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Autore: tixit    05/05/2016    1 recensioni
... Non era una decisione da lasciare solo ai Maestri, e nemmeno solo ai Guerrieri: i primi erano troppo abituati alla vita, tanto da darla per scontata e desiderarla sopra ogni cosa - cosa non avrebbero fatto per prolungare di un singolo miserabile minuto una singola miserabile esistenza? Come se la morte non fosse inevitabile... - e i secondi erano troppo abituati al pensiero della propria morte per provare pena per quella altrui.
Poco canon, poco fanon e molto Jotun.
Alcuni elementi vengono dal film, altri dalla mitologia norrena, altri ancora provengono da alcune fanfiction che ho avuto la fortuna di leggere, e altro... proprio no!
Farbauti e Laufey in stile fantanorreno, insomma.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Laufey
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La Bilancia del Caso e del Destino

Farbauti, appoggiato, con la spalla, in obliquo allo stipite della porta in legno blu cupo, osservava, pensoso, la Sala del Consiglio scolpita nel ghiaccio.
Si ravviò i capelli, portando dietro le orecchie le ciocche sfuggite alla sua lunga treccia. I Maestri, di solito, portavano i capelli sciolti, i Guerrieri li rasavano per non offrire appigli alle mani di un avversario durante il combattimento e lui li portava raccolti: era stato parte di una Gilda, aveva cambiato perché poteva essere tutte e due le cose e ne era orgoglioso. Non era l'unico - i vantaggi di una vita lunga.
Aveva cambiato anche per un altro motivo, ma, ora, da cinque anni, la data esatta scolpita nel suo cuore, non sarebbe stato in grado di tornare indietro: la lotta gli dava pace, la usava senza lasciarsene usare. O, almeno, questo era quello che sperava.
Sfiorò con i polpastrelli il legno ed il ghiaccio, ammirando il lavoro ben fatto e concentrando il pensiero su questi dettagli.

Utgard La Vecchia era stata costruita al Nord, prima del Nord Inaccessibile, in modo che fosse anche un giusto punto d’incontro coi Giganti Nomadi, loro fratelli maggiori; era distante dalla Zona Temperata del loro mondo, quella striscia che conosceva sia il gelo dell’inverno, sia il calore della breve estate degli Jotun.

Se sulla costa era l’uso che le case venissero parzialmente ricostruite all’inizio dell’inverno, rigenerandole e, a volte, mutandone la forma - esisteva addirittura una festa per questo evento, la Festa del Tetto - la Rocca Blu, dalle linee semplici ed essenziali, resisteva da secoli, con le sue stupende torri arrotondate: nessun artigiano aveva dita così delicate come il tempo.

Era stato su Asgard e aveva visto i palazzi con le porte d'oro, così diversi, nel loro sfarzo, dalla sobrietà della Rocca. Eppure, nelle intercapedini di ghiaccio, scorreva il vapore proveniente delle sorgenti sotterranee, risucchiato verso l'alto, dove, diventato acqua, usciva dagli sfiatatoi, scivolando lungo i fianchi delle torri, per poi ghiacciare, contrastando l'erosione naturale del vento. Il vapore rendeva l'interno della Rocca piacevole il giusto, senza che i loro abitanti fossero costretti a bruciare inutilmente gli alberi della Zona Temperata (la prima volta che aveva visto una vita di due anni bruciata senza rimedio in venti minuti solo per non coprirsi con stoffe più pesanti, era impallidito per la vanità degli Aesir). Le aperture sul tetto, disegnate dai loro ingegnosi Tecnici, provvedevano al ricambio dell'aria, senza che il gelo penetrasse oltre il necessario, ed un'alga blu, luminescente al buio, tappezzava il soffitto e la parte alta delle pareti, riducendo al minimo la necessità di torce, mentre stalattiti verticali di ghiaccio purissimo (abile opera dei loro artigiani) lasciavano filtrare la luce.

Da un lato l’immutabilità, le loro radici salde come il ghiaccio, dall’altro la mutevolezza, lo scorrere delle loro sorgenti calde sotterranee, l’esplosione di vita dell’estate, il cambiamento senza il quale nessuno mondo potrebbe davvero vivere. Nel mezzo la vita dello Jotun.

 

La riunione sarebbe iniziata solo dopo il Rito del Lavaggio: i 29 consiglieri, uno per ogni ora della loro giornata, in numero dispari per non raggiungere mai uno stallo (come in numero dispari erano i rappresentati di ognuna delle cinque Gilde che lo componevano), sarebbero scesi nella Grotta e si sarebbero immersi nelle sue calde piscine sotterranee, avvolti nel vapore, sdraiati sulle panche di roccia blu di Jotunheim, in cui a tratti apparivano dei cristalli a forma di prisma, dal colore brillante.
Un gesto simbolico e pratico che li invitava a liberarsi di quanto di inutile albergasse nelle loro menti, come l’idea di chi pensavano di essere o di cosa si illudevano gli fosse dovuto, che proveniva da aspetti personali di poco conto, se visti nella giusta prospettiva, o dal Caso.

Avrebbero osservato con rispetto le cicatrici sui corpi dei Guerrieri, i tagli sulle mani dei Tecnici, abituate a costruire, ricordando che non esistono solo le parole, ma che ogni decisione che avessero preso sarebbe stata seguita da un fatto, che per compiersi avrebbe richiesto un prezzo che qualcuno avrebbe pagato. Ogni cicatrice narrava l'obbedienza ad una decisione presa tanto o poco tempo prima.
Spossati avrebbero meditato per reprimere il loro lato più selvaggio, avrebbero condiviso il cibo senza sprecare, e, infine, si sarebbero vestiti con gli abiti rituali, dalle complicate allacciature sulla schiena.
Anche queste erano un simbolo: nessuno Jotun, per quanto potente, può fare davvero tutto da solo.

