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Autore: shalalahs    15/05/2016    4 recensioni
Rogers, Steve sorride. No, non è abbastanza. Rogers, Steve sorride. Il corpo, la psiche e Bucky hanno una reazione molto positiva. Il corpo ha di nuovo problemi con il cuore. Lo sente stringersi – non si “preoccupa”. Il corpo cerca di abbinare il sorriso di Rogers, Steve con il proprio.
Rogers, Steve smette di sorridere.
Abortire.

Descrizione più dettagliata nelle note del primo capitolo, causa CACW spoilers.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Parole: 5252
Warning: la storia, da qua, contiene spoilers su Civil War, perciò sconsiglio a chiunque di leggerla, nel caso fosse facilmente infastidito da eventuali spoilers.

 


FAITHFUL DOUBT


Dolore. Tanto dolore. Ricevuto. La psiche non riesce a mantenere la calma che avrebbe dovuto. Barnes, James Buchanan è sveglio, le immagini sono dolorose. Il corpo si contorce, ma le manette lo tengono ben stretto ed immobile. Nessuno libererà il corpo, neanche la psiche, neanche Barnes, James Buchanan. Nessuno.

— Желание. —

Comincia sempre lentamente, fra le fitte di dolore, quando il cervello è troppo distratto da esso per potersi difendere in qualunque altro modo. Impara la lezione e fa le sue associazioni. Una parola, un dolore insopportabile. Una parola e potranno fargli così tanto male da farlo svenire. La psiche ha imparato nel corso degli anni che neanche svenire servirà a molto. Aspetteranno sempre che ritorni in sé, prima di far ripartire la giostra dell'orrore.

— Ржaвый. —

Continuano, nonostante il corpo urli dal dolore e la psiche perda di vista l'allenamento serrato. E si arrende. Urla e molla la presa. Impara la propria lezione.

— Семнадцать. —

Non potrà mai vincere, non contro di loro. La psiche sa che cosa deve fare: deve tenere sotto controllo quella parte del corpo e di sé che continua a riemergere per lottare. Barnes, James Buchanan è ancora lì da qualche parte.

— Рассвет. —

Sta soffrendo con loro, ma esiste ancora, forse esisterà per sempre. La psiche ha imparato ad accettare anche questo: sarà una lotta senza fine per mantenere il controllo. Essa stessa è la propria nemica. Non può fidarsi di sé, mai.

— Печь. —

Perciò ogni anomalia viene riportata. Anche quando sono piccolezze, ha imparato a riportare ogni, minimo dettaglio. Anche il più insignificante. Farà male, ma avrebbe fatto più male se non l'avesse detto. Un giorno i suoi carcerieri riconosceranno la sua lealtà e, anziché dolore, lo premieranno per averli avvertiti, per continuare ad essere dalla loro parte. Anche dopo tutto il male che gli hanno fatto.

— Девять. —

Il corpo sta urlando di nuovo. Fa male. La sedia lo tiene fermo e la psiche non riesce più a controllarlo. Ci sono solo confusione e.. “tradimento”.

— Добросердечный. —

La psiche non è più sicura quale parte valga la pena mantenere. Ma non può essere egoista, va contro i protocolli, il dolore aumenterà se infrange i protocolli.

— Возвращение на родину. —

Eppure non smette. Non riesce a smettere di sperare. Pregare. Senza rendersi conto che il corpo sta lasciando andare tali parole.

— Один. —

Я готов отвечать. Я готов отвечать. Я готов отвечать!

— Грузовой вагон. —

Я ГOТOB OTBEЧATЬ!

Buck.

Una voce irrompe nel silenzio, non parla russo. Americano, la psiche elabora velocemente, nonostante il sollievo del corpo. Il dolore se ne sta andando, la psiche sembra riuscire a pensare con più lucidità. Il corpo sbatte velocemente le palpebre, le iridi che si muovono alla ricerca della fonte sonora. Alla sua destra. Gli occhi trovano una sagoma antropomorfa, in mezzo alle altre familiari: mobili. Un letto.. un comodino, una porta socchiusa.

