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Autore: sweetdespair    30/04/2016    3 recensioni
Harry/Louis; PeterPan!AU; Peter!Louis; Conteggio tot: 20k parole.
Louis trova una lettera da parte di un bambino di nome Harry scritta anni fa, dove quest'ultimo gli chiede di prenderlo e portarlo via.
Harry, però, adesso ha 17 anni e non crede più nelle fate.
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione:
Buonsalve people of the internet, spero che stasera abbiate fatto i sociali e che quindi siate fuori a divertirvi e a spassarvela e non qui a leggere questa storia che, boh, non so con quale coraggio sto pubblicando. Perché dico questo? Perché, ladies and gentlemen, questa qui sotto è una PeterPan!AU, plot che ho estrapolato dall'account @ficprompts gestito da @ingestita su twitter. Non è il mio genere di storia, ci ho impiegato qualcosa come un mese e mezzo a scriverla perchè nel bel mezzo della stesura ho avuto un blocco micidiale dal quale avevo paura di non uscirne più, ma ehy dopotutto sono qui, no? Quindi fate i bravi e siate misericordiosi con me se è un vero e proprio schifo.
Oltre, ovviamente, a ringraziare Sara per il plot -il quale è davvero bellissimo e io ho sul serio paura di averlo rovinato-, facciamo un enorme applauso a @xxUrania per averlo betato!
E nulla, al contrario delle altre storie, non mi troverete sotto perché non ho il coraggio di farmi sentire ancora. Ciò che voglio augurarvi è una buona fortuna e, ovviamente, non esitate a dirmi la vostra /sia brutta che bella, mi va bene/ attraverso una recensione, oppure su twitter o ask.fm se siete troppo pigri per farne una.
Adesso vi lascio a questa storia, e ci vediamo il mese prossimo (su twitter ho già preannunciato la stesura di una nuova artists!larry, ma ora concentratevi su questa).
Un bezo. 💋













Le urla non smettono di cessare. Ci prova, ci prova davvero ad ignorarle e a non sentirle, ma è difficile. Il rumore di quello che deve essere un vaso rotto lo fa sobbalzare, e per poco non gli cade la biro dalle mani. Perché deve essere tutto così complicato? Perché non può semplicemente scappare e andare via?
Una lacrima riga la sua guancia paffuta e rosea mentre si appresta con velocità a finire di scrivere la lettera, una richiesta d’aiuto a colui che dovrebbe venire a salvarlo, a portarlo nell’isola che non c’è dove non ci sono adulti che litigano tra loro e rumori di vasi rotti. Quelle gocce salate bagnano il foglio, lo rendono umido e alcune parole si sbiadiscono, ma Harry è piuttosto sicuro che Peter Pan in un modo o nell’altro sarà in grado di leggerle.
Piega la lettera a metà, poi, e la infila nella busta bianca intestata al ragazzo che non cresce mai. La sigilla con la lingua, poi l’appoggia sul cornicione della finestra nella sua camera da letto.
Abbassa lo sguardo, vede suo padre salire sull’auto con in mano una valigia e guidare lontano da lui, da Gemma e dalla sua mamma.
Un singhiozzo lo coglie alla sprovvista, si morde il labbro perché vorrebbe essere forte ma semplicemente non può evitarlo. Ha solamente sette anni, dopotutto. E secondo il libro che nonna Pearl gli ha regalato a natale, Peter Pan è l’unico che può salvarlo. Non legge altro da settimane, continua a sperare di ricevere una sua visita, di venir estrapolato dalla realtà così da poter volare grazie alla polvere fatata in un mondo lontano e pacifico, dove nessun orologio enorme gli rintocca nelle orecchie e nessun adulto gli ordina che cosa fare, cosa dire, come comportarsi. Gli stessi adulti che poco fa gli hanno ordinato di salire in camera sua perché Harry, sei troppo piccolo per capire queste cose.
Harry non capisce, non capirà mai.
«Ti prego, Peter Pan. Ti prego» sussurra, e la lettera, per magia, comincia a svolazzare nell’aria, a vagare nel vento e lui spera davvero che arriverà al ragazzo che considera il suo salvatore, un giorno.
Lo spera davvero, perché Harry non vuole più stare in quella casa.
 
 
 
La lettera vola, quelle parole brillano nella notte, e sale in alto, sempre di più, diretta verso la seconda stella a destra, e poi dritta fino al mattino. È lì che deve andare, è lì che ha intenzione di andare. Eppure è successo che, nel mentre il foglio percorreva il suo destino, un soffio di vento di qualcuno che non voleva che Harry venisse a conoscenza di Peter Pan, devia la sua rotta, portandola a sinistra.
E così Harry aspetta, aspetta e aspetta.
Gli anni da sette diventano otto, poi nove e infine dieci. Tutte le notti guarda fuori dalla finestra nella speranza di vedere quel ragazzo che non vuole crescere venire da lui a rapirlo, a portarlo via perché le cose in casa sua continuano a peggiorare.
E quando Harry a dodici anni smette di affacciarsi e sperare, una fata muore.
 
 
 
 
 
5 anni dopo
 
Louis odia, odia la sua ombra. Davvero, è quasi più testarda di lui a volte. Non sopporta quando la cucitura, o qualunque cosa abbia sotto ai piedi che gli permette di starle attaccata, si ammolla o si stacca, addirittura, e questa scappa via, vola, corre come se lui la tenesse in trappola. E Louis odia quando questa sparisce, forse lo odia ancora di più di quando le persone lo chiamano Peter. A lui il nome Peter non piace, da bimbo ribelle qual è si fa chiamare Louis, alla francese, perché quello di vivere in Francia è uno dei suoi più grandi sogni. Beh, più o meno. L’isola che non c’è gli basta, deve ammetterlo, ma comunque gli farebbe piacere possedere una casa che dà la sua visuale alla torre Eiffel. E poi incontrerebbe altre persone di nome Louis… adesso che ci pensa, se ne sta bene dentro al suo albero, dove è l’unico a chiamarsi in quel modo.
E dal suo albero è dovuto uscire per forza quella sera perché la sua ombra è scappata. E dannazione, non ha idea di dove sia finita.
Trilli si è ritrovata costretta a seguirlo perché la sua polvere magica è indispensabile, e poi lei e la sua ombra hanno un certo feeling che Louis tutt’oggi non concepisce. Non è venuto molte volte sulla terra, e le uniche volte in cui ha lasciato l’isola è stato quando, come sempre, la sua ombra è volata a Londra. Perciò, non è un mistero sapere dove poterla cercare.
Pure il sesto senso di Trilli dice che potrebbe trovarsi da quelle parti, perciò scendono in picchiata, il vento talmente forte che a momenti il cappellino verde gli vola via.
Louis si guarda attorno, comincia a mordicchiarsi il labbro perché non vede tracce della sua ombra da nessuna parte. Non ha paura di non ritrovarla proprio, sa che questa torna immancabilmente da lui, sempre. Solo che ha fretta di tornare nell’isola che non c’è perché il capo degli indiani ce l’ha con lui ultimamente e ha davvero paura che possa fare qualcosa contro di lui, o peggio, contro i bimbi sperduti. Sarebbe terribile sapere che li ha rapiti o messi al rogo solo perché lui adesso si trova sulla terra a cercare la sua ombra che… oh.
Sorride, si prende il cappello con un gesto delle mani e lo lancia in aria, lasciandosi scappare un grido di gioia. Eccola là, la sua ombra. È proprio incastrata nella lancetta del Big Ben che segna i minuti. Si sta dimenando, vorrebbe andarsene, ma a quanto pare deve essere proprio bloccata.
Louis piomba sull’orologio facendolo addirittura suonare. L’ombra, a vederlo, comincia a dimenarsi.
«Dove pensavi di andare?!» domanda con un sopracciglio alzato. Percepisce Trilli poggiarsi sulla sua spalla prima di allungare la mano e afferrare l’ombra da una gamba.
La fatina poi sparge un po’ di polvere magica sul piede di Louis, il quale riunisce il suo con quello dell’ombra. Ecco qua, ora è tutto apposto. Ora può tornarsene a casa.
Fa per saltare e quindi volare verso la seconda stella a destra, la quale è la più luminosa di tutto il cielo. Trilli però lo blocca.
Louis alza un sopracciglio quando la piccina comincia a suonare, a indicargli un punto indefinito dell’orologio.
Ride sommessamente, prende la fatina e la poggia sulla lancia del Big Ben. «Cosa c’è Trilli?»
Questa suona tre volte, gli indica un punto indefinito dietro di lui e Louis, dopo aver boccheggiato appena, si volta. Sì, Trilli ha ragione. Proprio lì, incastrato nel numero 7, c’è un foglio che continua a muoversi a causa dell’andamento del vento.
«Che cos’è?» si chiede poi, e si avvicina ancora di più, così da osservarlo meglio.
Trilli lo imita, osserva quel pezzo di carta scettica e risoluta, si gratta la cute bionda e fa spallucce, non capendo cosa sia.
Louis lo disincastra, passa quelle dita su quelle lettere scritte nero su bianco che a malapena conosce.
Sbuffa, perché non crede di essere in grado di leggere quel messaggio. Osserva Trilli e glielo porge, sospirando. «Non ho idea di cosa ci sia scritto» spiega, al che la fatina si avvicina e si concentra nel messaggio, il viso gli diventa tutto rosso nel mentre cerca di decifrare quelle parole.
Poi ci soffia sopra, spargendo quel foglio di tanta polvere magica, la quale, assorbendosi, mette in rilievo il significato di quelle parole in un linguaggio comprensibile solo alle fate e ai bambini come Louis.
Il ragazzo alza le sopracciglia nel leggerlo.

Caro Peter Pan, ho lasciato la mia finestra aperta. Per favore, vieni a rapirmi. Harry
.

«Tu sai chi è questo Harry?» domanda a Trilli, la quale scuote la testa.
Fa spallucce poi, trilla appena come per dire che non è importante e che quella lettera è vecchissima, quindi Harrychiunquesia non ha più bisogno di loro. Spicca il volo allora, con l’intenzione di volare di nuovo verso l’isola che non c’è.
Louis però la blocca dalle ali, spingendola a fare retromarcia. Scuote la testa, si morde il labbro nel rileggere il messaggio. «No, Trilli, dobbiamo andare da lui» spiega, infilandosi il biglietto in tasca e spiccando il volo, alla ricerca di questo bambino misterioso che, nonostante tutto, crede in lui.
 
 
***
 
Harry entra in casa con uno sbuffo ilare tra le labbra, Nick dietro di lui che continua a lamentarsi di cosa ha e non ha fatto. Davvero, è ridicolo. Si guarda attorno, giusto per assicurarsi che sua madre non sia in casa.
«Non significa niente?!» esclama istericamente, spingendolo a indietreggiare un po’. «Se un ragazzo ti chiama tesoro per te non significa niente?!»
Harry alza gli occhi al cielo. Si gratta appena il ponte del naso perché deve cercare di mantenere la calma, la situazione è già tragica di per sé, e non ha bisogno di Nick e le sue paranoie come aggiunta a quella matassa di guai e condanne che formano la sua vita.
«Jason è solo un amico.»
«Che ti chiama amore, certo» sbuffa Nick, passandosi poi una mano sul viso. Poi lo guarda, quegli occhi penetranti che fino a qualche mese fa rappresentavano il suo oceano, quello che, a quanto si dice, si vede all’interno degli occhi della persona che si ama. Ma adesso, che cosa vede?
«Non dovevi leggere i miei messaggi, dovresti fidarti di me.»
«Dovrei, Harry?» chiede allora, la voce spezzata verso la fine. «Tu, tu ti fideresti di te stesso?»
Non risponde perché la risposta non andrebbe a suo favore. Si morde il labbro, boccheggia appena e quando Nick si volta ed esce dalla casa, non prova neanche a fermarlo.
 
