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Autore: redcherries    01/05/2016    0 recensioni
"La notte ci disse che probabilmente la vita da un momento all'altro avrebbe potuto migliorare inaspettatamente, con la sua oscurità che sembrava oscurare anche i nostri cuori."
Genere: Angst, Poesia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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1st June Asciugai le lacrime, indossai le scarpe, uscii dal mio appartamento e l'aria notturna ed estiva mi travolse. Guardai il cielo alzando per un momento lo sguardo, notando le stelle brillare. Vivevo in una zona buia, ma rassicurante. L'unico difetto erano i rumori assordanti, il weekend si faceva sentire e le strade erano piene di giovani, divertiti, felici. Quella felicità si espandeva ovunque, ma mai da me, nonostante fossi giovane come loro, quell'emozione non riusciva a toccarmi minimamente. Mi metteva addosso un velo di indifferenza, che talvolta mi ritrovavo a detestarla. In giro c'erano persone per strada che gridavano e che non smettevano di dare il benvenuto all'estate. C'erano persone ubriache ovunque, e ciò mi spinse a controllare l'orario. E solo dopo averlo controllato, mi accorsi che non avrei nemmeno dovuto essere fuori, ma non riuscivo più davvero a dormire. L'atmosfera era fitta di allegria, fitta di emozioni, era un misto tra libertà e un modo per lasciarsi un po' andare, forse per dimenticare gli impegni, magari anche i problemi della vita. Ma quello di cui ero assolutamente certa, era la mia anima che stonava con tutta quella vita, quella gente felice. Sembrava essersi fermato il mondo con me, il tempo. Solo con me, sembrava che fossi un altro lato della vita. Non sembrava nemmeno che stessi vivendo. Sembravo solo un punto messo per sbaglio in una frase praticamente incompleta. Sembravo ormai un'anziana, un po' consumata dalla vita, ma io ero fottutamente giovane. Era un periodo che mi faceva facilmente addormentare e che facilmente mi faceva perdere il sonno. Ma continuai ad andare avanti, continuai a camminare lungo le stradine. E non m'importava più quanto potesse essere pericoloso camminare sola di notte, ero convinta che un giorno la mia opinione avrebbe fatto pentire tutti. Maggio si concluse, nei modi più terribili, la testa di certo, non era più di certo la testa. Negatività e odio sembravano espandersi nelle mie povere vene, creando un subbuglio tra me e me. Creando quel casino, che solo una mente avrebbe potuto creare. Fu la prima volta in cui mi svegliai piangendo, quando solitamente, usavo il sonno solo per dimenticare. Ma la dormita che feci fino a qualche ora prima di uscire, mi fece fare degli incubi, incubi inimmaginabili: sognai di morire, tra tutte quelle onde e le persone che odiavo di più. L'errore più grande che feci nell'arco di tutta la mia vita fu essere così egoista da riuscire ad amare solo me stessa, e sognai di morire senza nessuno che mi amasse veramente. Fu il motivo per cui mi svegliai piangendo ed essere così sola non aiutava a rendermi positiva, a convincermi del fatto che io non avessi sbagliato in alcun modo, quando in realtà le persone, mi diedero la certezza che nessuno tra di noi avrebbe mai avuto l'intenzione di fare una mossa giusta. Che razza di umanità poteva mai essere? All'improvviso, durante il mio cammino notturno, notai la rosa che rischiai di calpestare, il lampione non riusciva a mettere in risalto i petali bianchi. Mi innamorai immediatamente della sua bellezza e la raccolsi, sorridendo. Chi avrebbe mai potuto buttare o perdere una bellezza del genere? Sorrisi, pensando a come ne