— Pronto ad ubbidire. — la psiche ed il corpo reagiscono. Deve seguire il protocollo. Nonostante il corpo sia agitato ed il fiato pesante, lo forza a prendere due respiri profondi, deglutire – la gola è secca, disidratazione minima – e calmarlo. La psiche esegue lo stesso processo finché il battito cardiaco smette di assillare le tempie e pulsare come un tamburo da guerra.

La figura davanti al corpo si irrigidisce sotto gli occhi di esso. La psiche lo studia meglio. Maschio, caucasico, corporatura massiccia. Minaccia: medio-alta, informazioni insufficienti sulle capacità del soggetto per effettuare una stima precisa. L'uomo trattiene il respiro e lo rilascia andare lentamente. Nervoso, suggerisce subito la psiche. Sembra nervoso.

— Metti via l'arma, Soldat. — esordisce poi, in un tono autoritario, pronunciando l'ultima parola come se fosse davvero russo.

Il corpo abbassa lo sguardo e la psiche prova “disappunto”, notando come il corpo abbia reagito in assenza di restrizioni: ha estratto uno dei Gerber Yari II. Inammissibile, la psiche esegue l'ordine. Il corpo esegue l'ordine. Barnes, James Buchanan è “dubbioso”. La psiche lo forza ugualmente. Il coltello viene sistemato sulla superficie.. morbida su cui è seduto.

— Quali sono gli ordini? — domanda, l'accento russo forte nella sua voce. La psiche è “insoddisfatta” dall'imperfezione. Il corpo dovrebbe essere in grado di adattarsi ad ogni situazione lo richieda necessario. Se questo carceriere è americano, dovrebbe parlare Inglese alla perfezione.

Il corpo non riesce a correggere l'errore. L'uomo davanti a sé si muove, scomodo, sul.. letto?

La psiche rifiuta di muoversi, il corpo la ignora ugualmente. Confusione crescente quando gli occhi incrociano meglio le sagome di una stanza, una camera da letto immersa nella penombra, rischiarata a tratti dai raggi della luna ed un lampione. La finestra è alle spalle del Soldato, mentre la porta socchiusa si trova sulla parete di fronte, troppo lontana – e, ancora più importante, fra il Soldato e la porta attualmente si trova l'uomo sconosciuto. La finestra è l'unica via d'uscita, ma chissà a che piano si troveranno.

Informazioni insufficienti. La psiche non ha un piano preciso. La psiche sceglie di non scartare l'opzione di fuga principale: la finestra. La psiche sceglie anche di non muoversi subito. La psiche ricorda il protocollo.

Il corpo si forza con uno scatto improvviso, così da tornare a fronteggiare il carceriere. Ed il carceriere sobbalza.

Errore di cognizione.

Nessun carceriere è mai sobbalzato davanti al Soldato. A quest'ora, lo avrebbero già fatto inginocchiare a terra e punito per aver infranto il protocollo. La psiche è “confusa”. Il corpo è teso. Il cuore riprende a martellare come un tamburo di guerra. Fastidioso, la psiche non riesce a concentrarsi, né tanto meno a tenere fermo Barnes, James Buchanan.

Il carceriere prende un altro respiro, esita, prima di parlare.

— Non ci sono ordini, Buck. —

Il corpo e la psiche piombano nel silenzio più totale.

Il carceriere ha un nome. La psiche ne è conscia, anche Barnes, James Buchanan lo sa. Nessuno dei due riesce a tirarlo fuori.

— Errore di co-.. —

— Bucky, sono io, Steve. Sei al sicuro, sei con me. Ti ricordi cos'è successo? — domanda il ca-.. Steve. La psiche non è sicura, ma qualcosa sa di familiare in tali parole.