Sta ascoltando la musica, canzoni tristi e deprimenti perché ha litigato per la milionesima volta con Nick e non ne capisce neanche il motivo. È un gergo giovanile, no? Chiamarsi amore tra adolescenti. Tutte le sue compagne di classe lo fanno tra di loro, perché lui non può? Dio, è frustrante.
Lana Del Rey
sta cantando nelle sue orecchie quando la porta si spalanca. Alza un sopracciglio nel vedere sua madre entrarvi dentro e guardarsi intorno come a cercare qualcosa,per poi sbuffare sonoramente così da farsi sentire da Harry che, di riflesso, si sfila le cuffiette.
«Non dovevi essere al lavoro?»
«Sono tornata prima» spiega questa, passandosi una mano tra i capelli lisci e neri. Sembra stanca e affannata, c’è qualcosa che la preoccupa. «Mi ha chiamato l’ospedale» spiega poi, avvicinandosi al letto dove Harry è sdraiato.
Questo si porta le ginocchia al petto, spegne l’iPod così da dare la massima attenzione a sua madre, la quale si siede accanto a lui.
«Non dirmelo.»
«Non è morta, Harry» spiega, la voce spezzata. «Ma sta molto male» conclude, le labbra strette in una morsa, come se volessero trattenere i singhiozzi.
Cosa significa? Harry non capisce, non vuole capire, non ci riesce. Non ha senso tutto quello, e non è giusto. Gli viene da piangere,ma  non lo fa perché sua madre è davanti a lui e non gli sembra il caso. Perché in quella giornata ci sono così tante notizie negative?
Anne, la madre, gli stringe la mano per neanche dieci secondi, poiché Harry si scansa, alzandosi in piedi. Non vuole che lo guardi, non vuole neanche che lo tocchi. Si massaggia la cute, pensando a cosa fare, non ha di certo intenzione di rimanersene lì, quel pomeriggio. Non quando la persona più importante della sua vita si trova in fin di vita all’ospedale.
Perciò «Vado a trovarla» informa la madre, la quale annuisce risoluta, senza battere ciglio.
Harry si aspettava che dicesse qualcosa come vengo con te o andrà tutto bene. Forse non glielo vuole dire perché sa che non è così. Non vuole illuderlo, come ha già fatto tantissime altre volte: quando a sette anni gli disse che suo padre sarebbe tornato a casa, a otto che era stato babbo natale a portargli i regali, a dodici che lo avrebbe accompagnato a vedere una partita di calcio allo stadio. Perché non lo fa ancora? Perché non lo illude, dal momento che è la cosa che sa fare meglio?
Afferra il cappotto ed esce da quella casa, sbattendosi la porta alle spalle. Fuori fa freddo, alza gli occhi al cielo e pensa davvero che finirà per nevicare. Non gli piace l’inverno, d’inverno è stato quando i suoi hanno divorziato, d’inverno è stato quando sua nonna si è ammalata. D’inverno è stato quando ha ricevuto quel libro, e sempre d’inverno è stato quando l’ha aspettato. Ma lui non si è più fatto vedere, e Harry non capisce perché ci pensa ancora.
L’ospedale è il posto che odia più di tutti. Sa già la stanza, viene a trovarla spesso e potrebbe raggiungerla ad occhi chiusi. Questo è un privilegio che avrebbe preferito non avere, comunque. Ogni qual volta entra nella stanza 15, per lui è un colpo al cuore. Vederla sdraiata sul letto poi, è ancora più doloroso.
Una flebo alla sua sinistra gli inietta un liquido trasparente, sulla mensola in parte ci sono delle pillole e un budino al cioccolato già vuoto e consumato. Poi, a destra, sul comodino c’è quel libro. Lo evita con lo sguardo, sua nonna è come ossessionata da Peter Pan. Avanza piano piano all’interno della stanza, la donna sentendo la presenza di qualcuno alza lo sguardo, sorride quando riconosce il viso del nipote e smette finalmente di guardare quel programma culinario che Harry precedentemente non aveva notato.
«Il mio bellissimo ragazzo» dice Pearl, battendo piano la mano sul letto accanto a lei così da farlo sedere. Harry ubbidisce, stringe la mano della donna e le sorride perché lei gli dice sempre che, ogni qual volta sorride, la sua vita aumenta di qualche anno. Harry sorriderebbe per tutta la vita se questa supposizione fosse reale. Ma non lo è, perché di sorrisi ne ha fatti tanti, eppure lei sta morendo.
«Come stai, nonna?» gli dice, chinandosi appena per lasciarle un dolce bacio sulla guancia.
Questa fa spallucce, è così piccola e magra, è cambiata tanto nel giro di pochissimo tempo. Ha un magone alla gola nel guardarla, sta soffrendo tantissimo e lui non può fare niente per aiutarla.
«Mi sento come un leone nel giorno di caccia!» esclama arzilla, la voce che dice una cosa sconcordante a quella del suo corpo. Dentro è forte, molto forte. Fuori sembra fatta di carta.
Harry ride di gusto, le dà qualche pacca sulla gamba impartendole affetto e forza. «Era proprio quello che volevo sentirti dire» gli confessa, per poi abbassare lo sguardo.
La donna ridacchia appena, scioglie l’intreccio tra le loro mani e si sporge verso il comodino, afferrando quel libro. Lo porge a Harry, gli sorride conciliante e una fossetta le compare sulla guancia. È proprio una questione genetica allora.
«Vuoi che ti racconti ancora una volta la storia di Peter Pan, Harry?» gli chiede amorevole, il sorriso di chi si aspetta una risposta affermativa, di chi ripone speranze nelle persone sbagliate.
Harry si morde il labbro, detesta negare qualcosa a sua nonna, odia quando gli chiede o gli parla di Peter Pan, perché non importa quanto spesso glielo dirà: la malattia che la affligge la porterà sempre a dimenticare ogni cosa.
«Ragazza mia, lo sai che non mi piace Peter Pan» gli sussurra, prendendole il libro dalle mani e poggiandoglielo sul comodino, lo sguardo triste e afflitto di Pearl addosso. Si sente a disagio, come se con quegli occhi azzurri lo stesse spogliando.
Mugola qualcosa, tossisce appena. «Oh se Peter ti sentisse, quante risate si farebbe!» esclama con il tono di chi sa ogni cosa. Harry fa spallucce e sorride, glielo dice ogni volta. Sa quelle battute a memoria, ormai. «Credi nelle fate?» gli domanda poi, il sopracciglio alzato e la mano di nuovo su quel libro. Lo sfoglia, è come se stesse cercando un punto preciso.
Harry scuote la testa e «No, non penso di crederci» dice, massaggiandosi il collo.
Pearl lo osserva per quelli che paiono anni, poi riporta lo sguardo corrugato su quelle pagine, legge ogni riga prima di «Ecco!» esclamare. Si schiarisce la gola, alza il mento come se si stesse prestando a recitare un verso di Shakespeare. «Ogni volta che un bimbo dice: 'Io non credo alle fate', c'è una fatina che da qualche parte cade a terra morta» dice infine, riportando gli occhi su Harry. Questo gesto lo fa sentire in colpa, come se avesse davvero ucciso una fata. Ridicolo. «Allora?» accentua Pearl, aspettandosi, quasi pretendendo, una reazione da parte del nipote.
Quest’ultimo si morde l’interno guancia, sospira pesantemente prima di «Okay, okay, ci credo».
Pearl gli sorride compiaciuta. «Se ci credi, batti le mani!»
Harry sente delle lacrime pungergli gli occhi, non per la conversazione in sé, ma per la fede che sua nonna, alla bellezza di 84 anni, mostra nei confronti di un personaggio immaginario che non è mai esistito e mai esisterà. Non capisce come faccia, non lo capisce proprio. Ciò nonostante, comincia a battere le mani, perché proprio non riesce a dire di no alla sua bellissima ragazza –è così che si chiamano, lei e Harry. Hanno cominciato da quando quest’ultimo le ha confessato che lei sarà per sempre l’unica ragazza della sua vita-.
Pearl gli stringe la mano contenta. «Forse sei riuscita a salvarla in tempo» gli sussurra, per poi osservare la finestra. È aperta, come ogni volta. Non importa se fa freddo, non importa se la temperatura di Dicembre non favorisce la sua malattia; lei si ostina a tenerla aperta, e guai a chi gliela chiude!
«Come mai ci credi così tanto?» gli domanda allora Harry, forse perché vuole davvero saperne il motivo, o forse perché, dall’ultimo esame, ogni visita potrebbe essere l’ultima.
Pearl gli sorride, china la testa di lato, quel tic che nel bene o nel male gli ha trasmesso. «Perché l’ho conosciuto» spiega, gli occhi che le brillano, un sorriso enorme sul volto. «Sono stata nell’isola che non c’è, ho fatto il bagno con le sirene, ho danzato con gli indiani, ho perfino combattuto contro Capitan Uncino, sai?» gli spiega, la testa come se fosse da tutt’altra parte.
Harry sospira, ascolta quella storia come un adulto farebbe con un bambino. Dice che lo ascolta, gli fa credere che gli sta prestando attenzione, ma in realtà nella sua mente non fa altro che pensare a quanto innocente e piccolo ancora sia. Harry si odia perché è troppo adulto per avere 17 anni. Non è normale, non è neanche giusto che la pensi in questo modo. Non può evitarlo, però. Non può e basta.
«Lo sto aspettando. Fra poco mi porterà di nuovo nell’isola che non c’è» spiega, lo sguardo rivolto fuori dalla finestra, il respiro leggero e tranquillo. «Ieri mi è parso di vedere la sua ombra, da qualche parte» continua. «È qui, Harry. È qui».
Un singhiozzo fuoriesce dalle sue labbra, e questo suono sibilato cattura l’attenzione di nonna Pearl, la quale gli prende le mani tra le sue e «Piccolo mio, perché fai così?» gli domanda, forse perché non capisce, non se ne rende conto.
Harry scuote la testa e accentua un sorriso.
Pearl allora ridacchia appena per poi sporgersi verso il comodino e tirare fuori un pacchetto regalo, che Harry in principio non aveva notato.
«Che cos’è?»
«Un regalo. Mi ricorda il tuo tatuaggio e ho incaricato lo zio John di comprarlo» gli spiega la nonna.
Harry apre il pacco, estraendo così un braccialetto con sopra attaccata una piccola ancora di ferro, proprio come quella che ha tatuata nel polso, la stessa che lui ha dedicato proprio a sua nonna.
«È bellissima, grazie» sussurra, lasciandogli poi un altro bacio sulla guancia.
 
Ogni tanto si guarda il bracciale, e non sa perché ma sente sua nonna davvero molto vicina ora che lo indossa. Nonostante ciò, Harry non vorrebbe pensarci durante il tragitto che compie tornando a casa, ma purtroppo è proprio quello che fa. Parlare con sua nonna di Peter Pan non giova affatto alla sua salute mentale, perché si sente come se stesse negando a se stesso la realtà, un fatto veritiero che non accetta semplicemente per orgoglio. È che non può farlo. Sua nonna non lo sa, nessuno lo sa, ma Harry l’ha aspettato, Peter Pan. Lo ha fatto davvero, gli ha scritto un messaggio, ricorda quelle poche parole perché gli si sono stampate nella mente da quanto le sentiva. Eppure, lui si è fatto vedere? Lui è arrivato dalla sua finestra aperta per rapirlo e portarlo nell’isola che non c’è? No, ecco la verità.
Perciò non esiste, perché se esistesse davvero, ora Harry farebbe parte dei bimbi sperduti perché Wendy proprio non la capisce. L’Harry bambino non la capisce, quello adulto e serio invece sì. O forse, si obbliga a credere che sia davvero così.
Arrivato a casa, trova sua madre sulla porta, il cappotto addosso, il viso truccato a dovere e le scarpe con il tacco. La squadra da cima a fondo prima di chiederle dove sta andando.
La donna sospira, e Harry capisce.
Alza gli occhi al cielo, quasi non vuole sentirla.
«Esco con Robin» sussurra, cercando di portare la conversazione su un piano pacifico e tranquillo. Ma con Harry non può pretendere la comprensione quando lo informa che sta per uscire con un altro uomo. Non può perché non è razionale, non è leale. Harry sbaglia, perché continua a sperare che un giorno lei e suo padre possano tornare insieme, anche se sa che non accadrà mai. Però, Anne dovrebbe avere più tatto ogni tanto.
È un maestro nel mettere le situazioni sul piano personale e sentimentale, tutti gli dicono che dovrebbe fare l’avvocato o lo psicologo per questo motivo.
«Hai appena saputo che tua madre sta morendo ed esci con Robert?»
«Si chiama Robin…»
«È lo stesso!» esclama furioso, portandosi le mani tra i capelli.
È davvero assurdo. Pearl, sua nonna, la sua persona preferita in assoluto, sta per andarsene. Una volta tornato a casa si aspettava di ricevere conforto da sua madre, dalla figlia, perché, anche se il rapporto tra Harry e Pearl è inimitabile e incomparabile a quello che la donna ha con gli altri, sempre sua figlia resta. E invece no, questa ha preferito uscire con l’ennesimo uomo che finirà per deluderla come altri dieci prima di lui, compreso suo padre. E Harry non la capisce, davvero. Vorrebbe urlare, piangerle in faccia, farle capire che non è così che ci si deve comportare. Eppure non lo fa, perché non ne vale la pena.
«Va bene, divertiti con Robin» sputa, voltandosi diretto in camera sua. «Ah e nonna ti saluta, sempre se ti interessa saperlo» conclude, ignorando l’urlo scontroso di sua madre a quell’attacco perché è troppo debole per combattere.
 
***
«Sht, fa’ silenzio Trilli» sussurra Louis una volta sul cornicione della finestra. Osserva la stanza da fuori, nella penombra si accerta che non ci siano adulti o, peggio, cani. Quando realizza che in quella stanza non c’è nessuno -se non il fatidico Harry- la apre appena. È davvero una fortuna che non fosse chiusa, è inverno e di solito d’inverno le finestre sono chiuse… o no? Louis non lo sa, non esiste l’inverno nell’isola che non c’è.
Si sporge all’interno della stanza, la osserva con occhio critico e curioso. Trilli dietro di lui non si fa due problemi ad entrare, e svolazza in giro cercando di captare più particolari possibili. Louis alza gli occhi al cielo e sbuffa, perché non ha senso temporeggiare. Quella deve senz’altro essere la stanza di Harry, è la magia che glielo ha detto. Perciò entra del tutto, saltando per terra. Si mette a gattoni, la moquette tra le dita e quell’odore di caldo e fuoco che da sempre invidia agli umani. Nel mentre Trilli osserva la sua immagine riflessa nello specchio, si spruzza addosso quello che deve senz’altro essere profumo da uomini e indossa i numerosi anelli nel cofanetto stile braccialetto, Louis si preoccupa di osservare il corpo addormentato del ragazzo, il quale dorme con la fronte corrugata e le labbra semi aperte.
Si gratta la cute, non vuole svegliarlo, ma allo stesso tempo vuole fargli capire che è arrivato a rapirlo, finalmente.
Si alza in piedi, richiama a sé Trilli, la quale ubbidisce senza riluttanza poiché quei gioielli non sono adatti a una fatina di quel livello come lei. Le chiede di avvicinarsi, si sfila il cappello e questa entra dentro perché sa che Louis vuole dirle un segreto, una cosa che merita di essere sentita solo da loro due.
«Dobbiamo portarlo via» sussurra nel cappello, e Trilli risponde con un paio di suoni. Sembra agitata. Louis alza gli occhi al cielo. «Lo ha scritto lui, è quello che vuole» gli spiega, per poi riosservare il ragazzo che nel mentre ha cambiato posizione. Trilli è imbronciata, gli dice che è meglio svegliarlo perché quello che adesso dorme in quella sottospecie di letto enorme non sembra affatto un bambino.
«Da quando abbiamo limiti di età? Basta che non sia un adulto, il resto non è importante» spiega alla fatina, la quale sospira e si arrende, perché chi meglio di lei conosce la testardaggine di Peter Pan?
Fuoriesce dal cappello, Louis scatta in aria e questa gli si appoggia sulla mano. Fatto questo, comincia a scuoterla sul corpo di Harry, il quale comincia ad alzarsi, a salire sempre più in alto trascinandosi dietro la coperta. Non fa in tempo a raggiungere il soffitto comunque, che ripiomba sul letto, e per poco non si sveglia!
«Accidenti» sussurra Louis, grattandosi i capelli e corrugando le sopracciglia. «Perché non vola?»
Trilli sembra pensarci, arriccia le labbra prima di alzare la testa con uno scatto, felice di aver capito qual è il problema.
«Oh, hai ragione» sussurra Louis, massaggiandosi il mento. «Se Harry non pensa a cose belle, non può volare. Starà sognando qualcosa di brutto» constata, riosservando il ragazzo che sembra in procinto di aprire gli occhi. Devono darsi una mossa. «Non puoi usare la polvere di fata per fargli sognare cose belle?» chiede allora, lo sguardo speranzoso e il labbruccio di fuori.
Trilli sbuffa, si incrocia le braccia al petto e temporeggia appena. Sembra quasi le piaccia vedere Louis pregarla, implorarla di fare qualcosa. Divertente, davvero. Dopo un po’ però annuisce, e, posandosi sulla testa di Harry, la quale è piena di riccioli morbidi e setosi, soffia su di essa così che una scia di polvere lo copri completamente. Nel momento esatto in cui il primo granello si poggia sulla sua pelle, Harry comincia a volare.
Louis sorride a Trilli e la ringrazia, prima di afferrare Harry per una mano e trascinarlo fuori dalla finestra. Nessuno li vede, nessuno si accorge di questo rapimento che lo stesso Harry, anni fa, sperava che accadesse.
Forse qualcuno avrà anche visto tre figure circondate da scie gialle e brillanti volare dritte verso la seconda stella a destra.
Nessuno però si sarebbe mai immaginato che in questo magico evento c’entrasse proprio Peter Pan.
 
