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Autore: endif    10/04/2009    6 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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EDIT: Capitolo revisionato e corretto.

CAP.7
VOGLIA DI LIBERTA’
Qualche tempo dopo …

ALICE
Mi aveva tenuto all’oscuro di tutto ed era stato veramente molto abile. Nessuna visione mi aveva colto nonostante mi fossi concentrata fino all’inverosimile e avessi, infine, deciso di passare alle suppliche. Ma Jasper non si era lasciato commuovere e ad ogni preghiera aveva risposto con un bacio e con un laconico «E’ una sorpresa».
Poi, eravamo partiti.
Avevamo viaggiato per gli Stati Uniti per un po’, girato luoghi incantevoli e vissuto una vera, meravigliosa, nuova luna di miele. Di giorno, quando il tempo lo permetteva, ci dedicavamo a passeggiate ed escursioni. Jasper era un compagno di viaggio straordinario, profondo conoscitore della storia e mio mentore la mattina, ed amante dolce e appassionato la notte. Ero costantemente avvolta da una nuvola di benessere, ma sapevo che in gran parte era dovuta alle sue doti.
Quella mattina stavamo poltrendo a letto nella suite presidenziale del più lussuoso albergo di Port Angeles. Nuda sul letto a pancia in giù, mi lasciavo accarezzare la schiena dal mio compagno, disteso al mio fianco, completamente rilassato. Sentivo le sue mani scorrere leggere e sensuali.
«Jasper?» dissi
«Mmm?» rispose fissando il soffitto.
«Perché tutto questo?» chiesi assorta.
«Questo cosa?» continuava ad accarezzarmi lento.
«Beh, per cominciare il viaggio» appoggiai il mento sul palmo della mano per guardarlo meglio.
«Perché ti amo, e avevamo bisogno di distrarci un po’ » la sua fu una risposta misurata, ma aveva capito che ero turbata.
«Sì, ma perché tenermi all’oscuro, perchè tutta questa segretezza?» Non ero disposta a lasciare cadere il discorso.
«Non mi pare che ti sia dispiaciuto tanto.» Disse ironico inclinando gli occhi verso il mio corpo risalendo lentamente fino a fissarsi nei miei.
«Non fare lo scemo, sai cosa intendo.» Ero seccata, ma non insensibile al tocco delle sue dita che si erano soffermate un po’ sulle natiche, stringendo leggermente.
«Sei adorabile quando ti arrabbi.» Si era messo di fianco e mi ammirava rapito. Cercai di non lasciarmi ammaliare evitando con cura di vagare con lo sguardo sul suo corpo nudo e meraviglioso e continuai a fissarlo cocciuta.
«Non mi hai risposto.» Quando prendevo una direzione poche volte mi lasciavo sviare.
«Sì, invece, sei tu che non mi hai ascoltato.» Jasper sapeva tenermi testa, e non conosceva il significato della parola “ritirarsi”. Si stava per preparare una battaglia coi fiocchi.
Ci misurammo con lo sguardo entrambi tesi. Poi, lui balzò in piedi e aprì fulmineo l’armadio.
«Avanti sputa il rospo, non perdiamo tempo … so io di cosa hai bisogno … allora, cosa indosserò?»
Trascorse un secondo in cui i miei occhi si offuscarono, poi eruppi in un gridolino di gioia. Mi alzai con un delicato passo di danza e con una piroetta volai tra le sue braccia «Pantalone blu notte e dolcevita panna. Ah, scarpe comode. Ho intenzione di svaligiare tutte le migliori boutique della città!»