Come se le avesse già sentite.

— Io.. — mormora il corpo, guardandosi di nuovo attorno. Forse il motivo per cui non è stato punito è questo: è al sicuro, può agire.

Steve non è un carceriere. Steve non è correlato in alcun modo ad HYDRA. Steve. Steve..

— Rogers, Steven Grant? — emette la voce del corpo, meccanica.

— S-sì, sì, sono io. — la voce di Rogers, Steven Grant ha cambiato tono. Speranza, la psiche non ha la benché minima idea da dove sia saltato fuori un tale aggettivo.

— Non ho portato a termine la missione. — è il primo pensiero che la psiche riesce a formulare. Ricorda, adesso, il corpo doveva uccidere Rogers, Steve Grant, alias Capitan America. Il corpo e la psiche hanno fallito per colpa di Barnes, James Buchanan. La missione è stata compromessa. La psiche deve fare rapporto. Deve avvertire i carcerieri che Barnes, James Buchanan ha compromesso la missione. Deve-..

— Non c'è più nessuna missione, Yasha, sei a casa. Non devi più portare a termine nessuna missione. —

Barnes, James Buchanan è di nuovo sveglio. Con un forte sobbalzo. Il corpo si tende e poi rilascia tutta la tensione accumulata. Poco a poco, i ricordi cominciano a riaffiorare. Ed un anno intero di avvenimenti si forza all'interno della psiche, rendendola incapace di pensare qualsiasi cosa, se non cercare di dare ordine e senso all'immensa marea di informazioni perse, chissà dove, solo pochi minuti prima.

— Steve. — chiama il corpo, Bucky, all'improvviso, costretto a poggiare le mani sul materasso per potersi reggere a sedere.

— Sei a casa Buck, sei a casa con me. Sono io. — sente Rogers, Steve ripetergli dopo qualche istante in cui riesce a riprendere possesso del proprio corpo. Gli occhi si spostano sul biondo, guardandolo con aria dispersa, prima che il corpo si inclini appena, scivolando addosso all'altro senza dire niente.

Rogers, Steve s'irrigidisce appena, ma non rifiuta il contatto. Solo quando le mani del corpo gli si avvinghiano attorno ai fianchi Steve si prende la libertà di poggiare le sue contro le spalle del corpo, trasmettendogli calore. Il corpo è più rilassato, per quanto “rilassato” possa essere utilizzato parlando del corpo di Barnes, Bucky.

— Posso abbracciarti? — chiede Rogers. Steve. C'è rispetto nella sua voce, preoccupazione forse.

Bucky annuisce, nascondendo il volto contro la spalla di Steve. La confusione che gli riempie la mente. È sicuro di aver sentito le parole del suo carceriere, ne è più che convinto, non ha mai avuto allucinazioni così vivide e vere in vita sua.

— Cos'è-.. — la voce del corpo si spegne, quando la psiche si rende conto di aver parlato. Un respiro ed un'iniezione di (falso) coraggio. — Cos'è successo? Ho fatto qualcosa? —

Barnes, James Buchanan ha “paura”. Informazioni raccolte: quattro. Barnes, James Buchanan ha paura di molte cose, principalmente correlate alla percezione del mondo ha di sé. Importanza: medio-bassa. La psiche dovrebbe ignorare tale piccolezza e mantenerla tale finché possibile. Barnes, James Buchanan non riesce ad ignorarla. Barnes, James Buchanan vuole solo essere una persona normale. La psiche non glielo permette.

Rogers, Steven Grant scuote la testa. Barnes, James Buchanan è “sollevato”.