 
***
 
Si muove appena, è una bella sensazione quella che sente sul viso, ma non capisce come mai gli risulta così estranea ed esterna. Tecnicamente, quello dovrebbe essere il suo cuscino. Allora perché è setoloso e odora di… bosco?
Harry apre gli occhi, li sbatte un paio di volte perché è piuttosto sicuro che quella non è la sua camera da letto. È uno spazio piccolo, alle pareti ci sono appese quelle che sembrerebbero armi se non fosse per la loro palese fragilità. Quasi come se fossero giocattoli. Si mette seduto, si passa una mano sugli occhi. Dove si trova? Perché non è in camera sua? Si trova almeno a Londra?
«Ciao!»
Harry salta in aria e si volta di scatto, portandosi una mano sul cuore quando vede un ragazzo seduto a gambe incrociate su una poltrona, un cappello verde in testa, gli occhi di un azzurro brillante che lo continuano a fissare come se si trovassero in un museo e Harry fosse un’opera d’arte. E poi tra le labbra ha quella che sembrerebbe essere una pipa. Infatti, quel ragazzo la prende tra le mani e la allontana dalla bocca, buttando fuori una nuvola di fumo che, con il senno di poi, Harry non riconosce come tabacco. È quasi piacevole.
«Ho detto ciao!» ripete quel ragazzo, adesso ha un sopracciglio alzato perché Harry non l’ha salutato quando lui chiaramente lo ha fatto. È buona educazione ricambiare i saluti, di solito. Harry è troppo stordito per capire dove si trova o cosa diavolo stia succedendo, figurati se è in grado di ricambiare il saluto di quel ragazzino che, gli prenda un colpo, sembra proprio Peter Pan.
«C-Ciao» balbetta, mettendosi seduto composto sul letto che, adesso lo può vedere chiaramente, è rivestito da pellicce e fieno. Ecco da dove veniva quel buon odore.
«Tu sei Harry, giusto?» chiede il ragazzo, saltando giù dalla sedia. Ha un sorriso sulle labbra davvero bellissimo, quasi rassicurante.
Harry non può fare a meno di annuire nel vedere, piano piano, quel piccolo uomo -davvero molto piccolo- avvicinarsi a lui per poi sederglisi accanto, quella pipa in bocca che, a momenti, è più grande di lui.
«Come fai a sapere il mio nome? Chi sei?» domanda allora, sentendo già un principio di mal di testa colpirlo alle tempie.
Il ragazzo alza un sopracciglio e si morde un labbro, per poi grattarsi la cute color del miele. «A quale domanda vuoi che risponda per prima?» chiede di rimando, nessun imbarazzo tra quelle parole.
Harry boccheggia, si schiarisce la gola. Gli sembra di avere a che fare con un bambino. Beh, non lo è? Ora che lo guarda meglio, i lineamenti del viso sono troppo tondi e morbidi per essere quelli di un adolescente. Nessun accenno di peluria sul mento, la pelle candida e leggermente rosea sulle guance, probabilmente quei denti sono ancora da latte
«Alla seconda» risponde, scuotendo piano la testa.
Questo china la testa di lato, prende una boccata da quella pipa e inebria il fumo davanti a Harry, nessuna malizia in quel gesto, solo ignoranza e innocenza.
«Qual è la seconda domanda?»
Trattiene un’imprecazione, si guarda attorno nella speranza di notare all’istante un qualcosa che gli faccia capire che è tutto uno scherzo. O un sogno. Probabilmente sta sognando e, dalla conversazione avuta con nonna Pearl, non si stupisce affatto che si tratti di Peter Pan.
«Chi sei?» domanda nuovamente Harry, facendo il possibile per mantenere la calma. Vorrebbe strozzarsi, picchiare la testa contro un’asse di legno fino a perdere conoscenza. Parla con questo tipetto da neanche cinque minuti e già si sente esausto.
Il ragazzo si illumina e «Sono Peter Pan, il solo e unico!» risponde, Harry giura di vedere dei riflettori sbucargli fuori da dietro la schiena al pronunciare quelle parole. Si mordicchia il labbro,poi, sfila la pipa dalle labbra. «Però non mi piace il mio nome, è orribile. Adoro il nome Louis, quindi mi chiamo Louis e tu devi chiamarmi Louis. Se mi chiamerai mai Peter, io non ti risponderò!» gli spiega quasi con orgoglio, per poi saltare giù dal letto. «Ora, vorrai sapere la risposta alla prima domanda» constata da solo, senza che Harry debba dire altro.
Apre bocca, fa per ripetergliela ma Pet-ehm voleva dire Louis lo blocca, come se avesse letto nella mente le sue intenzioni. Fa una corsetta fino all’altra parte della stanza, apre quella che deve essere una tenda fatta di Dio solo sa quale materiale. Harry rimane in quel letto da solo per non più di due minuti, poiché Louis risbuca fuori all’istante con in mano un foglio che, alla sua vista, non è nuovo.
«Ho ricevuto la tua lettera» spiega facendo spallucce, e la apre.
È un foglio sporco, rovinato e spezzettato in alcuni punti. È ricoperto da una polverina dorata, la quale impedisce a Harry di leggerne il contenuto. Louis sembra capire quei segni, quelle parole che la scia di polvere crea, e si schiarisce la gola, pronto a recitarla.
«Caro Peter Pan, ho lasciato la mia finestra aperta. Per favore vieni a rapirmi. Harry» dice, gli occhi sognanti e orgogliosi nel sapere che, anche nella Terra, ha ammiratori segreti.
Nella testa di Harry, invece, il caos. Una marea di flashback lo investe, porta la sua mente a ricordarsi di quella sera, alle urla e agli schiamazzi dei suoi genitori in salotto, a lui, in ginocchio sul piccolo davanzale della finestra, il foglietto sotto al naso e la biro impugnata nella mano. Si ricorda delle lacrime, dei singhiozzi, del desiderio di scappare. Quella lettera era stata il suo grido d’aiuto, il suo atto di fede nei confronti di quel bambino che ora ha davanti, il quale tiene la lettera in mano con un’espressione di vittoria in volto.
Tutta la rabbia e la delusione repressa in quegli anni comincia a sfociare nell’esatto momento in cui realizza, le sopracciglia arcuate e il viso che diventa sempre più rosso e caldo. Serra i pugni e respira velocemente così da reprimere l’istinto di saltare addosso a Louis e ammazzarlo di botte. Questo a quanto pare deve aver notato la sua collera, in quanto muta l’espressione da felice a confusa, e si avvicina piano piano a lui, passi lenti e cadenzati come se Harry scottasse e lui, avvicinandosi, corresse il rischio di bruciarsi.
«Perché sei diventato tutto rosso?» gli domanda, allungando un braccio verso il suo viso.
Il dito indice in avanti, il desiderio di toccare ciò che non andrebbe toccato, caratteristica persistente di tutti i bambini. Harry se la ricorda molto bene, ce l’aveva anche lui.
Si scansa prima che Louis possa fare la sua mossa, si alza in piedi e gli ruba la lettera dalle mani. Adesso che non è più seduto si rende davvero conto di quanto piccolo sia quel posto. È costretto a chinarsi sulla schiena perché non ci sta nell’aera della stanza, e Louis sotto di lui che gli arriva malamente alle spalle. Per lui quel posto è perfetto.
Afferra quel foglio e lo apre, poi ci soffia sopra facendo così volare via quella polvere magica. Questa cade al suolo, Louis sussurra qualcosa in merito al gesto che ha fatto ma che Harry non capisce perché troppo concentrato a leggere quelle parole.
Dannazione, allora è vero. Le tocca, le riscrive con i polpastrelli e altri flashback gli tornano alla mente. Quante sono state le notti in cui lo ha aspettato fuori da quella finestra? Quante sono state le volte in cui ha desiderato piombasse nella sua vita, che lo rapisse proprio come successe a Wendy? Perché lui no e lei sì?
Si lascia cadere sulla poltrona di Louis quando realizza ogni cosa. Il ragazzino, approfittando di questa momentanea debolezza di Harry, gli ruba la lettera dalle mani, ficcandosela in tasca.
«Maleducato!» lo sgrida, mettendo il broncio.
Harry alza gli occhi su di lui, lo incenerisce con lo sguardo, lo porta a rannicchiarsi su se stesso e a sedersi sul letto, confuso per quella reazione inaspettata.
Fa un paio di respiri profondi, deve mantenere la calma. «Perché mi hai portato qui?» chiede allora, lo sguardo perso nel vuoto mentre cerca di contare i battiti del suo cuore.
Louis si schiarisce la gola, si gratta appena la testa. «Mi hai chiesto tu di farlo, di rapirti».
«Ho scritto questo messaggio cinque fott-» sospira, si passa una mano tra i capelli. È un bambino, dannazione, deve ricordarselo. «Cinque dannatissimi anni fa» conclude, riportando gli occhi su quelli azzurri di Louis, il quale adesso sembra davvero confuso.
Dopo quelli che sembrano pochi secondi fa spallucce e il sorriso gli ritorna sulle labbra. «Cosa importa?» chiede allora, la risata ilare di chi pensa che il mondo in realtà sia un posto bellissimo, una sorta di paese dei balocchi.
Harry alza gli occhi al cielo, pensando che Louis vive nell’isola che non c’è, e quello sì che è un posto bellissimo. Lui sognava così tanto di andarci da bambino, e questo pensiero lo fa arrabbiare ancora di più.
«Cosa importa?!» domanda a sua volta, mordendosi l’interno guancia. «Importa che sei arrivato tardi, Louis» sibila, sporgendosi in avanti così da guardarlo meglio in faccia.
Il ragazzino deglutisce, gli occhi sono limpidi e cristallini, Harry è in grado di leggerci dentro ogni cosa.
«Tardi? Non esiste tardi o presto, Harry» gli spiega poi, conciliante. Si alza in piedi, comincia a saltellare ovunque, salta sui mobiletti, sul divano, sui tappeti. Gli viene il mal di testa nel guardarlo, possibile che pensi solo a giocare?
«Sì che esiste, nella Terra esiste» spiega Harry scattando in piedi e picchiando così la testa al soffitto.
Louis scoppia a ridere, si porta le mani sulla pancia e cade a terra, dimenandosi sul pavimento. «Quanto sei buffo!» esclama poco dopo, la risata ancora persistente sulle labbra.
Harry si massaggia la parte lesa con una mano, ha ancora una smorfia di fastidio sul viso, ma non è totalmente dovuta al dolore fisico. Gli dà fastidio che Louis non lo stia ascoltando, gli dà fastidio che stia pensando solo a giocare e non alle cose serie, non al fatto che si sta prendendo gioco di Harry e che l’ha deluso, tanto tempo fa.
«Smettila di muoverti e di saltare!» gli urla dietro, battendo un piede al suolo. Louis non lo ascolta, continua a ridere e a toccare ogni cosa, dalla più semplice manovella di legno a quelle sottospecie di finestre che mostrano come un acquario marino al loro esterno. Gli manca il respiro quando si accorge che non c’è del vetro che blocca l’acqua.
Deve sicuramente star sognando. E, essendo il suo sogno, è lui a decidere no? Sospira, ignora le grida e gli schiamazzi di Louis e si dà un pizzicotto sul braccio, reprimendo una smorfia di dolore. Quando apre gli occhi e si ritrova ancora in quella non-realtà, impreca a denti stretti.
«Louis!» lo richiama, il bambino lo guarda appena senza smettere di ridere e scherzare. «Perché fai così?!»
«Perché sei mio ospite, e quando abbiamo ospiti è sempre festa!»
«Abbiamo?» chiede, continuando a fare domande solo perché, quando ne pone una, Louis si ricompone e cerca di essere educato, ma non troppo.
Questo annuisce con forza, un sorriso smagliante sul volto. «Sì, io, i bimbi sperduti e Trilli» spiega, gesticolando forse un po’ troppo. Oh, giusto, i bimbi sperduti. Come ha fatto a dimenticarseli? Lui voleva diventare un bimbo sperduto. «Ora non ci sono, ma saranno felici di sapere che abbiamo ospiti, non ne riceviamo uno da secoli!»
«Lo sai vero che gli ospiti non si rapiscono?»
Louis boccheggia, salta sul letto con un saltino e comincia a rimbalzare su quei tessuti morbidi. «Ah no?» domanda, davvero curioso.
Harry scuote la testa, incrocia le braccia al petto. «No, e tu mi hai rapito, quindi non sono tuo ospite» spiega, sperando che nella testa di Louis quel discorso abbia senso. Nella sua, di testa, niente ha più senso da un bel po’, ormai.
Il bimbo sembra non capire, sembra quasi rallenti l’andatura dei salti e «Quindi sei un bimbo sperduto?»
Harry mugola un verso di disappunto, si passa una mano tra i capelli. «No, io sono una tua vittima, mi hai catturato. Adesso devi lasciarmi andare, il gioco è finito, okay?»
Louis continua a saltellare, ride sommessamente quando «Non posso farlo, me lo hai chiesto tu di rapirti».
«Ora non voglio più essere rapito» spiega Harry, cominciando ad innervosirsi.
«Ma il biglietto diceva…»
«Il biglietto è vecchio, l’ho scritto cinque anni fa, cinque anni fa dovevi rapirmi, non ora» sibila, portando così Louis a bloccarsi.
«Perché no? Ci divertiremo insieme, ti porterò a fare il giro dell’isola, conoscerai le sirene, capitan uncino, le fate e-»
«Dannazione Louis, le fate non esistono!»
Louis boccheggia, sembra quasi abbia la vista appannata e il corpo scosso da flebili tremiti. Serra le labbra in una riga dritta, le sopracciglia arcuate, lo sguardo imbronciato e arrabbiato. Solo in quel momento Harry si rende conto di ciò che ha detto. Quell’espressione, così simile a quella di nonna Pearl. Non si può dire che le fate non esistono, perché altrimenti…
«Hai ucciso una fata, Harry» sibila Louis, saltando giù dal letto.
Sembra quasi voglia piangere quando poggia la pipa sul mobiletto di legno e comincia a salire le scale, lasciandosi dietro Harry.
Questo alza gli occhi al cielo, fa qualche passo verso di lui. «Louis!Louis dove stai andando?» gli chiede quando ormai non lo vede più.
Questo rispunta fuori, solo in quel momento Harry si rende conto che non sta toccando terra. «Vado a controllare che Trilli stia bene» sibila, sparendo nuovamente.
Harry si passa una mano sul viso, mugola imbronciato e si risiede sul letto, le dita tra i capelli e lo sguardo fisso ancora sulle sue All Stars. Non sta succedendo davvero, è tutto uno scherzo, è tutto uno…
Sente dei passi scendere velocemente le scale, poi Louis è di nuovo difronte a lui con in mano una piccola gabbietta. All’interno, Harry vede una luce. È sottile, è luminosa e quasi abbagliante.
Si alza in piedi, si avvicina per osservarla meglio e Louis non lo blocca dal fare questo. Assottiglia lo sguardo e finalmente mette a fuoco: è una donna piccolissima, i capelli biondi raccolti in uno chignon, il vestitino verde e le ali abbassate. Se ne sta rannicchiata su se stessa, sembra quasi raffreddata, la luce va e viene quando alza lo sguardo su di lui e lo fissa.
Harry boccheggia nel vedere chiaramente Trilli davanti ai suoi occhi. Louis ha un sopracciglio alzato, le labbra strette in un broncio.
«Hai visto cosa hai fatto?» gli domanda, la voce arrabbiata e quasi delusa.
È Harry quello che dovrebbe essere arrabbiato, è Harry quello deluso. Non lui.
Non risponde, continua ad osservare quella fatina che sembra quasi in fin di vita.
«Dì immediatamente che credi nelle fate!» gli comanda, avvicinandogli la gabbietta al viso.
Harry di riflesso si scansa e scuote la testa. «Perché dovrei farlo se non ci credo?»
Louis alza gli occhi al cielo, sembra infastidito. «Perché altrimenti lei morirà» spiega in un sussurro, come se non volesse far sentire a Trilli quale sarà il suo destino se Harry non si deciderà a collaborare.
Harry sbuffa, distoglie lo sguardo da quella scena. È il suo sogno, è lui che decide e comanda. Niente di tutto questo è vero, né Louis, né Trilli, né il fatto che si trova nell’isola che non c’è. È tutto frutto della sua mente che, dopo la conversazione con sua nonna, è andata persa. Ecco qual è la spiegazione plausibile. Fra poco si sveglierà, deve solo pazientare.
«Muoviti!» gli urla contro Louis, facendolo rabbrividire.
Harry fa spallucce, riporta lo sguardo su Trilli e si sente quasi in colpa nel vederla in quello stato. Tanto è un sogno, non morirà davvero. O forse sì?
«Ti consegno agli Indiani se non dici all’istante che le fate esistono!» gli urla contro Louis, un tono raggelante che lo fa rabbrividire.
Sbuffa, alza gli occhi al cielo. «Va bene, le fate esistono davvero» recita.
Sbuffa nel vedere lo sguardo compiaciuto di Louis. Solo che Trilli non ha riacquistato potere e lucentezza, sembra quasi più debole di prima. Harry arcua le sopracciglia, segue i movimenti confusi di Louis che «Non capisco» sussurra, grattandosi la cute.
Harry si schiarisce la gola e «Cosa?» domanda, anche se sa a cosa si riferisce.
Questo alza lo sguardo incontrando il suo. Si morde il labbro, i suoi occhi sono quasi tristi. «Hai detto che ci credi, perché non si riprende?» sussurra, un dito a grattare la parte alta della cute.
Harry sospira, incrocia le gambe e «Perché non ci credo davvero, Louis» gli spiega e wow, lui che spiega qualcosa a Peter Pan? Possibile che non lo sappia?
Louis lo fissa, sembra arrabbiato. «Perché non credi nelle fate?» gli sussurra, ha paura che Trilli possa averlo sentito.
«Perché quando ci credevo, tu non c’eri» gli spiega, il dolore e la delusione sono palpabili nella sua voce, ma come aveva immaginato, non scalfiscono minimamente la corazza di Louis.
Questo sospira, si alza in piedi e si dirige verso le scale. «Porto Trilli lontana da te, fino a quando non crederai nelle fate, non può starti vicina» spiega, cominciando a salire le scale.
Harry annuisce, si mordicchia il labbro. «Mi riporterai a casa, Louis?»
Il ragazzino si blocca sulle scale, lo osserva per anni, forse secoli interi, e poi scuote la testa. «Ti porterò a casa solo quando ricrederai ancora nelle fate» risponde, sparendo poi in superficie.
Harry sbuffa, si porta una mano sul viso nel realizzare che lui, a casa, non ci tornerà mai più.
 