fossi così contenta. Era il mio segreto, quello che avrei tenuto per me stessa invece di raccontarlo. Molti anni prima, arrivavo a trattenere i segreti fino a scoppiare, sia in lacrime sia in parole confuse. Spaventata, tra i singhiozzi, ammettevo sempre quanto fossi inquietata dalla mia famiglia e dal futuro, senza dimenticare il "bellissimo" passato, ma che rimase di fatto, solo passato. E veramente, come tutto passava, io voltavo pagina passando da una via all'altra dei vari posti del mondo. Non era vero quando la gente diceva che la solitudine era la cosa più brutta, perché mi risparmiava la rabbia, il dolore e la tristezza. Ma in quel momento notai che la luce venne coperta dall'ombra di una persona. Alzai lo sguardo, cercando l'ombra. «Di che colore è la rosa?» Chiese, e trovai lo sguardo dell'uomo. Il mio battito accelerò. E non riuscii a rispondere, nonostante volessi, mi sentii molto intimidita. Io non parlavo, sapevo farlo ma non lo facevo spesso. Avevo semplicemente paura che le persone potessero avere un'altra occasione per prendermi in giro, ferirmi. Eppure, senza parlare quasi non si vive, ma io ci riuscivo. I suoi capelli chiari sembravano mossi dal vento, aveva le mani infilate nelle tasche dei suoi blue jeans stretti e indossava una t-shirt bianca che metteva in risalto le sue braccia. Rimasi in piedi per qualche minuto, finché la rosa non scivolò dalla stretta delle mie dita, a causa del mio nervosismo. Era proprio una situazione strana, mi sembrava di vedere rosa, anche il colore della luce del lampione sembrava fosse diventato rosa. La confusione, la sensazione piacevole di sentirsi persi si fece strada nella mia mente, che sembrava esser vuota, ma era piena di pensieri. Mi chiedevo cosa pensasse lui in quel momento. Alzai lo sguardo dalla rosa, che era ai miei piedi, e guardai lui, che lentamente si avvicinava e senza mai smettere di guardarmi, si inginocchiò ai miei piedi per riprendere la rosa. «P-penso... Sia bianca.» Cercai di rispondere, ma le parole uscirono più strane del solito, colmi di nervosismo, colmi di inquietudine. Mi venne voglia di piangere, sembrava quasi che non sapessi più parlare. E mi porse la rosa alzandosi in piedi, più vicino che mai. Mi sembrava tutto più bello, ma ero talmente spaventata che ci misi più di dieci secondi per riprendere la mia rosa. «A me sembra rosa.» Sussurrò guardandomi ancora e ancora. Riguardai il fiore attentamente. «Questo lampione... Mi confonde i pensieri... e i colori.» Ammisi, pensando dopo tanto tempo a voce alta, nonostante la mia lentezza. «Sei ferita.» Disse esaminando la mia espressione. Ormai aveva già cominciato ad esaminarmi, si. La mia mente correva chilometri. Mi accorsi che il palmo era ricoperto di sangue, a causa delle spine della rosa. Mi girai, tornando sui passi che poco prima feci. «Lascia che mi prenda cura di te.» Sobbalzai, pensando che avrebbe potuto essere un altro tentativo per ferirmi. «Perché mai fare qualcosa del genere... Per una... Come me?» Chiesi, sentendo le lacrime formarsi. Un altro gruppo di adolescenti attraversarono la strada, e li sentii prenderci in giro. «Fanculo! Depressi del cazzo!» Risi, pensando a come sarebbe stato essere una di loro. Avevano una tale voglia di vivere, imparagonabile alla mia. La mia voglia di vivere non esisteva nemmeno. «Chiunque meriterebbe medicina, indipendentemente dai propri errori o da quanto siano profonde le ferite.» disse, e il mio cuore non fece altro se non accelerare con la mia mente. Mi girai a guardarlo, e mi assicurai che non fosse ubriaco da dire tali parole. Rimasi comunque turbata, ma ero talmente presa