— Non ricordi? — il silenzio che segue la domanda di Steve è ovvio, così l'uomo si limita a continuare, passando le mani sulla schiena di Bucky con movimenti circolari, rassicuranti. Caldi. — Wanda ha cercato di rimuovere la sequenza dalla tua mente. Non volevi mettere piede nel laboratorio, nessuno voleva obbligarti. — le mani di Steve sono grandi. Adesso, almeno. Bucky ricorda quando erano piccole, quando poteva ancora tenerle strette fra le proprie, riscaldandole con difficoltà, quando d'inverno non riuscivano a dormire da nessuna parte, se non nella stanza più calda dell'appartamento. — Wanda si è proposta, ma qualcosa è andato storto e sei entrato in.. non lo so neanch'io, ma è stato simile a quando —

Steve s'interrompe. Bucky smette di essere rilassato.

— Quando..? — chiede Bucky, quando ormai il silenzio si è protratto per qualche secondo di troppo e tutto ciò che è riuscito ad ottenere da Steve è stato un sospiro.

— Non è sempre stata un membro degli Avengers. L'abbiamo combattuta qualche anno fa, prima del disastro di Sokovia. Ci ha aiutati a fermare Ultron. — spiega Steve, e Bucky comincia a capire come mai Steve abbia preferito fermarsi. — Non sta a me raccontarti tutto, ma diciamo solo che, beh, ha usato i suoi poteri contro di noi. —

Bucky rimane in silenzio, preferendo discostarsi da Steve e lasciargli spazio. Non sa perché, ma lo fa. Sembra qualcosa di difficile, il discorso che l'altro sta mettendo in piedi.

— La sua manipolazione può funzionare per molte cose, ma fino ad oggi non l'ha mai davvero utilizzata per fare qualcosa del genere. Magari deve solo imparare. —

Bucky storce le labbra. “Manipolazione” non sembra una parola contemplabile nella sua, di mente. Se solo non cominciassero a riaffiorare i ricordi, i pensieri che gli sono sovvenuti poche ore fa, all'interno della hall, assieme a T'Challa, Steve e Sam. Wanda era capitata lì per caso ed aveva sentito “per caso” – a detta sua – il resto della conversazione.

Le mani ce le devono mettere ugualmente, tanto vale che sembri il meno possibile un esperimento di laboratorio, aveva pensato alla proposta della ragazza dall'accento straniero.

Così, contro le aspettative di chiunque, se n'era uscito con un — Okay. —

Un okay che aveva portato il silenzio nella stanza. Tutti, eccetto T'Challa, lo avevano guardato con una tacita domanda nello sguardo. Wanda più per sorpresa e preoccupazione, che confusione e diffidenza.

— Sicuro? — Steve aveva dato voce ai pensieri suoi e di Sam, forse anche quelli di Wanda.

Quando Bucky si era limitato ad annuire, i presenti si erano guardati negli occhi. E T'Challa era stato il primo a rompere il silenzio, avvertendo che lo avrebbero fatto accomodare in un'altra stanza. Senza restrizioni di ogni sorta.

Wanda lo aveva seguito, dicendo che era un'idea nuova, sovvenutale dall'uso che aveva fatto dei suoi poteri sulla pietra di Visione. Aveva promesso che avrebbe rovistato con cautela e rispetto, che se Bucky voleva farla finita, avrebbe solo dovuto pensare alla parola “stop”. Poi, il vuoto lo aveva travolto, quando le spire d'energia rossa lo avevano sfiorato sulla nuca, le dita di Wanda che danzavano una danza macabra, scoordinata, ma stranamente aggraziata a pochi centimetri da essa.

Il vuoto si era tradotto in nero, la sedia su cui era seduto si era tradotta in quella della base in Siberia. Wanda non esisteva, davanti a lui c'erano gli scienziati incaricati di svegliarlo. Sapeva di essere in un'illusione, fin quando la macchina non gli venne calata addosso, nascondendo in parte la sua vita e dando via alle scosse elettriche, rendendolo incapace di far altro, se non ascoltare le parole che gli venivano pronunciate con calma.

Ricorda vagamente la voce di Wanda, preoccupata. Sta scivolando via, sta scivolando via. E poi il silenzio, fino a pochi minuti fa. Fino a quando Steve non lo ha riportato a questo mondo.