 
Quando apre di nuovo gli occhi, si ritrova davanti a sé un viso. È paffuto e pallido, e ha grandi occhi azzurri. I capelli sono biondi, ma si vedono a malapena per colpa di quello che sembrerebbe essere un travestimento da volpe. Harry strabuzza gli occhi, indietreggia appena e gli viene un colpo al cuore quando capisce di essere circondato da bambini come quest’ultimo. Deglutisce, boccheggia appena perché non sa cosa dire.
Quello travestito da volpe si rivolge a quello travestito da lupo: «Non avevo mai visto un bambino così grande» gli confessa, grattandosi poi il capo.
Quello travestito da lupo, il quale ha grandi occhi neri e capelli corvini, annuisce trovandosi d’accordo con lui. «Forse non è un bambino» gli spiega, voltandosi poi verso un altro bambino, travestito stavolta da orsacchiotto.
Questo arriccia le labbra e lo osserva, gli occhi che sembrano due quadratini di cioccolato al latte lo fanno sentire a disagio.
«Se non fosse un bambino, non sarebbe qui» spiega, alzando poi il mento verso l’alto perché la sua spiegazione è l’unica plausibile.
Il bambino vestito da lupo e quello da volpe alzano gli occhi al cielo, sembrano scocciati dalla sua presunzione.
«E poi» dice una voce femminile travestita da puzzola «se non fosse un bambino, Lou non lo avrebbe mai fatto entrare nel nostro albero» conferma, andando incontro al pensiero del bimbo travestito da orsacchiotto.
Harry intanto ha mal di testa. Si porta le mani tra i capelli e poi si stropiccia gli occhi, cercando di ricordarsi tutto quello che sta succedendo. Soprattutto, dove si trova.
Si guarda attorno e un magone gli sale al petto nel realizzare che quello di ieri non era stato affatto un sogno. È tutto successo davvero. Forse, forse questa non è altro che la continuazione del suo sogno. È possibile? Spera di sì, perché quei bimbi travestiti lo stanno importunando con i loro sguardi curiosi.
Si schiarisce la gola, non sa cosa fare.
Uno di quei bambini che prima non ha parlato si avvicina a lui e gli infila una mano tra i capelli, davvero curioso.
«Sono morbidi!» esclama, e così tutti i bambini gli infilano una mano tra i capelli, glieli tirano e gli accarezzano la cute come se fosse un oggetto che merita la massima attenzione.
Tutto questo comincia a dargli sui nervi, sta per urlare e dire che devono assolutamente allontanarsi da lui quando qualcosa in superficie si apre e fa entrare un fascio di luce che illumina l’intera stanza.
I bambini, avendo notato questo particolare, si allontanano di scatto dai capelli di Harry perché attratti da un qualcosa di ancora più grande. O forse è meglio dire qualcuno.
«Louis!» urlano in coro, prima di salire di corsa le scale e fiondarsi su quel ragazzino che avrà sì e no un paio d’anni in più di loro. Non che Harry sappia la sua età, a quanto si dice nessuno la sa.
Questo sorride loro, li accarezza e «Buongiorno bimbi sperduti, avete dormito bene?» domanda, la voce più bassa e profonda di quella del giorno prima.
I bambini annuiscono e «C’è qualcuno sul tuo letto, Lou» sussurrano al suo orecchio, ma senza volerlo praticamente lo urlano, poiché Harry sente ogni cosa.
Louis alza lo sguardo e sorride nel vedere Harry che si guarda attorno confuso. Poi annuisce, accarezza ogni tanto qualche manto peloso e «Oh vi siete già conosciuti?» domanda, più a Harry che ai bambini.
I bimbi non dicono nulla se non un «è silenzioso» che fa ridere Louis sommessamente. Questo si libera dalle grinfie di quei bambini e vola –sì, vola letteralmente- da Harry, il quale boccheggia appena perché non credeva fosse possibile.
«Dormito bene?» gli domanda, sedendosi a gambe incrociate su quel letto, proprio difronte a lui.
Harry si mordicchia appena il labbro, si guarda attorno e poi decide di annuire perché alla fine è la verità.
Louis gli sorride, è felice di vederlo di buon umore –o meglio, di un umore più fattibile rispetto a quello della sera prima-.
«Oggi dobbiamo fare tantissime cose, ti consiglio di prepararti!» gli dice, per poi scattare in piedi e «Forza, andiamo!» esclamare, facendo esultare i bimbi sperduti che, da punti diversi della casa, spariscono nel nulla.
Harry si schiarisce la gola, scatta in piedi non sapendo cosa fare perché, beh, è rimasto solo. Si guarda appena attorno, opta per l’uscire di lì prendendo le scale, ovviamente. È troppo grande per qualunque altra via d’uscita.
Una volta fuori, con un po’ di fatica, la prima cosa che vede è Louis con Trilli in parte. Sembra essersi ripresa, sembra tornata nel pieno delle forze. Ovviamente, lo era prima che il suo sguardo si posasse su Harry. Questa allora cade a terra, si porta una mano sul petto e Harry istintivamente fa un passo indietro. Louis si china su di lei, la appoggia sulla sua mano, poi osserva il ragazzo che si sente quasi colpevole.
Mugola qualcosa, per poi «Non può starti vicino» sussurrare, grattandosi la cute.
Sembra pensare a una soluzione, a un modo per non farla stare male ma allo stesso tempo non cacciare Harry dall’isola. Perché vuole così tanto che creda nelle fate? Perché non lo rispedisce a Londra e si dimentica di lui e della sua stupida lettera?
Una lampadina sembra accendersi sopra la sua testa, e Harry arcua le sopracciglia quando fischia con le dita contro i bambini sperduti che in quel momento si stavano inseguendo tra loro.
Questi bloccano all’istante il loro passatempo e «Che c’è, Lou?» domandano in coro alcuni, i più distratti, invece, continuano a giocare senza prestare la minima attenzione a Louis.
«Portate Trilli da Capitan Hook, non può stare con noi».
Capitan Hook? Louis detto Peter Pan vuole portare Trilli da Capitan Hook?
I bimbi sperduti annuiscono all’unisono e poi, quello travestito da lupo, corre da loro, prendendo Trilli e mettendosela nel cappellino. Poi corrono via, senza neanche salutare, sparendo nella foresta.
È quando Louis riporta il suo sguardo su Harry che questo glielo domanda. «Capitan Hook?»
«Sì, grande uomo» dice Louis, prendendo a camminare diretto non si sa dove.
Harry lo segue nel mezzo del bosco, si deve chinare molte volte per evitare di essere colpito da rami di alberi, e deve saltare altrettante volte per non cadere a terra. Sembra un percorso ad ostacoli che Louis sa a memoria dal momento che neanche guarda dove mette i piedi.
Annuisce poi e «Sì, diciamo che le cose nell’isola che non c’è sono un tantino cambiate da come le conoscono sulla terra» spiega, abbassando un ramo per passargli sotto, e se Harry non fosse stato abbastanza attento, gli sarebbe finito in faccia.
«Cosa intendi dire?» domanda allora, la mente confusa e il corpo più leggero nel vedere che il bosco è quasi finito.
Louis sogghigna, sospira vittorioso quando fuoriesce dalle sterpaglie e «Capitan Uncino non è come lo dipingete voi. È un brav’uomo ed è mio amico. Il problema è un altro, ma non pensiamoci ora, okay?» gli dice, per poi prendere la rincorsa e saltare.
Harry si accorge solo in quel momento che, oltre il bosco, non c’è più niente se non un burrone alto non sa quanti metri. Louis sta voltando, fluttua nell’aria e fa diverse capovolte e giri della morte prima di accorgersi che Harry si trova ancora sulla terra ferma.
«Giusto, quanto sono sbadato!» esclama, andando sopra di Harry e infilandosi una mano in tasca. Tira fuori da essa una boccettina contenente del materiale brillantinato, la apre e questa si lascia andare in tanti piccolissimi luccichii che fanno starnutire Harry. A Louis sembra non importare.
Ne versa un po’ sopra di Harry, questa gli cade sui capelli e sul corpo, ed è una sensazione fastidiosa ma allo stesso tempo bellissima.
«Che cos’è?»
«La polvere di fata» spiega Louis, sorridendogli per poi arrivare alla sua pari.
Harry lo guarda stranito, si lascia prendere da un altro starnuto per poi «Perché me l’hai messa addosso?» chiede, quasi oltraggiato.
Louis ride e «Come pensi di volare senza la polvere di fata?» domanda come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Harry arcua le sopracciglia e scuote spasmodicamente la testa, lasciando che qualche brillantino cada al suolo. «No, io non posso volare».
«Nel momento stesso in cui dubiti di poter volare, cessi anche di essere in grado di farlo» dice Louis, incrociandosi le braccia al petto per poi incitare Harry a darsi una mossa. «Forza! Non puoi rimanere lì per sempre, devi volare per andare in posti nuovi» gli spiega, svolazzando un po’ prima a destra e poi a sinistra.
Harry si morde il labbro e «Come posso riuscirci allora?»
Louis arriccia le labbra per poi saltare in aria, avendo trovato la soluzione. «Devi pensare a pensieri felici, poi fai un bel salto e voilà» esclama, fluttuandogli attorno.
Harry si schiarisce la gola. Pensieri felici, uh? Lui, obbiettivamente, ce li ha pensieri felici? Ci prova, si concentra perché vuole farlo, vuole dare una possibilità a quell’ometto anche se è ancora convinto di trovarsi in un sogno. Pensa a qualcosa che lo fa stare bene. Nick lo fa stare bene, ma da quel pomeriggio in cui hanno litigato, ha paura di aver rovinato ogni cosa, quindi non sono pensieri felici. Poi, sua madre… beh, è in conflitto con lei dall’esatto momento in cui ha deciso di dimenticare ogni cosa, il passato, i bei momenti passati quando lui era piccolo; Harry lo sa che sta solamente andando avanti, solo che lui non è ancora pronto per farlo e si sente tradito perché sua madre non lo sta aspettando, sta iniziando una nuova vita da sola quando lui è ancora ancorato al passato. E poi c’è nonna Pearl, quella grandiosa donna che è la sua preferita in assoluto, quella che gli dà sempre la forza di lottare e di andare avanti. Si dimentica per un istante del fatto che sta morendo, che lo sta abbandonando, e pensa alle infinite notti passate ad ascoltarla mentre gli parlava di Peter Pan, pensa alle sue storie, ai suoi occhi azzurri che luccicano anche solo al nominare quel nome. Osserva il bracciale, e questo forse gli dà ancor più potere che neanche la polvere di fata stessa.
E allora, senza neanche rendersene conto, i suoi piedi non sono più ancorati al suolo, il suo corpo è sempre più leggero e la sua mente popolata da pensieri gentili che lo portano a sorridere.
È quando Louis comincia a battere le mani che finalmente realizza di star volando.
«Oh porca-»
«Harry, stai volando!» esclama Louis entusiasta, per poi prenderlo per mano e «forza, andiamo!» esclamare, stringendogli le dita tra le sue e strascinarlo alla scoperta di quella terra che Harry ha sempre desiderato di poter visitare. E per una volta, si sente libero, si sente in pace con tutti quando sotto di lui c’è un ruscello e i pesciolini al suo interno lo salutano, si sente in pace quando si specchia in quell’acqua, quando vede le rane saltare sulle ninfee colorate, o le farfalle e gli uccellini svolazzargli attorno.
Si permette di ridere e di essere contento, soddisfatto, felice come mai non lo era mai stato prima.
E con Louis accanto, si sente al sicuro.
 
***
 
La nave pirata non dista molto dalla loro casa nell’albero. Trilli si trova nel cappello, ha il fiato affannato perché sta correndo da diversi minuti senza sosta. Ormai dovrebbe esserci abituato, no? Liam lo oltrepassa con una corsa perché è risaputo che tra i bimbi sperduti è quello più veloce. Il costume da Orso inganna parecchio, in realtà. Questo non si può dire di lui. Il lupo, oltre ad essere il suo animale preferito, è anche quello che lo rappresenta di più, con i suoi modi di fare astuti ma allo stesso tempo eleganti, inganna e attrae a sé le persone per poi distruggerle. Insomma, nel senso buono della parola –sempre che questo esista-. A Zayn non piace distruggere, è l’architettare imboscate e trappole nei confronti dei nemici che caratterizza il suo animo da lupo selvaggio.
In ogni caso, ora la sua missione è mettere al sicuro Trilli, ed è proprio quello che farà.
«Ragazzi, dov’è Louis?» dice Hook, il cappello enorme adagiato su quei boccoli neri impedisce la visuale dei suoi occhi azzurri e repentini.
Sta affilando l’uncino argentato, ordinando le sciabole e le spade e nel mentre sorseggia una tazza di tea con la mano buona. Zayn sente Niall sospirare accanto a lui, si piega sulle sue stesse ginocchia e riprende fiato perché tra tutti lui è quello più lento.
«Non c’è, è andato a mostrare a Harry l’isola» spiega, il viso arrossato e gli occhi di un azzurro acceso. Pure il suo, di manto, inganna: chi penserebbe mai a uno come Niall nelle vesti di una scaltra e saggia volpe?
«Harry?» domanda Hook, alzando finalmente lo sguardo su quei tre bimbi. È confuso, ovviamente non ha idea di chi sia e sta certamente aspettando spiegazioni.
Zayn si mette le mani nel cappello ed estrae Trilli, mostrandogliela. La fatina ora sembra star meglio, ma è come se fosse raffreddata in quanto ha il nasino rosso. Hook strabuzza gli occhi nel vederla in quelle condizioni, si avvicina per osservarla meglio, la veste rossa che striscia sul pavimento a mo’ di mantello accompagnata dal ticchettio dei suoi stivali.
«Che le prende?»
«Questo Harry non crede nelle fate» gli risponde Zayn, facendo spallucce. «Deve starle lontano, altrimenti morirà.»
«Perché mai Louis porterebbe un essere umano che non crede nelle fate in quest’isola?» domanda allora, sembra confuso mentre prende Trilli tra le sue grinfie. Questa si aggrappa all’uncino, stanca ma felice di essere uscita dalla traiettoria di sicurezza da Harry.
I tre bambini si guardano, si chiedono quale sia la risposta alla domanda di Hook, ma nessuno riesce a trovarne una soddisfacente.
È Liam a parlare. «Ha detto che vuole farlo ricredere, è per questo che gli sta mostrando l’isola».
«Ah capisco» sussurra Hook, per poi voltarsi ed entrare nella sua stanza. I tre bimbi lo seguono, lo sguardo rivolto verso il basso perché raramente è possibile entrare nella sua stanza. «Credo abbia sbagliato tempo» aggiunge poi, poggiando Trilli su un letto di coperte caldo e morbido, così da permetterle di riposare. Questa si adagia su esso, si copre fin sopra la testa e comincia a dormire con il sorriso.
«Cosa intendi?» domanda Zayn allora, la voce tremante e leggermente spaventata a causa dell’espressione che Hook ha attuato.
Questo si fa largo verso di loro, dirigendosi verso la mappa dell’isola. I tre bimbi lo seguono, in silenzio. Osservano le mosse di Hook, come il suo uncino cade quasi sconfitto su quella mappa, a come indica coloro che sono ormai i loro nemici.
«Falco Nero sta cercando Louis ormai da giorni» spiega, indicando la tenda e il covo degli indiani, il quale non è più loro alleato già da tempo. «Lo sta cercando e penso voglia ucciderlo» continua rattristito, la voce fattasi sempre più bassa e tenebrosa.
Niall rabbrividisce visibilmente, sembra farsi sempre più piccolo nel suo costume da Volpe. «Perché vuole farlo?» domanda allora lanciando uno sguardo fugace a Zayn e Liam, i quali si stanno probabilmente chiedendo la stessa cosa.
Hook sospira, chiude la mappa con un tonfo, lasciandosi cadere nella sua poltrona rossa. «Perché ha rifiutato di sposare Giglio Tigrato, ecco perché!» esclama, grattandosi la cute con la punta dell’uncino. «Non capisco perché l’abbia fatto, Giglio Tigrato è una bellissima ragazza. Se avesse accettato, ora non ci troveremmo in questa sottospecie di guerra» sospira, osservando Zayn perché è lui il migliore amico di Louis, è lui che sa ogni cosa e che lo capisce.
Si schiarisce la gola, ha l’interno guancia stretto tra i denti perché neanche lui è sicuro di quello che sta succedendo a Louis. «Credo sia perché sposandosi diventerebbe grande» sussurra, incerto.
Hook alza gli occhi al cielo, sbuffa sonoramente prima di «Sciocchezze» sbraitare, sfilandosi il cappello e rivelando del capelli lunghi e neri, di un color ebano. «Peter Pan non può crescere, anche se lo volesse» spiega, così da attirare gli sguardi di quei tre bambini. «Comunque sì, è da Louis un ragionamento simile. Il problema però rimane, ho sentito degli urli stamattina. Le truppe di Falco Nero lo stanno già cercando» spiega, la voce strascicata e tenebrosa, come se stesse raccontando una storia di paura.
Liam rabbrividisce, si mordicchia il labbro incerto. «Che possiamo fare?» domanda allora, e Hook si alza in piedi, si avvicina a Trilli che intanto sta dormendo beatamente, e la copre con una gabbietta, in modo che non possa scappare.
«Non ne ho idea, l’importante è non avvicinarsi alla tribù degli indiani. Dite a Louis di rimanere nella casa nell’albero, o di venire qui dal momento che gli indiani hanno paura di me» spiega, un velo d’orgoglio sulla voce. Si schiarisce la gola poi, si volta verso i bimbi sperduti che si mettono retti in piedi, consapevoli del fatto che Capitan Hook sta per dar loro un ordine che dovrà essere assolutamente rispettato.
«Dite a Louis di fare attenzione con questo Harry. Non credendo nelle fate, non crede nemmeno di essere nella realtà, qui. Potrebbe essere un pericolo.»
«Quindi, cosa possiamo fare noi?» domanda Zayn cauto.
Hook si schiarisce la gola, lo guarda dritto negli occhi e lo fa tremare dentro.
«Dovete convincere Louis a riportarlo sulla terra» sussurra, l’uncino brilla sotto ai loro occhi. «E dovete farlo ora.»
 