 

Solo dopo si sarebbero seduti al tavolo del Consiglio, avrebbero ascoltato ciò che Heldi aveva da dire ed avrebbero posto domande.
Il primo giro veniva deciso dal lancio dei dadi: il caso avrebbe deciso l’ordine in cui i Consiglieri si sarebbero seduti e quello con cui avrebbero parlato la prima volta.

Che nessuno restasse inascoltato.
Che nessuno pensasse di non essere importante.
Che nessuno si illudesse di non essere responsabile.
Che nessuno dimenticasse che anche nel piano meglio ponderato si sarebbe presentato, come ospite, l’Imponderabile.
Che nessuno avesse l’ardire di credere di poter fare tutto.

 

E prima di iniziare a parlare, avrebbero pronunciato, tutti insieme, la frase rituale che apriva da tempo immemore ogni sessione del Consiglio: che io non dimentichi che la Bilancia del Caso e del Destino non può essere truccata .
 

Gli spiacque non poter partecipare, pensò tra sé, corrugando la fronte, ma, dopo avere ascoltato la soluzione che Heldi aveva in mente, si era dimesso dal Consiglio.
Era vero che il Consiglio poteva solo sviscerare un problema ed esprimere un parere finale, ed era vero che l’ultima parola spettava al Re, ma lui non voleva avere nulla a che fare con questa faccenda perché Asgard non gli piaceva, Odino non gli piaceva, non aveva dimenticato cosa era successo cinque anni prima, ed era certo che anche aiutandoli, gli Aesir avrebbero cercato di avere qualcosa di più di quanto veniva loro generosamente offerto e che non gli era per niente dovuto.
Si credevano Dei, si facevano chiamare così su Midgard, ma non lo erano.


Il suo voto partiva contrario e non sarebbe mai cambiato: inutile che andasse ad un incontro del Consiglio se nulla di quanto avrebbe sentito gli avrebbe mai potuto far cambiare opinione.

 

Seppe di aver deluso il Re: da lui, non glielo disse, ma lui lo capì, si aspettava di più.

Eppure, astenendosi, stava dando davvero tanto...

La soluzione di Heldi prevedeva un sistema di  cannoni alimentati dal seidhr: nessun proiettile fisico sarebbe stato sparato, ma il seidhr avrebbe modificato la struttura intorno alla traiettoria. La massa celeste sarebbe stata deviata solo quel tanto da non fare del male a nessuno. I Mondi su cui fossero stati posti i tre cannoni principali avrebbero assorbito il contraccolpo, un urto leggero, una piccola variazione del loro asse, la variazione di un grado, al massimo, delle loro temperature - sarebbero forse mutati per sempre per salvare la vita di un intero pianeta che non era il loro, o piano piano sarebbero tornati come erano. E forse ci sarebbe stato un maremoto da tenere sotto controllo.

 

“Misere sciocchezze senza importanza.” aveva sentenziato Farbauti sarcastico, mentre lavorava al progetto con suo fratello.

 

Se il Consiglio fosse stato d’accordo, Asgard sarebbe stata allertata di questo appuntamento con il Destino che aveva da secoli senza saperlo. Avrebbero visto come un Dio reagiva dinanzi alla certezza della propria morte. Oppure no.
Se il Consiglio fosse stato d’accordo, gli Jotun si sarebbero resi disponibili ad aiutare Asgard. Oppure no.
Se il Consiglio fosse stato d’accordo, gli Jotun avrebbero illustrato ad Asgard questa possibilità. Oppure no.
 

Le delegazioni dei Nove Mondi si sarebbero riunite ed avrebbero discusso a lungo: nessuno possedeva la tecnologia degli Jotun, e non tutti avevano il seidhr sufficiente per una cosa del genere, o sapevano usarlo. Avrebbero dovuto decidere tutti insieme cosa fare: entravano in ballo le risorse dei Nove ed il sacrificio di tre di loro per salvare Asgard. Oppure qualcuno avrebbe avuto una idea migliore.

 

Per quanto lo riguardava Asgard poteva bruciare, e Odino morire soffocato dalla cenere sul suo trono. La Sfortuna succede. Tutti devono morire prima o poi, anche chi crede di essere un Dio.

Ma un mondo era un mondo.

 

E lui solo uno Jotun.
 

Fu per quello che cedette il suo posto a suo fratello Heldi - che sentisse cosa era una responsabilità: un conto è elargire consigli, un conto seguirli.


Questo accadeva ventun mesi prima.

Note: per gli alberi blu sono debitrice a Fiamminga ed alla sua trilogia! in particolare ad Illness, anche se per me resta insuperabile il capitolo 20 di Disease, se escludiamo quelli in cui la fanno da padrone gli aspetti sentimentali e goderecci.
La ringrazio pure per l'interesse per gli Jotun, che è finito in una Lady Oscar (anche se, ultimamente, ho scoperto di non essere la sola oscariana attratta dalla norrena) e, sicuramente, in seguito, per altri dettagli :)
Le sue storie su Loki sono molto belle e mi hanno catturato, il che fa un certo effetto, visto il mio fandom attuale d'elezione (Lady Oscar) che è molto diverso da una thorki...
   
 
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