» disse.
Il suo era stato poco più di un sussurro, ma alle orecchie di Roderick esplose con un fragore maggiore di quello che riempiva la sala.
Quando Roderick riaprì gli occhi, credette per un istante di non essersi ancora svegliato. Subito dopo però avvertì una fitta dolorosa dietro la nuca, tastò la pelle con le dita e toccò qualcosa di viscido. Ricordò i soldati danesi che lo avevano strattonato lungo corridoi che anni prima aveva attraversato a testa alta e con andatura regolare. Ricordò come lo avessero trascinato per le scale, mandandolo a sbattere contro le pareti che si facevano sempre più umide man mano che si addentravano nelle viscere del castello. Ricordò infine la porta di legno pesantemente borchiato che avevano aperto davanti a lui, e infine la miriade di stelle bianche che erano esplose davanti ai suoi occhi quando lo avevano colpito alla nuca.
Inspirò profondamente l’umidità delle pareti e un brivido di terrore lo percorse. Non riusciva infatti a non pensare a quando era rimasto chiuso nella Camera dei Segreti. In quell’occasione, Lamia era sopraggiunta a salvarlo dall’incubo. Adesso invece era tutto reale, e nessuno sarebbe giunto ad aiutarlo.
Roderick si premette contro la parete viscina ed espirò. Probabilmente il suo fiato si era condensato nel freddo della cella, ma era troppo buio per vederlo.
Non sapeva da quanto tempo si trovava lì, ma era certo di non volervi rimanere un istante di più. Si concentrò al massimo delle sue possibilità per Smaterializzarsi, ma quando riaprì gli occhi si accorse che non era cambiato nulla. Un riso isterico sgorgò attraverso la sua gola: stava finendo esattamente come aveva immaginato. Per tutto il tempo che aveva passato a organizzare l’assassinio di Sweyn Barbaforcuta non si era limitato a pensare a come trovarsi faccia a faccia con lui, ma si era concentrato anche per trovare una via di fuga. Conosceva il castello, il che era un vantaggio. Quando era giunto a Londra, aveva conosciuto anche i Danesi, e giorno dopo giorno era diventato sempre più chiaro che sarebbe riuscito a colpire il re e a svignarsela indisturbato solo in seguito a una serie di congiunzioni astrali fortunate. Quando gli era stata sottratta la bacchetta, aveva capito di non avere troppe speranze. Da lì era nata la paura, l’ansia, il desiderio di fuggire. Era stato un incubo, ma non aveva ceduto. Ed ecco che le cose erano andate come da manuale: le guardie erano giunte pochi istanti dopo che aveva colpito il re, richiamate dal grande fragore generato dalle palle di fuoco. Era stato colpito prima di poter tentare qualsiasi fuga magica, e senza bacchetta erano pochissime le vie che avrebbe potuto seguire. Ora che si era svegliato, aveva scoperto di non potersi Smaterializzare. Re Sweyn l’aveva detto che conosceva alcuni stregoni potenti, ricordò con un sorriso.
Sarebbe morto in quella cella, lo sapeva. Così si arrotolò su se stesso in un angolo.
Quando riaprì gli occhi, realizzò imediatamente dove si trovava. Qualcuno bussò nuovamente alla porta, e allora Roderick capì che era stato quel rumore a svegliarlo.
Strisciò verso la soglia e gracchiò qualcosa. Per tutta risposta, una feritoia si aprì nel legno. La luce che filtrò gli ferì gli occhi anche se non era particolarmente intensa. Attraverso le sbarre della feritoia, vide una mano bianca farsi strada verso di lui.
«Roderick!» chiamò una voce concitata. Vistoria afferrò il braccio del figlio prima che questi potesse fare alcunché. «Oh, Roderick» ripeté con voce rotta. Il mago mise a fuoco il suo viso e notò immediatamente gli occhi arrossati dal pianto. Il labbro inferiore della Veela tremava incontrollabilmente e le dita di lei stringevano la mano del giovane.
«Madre…» esalò.
Il sentire la sua voce riportò la vita nel viso di Vistoria, che si animò un po’.
«È successo…» Un violento singhiozzo le impedì di proseguire. Riuscì a calmarsi solo dopo un po’, e allora riprese: «Dicono che sei stato tu, ma… Oh, Sweyn! Io non voglio crederci, figlio mio, non è possibile.»
La Veela scosse con energia la lunga chioma arruffata. Si portò le dita di Roderick alle labbra bianche e screpolate e le baciò.
«Glielo dirò, a Knut. Si ricrederanno, vedrai, e dovranno farti uscire da qui. Nessuno ti ha visto, come fanno a dire… Non sei stato tu, mio bel figlio, non sei stato tu» ripeté.
«Madre…» protestò debolmente Roderick.
«Non è possibile che sia stato tu» ripeté Vistoria. «Come fanno a dirlo? Non c’era nessuno quando è… successo.»
Roderick insistette: «C’ero io. C’ero solo io, capisci?»
Ma la Veela seguitava a scuotere il capo strizzando gli occhi. Quando il giovane ripeté che non poteva essere stato nessun altro, si portò le mani alle orecchie.
«Non vuoi sentirlo? L’ho ucciso io!» inveì lui, all’apice dell’esasperazione.
Vistoria smise di muovere il capo in protesta, poi nascose il viso nelle mani e ricominciò a piangere, più rumorosamente di prima. Roderick sentì di non poter sopportare oltre quella vista.
«Perché?» domandò tra i singhiozzi. «Eravamo finalmente felici…»
Allontanò la mano dalla feritoia e tentò di alzarsi in piedi. Sulle prime le ginocchia gli tremarono, ma poi tornarono salde.
«No, non lo eravamo!» urlò. Vistoria sobbalzò e smise di singhiozzare, ma Roderick non aveva finito. «Tu forse, mentre ti facevi scopare da quel montone biondo, non io» inveì, indicandosi il petto.
La Veela sgranò così tanto gli occhi che minacciarono di fuoriuscire dalle orbite.
«Io… sono tua madre» sussurrò con un filo di voce.
«Solo perché mi hai messo al mondo? O anche mentre uccidevi mio padre e mi abbandonavi?» Sentiva una furia incontrollabile ribollirgli dentro, una pressione enorme comprimergli le tempie, una voglia di grattare, afferrare, colpire, animargli le dita. «Ti ho fatto credere il contrario per avvicinarmi a Sweyn, ma io ti odio! Odio questi fottuti Danesi, odio Sweyn, doveva morire! Sparisci dalla mia vista, maledetta, o ti uccido adesso!»
Vistoria fece un salto all’indietro, visibilmente intimoritta. Guardò il figlio come se avesse appena visto un fantasma, poi fece per andarsene. Mentre richiudeva lo sportello della feritoia, Roderick balzò verso le sbarre.
«Tu sarai la prossima a morire, mi hai capito?» continuò a urlarle dietro.