***
 
Stanno camminando in quello che sembrerebbe un campo di fieno, il profumo delle spighe inebria le sue narici e non si sentiva così in pace con il mondo da tantissimo tempo. Mondo, quale mondo? Si trova sull’isola che non c’è, anche se ancora non riesce bene a realizzarlo. Diciamo che Harry crede ancora di star sognando, ed è felice perché questo sembra proprio essere un bel sogno. E non pensa che quello accanto a lui è davvero Peter Pan in carne e ossa; è semplicemente Louis, e gli va benissimo così.
Il ragazzo che non vuole diventare grande svolazza sopra di lui, a volte arriva talmente in alto che tocca le nuvole. Ne prende un pugno e lo porta da Harry, il quale sorpreso la prende tra le mani.
«Sto davvero toccando una nuvola?» domanda sbalordito, e Louis annuisce, ritornando con i piedi per terra. Quell’insieme di vapore morbido si squaglia poco dopo, ma Harry non ne fa certo un dramma. Piuttosto si concentra sui movimenti sicuri e decisi di Louis, a quanto sembra essere più piccolo con quel cappellino verde sulla testa e quella tutina a fasciargli il corpo.
Pensa sia davvero adorabile, ed è felice di star passando del tempo con lui. Anche se, detto con tutta sincerità, il fatto che nel bel mezzo del campo ci siano orsi e leoni non lo tranquillizza affatto. Cerca di non darci tanto peso, comunque.
Non sa dove stanno andando, non sa dove sono diretti. E Louis se ne sta in silenzio, come se davvero non avesse nulla da dire. Forse vuole che sia Harry a parlare, che sia lui a fare domande o a curiosare in merito a quell’isola misteriosa. Il punto è che Harry sa già ogni cosa, ha letto il libro così tante volte e, non vuole ammetterlo, ma era il fan numero uno di Peter Pan. Era, perché ormai è troppo grande per credere ancora in Peter Pan. Questo è il motivo per cui crede di star sognando.
Per la prima volta, non vuole svegliarsi.
«Perché volevi che ti rapissi?» domanda Louis dopo un po’, portando le mani dietro la schiena e camminando a testa bassa. Ogni tanto saltella, ma comunque sembra che stia prestando davvero attenzione a ciò che Harry sta per dirgli.
Questo fa spallucce, non sa neanche se Louis capirà il vero problema, in ogni caso ci vuole provare, glielo vuole dire. «I miei genitori stavano divorziando» spiega, un sapore amaro si appropria delle sue labbra al ricordo di quella parentesi della sua vita; una parentesi che, alla fine, era diventata un capitolo intero.
Louis si mordicchia il labbro e «I genitori sono la mamma e il papà, giusto? Le persone che ti amano più di tutti» chiede, e Harry annuisce, sussurrando un flebile già anche se di questo fatto non ne è mai stato tanto sicuro. «Cosa vuol dire divorziare?» chiede ancora Louis, la voce di chi ha paura di dire o fare una cosa sbagliata. Harry mentirebbe se dicesse che non si è stupito di ciò.
«Significa annullare il matrimonio e permettere ad entrambi di rifarsi una vita con un’altra persona» spiega, raccogliendo ogni tanto qualche spiga. Comincia a sfilacciarne una, tanto per tenere le dita occupate. Non gli piace parlare di queste cose, non gli piace ricordare. Louis se ne sta in silenzio, sembra quasi voglia parlare ma non sia sicuro di ciò che chiederà. Harry gli sorride come a volerlo rassicurare, cerca di fargli capire che ormai quella ferita si è rimarginata, che adesso sta bene e che non gli importa più se sua madre e suo padre non si amano. Davvero.
«E tu?» domanda allora Louis, per poi alzarsi in volo per raggiungere un paio di rocce proprio lì accanto. Cammina su di esse, mentre Harry gli parla da sotto.
Questo arcua le sopracciglia e «Io cosa?» domanda, confuso.
«Pensavo che sulla terra i bambini vivessero con i propri genitori» sussurra, sembra acquistare più sicurezza quando Harry annuisce con il capo. «Quindi, se la tua mamma e il tuo papà hanno divorziato», dice, accentuando quella nuova parola, «tu che fine hai fatto?»
Harry si passa una mano tra i capelli, le infinite giornate passate in un tribunale gli ritornano alla mente con tante diapositive diverse, ognuna delle quali gli fa salire un magone nel petto.
Deglutisce, cerca di mandarlo via, ma non ci riesce.
Sospira e «Vivo con mia madre, però posso vedere mio padre per un weekend ogni due settimane» spiega, facendo spallucce. Cerca di cacciare via quel peso enorme che ha al petto, ci prova e si convince che ci è riuscito, che ha vinto lui. Quanto vorrebbe averne la certezza.
«Io non ce l’ho una mamma o un papà. Non credo di averli mai avuti» dice Louis, saltando da una roccia all’altra. «Vivo qui da sempre, i miei fratelli sono i bimbi sperduti, le sirene le mie sorelle e Capitan Hook il mio papà» spiega, perdendosi per un po’ ad osservare il vuoto. Poi riporta lo sguardo su di Harry, gli sorride amorevolmente e «Tu puoi essere la mia mamma!» esclama, sentendosi realizzato di aver completato l’albero genealogico della sua famiglia.
Harry si lascia prendere da una risata, ridacchia appena per poi scuotere la testa e «Non credo di poterlo fare, Lou» spiega.
Louis arriccia le labbra e «Perché?» domanda leggermente deluso.
Harry fa spallucce e «Beh, perché io ho ancora bisogno della mia, di mamma. Non posso essere la mamma di qualcuno se io per primo ho bisogno della mia» risponde, afferrando poi l’ennesima spiga. Il campo sembra star per finire, non riesce comunque a capire cosa c’è oltre esso.
Louis annuisce, sembra aver capito. «Va bene» sussurra, sembra leggermente triste, come ricoperto da un velo di platina che lo eclissa dall’esterno. Quel velo scompare nell’esatto momento in cui il campo di grano finisce e ormai gli orsi e i leoni sono metri addietro.
Sorride, fa una piccola corsetta verso quello che sembrerebbe una laguna. Si sporge in avanti, Harry si prende un colpo perché ha paura che cada di sotto. Si dà mentalmente dello stupido quando si ricorda che Louis può volare.
Quest’ultimo si volta verso di lui, gli fa cenno di sbrigarsi a raggiungerlo. «Forza! Ti devo presentare le mie sorelle» dice, per poi spiccare il volo e cadere giù in picchiata.
Harry si affretta a seguirlo, si blocca nel momento del salto e crede sia una pazzia buttarsi nel vuoto. Si guarda attorno, poi osserva il basso e vede Louis già sullo scoglio che lo osserva, lo incita a buttarsi. Harry si morde il labbro perché ha paura: e se la polvere di fata ha perso il suo effetto? Se si butta e si flagella su uno scoglio?
Tanto è solo un sogno continua a ripetersi, ma anche nei sogni si ha paura. Sospira, si passa una mano tra i capelli e maledice Louis perché non doveva lasciarlo da solo.
Prende un respiro profondo prima allungare un piede verso il precipizio e saltare.
Il cuore gli sale in gola, ha gli occhi chiusi e dalle sue labbra non esce un singolo suono. È come se fosse bloccato, come quando, a 14 anni, è salito per la prima volta su una montagna russa. Aveva avuto talmente tanta paura che giurò non ci sarebbe mai più salito. Solo che lì non si trova su una montagna russa, non si trova seduto su un macchinario sicuro e saldo, dove il rischio di farsi male è dell’1%.
E realizza solo in quel momento che non sta volando, ma precipitando.
Muove con frenesia le braccia, le rocce sotto di lui si fanno sempre più vicine.
Perché non si sveglia? Perché continua a cadere e perché lo ha fatto? Doveva rimanersene lassù, adesso morirà, morirà!
Chiude gli occhi, pensa a sua madre, a sua nonna, persino a Nick. Aspetta il colpo con un’attesa agognante, è pronto, adesso si schianterà, è questione di secondi.
All’improvviso, qualcuno lo afferra, riportandolo in alto. Ha il cuore che gli va a mille, gli occhi pieni di lacrime perché stava per morire, stava per morire per colpa di Louis che, adesso, lo ha appena salvato.
Quando apre gli occhi, si ritrova davanti al suo viso, quegli occhi azzurri che sembrano quasi divertiti quando «Ricorda, per volare devi pensare a cose belle» gli dice, per poi scuotere la testa e adagiarlo su uno scoglio.
Harry si aggrappa ad esso, è ancora scosso da ciò che è appena successo e non è sicuro di voler vedere il volo che ha fatto. Quanti metri saranno? 30? 50? Forse anche 80…
«Ti sei fatto male, dolcezza?»
«Hai fatto un volo…»
«Quanto sei tenero, non piangere, non è successo nulla.»
Si volta, curioso di vedere da dove provengono quelle voci. Strabuzza gli occhi nel vedere quelle che a tutti gli effetti sembrano proprio sirene. Indietreggia appena di riflesso, per poco non cade dentro l’acqua, la quale scorre docile sotto di lui. Non si era nemmeno accorto di essere nel bel mezzo del mare.
Una graziosa ragazza dai capelli rossi e lunghissimi si avvicina a lui, si sporge in avanti e poggia i gomiti sullo scoglio, così da poterlo osservare meglio.
«Ciao bellezza» dice, inclinando appena la testa e sorridendogli, facendo ondulare quei capelli incredibilmente asciutti, nonostante poco fa fossero stati a contatto con l’acqua.
Harry boccheggia, osserva Louis che intanto, divertito, fluttua nell’aria con le gambe incrociate, godendosi la scena.
«Come ti chiami? Io sono Halsey» sussurra, accarezzandogli poi la mano che è ancora ancorata allo scoglio.
«Io sono Taylor» dice un’altra, mettendosi di fianco ad Halsey con quei capelli biondissimi e una conchiglia fungente da molletta. Ha le labbra rossissime e gli occhi azzurri, i quali sono molto diversi da quelli di Louis che ora si trova di fianco a lui.
«Signorine, lui si chiama Harry» lo presenta, incrociandosi le braccia al petto e poggiandogli una mano sui capelli, scuotendoli appena.
Harry mugola contrario, ma non riesce a cacciarlo via.
«Era ora che ti decidessi a portare qualche ragazzo, Louis» dice una terza sirena, che adesso si trova dietro di loro. Ha i capelli neri, gli occhi scuri e la pelle bianca quanto una perla. Muove la coda su e giù e Harry può benissimo notare che è di un colore rosa quasi fucsia. Percepisce Louis alzare gli occhi al cielo prima di «Piacere Harry, sono Kylie» dire quasi in un sussurro.
Harry sorride a tutte e tre le sirene, in ogni caso non pronuncia alcuna parola. Anche perché queste non sembrano intenzionate a volerlo ascoltare. Sono troppo occupate a toccargli i capelli e le braccia, le quali, una volta tirate su le maniche, scoprono diversi tatuaggi che tutti e quattro –perfino Louis- sembrano amare.
«Questa è una sirena!» esclama Taylor, sfiorandogli quel tatuaggio che si trova proprio all’altezza del braccio.
Harry annuisce, lo fissa per un po’ anche se gli sguardi delle tre presenti lo fanno sentire leggermente a disagio.
«Sono io, vero? Ha i capelli neri come i miei» dice Kylie, sembra orgogliosa di questa cosa e snobba le sue amiche con un movimento di testa che fa sorridere Harry.
Halsey e Taylor non sembrano contente di questo perchè «No, non è vero!» esclamano all’unisono.
«Visto? Ha i miei stessi occhi» dice Taylor, sbattendo le ciglia difronte a Harry, il quale indietreggia di scatto così da trovarsi tra le braccia di Halsey che «No, ha la mia coda, vedete? Sono chiaramente io» pronuncia autoritaria, stringendoselo contro.
«Ragazze, lasciatelo stare» dice Louis, e Harry lo sente parecchio scocciato, quasi geloso delle attenzioni che quelle tre gli stanno prestando.
Kylie prende Harry per mano poi, indietreggia sempre di più così da finire nuovamente in acqua. «Vieni giù con me, dai» gli sussurra, e quegli occhi castani lo stregano, impedendogli così di ragionare.
Sussurra un leggero «Non credo sia una buona idea» che però non sente nemmeno lui. Segue quel viso fin sotto la superficie dell’acqua, fa per immergersi ma non fa in tempo a toccare quel mare che Louis lo afferra dalle spalle, portandolo nuovamente seduto su quello scoglio.
«Ora basta, andate via!» esclama, cacciandole tutte e tre, le quali si rituffano in mare con un broncio sul viso.
Harry sbatte velocemente le palpebre prima di realizzare ciò che è successo: quella sirena lo aveva stregato, e se fosse andato sott’acqua probabilmente sarebbe affogato. Quindi, Louis gli ha salvato la vita, per la seconda volta in un giorno.
Lo osserva mentre questo cerca di sollevarlo in piedi e «Quelle tre sanno essere parecchio ostinate» pronuncia, ancora una smorfia sul viso e le sopracciglia corrugate, quasi come se fosse scocciato dal pensiero che Kylie abbia anche solo provato a portargli via Harry.
Questa teoria lo fa sorridere.
«Grazie» sussurra prima che Louis lo prenda per mano.
Questo gli sorride, inclina piano la testa di lato e «Per cosa?»
«Per avermi salvato la vita» spiega, lanciando poi uno sguardo al precipizio. «Due volte» aggiunge, lasciandosi scappare una risata.
Louis alza gli occhi al cielo per poi alzarsi in volo, e Harry riesce a seguirlo perché nella sua mente ci sono solo pensieri positivi.
«Una cosa da niente» spiega, per poi dirigersi verso l’uscita di quella laguna.
Harry scuote la testa perché no, non è affatto una cosa da niente, ma questo Louis non può davvero capirlo. Rimane a bocca aperta quando, davanti a loro, si presenta una nave pirata, quella di Capitan Hook.
Blocca Louis allora, si nasconde dietro lo scoglio perché, anche se prima lo ha incluso nella sua famiglia, ha sempre avuto una paura matta di quell’uomo con un uncino al posto della mano.
«Perché ti sei fermato?» gli domanda Louis, curioso.
Harry si schiarisce la gola, osserva ancora una volta la nave. «Capitan Hook non è il cattivo della storia, vero? Insomma, prima lo hai definito tuo padre…»
«Già, non è lui il cattivo» spiega Louis, sorridendogli.
«E chi è allora?» domanda Harry, correndo –volando- dietro a Louis quando questo ha rispiccato il volo.
Quest’ultimo fa spallucce, prende Harry per mano quando questo gliela porge e «Perché deve per forza esserci un cattivo?» domanda confuso, avvicinandosi sempre di più alla nave.
«Perché altrimenti non è una vera favola» sussurra il riccio, al che Louis si ferma.
Arriccia le labbra nel guardarlo, è come se stesse pensando a quello che può dire, come se Harry lo avesse lasciato davvero senza parole. Fa per parlare, lo sta facendo quando qualcosa glielo impedisce.
Harry si volta, non capendo perché Louis si è bloccato. Rabbrividisce quando vede i bimbi sperduti, armati di armi, che sembrano intenzionati ad attaccare.
Ad attaccare Harry.
Questo vola dietro a Louis, il quale indietreggia di riflesso quando questi avanzano verso di loro.
«Che diavolo state facendo?!» domanda loro, il tono di voce arrabbiato e furioso come mai era stato prima.
I bambini non sembrano essere scalfiti da questo atteggiamento, anzi impugnano ancor meglio le armi e «Stiamo cercando di proteggerti, Louis» spiegano, gli occhi che saettano fuoco verso di Harry, come se avesse ucciso qualcuno.
«Da chi? Da Harry? Chi vi ha detto questo?» domanda, la voce infastidita e contrariata.
Zayn abbassa le armi, si gratta malamente la cute e «Capitan Hook dice che Harry potrebbe essere un pericolo per te» spiega, abbassando lo sguardo.
«Perché non crede nelle fate» aggiunge Niall immediatamente, raggiungendo Zayn con un balzo.
Louis inarca un sopracciglio, Harry lo sente ridere appena, come se quelle fossero solo fesserie. Scuote la testa, fa cenno con una mano di abbassare le armi e i bimbi sperduti acconsentono.
«Harry non è un pericolo perché non crede nelle fate, e poi sono sicuro che adesso la sua fiducia sia aumentata, non è vero Harry?» gli chiede, sorridendogli e guardandolo negli occhi, al che il ragazzo annuisce deciso, anche se non ne è propriamente certo.
Diciamo che ci crede perché si trova in un sogno, perché sono frutto della sua immaginazione. Ma nella realtà, nella vita vera, lui crede nelle fate? La risposta a questa domanda non la sa nemmeno lui.
«Visto?» dice Louis ai bimbi sperduti, per poi alzarsi in volo così da lasciar scoperto Harry. «Adesso dovete chiedergli scusa» li incita con le braccia incrociate al petto, e i bimbi buttano le armi a terra, abbassano lo sguardo e «Scusaci, Harry» dicono in coro, tremendamente dispiaciuti.
«Non importa» dice allora, sorridendo loro con fare amichevole.
Louis sorride poi e «Quel vecchio pazzo di Hook dovrebbe smetterla di mettervi in testa simili sciocchezze!» esclama, prendendo poi Harry per mano così da incitarlo nuovamente a volare.
«Dice che Falco Nero ti sta cercando, Louis» lo informa allora Liam, lo sguardo sottile e penetrante, repentino, come se il suddetto potesse sbucare fuori da un momento all’altro, traendoli in una trappola organizzata sopra la loro contro Harry.
Louis non sembra minimamente preoccupato riguardo a questo, è come se non gli importasse. Quindi fa spallucce, si volta verso di Harry e gli sorride, come a intimargli di non dar peso a quelle parole perché sono tutte fesserie.
Harry non è sicuro tanto quanto lui, ciò nonostante decide di assecondarlo, e quando Louis spicca il volo dirigendosi verso la nave pirata, non si oppone e lo segue in silenzio, lasciandosi i bambini sperduti, che intanto si guardano confusi, alle spalle.
 