BELLA

Mi torturavo le mani nervosa, seduta sulla scomoda seggiola nella sala d’aspetto.
Charlie era stato svegliato nel cuore della notte da una chiamata della centrale di polizia. Aveva dato di matto quando si era reso conto che non ero nel mio letto, che il mio furgone era sparito e che doveva recarsi sul luogo di un incidente dove erano stati rinvenuti i pezzi di un pick-up rosso coinvolto in uno spaventoso scontro frontale. Avevo preteso di aspettarlo sul luogo dell’incidente prima di essere condotta in ospedale per un controllo. Era arrivato con la giacca infilata sopra al pigiama, il viso terreo, bianco da far paura. Quando mi aveva scorto seduta tra i portelloni di un’ambulanza, aveva fatto qualche passo maldestro e aveva guardato incerto verso due infermieri. Uno di loro mi stava medicando le escoriazioni sulla fronte, l’altro mi aveva messo tra le mani una bevanda bollente. Fecero un cenno di rassicurazione e si spostarono un po’ per permettergli di avvicinarsi a me. Senza dire nemmeno una parola, Charlie mi aveva abbracciato goffamente, ma con delicatezza. Ero profondamente mortificata nel sapere che stava male per colpa mia, e avrei voluto dire qualcosa, ma non trovavo la forza per pronunciare nessuna scusa. Jacob si era allontanato poco prima che arrivasse la polizia, dicendomi che sarebbe stato più facile per entrambi non dover dare troppe spiegazioni aggiuntive alla vicenda e rassicurandomi sul fatto che sarebbe rimasto nelle vicinanze e che ci saremmo chiariti in un momento più tranquillo.
Nei giorni seguenti Charlie non mi aveva fatto alcuna domanda riguardo quella notte, ma sapevo che si trattava solo di una calma apparente. La sera prima a cena, infatti, disse con tono basso, ma fermo: «Domani mattina abbiamo appuntamento con un medico a Port Angeles alle dieci, Bella».
Lo guardai interrogativa. «Perché?» chiesi esitante.
«E’ uno psicologo, cercherà di capire come possiamo aiutarti …» Sull’ultima parola la sua voce si incrinò un poco e io abbassai la testa imbarazzata. Charlie era più che preoccupato per me, era a dir poco terrorizzato. Cosa avrei potuto dire? Che non mi serviva uno strizzacervelli perché stavo bene?
Anche un cieco si sarebbe accorto che stavo più che male, che ero praticamente uno straccio.
Cercai di vedermi con gli occhi di mio padre, ed ebbi un brivido. Avevo perso molti chili, il viso era pallido e non riuscivo neanche a ricordare come si sorrideva. I capelli dovevano essere un nido di topi e dovetti abbassare lo sguardo sui miei vestiti perché non ricordavo cosa avessi indossato quel giorno.
Avevo annuito stanca e mi ero alzata per lavare il piatto di Charlie. Su una cosa sola avevo puntato i piedi: desideravo che Jacob ci accompagnasse. Mio padre aveva alzato un sopracciglio, ma non aveva avuto nulla da obiettare.
Dalla sciagurata sera dell’incidente, Jacob era divenuto un ospite fisso di casa Swan. Capivo perfettamente quanto irrazionale fosse il mio atteggiamento verso di lui, ma mi sentivo meglio quando era nei paraggi. Mi distraeva con le sue chiacchiere, era premuroso e gentile, ma soprattutto fungeva da cuscinetto ammortizzatore nei rapporti con Charlie che si erano fatti piuttosto tesi.
E adesso mi trovavo fuori lo studio di questo dottore, sotto lo sguardo speranzoso di Charlie, quello nervoso di Jacob, ed ero agitata. Cosa dovevo dire a questo dottore? Che il mio ragazzo vampiro mi aveva lasciata perché non mi amava più, ma che io ero irrimediabilmente perduta nel ricordo di noi? Che a volte lo vedevo e lo sentivo come se fosse vicino a me? Che avrei preferito morire piuttosto che vivere senza lui al mio fianco? Sapevo di non avere vie di fuga e la cosa mi toglieva il fiato.
Sobbalzai sentendo aprire la porta dello studio.
Non c’era nessuno oltre a noi, ma attesi ugualmente che la segretaria pronunciasse il mio nome prima di alzarmi.
«Prego, signorina Swan.»
Charlie e Jacob non potevano entrare, e mi rallegrai per questo. Un problema in meno a cui pensare.
Entrai, richiusi la porta e mi girai in attesa.
«Si accomodi, prego.» Disse una voce femminile, ma con solo la parvenza di un tono gentile.


   
 
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