da avvicinarmi silenziosamente. «Andiamo.» disse porgendomi la sua mano. «La mia mano suda... Spesso, non ti dà f-fastidio?» chiesi imbarazzata. «Tranquilla, dammi la tua mano.» rispose sorridendo. Mi turbò il fatto che io abbia cercato subito fiducia in lui, senza nemmeno sapere chi sia lui veramente, senza nemmeno sapere il suo nome. Gli diedi la mia mano e mi guidò lungo la sua strada, senza alcuna idea di dove mi stesse portando. «Dove mi stai portando?» chiesi, ma lui non rispose. Girò l'angolo, e ci fermammo davanti a una porta rossa. Prese le chiavi e aprì la porta. Entrò, ma non lo seguii. «Entra, ti disinfetto il palmo.» disse afferrando la mia mano e trascinandomi dentro. Mi sentii nervosa quando chiuse la porta, si girò e mi guardò. «Cosa c'è?» chiese preoccupato. Con gli occhi abbassati, cercai di non mostrare la mia paura. «Oh... Tranquilla, non sono tanto pericoloso, puoi fidarti di me.» disse sospirando e sollevando con le sue dita il mio mento, per far sì che lo guardassi negli occhi. Lo guardai negli occhi e annuii. "Non sono tanto pericoloso." La sue parole continuarono a ripetersi nella mia mente. «Siediti lì, sul divano. Porto il disinfettante e qualcosa per fasciarti il palmo.» disse per poi andarsene. Non andai a sedermi sul divano, sentendo il terrore crescere. Milioni di domande percorrevano senza sosta la mia mente. "Cosa sarà andato a fare? A prendere il disinfettante veramente? Posso ancora andarmene..." Pensai. Ma non riuscii a muovermi da lì, mi sentii paralizzata, nonostante la voglia di scappare che continuava a crescere. Le lacrime cominciarono a offuscarmi la vista e cominciai a tremare. Sentii dei passi avvicinarsi, i suoi. «Pensavo ti fossi seduta.» disse con voce bassa, quasi triste. Si avvicinò, e le lacrime cominciarono a scendere lungo le mie guance. «Capisco... Vuoi andartene?» chiese spostando una ciocca dei miei capelli. «No.» dissi, sconvolgendo anche me stessa. Corrugò le sopracciglia, confuso. «Quindi cosa c'è?» Abbassai lo sguardo, sospirando. «Ho paura... Di fidarmi delle persone.» sussurrai. «Vieni.» mormorò, prendendo di nuovo la mia mano, camminò verso il divano, lo seguii. Ci sedemmo, e lui appoggiò il disinfettante, dei fasci e un batuffolo di cotone sul tavolino color beige. Mi tolse la rosa dalla mano ferita e la appoggiò lì. L'appartamento era ben arredato, trasmetteva un'aria controllata dall'ordine. Davanti al tavolino di più o meno due metri, c'era una televisione grande appoggiata su un tavolino beige più alto di quello davanti a noi. Diverse finestre erano coperte da tende bianche e un odore di cannella si spandeva dappertutto. Attaccato al muro c'era uno scaffale pieno di libri, antichi e recenti. «Come ti chiami?» chiesi prima che strofinasse sul mio palmo destro con il sangue incrostato il batuffolo di cotone bagnato dal disinfettante. «Blue, tu?» con lo sguardo concentrato, strofinò, ripulendo il sangue. Dopo averlo completamente pulito, cominciò a sanguinare ancora. «City.» risposi. «Di solito danno i nomi alle città.» rise e risi anch'io. «È strano.» dissi sorridendo. Ormai le lacrime erano asciutte, e di loro era rimasto un lieve pizzicore alle guance. «Mi piace molto, sembra anonimo...» sorrise, posizionando un cerotto da dove usciva sangue, e poi lo fasciò attentamente. «Grazie.» dissi a bassa voce per l'imbarazzo, sia per il complimento sia per essersi preso cura della mia mano. «Di niente, City.» ♡♡♡ Ecco qui il primo primo capitolo! Lasciate qualche recensione! Scusatemi per eventuali errori, buona festa e buona domenica! ♡
   
 
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