***
 
Le rocce gli permettono a malapena di capire cosa sta succedendo. Vorrebbe sporgersi più in avanti, ma non può farlo perché anche se sembra mezzo matto, Capitan Hook, ha una gran bella vista, e sicuramente Peter Pan riuscirebbe a raggiungerli prima che possano dire Augh. Quindi sì, rimanere nascosti dietro alle rocce è la soluzione migliore.
Aquila Selvaggia gli si avvicina gattonando, si asciuga la fronte impelagata di sudore perché sono giorni che sono alla caccia di Peter Pan, e adesso hanno anche capito perché non lo trovavano.
«Chi è il riccio?» domanda Aquila Selvaggia portando così Falco Nero ad osservare con più attenzione la nave.
Tutta la tribù, dietro di lui, comincia a bisbigliare possibili risposte soddisfacenti a quella domanda, ma forse lui è l’unico a saperlo con certezza.
«Sarà l’ennesimo umano che si è portato dietro dalla Terra» spiega, arricciando le labbra.
Osserva come il ragazzo si guardi attorno spaesato e confuso, a come sia riluttante quando Louis lo presenta a Hook e questo gli porge la mano, aspettando che la stringa. Lo fa, con fatica, ma lo fa. Louis sorride, sorride più del solito e questo può significare solo una cosa.
«Quanto è grave?» chiede un indiano tra la tribù, non riesce bene ad identificare chi è perché è troppo concentrato nella scena.
I suoi occhi vispi vengono attratti dal gruppetto dei bimbi sperduti che si fa strada nella foresta per tornare a casa. Perché non sono con Louis? Perché sembrano abbattuti e demoralizzati?
«Molto grave» risponde Falco Nero, grattandosi malamente il capo. Questi enormi cappelli, anche se non sembra, pizzicano da morire. «Forse però può giocare a nostro favore» sussurra, notando come la conversazione tra i tre sulla nave stia piano piano degenerando.
L’umano se ne sta in silenzio, si guarda i piedi con fare evasivo, come se desiderasse trovarsi in qualunque posto tranne che su quella nave. Capitan Hook sta parlando con Louis, agita la mano e sembra alterato quando Louis batte i piedi per terra e scuote la testa indignato. Qualcosa detto dal suo padrino gli ha fatto perdere il sorriso e Falco Nero sorride compiaciuto.
«Seguitemi» dice poco dopo, cambiando posizione così da essere in grado di capire meglio cosa stanno dicendo. Arrivati in un punto piuttosto vicino, sfila il cannocchiale dalla cintura e se lo porta agli occhi. Hook adesso è seduto, ha una mano che si massaggia il ponte del naso, come se le spiegazioni di Louis lo stessero disturbando. L’umano sembra essere sparito, come se si fosse materializzato nel nulla. Louis invece continua a blaterale, a scuotere spasmodicamente le braccia. Sembra parecchio arrabbiato.
«Chi di voi è in grado di leggere il labiale?» domanda al suo gruppo.
Nessuno sembra reagire, ad un certo punto però Sequoia, l’unica donna che fa parte dell’esercito della loro tribù, si fa avanti tra la folla e «Posso?» chiede a Falco Nero, per poi aspettare che questo gli consegni il cannocchiale.
Il capo è leggermente stupito che proprio Sequoia si sia fatto avanti, ciò nonostante il desiderio ardente di fare fuori Peter Pan e i suoi inutili amici lo spinge ad andare oltre ogni pregiudizio. Porge lo strumento alla ragazza e si fa da parte, incrociandosi le braccia al petto e aspettando qualche secondo.
Sembra che Louis stia parlando, solo che è di spalle e quindi è impossibile capire cosa sta dicendo.
Hook gli risponde, da come Sequoia si è fatta avanti, sembra quasi che stia capendo ciò che sta dicendo.
«Cosa dice?» domanda Falco Nero, mettendosi vicino alla ragazza.
Questa aspetta qualche secondo prima di allontanarsi il cannocchiale dagli occhi e «Peter Pan dice a Capitan Hook che sa benissimo quello che sta facendo» sussurra, per poi tornare ad osservare la scena la scena. Falco Nero arcua le sopracciglia, sta per dire che cosa intendesse dire Louis, ma Sequoia lo batte sul tempo. «Capitan Hook gli ha appena detto che Harreh non crede nelle fate, quindi sono in pericolo.»
«Harreh?» domanda Falco Nero.
La donna annuisce. «L’umano… Credo sia Harry, ma non ne sono certa. Non ho mai sentito questo nome.»
«Per forza, è terrestre!» esclama Aquila Selvaggia, portandosi una mano tra i capelli.
Falco Nero arriccia le labbra,ed è proprio quando sta per dire che non pensa gli possa tornare molto utile che Sequoia capta l’ennesima frase.
«Capitan Hook dice che questo Harry crede che sia tutto un sogno» sussurra quasi, come se nemmeno lei fosse così sicura che tutte quelle parole siano vere. «E Peter è appena volato via, arrabbiato» conclude, ridando poi il cannocchiale a Falco Nero.
«Grazie Sequoia» le sorride, al che la donna saltella di nuovo tutta contenta alla sua postazione.
È quando rimette il cannocchiale al suo posto che i suoi occhi saettano sulla figura di quell’Harry che ora passeggia spaesato in quella foresta, con la speranza di tornare alla casa nell’albero.
Quindi non crede nelle fate? Pensa di essere in un sogno? Forse si sbagliava, forse può tornare loro molto utile. E da come Louis è volato via indignato, via da Capitan Hook, al quale è più legato, può significare solo una cosa: per questo Harry potrebbe fare molto.
Quindi, senza aspettare oltre, richiama la truppa in cerchio così da poter raccontare a tutti il suo piano. Pochi istanti dopo, Harry si trova all’interno di un grande sacco color terra, diretto verso la tribù degli indiani.
Falco Nero pagherebbe oro per poter vedere l’espressione di Louis quando, una volta a casa, scoprirà che il suo nuovo amichetto è stato appena rapito.
 
***
 
Appena apre gli occhi sente un dolore lancinante alla testa che lo spinge a richiuderli di scatto. Vorrebbe sbagliarsi, ma quella non gli sembra la casa nell’albero, né tanto meno camera sua. Quindi si trova ancora nel sogno. Forse è nel sogno del sogno. Dovrebbe smetterla di guardare certi film, davvero.
È per terra perché gli fa male il fondoschiena, e sente un tantino freddo nonostante la temperatura fuori sia piuttosto alta. Il vento fa spostare ogni tanto le tende che gli coprono la visuale del paesaggio fuori stante, e così può vedere chiaramente un grande falò acceso, fonte del calore che sente.
Dove si trova? Perché è dentro quella tenda?
Fa per alzarsi, ma solo in quel momento si accorge di essere arpionato ad un palo. I polsi sono stretti in una cordicella e questo gli impedisce di muoversi.
Facendo due più due, capisce di essere nell’accampamento degli indiani. Perché l’hanno rapito? Che cosa ha fatto?
Si dimena, cerca di allentare il nodo ma niente, non ce la fa. E poi, dove diavolo è Louis?
Sta per gridare aiuto quando una figura possente fa irruzione nella tenda. Ha le grandi braccia incrociate, un cappello rivestito da piume sulla testa, una lunga tunica bianca sul corpo possente e massiccio. Fa quasi paura.
«Perché mi avete preso?» domanda di getto, senza neanche aspettare che il grande capo degli indiani faccia la sua mossa.
Questo si lascia prendere da una piccola risata, lo osserva senza paura e timore, come un cacciatore stolto osserverebbe un leone in gabbia: è a conoscenza della sua potenza e forza, ciò nonostante sa che al momento gli è impossibile reagire, perciò si prende gioco di lui.
«Per fare la tua conoscenza, Louis ti ha portato ovunque su quest’isola tranne che da noi» spiega l’indiano, e Harry pensa finalmente di realizzare che ha ragione. Perché Louis non l’ha portato in questo posto? Perché non gli ha mostrato l’accampamento, non gli ha permesso di danzare attorno al fuoco o di fumare una di quelle grandi pipe che tanto sognava di fumare da bambino?
Si morde il labbro, non sapendo cosa dire. L’uomo deve aver notato la sua riluttanza poiché comincia a girargli intorno, lo sguardo divertito rivolto verso i suoi piedi nudi che camminano su quel terreno fertile.
«Come ti chiami, ragazzo?» gli domanda allora, il tono amichevole, un demone tentatore.
«Harry» risponde allora, non potendo evitarlo. L’uomo è fin troppo amichevole per poter essere scontrosi.
«Hai davvero un bel nome» ribatte il capo della tribù, piazzandosi così davanti a lui.
Harry si morde l’interno guancia, fa il possibile per allontanarsi da quel viso, spalmandosi così su quel palo di legno. «A me non piace, è troppo banale.»
L’uomo sembra rattristirsi a quella risposta, al che si allontana appena come se Harry fosse affetto da una malattia senza cura e nessuno potesse fare niente per aiutarlo.
«Dov’è Louis?» decide di chiedere, sperando che l’indiano gli risponda. Non riceve risposte da fin troppo tempo.
L’uomo si volta, come rinvigorito, e comincia a massaggiarsi il mento, comincia a pensare. «Tu non lo sai? Speravo di sì visto che volevo invitarlo alla nostra festa, questa sera» spiega, voltandosi nuovamente verso di lui.
Harry sente puzza di bruciato, non gli piace per niente questa situazione. «Per questo mi hai rapito? Per una festa?»
«Non ti ho rapito, Harry» puntualizza il capo tribù. «Ti ho semplicemente portato in casa mia.»
«E allora perché sono legato a questo palo?»
«Qui si usa così» ribatte velocemente, stavolta un po’ più infastidito e nervoso di prima.
Il ragazzo si zittisce, abbassando lo sguardo. Certo, se gli indiani rapissero gli ospiti per farli partecipare ad una festa, sicuramente lui lo saprebbe.
«Quindi, dov’è Louis? Scommetto che se lui fosse qui ti sentiresti più a tuo agio» sussurra subdolo, e Harry rabbrividisce.
«Non ho idea di dove sia, mi dispiace» spiega facendo spallucce, e in realtà è davvero così. Può essere ovunque, è Peter Pan dopotutto…
«Beh, di solito dove si trova? Nella nave di Capitan Hook? Nel covo delle sirene? Dove?» chiede nuovamente, il labbro rosso quasi a sfiorare l’orecchio di Harry, il quale indietreggia di scatto.
«Non lo so! Ti sembro sua madre? Non lo so!» risponde alterato, sbuffando inviperito perché, davvero, il tutto comincia a innervosirlo.
Il capo degli indiani gli sorride appena, si volta poi, sembra quasi sia pronto ad andarsene, a lasciarlo di nuovo solo. Poi però si volta di scatto, lo prende per le spalle e la sua forza è talmente tanta da sollevarlo da terra. Harry geme di dolore perché la schiena gli fa male e quelle dita lo stanno stringendo troppo forte.
«Ho un patto da proporti, Harry» comincia, la voce viscida e insidiosa. Reprime un singhiozzo. «Dimmi dove può trovarsi Peter Pan e ti riporterò a casa sulla terra, sano e salvo
Harry si morde il labbro leggermente impaurito da quella reazione, poi però realizza ciò che l’indiano gli ha proposto e «Mi stai chiedendo di venderti Louis per la libertà?» gli domanda, impedendo alla sua voce di tremare.
Il capo allenta appena la presa, si allontana di poco senza comunque lasciarlo andare. «Queste parole non sono mai uscite dalla mia bocca» gli fa capire, quegli occhi castani che lo stanno issando al pavimento, che lo stanno portando sottoterra.
Si morde il labbro con forza fino a sentirlo sanguinare. «Perché dovrei farlo? Cosa volete da lui?» chiede allora, un verso di disappunto fuoriesce dalle labbra dell’indiano, d’altronde l’ha sempre saputo di essere un ragazzo testardo.
«Io e Louis siamo amici, non ho intenzione di storcergli un capello» spiega, la voce di chi la sa lunga e chi pensa di averla fatta sotto al naso di Harry.
Quest’ultimo però si lascia prendere da una risata divertita e «Questa frase l’ho già sentita» spiega, e il capo degli indiani al sentire questo comincia ad allontanarsi. «Cosa hai intenzione di fare? Visto che hai dato la tua parola gli spedirai un regalo che in realtà è una bomba?» continua, ricordandosi alla perfezione quella parte della storia. Di come Capitan Hook avesse promesso a Trilli che non avrebbe storto un capello a Peter Pan e, per questo, non fu lui a farlo ma una bomba-regalo che inserì nella sua tana.
«Non so di cosa stai parlando» gli spiega il capo degli indiani, portandosi le mani dietro la schiena.
«Non ti dirò dove si trova Louis, anche se tutto questo è un sogno, non farò mai la spia» sibila convinto e sicuro di sé.
L’indiano annuisce come rassegnato e si china appena verso di lui. «Okay, forse allora è il caso che ti liberi» e anche se Harry non capisce perché lo stia facendo, di certo non si oppone. Forse l’ha scampata bella, forse è salvo.
Nel momento esatto in cui Falco Nero si china verso di lui, una freccia lo punge nel fianco e Harry non fa in tempo ad evitare che lo colpisca poiché lo nota troppo tardi.
«Fai sogni d’oro, piccolo Harry, e non sperare troppo che Peter Pan venga a salvarti» gli sussurra all’orecchio quando ormai Harry è caduto in un sonno profondo.
 