NdA: forti emozioni. Roderick si trova finalmente faccia a faccia con Sweyn. A differenza di Vistoria, il re non si fidava completamente del nostro protagonista – e a ben ragione, direi. Del resto lui era un uomo sospettoso per natura, fargli mettere alla prova la fedeltà di Roderick mi è sembrata la cosa più “da lui”. E non lo mette alla prova con una persona qualsiasi, ma con Lord Salazar, proprio perché è a conoscenza del rapporto tra di loro.
Ho amato scrivere della parte dell’omicidio, spero di aver reso la scena con la stessa efficacia con cui si è svolta nella mia mente. A proposito di Sweyn Barbaforcuta, devo dire che è morto davvero cinque settimane dopo la conquista di Londra, pensa che sfiga. Ho inventato le modalità e il ruolo di Roderick, ma il resto è storia.
Vistoria si incaponisce fino alla fine sull’innocenza di Roderick, il quale spiega educatamente che sì, in effetti ha appena stecchito il suo amante. Credo che celle come quelle in cui è stato chiuso Roddy siano capaci di portare molto vicino alla pazzia, e le sue reazioni sono piuttosto isteriche. Ho avuto dei dubbi sul linguaggio scurrile che gli ho fatto usare alla fine, ma credo che la situazione non richiedesse niente di diverso.

 
   
 
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