***
 
Zayn è la prima volta che vede Louis disperato. Il bambino che non vuole crescere non ha più un sorriso sulle labbra, le sue gote non sono di un rosa pastello e la sua voce non è spensierata e felice come di solito è. Louis è spaventato, Louis è ansioso, Louis è triste. Harry è sparito da più di dodici ore poiché, una volta tornati alla casetta sull’albero, la trovarono disabitata e priva di ricci e occhi verdi.
Non sanno cosa fare, Louis sta girando in tondo da almeno un paio d’ore, sempre se nell’isola che non c’è esista la condizione di tempo. Lui sa chi l’ha preso, sa cos’è successo a Harry. L’unica cosa che non sa è come salvarlo.
I bimbi sperduti stanno affilando le loro armi, indossano i loro vestiti migliori e si armeggiano di bastoni e fionde, pronti ad una rivolta contro la tribù di Falco Nero. Capitan Hook consulta qualche libro nella speranza di trovare una qualche ricetta per mettere k.o. il capo degli indiani. Sbuffa quando capisce che non esiste assolutamente niente di tutto questo, perché tecnicamente non è lui quello malvagio.
«Possiamo rapire Harry di nascosto, sono sicuro che si trova nella sua tenda» commenta Liam per poi scrocchiarsi le dita delle mani.
Niall rabbrividisce perché è sicuro che il suo amico sarebbe in grado di stendere chiunque con quelle mani, e non vorrebbe di certo trovarsi nei panni di Falco Nero. Sta per ribattere qualcosa, giusto per rendersi partecipe perché anche lui vuole salvare Harry, ma Capitan Hook lo batte sul tempo.
«Potrebbe trovarsi in un qualche nascondiglio segreto, conoscendo Falco Nero sono sicuro che non si limiterà a tenerlo nascosto nella sua tenda. Forse lo sta già processando.»
«Non dirlo neanche!» gli urla contro Louis, scattando in aria. «Harry è vivo, non è lui che vuole» spiega per poi dirigersi verso la finestra. Il paesaggio fuori stante gli mostra l’intera isola, la quale sembra più cupa e triste che mai a causa della tensione creatasi tra i suoi abitanti. È come se anche quest’ultima ne risentisse, è come se anche questa soffrisse almeno tanto quanto Louis in questo momento. «Falco Nero vuole me» aggiunge poi, voltandosi e sfilandosi il cappello. Louis può anche essere un bambino, ma di certo non è stupido. Sa che l’indiano ha rapito Harry perché solo così avrebbe avuto Louis, solo così avrebbe ottenuto ciò che davvero vuole.
Vuole che Peter Pan sposi Giglio Tigrato.
«Non vorrai arrenderti spero» biascica Capitan Hook, alzando le orecchie all’attenti nel momento esatto in cui Louis si dirige fuori dalla tana in cui sono nascosti.
Questo non gli presta la minima attenzione. Tutto quello che fa è alzarsi in volo, prendere un respiro profondo e volare verso la tribù degli indiani, con l’intento di consegnarsi agli indiani.
«Louis!» gli urla dietro Capitan Hook, ma questo ormai è troppo lontano per poterlo sentire.
I bimbi sperduti raggiungono il pirata fuori dalla casa, i visi affannati e corrugati perché non possono credere nel fatto che Peter Pan si sia davvero arreso. Perché l’ha fatto? Perché non ci prova nemmeno, a lottare?
«È finita, vero? Se Louis si sposa con la figlia di Falco Nero…»
«…dimostrerà di essere diventato grande» sibilano i bimbi impauriti.
Capitan Hook scuote la testa e si massaggia il ponte del naso prima di voltarsi e «No, non è quello che succederà» spiega, accerchiandoli tutti quanti in modo da poter sussurrare ad ognuno di loro ciò che ha in mente. «Non succederà perché io ho un piano.»
 
***
 
C’è molto vento, Harry può chiaramente sentirlo tra i capelli. Glieli sta arruffando tutti, più di come di solito sono. Ed è freddo, questo vento, come se si trovasse in cima ad una montagna dove l’aria è più gelida. Ma lui non si trova in cima ad una montagna, è quasi certo di questa sua convinzione.
Ha gli occhi chiusi, non ricorda cosa è successo e dove si trova. C’è puzza di fuoco, ma lo sente distante. Un uccello gli svolazza vicino, e questa volta è impossibile non svegliarsi.
Davanti a lui, un precipizio. Sgrana gli occhi, incredulo di trovarsi in quel punto che, se non ricorda male, dev’essere proprio il burrone che precede la tana delle sirene, la stessa dove lui, neanche qualche giorno prima, stava per perdere la vita se non fosse per Louis.
Louis
.
È per lui che si trova in quella situazione. Perché non vuole rivelare dove si trova. Non che lo sappia, ovviamente, ma questo Falco Nero non è tenuto a saperlo.
Le mani sono legate dietro ad un palo conficcato nel terreno, non riesce a liberarsi nonostante continui a dimenarsi. Sente delle voci provenire dalle sue spalle, non riesce molto a capire cosa stanno dicendo dal momento che parlano la lingua indiana. Riesce però a distinguere la voce di Falco Nero, il quale dietro di lui comincia a cantare. Non può vederlo, ma può benissimo immaginarselo mentre alza le mani al cielo e invoca chissà quale spirito maligno. Forse sta lanciando una maledizione contro di Harry, forse è arrivata davvero la sua fine.
Ormai è ufficiale, non crede più di trovarsi in un sogno. Crede a tutto questo, crede in Peter Pan che, nonostante l’abbia cacciato in quel guaio, gli ha permesso di ritornare bambino, anche solo per pochi giorni. Crede nelle fate, ora, e crede anche che quell’isola non è solo frutto della sua immaginazione. Quindi, di conseguenza, dietro di lui c’è davvero un indiano pronto ad ucciderlo. Le cose non potrebbero andare peggio.
È risaputo che la scaramanzia è la più sua fedele alleata, poiché nel momento esatto in cui pensa ciò, due grandi uomini fanno due passi verso di lui, bloccandosi poco prima di entrare nella sua visuale. Dall’ombra che emanano sull’erba fresca, Harry riconosce che tra le mani hanno due picconi appuntiti.
«Hai ancora un’occasione per dirci dove si trova Peter Pan» urla quasi Falco Nero, quella voce lo fa rabbrividire.
Si morde l’interno guancia e serra le labbra, impedendosi di lasciar trasparire un suono. Non ha intenzione di aprir bocca, non ha intenzione di fare la spia a quei farabutti. Preferisce la sua morte a quella di Louis.
Falco Nero ridacchia appena, la sua grande ombra, in riflesso sul terreno, è quasi raggelante e tenebrosa. «Va bene, se è questo che vuoi…» e ordina con un cenno del capo a quei due uomini di proseguire.
Harry arcua le sopracciglia. Che hanno intenzione di fare? La risposta non tarda ad arrivare. I due uomini alzano al cielo i picconi per poi infilzarli con potenza nella terra, la quale trema a causa del colpo.
«Uno!» urla la folla dietro di lui, la quale esclama felice.
Un altro colpo, un «Due» che si innalza di nuovo nell’aria, la terra che trema ancora e poi una lieve crepa che gli passa proprio sotto ai piedi.
È questo che vogliono fare? Buttarlo di sotto? Comincia a dimenarsi, cerca di allentare le corde ma non ci riesce, sono troppo strette e troppo spesse. È in trappola.
«Tre!» urla la folla al terzo colpo, e allora qualche sasso di terra rotola giù, frantumandosi contro gli scogli.
Sempre più crepe, sempre meno stabilità, sempre più voglia di piangere. È così che doveva finire, quindi? Legato ad un palo che precipiterà per trenta metri contro gli scogli rocciosi e appuntiti?
Alcune lacrime cominciano a rigargli le guance quando «Quattro!» sente urlare e sempre più crepe si formano sotto di lui.
Serra gli occhi, l’aria è così tranquilla e calma quando i due uomini si preparano per il quinto, nonché ultimo colpo, e allora si permette di fare un ultimo pensiero alla sua vita di prima: a sua madre e al fatto che si sente in colpa per averla trattata così, a Nick, il quale aveva pienamente ragione e che quindi faceva bene ad avercela con Harry. Pensa addirittura a suo padre, l’uomo che lo ha abbandonato, l’uomo che non è più presente per lui. Eppure sa per certo che gli mancherà, perché alla fine è suo padre e anche se non è stato in grado di farlo, gli vuole bene. E infine pensa a nonna Pearl, al suo corpo disteso nel letto di quell’ospedale nel mentre fantastica su Peter Pan e le sue avventure. Avrebbe così tanto voluto dirle che lui ne ha vissuta una, di avventura, e che aveva ragione su di lui: Peter Pan non è solo una favola, non è un’illusione e non è stupido crederci. Avrebbe dovuto darle retta molto prima, adesso non si troverebbe in questa terribile condizione.
I picconi si stanno abbassando, l’aria gli scompiglia i capelli, può già sentire la salsedine sulla pelle. Ci siamo, è finita, anche per Harry Styles è arrivato l’ultimo capitolo del libro della sua vita.
E, nel momento esatto in cui la folla urla «Cinque!», accade qualcosa che in un primo momento Harry non capisce.
Qualcuno atterra proprio dietro di lui, bloccandosi esattamente nel punto in cui avrebbero dovuto colpire e spaccare il terreno.
Il sorriso che traspare sulle labbra di Harry quando realizza il cappellino a punta e la gracile statura di quell’ombra è talmente grande che per poco non gli si spacca la mascella.
«Basta!» urla Louis, mettendosi tra i sue uomini.
Falco Nero si fa avanti, le mani incrociate e un sorriso sghembo sul viso. «Peter Pan, sapevo saresti venuto» sibila, al che l’intera folla ulula sorpresa. Harry invece vorrebbe solo piangere di gioia.
«Harry non c’entra niente, è me che volete, lasciatelo libero» spiega, la voce stanca come se non dormisse da giorni. E’ preoccupato, Louis è preoccupato per Harry. Questa consapevolezza lo fa in qualche modo sentire più leggero.
Falco Nero sembra pensarci su, come se fosse indeciso tra chi tenere tra i due. Poi però deve aver deciso mentalmente chi scegliere, poiché annuisce e ordina ad un uomo di prendere Louis e legargli i polsi dietro la schiena, così da impedirgli di muoversi.
Harry non può crederci, davvero. Louis si è arreso a Falco Nero, ha seriamente gettato la spugna per… salvarlo. Comincia a dimenarsi, non riesce a capire perché lo ha fatto.
«Louis?! Lou!» urla, cercando di voltarsi così da poterlo vedere in faccia.
È una frazione di secondo quella in cui vede il suo viso stanco sorridergli, come se gli dicesse che è tutto okay. E Harry lo capisce che non è così, lo sa perché lui di favole è un intenditore.
Muove i polsi, fa per districarsi quando sente un pezzo di corda strapparsi. Si blocca, non sembra che qualcuno si sia accorto di questo perché sono tutti troppo impegnati ad osservare Peter Pan nelle mani del nemico, indifeso e privo di forze.
Muove ancora i polsi, e allora capisce quello che ha spezzato le corde. È il ciondolo di un braccialetto, lo stesso che nonna Pearl gli ha regalato l’ultima volta che si sono visti. L’ancora che c’è sopra a quanto pare è abbastanza appuntita da spezzare quelle corde. Non si perde d’animo, quindi, e comincia a sfregare la punta contro i nodi, nella speranza che si spezzino alla svelta.
Si mette la lingua tra i denti dalla concentrazione, ed è talmente intento a spezzare le corde che non si accorge neanche di Trilli, la quale adesso si trova davanti a lui. Gli sorride, ed Harry capisce che è felice di potergli stare finalmente vicino. Adesso crede in lei, crede nei suoi poteri e sa che può salvarlo. Gli indica con un cenno della testa il bosco da dove intravede i bimbi sperduti e Capitan Hook. Non fa in tempo a voltarsi verso di lei che questa gli soffia addosso la polvere di fata, la quale lo imbratta completamente.
«Falco Nero, cosa noi fare con umano?» domanda uno dei due uomini con in mano i picconi.
Silenzio, c’è silenzio dietro di lui e sa che hanno tutti lo sguardo puntato su quel palo. Trilli vola via e lui attende con ansia il verdetto finale.
Louis scuote la testa, lo prega con lo sguardo affinché lo lasci libero. «È me che vuoi, lascialo libero, non ti serve» lo supplica nella speranza che Falco Nero ceda.
Questo lancia uno sguardo ad Harry, sembra quasi incenerire quel tronco con lo sguardo.
«Hai ragione, lui non mi serve» sibila, al che Louis capisce ogni cosa.
«No…»
«Eseguite!» esclama, e non fa neanche in tempo a voltarsi che i due picconi perforano completamente il terreno.
Questo si crepa completamente, la leggera sporgenza dove vi era il palo comincia a sgretolarsi fino a spezzarsi. Alla fine non cede, la terra si spezza e il palo cade in avanti, e con sé anche Harry.
«Harry, no!» urla Louis, gli occhi azzurri bagnati dalle lacrime e la rabbia e la tristezza fino alla punta dei capelli.
«Oh non fare sceneggiate, ha avuto quello che si meritava» sibila Falco Nero, per poi aumentare la presa sulle braccia di Louis e spingerlo verso la tenda.
È quando si volta per assecondare Falco Nero, le lacrime agli occhi e la voglia di urlare a soffocarlo, che qualcuno attira la loro attenzione.
«Guardate!» esclama una donna, la quale era presente al processo. Indica verso il basso, verso il precipizio. Louis non vuole guardare, non ha il coraggio di farlo.
«Non è possibile.»
«Ma come-»
La folla comincia a sporgersi verso la laguna delle sirene e rimane incredula nel vedere che Harry non si trova morto sanguinante su uno scoglio, e non si trova nemmeno in acqua galleggiante e privo di vita.
Louis si volta, la guardia che lo tiene legato anche e pure Falco Nero.
«Capo, il ragazzo non c’è!» esclama un servitore.
Falco Nero si stacca da Louis, correndo verso il precipizio così da poterlo vedere con i suoi stessi occhi. Louis lo vede rimanere allibito da quella visione, incredulo perché, ne è sicuro, se Harry fosse precipitato in quella laguna, sicuramente si sarebbe visto il suo corpo. Invece il mare non avrebbe potuto essere più calmo.
Louis alza la testa al cielo e rimane a bocca aperta nel vedere Harry, in cima ad un albero con Trilli appoggiata alle spalle. Il riccio gli sorride e gli fa cenno con la mano di agire. È in quel momento che si rende conto che tutti sono troppo impegnati ad osservare la laguna per badare a lui.
Piano piano quindi asserra un pugno alle stomaco della guardia, la quale rimane colpita senza neanche aspettarselo. Una volta libero, qualcuno se ne accorge e «Peter Pan è riuscito a scappare!» urla, così da attirare l’attenzione di Falco Nero, il quale si arzilla per ritornare al suo obbiettivo principale. Solo che adesso è troppo tardi, perché Peter Pan è libero.
Nel momento esatto in cui cercano di acchiapparlo, questo si alza in volo così che le due guardie si scontrino tra di loro. Comincia a svolazzare nell’aria, la risata ancora in bocca nel sapere che Harry, nascosto dietro a quell’albero, lo sta osservando vivo e vegeto.
«Ma che-» esclama Falco Nero, osservando allibito quello che ormai è un suo ex prigioniero.
«Pensavi di potermi sconfiggere, vero? Che povero illuso che sei, Falco» cantilena Louis per poi adagiarsi sulla cima della tenda dove sarebbero dovuti entrare.
Gli uomini di Falco Nero tirano fuori le armi allora, e cominciano a puntarle su Louis. Qualcuno spara anche, ma lui riesce a mancare i colpi con la sua agilità.
«Non è ancora detto che sei tu il vincente» sibila il capo degli indiani prima di ordinare il fuoco ai suoi servitori.
È allora che dalla foresta fuoriescono Capitan Hook e i bimbi sperduti, i quali stavano aspettando proprio il momento giusto per attaccare e dare il via alla guerra.
Le truppe degli indiani si battono così contro i pirati di capitan Hook e i bimbi sperduti, i quali sembrano desistere agli attacchi.
Louis atterra sul terreno così da scontrarsi contro Falco Nero, suo acerrimo nemico. È a lui che spetta di batterlo, è lui che deve farlo fuori.
Falco Nero gli sorride, tira fuori la sciabola la quale è lunga tanto quanto la sua altezza. Louis fa lo stesso, ma, come da copione, il suo non è altro che un coltellino svizzero lungo quanto un pollice.
L’indiano scoppia in una fragorosa risata e «Non impari mai?» domanda, cominciando a muoversi con agilità, a dispetto della sua stazza, così da colpire Louis.
Quest’ultimo schiva tutti i colpi e alcuni li respinge con il suo coltellino. «Da chi dovrei imparare esattamente? Da te?» gli risponde, per poi chinarsi e mancare un colpo.
Falco Nero si fa più avanti, lancia un colpo di sciabola ma Louis fa un salto, schivandolo in pieno.
«Sì, perché se avessi accettato il matrimonio con Giglio Tigrato adesso non saremmo qui» sussurra, mancando poi un colpo che Louis gli lancia.
Quest’ultimo alza gli occhi al cielo, colpisce la spada dell’indiano con un colpo talmente secco che per poco non si spezza a metà.
«Quella del matrimonio è una assurdità, pure Giglio Tigrato lo pensa» sibila, continuando a lottare. Nota con la coda nell’occhio che anche Harry è sceso alle armi ora, e si batte contro quello che deve essere un generale indiato, il quale però sta per fare una brutta fine.
Fa giusto in tempo a riacquistare l’attenzione così da abbassarsi ed evitare il colpo che Falco Nero gli stava lanciando.
«No, Louis, tu hai solo paura di crescere» sibila, per poi dare un colpo secco alla spada di Louis la quale pare cominci a cedere.
«Non ho paura» ribatte Louis, la potenza di Falco Nero addosso mentre la sua forza lo spinge ad indietreggiare sempre di più verso il burrone, ma loro sono troppo concentrati per accorgersene.
«Sì invece. Sei un bambino, alla fine, un bambino che non diventerà mai un uomo. Quello che non sai Louis è che prima o poi tutti cresciamo,che ci piaccia oppure no» sibila Falco Nero, il fiato sul collo di Louis, il quale piano piano sta cedendo.
«Sai, è proprio per questo che non voglio diventare un adulto come voi» ammette Louis continuando ad indietreggiare.
Falco Nero ha un ghigno sul viso perché capisce che il ragazzo sta per cedere. Fa qualche passo ancora, non aspetta altro che la sua spada ceda così da poterlo uccidere. Ciò nonostante arcua le sopracciglia, non capendo ciò che Louis ha appena detto.
«Perché?» domanda allora, e in quel momento Louis si allontana da lui, sorridente e vittorioso.
«Voi adulti smettete di credere in ogni cosa, anche nella magia. Ed è questo, ciò che vi uccide» risponde, per poi salutare con un gesto della mano Falco Nero il quale, rendendosi conto troppo tardi di non trovarsi più sulla terra ferma ma nel vuoto, gli lancia uno sguardo sconfitto prima di precipitare nello strapiombo.
I servitori di Falco Nero gettano a terra le armi quando capiscono di essere stati sconfitti, i pirati e i bimbi sperduti invece esultano vittoriosi. Louis sorride nel vedere Falco Nero, nel bel mezzo del mare, il quale viene trascinato giù dalle sirene.
«Grazie ragazze!» urla a quest’ultime, al che Kylie gli sorride per poi rituffarsi in mare, contenta di avere una nuova preda per sé.
Quando riporta lo sguardo sulla terra ferma, i suoi occhi incontrano quelli di Harry, i quali gli sorridono contenti e felici di aver vinto la battaglia.
Fa per andargli incontro, sta per volare verso di lui quando qualcosa lo ferisce all’altezza della pancia. È un dolore acuto, è molto doloroso e perforante. Si porta la mano all’altezza del petto e capisce solo in quel momento di essere stato ferito da una guardia che aveva approfittato di quel momento di distrazione per finire la battaglia.
Louis fa in tempo ad osservare lo sguardo spaventato di Harry prima di perdere i sensi e precipitare anche lui nel vuoto.
Il cuore in gola e l’aria pungente gli impediscono di sentire il dolore al petto, il dolce suono delle onde sembra quasi chiamarlo, spingerlo giù sempre più velocemente. La discesa sembra farsi più lenta ad un certo punto, è come se si fosse abituato a cadere e adesso non sentisse più niente.
Serra gli occhi, si prepara al colpo finale, all’acqua gelida nel sangue e le rocce tra le ossa.
Eppure, qualcosa gli impedisce di toccare quel destino macabro e terribile.
Due grandi braccia lo afferrano appena in tempo e lo sollevano in alto, portandolo al sicuro da quegli scogli e quelle acque pericolose.
È quando Louis apre gli occhi che si accorge che colui che l’ha salvato è proprio Harry, il quale adesso gli sorride e «Adesso siamo pari» gli sussurra, per poi volare verso la nave di Capitan Hook, al sicuro dagli indiani.
Louis è incredulo, non riesce a credere che Harry gli abbia davvero salvato la vita.
«Che c’è?» gli domanda allora questo, non capendo il motivo per cui lo stesse guardando in quel modo.
Louis rimane appena a bocca aperta quando lo adagia sulla terra ferma, finalmente in salvo e vittoriosi.
«Come hai fatto?» gli domanda allora.
Harry gli sorride, si mette le mani in tasca e abbassa lo sguardo, come se si trovasse in imbarazzo davanti a Louis, messo a nudo.
«Ci ho semplicemente creduto» gli risponde, per poi avvicinarsi a lui e lasciargli un veloce bacio sulla guancia. «Grazie, Louis» gli sussurra poi, e Louis non fa nemmeno in tempo a rispondergli perché Capitan Hook, con la schiera di bimbi sperduti e pirati, fanno irruzione nella nave.
«Okay ragazzi, dove siamo diretti?» domanda Hook, mettendosi al timone.
Louis osserva Harry allora, e dal suo sguardo capisce ogni cosa. Sa che adesso crede nelle fate, sa che adesso ha riacquistato la fiducia in lui. Però sa anche che quello non è il suo posto, che anche se vorrebbe che restasse per sempre, non può farlo perché Harry, come tutti i bambini e ragazzi che sono venuti prima di lui, in fondo vuole diventare grande. Una cosa è sicura, però: di Harry non si dimenticherà mai, e da come lo guarda e gli stringe la mano, è sicuro che nemmeno il ragazzo dagli occhi verdi lo farà.
Perciò gli sorride, stringe quelle dita tra le sue. «A Londra, portaci a Londra.»
 
***
 
 
Quando Harry apre gli occhi, c’è qualcosa che gli fa capire che non si trova più nell’Isola Che Non C’è. Sarà il cuscino morbido, il poster dei Rolling Stones appeso alla parete, o semplicemente all’odore che lo circonda, così diverso da quello di tronco e resina caratteristici della casa nell’albero.
Scatta in piedi, e la prima cosa che nota è la finestra aperta. Quindi è stato tutto un sogno? Niente di quello che ha vissuto è reale?
Si osserva il polso e sorride nel vederlo leggermente arrossato e, soprattutto, di vedere ammaccature sul braccialetto dell’ancora di Nonna Pearl. No, non è stato affatto un sogno.
Sorride, scatta fuori dal letto e si precipita giù per le scale, già percependo sua madre intenta a preparare la colazione in cucina.
Probabilmente la donna deve averlo sentito arrivare, poiché nel mentre prepara le uova saltate, «Harry, se non ti vanno le uova c’è dello yogurt nel frig-» pronuncia, ma non riesce a finire la frase poiché il ragazzo le si fionda addosso, abbracciandola. «Wow, come sei caloroso oggi» esclama la donna, ricambiando un po’ insicura la stretta.
Harry scoppia a ridere invece, la stringe fortissimo perché le era mancata terribilmente. «Mi dispiace per ieri sera, mamma. È okay se vuoi andare avanti, solo perché io non sono pronto non significa che anche tu non debba esserlo. Mi dispiace» le dice, per poi lasciarle un bacio sulla guancia. «Ti voglio bene» conclude per poi districarsi dall’abbraccio e correre di nuovo su per le scale, con l’intento di prepararsi.
«Tesoro ma non fai colazione?» esclama la donna nel vedere il figlio così dinamico.
Harry, dopo neanche un paio di minuti, scende di nuovo al piano terra e «Vado a trovare nonna Pearl, torno per pranzo!» esclama, per poi lanciarle un bacio volante e chiudersi la porta alle spalle, diretto all’ospedale.
Anne, anche se non ha ancora capito che cosa sia davvero successo a suo figlio, è felice di questo suo cambiamento, e torna a cucinare le sue uova con il sorriso sulle labbra.
 
L’ospedale è più cupo del solito. Harry comunque non lo nota perché è troppo impaziente di raccontare ciò che ha passato a sua nonna. Si dirige verso la stanza numero 15, neanche bussa prima di entrare, il discorso già partito dalla sua bocca.
«Nonna Pearl, non sai quello che mi è succes-». Purtroppo, qualcosa gli impedisce di continuare a parlare. Più che altro, è un qualcosa che manca. I suoi occhi non riescono a fare a meno di osservare quel letto, rigorosamente vuoto e pulito.
Dov’è sua nonna? Perché non si trova nella stanza? Probabilmente è andata a farsi un bagno, pensa. O forse è uscita a passeggiare. Nonostante sia prestissimo e quindi queste teorie sarebbero da precludere, decide di crederci lo stesso.
Ad un certo punto, qualcuno sullo stipite della porta bussa tre volte, così da attirare la sua attenzione. Harry si volta di scatto, e l’amarezza che assaggia sulla lingua quando scopre che quella non è nonna Pearl ma un’infermiera è indescrivibile.
«Sei un parente di Pearl Cox?» domanda la giovane, al che Harry annuisce.
«Sono suo nipote. Dov’è?»
«Mi dispiace ragazzo, sua nonna è deceduta questa notte. Un medico ha appena finito di parlare con sua madre» confessa per poi dileguarsi, come se dare notizie di questo tipo fosse una cosa da poco conto.
Invece il mondo di Harry ha appena fatto una crepa. Rimane in piedi nel bel mezzo di quella stanza per quelli che paiono secoli, incapace di muoversi e di respirare, di parlare, di piangere.
Comincia a realizzare la sua morte solo quando, aperta la porta di casa, sua madre lo stringe a sé in un abbraccio.
Quella stessa notte, tra le sue coperte, si permette di piangere e sperare che qualcuno lo porti via di lì, che lo porti da sua nonna, d’ovunque si trovi in questo momento. Chiude gli occhi e in un battibaleno la vede nell’Isola Che Non C’è a fianco di Peter Pan combattere chissà quale altra battaglia.
Questo pensiero gli concede di chiudere occhio.
 
***
 
«Andiamo a casa tesoro?»
Harry alza lo sguardo verso sua madre, la quale, vestita di nero, gli sorride amorevolmente, nonostante i suoi occhi stiano lottando per non scoppiare nell’ennesimo pianto di quella mattina. Riporta lo sguardo sulla chiesa, la quale piano piano si sta svuotando, le porte ancora aperte, la bara ancora al suo interno.
«No, voglio andare al cimitero» ribatte, la voce piatta e spenta, perché di piangere ne ha abbastanza e adesso sta facendo il possibile per trattenersi.
La donna annuisce e gli lascia una carezza sulla guancia, prima di dileguarsi e rifugiarsi tra le braccia di Robin, ma Harry non dà troppo peso a questa cosa. Capisce che per sua madre è stato un duro colpo, e che non ce la fa più a mostrarsi forte per lui. È felice che sappia i suoi limiti e che non debba per forza scoppiare per capire che non ne può più. Lui invece vuole dare un addio vero, a sua nonna. Anche se non crede di esserne in grado.
Fa qualche passo verso la chiesa, la maggioranza delle persone si trovano fuori in attesa della marcia verso il cimitero. Harry invece ha la tentazione di entrare in quel luogo di culto, chiudersi le porte alle spalle e rimanere da solo con lei, per l’ultima volta.
Qualcuno ad un tratto gli poggia una mano sulla spalla e, dalla presa ferrea, riconosce subito di chi si tratta. Mentirebbe se dicesse che non si è sentito sollevato nel vedere il volto di Nick al suo fianco, in quel momento. Non riesce a trattenersi quando «Mi dispiace, H» sussurra Nick e lui gli si fionda addosso, bisognoso di un abbraccio. Il ragazzo lo stringe forte, accoglie ogni singola lacrima che Harry gli versa sulla spalla e lo fa perché, anche se hanno litigato, sa che lo ama e sa di amarlo. È questa la cosa più importante.
Tira su con il naso quando si stacca da lui e «Mi dispiace per l’altro giorno…» comincia, ma Nick lo blocca già di principio.
«Ne parliamo in un altro momento, adesso vieni qui» sussurra, e se lo stringe addosso, impartendogli coraggio.
Nel mentre, la bara si sta preparando ad uscire. Tutti lasciano lo spazio sufficiente così da farla passare avanti.
Un singhiozzo lo coglie alla sprovvista quando la vede, quella grande cassa di legno la quale contiene la sua persona preferita.
Tra le braccia di Nick, comincia a seguirla, diretto al cimitero, pronto a seppellirla, pronto a lasciarla andare.
Sente lo sguardo di tutti addosso, ma a lui non importa proprio. Anzi, si sente sopraffatto da un’ondata di forza quando, ad un tratto, intravvede un’ombra familiare proprio accanto alla bara.
Sorride nel pensare che Louis sia lì, per lui, in quel momento.
Pronto a sostenerlo, pronto a supportarlo, pronto a sentirlo.
L’ombra, accanto a lui, non se ne sarebbe mai andata.










The End.
  
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