— Non lo sapeva. — conclude la voce del corpo in un tono roco, graffiato. La psiche e Bucky non sono arrabbiati, né delusi. Non prova davvero niente, se non sollievo.

— Non so cos'ha visto, ma è rimasta con te tutto il tempo. Ho dovuto condividere la sedia con lei. — risponde Steve. — E Natasha. — aggiunge subito dopo.

Bucky rimane in silenzio per qualche minuto, gli occhi persi nel vuoto a poca distanza dalla sagoma di Steve. Una sensazione di pesantezza lo trascina all'interno di un mare di pensieri vuoti e stagnanti. Wanda ha fatto qualcosa alla sua testa, ma non sente risentimento o tradimento. La sua testa aveva già messo in conto che questo sarebbe successo. C'è solo.. delusione.

Non avrebbe potuto essere così facile, no? Non lo sarebbe stato.

— Dove sono adesso? — domanda invece, sollevando lo sguardo e puntandolo su Steve.

Steve sorride, per quel che riesce a vedere Bucky nella penombra potrebbe essere solo una sua idea. — Dormono, più o meno. — il timbro della voce di Steve conferma tale idea.

Bucky non capisce come mai Steve stia sorridendo.

Bucky opta per limitarsi ad annuire, Steve non sembra accorgersi che il suo sorriso non è ricambiato – dare le spalle all'unica fonte di luce è una buona posizione per evitare che l'altro si accorga di simili piccolezze.

Il silenzio si protrae per qualche minuto, ma nessuno dei due sembra voler dire niente a riguardo. Steve guarda Bucky e Bucky guarda Steve, prima di abbassare gli occhi per ritrovare la propria mano metallica, ora poggiata sul materasso. Sta tormentando un lembo della coperta, con lentezza, passandoci e ripassandoci sopra con le placche metalliche.

Il nuovo braccio è stato l'ennesima incognita nella sua vita. Per quanto avesse scelto l'ibernazione, piuttosto che al restare libero e in attesa delle prossime parole, o situazioni, che avrebbero fatto scattare il Soldato d'Inverno, è stata una scelta che non ha davvero apprezzato fino in fondo.

Il fatto che T'Challa lo avesse fatto uscire dalla camera criogenica perché sperava di aver trovato un metodo per rimuovere la sequenza, esattamente un anno fa, ha fatto sì che Bucky si rendesse conto di quanto svegliarsi col freddo addosso ed il ricordo di lacci che lo stringevano e tenevano fermo fossero una sensazione con cui non voleva aprire gli occhi. Perché avrebbe aperto gli occhi più e più volte, nel corso del tempo, ed avrebbe dovuto fare sempre ritorno alla camera cryogenica, alla fine di ogni seduta. Non si aspettava che gli scienziati di T'Challa avrebbero scoperto facilmente, se non subito, una cura per la sua mente labile. E così non fu, infatti.

La prima volta, tornò nella camera criogenica, riuscendo a darla a bere sia a Steve che a T'Challa. Era riuscito ad ignorare la sensazione di costrizione e forte ansia che gli dava quella cella di vetro e ghiaccio. Il suo cervello non faceva altro che propinargli idee su come questa non fosse altro che un'organizzazione più gentile e rispettosa di HYDRA, ma che alla fine erano in grado di compiere le stesse cose, ora che erano in possesso della tecnologia.

Bucky si addormentò pensando con più forza possibile che Steve non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Perché Steve era l'unica persona – assieme a T'Challa, per quanto il suo cervello escludesse l'uomo per qualche strano motivo, in quel momento – che aveva rinunciato ad una parte della sua identità per poter portare via Bucky dalla base HYDRA in Siberia. Aveva gettato lo scudo a terra e raccolto invece il corpo malridotto e goffo, aiutandolo a camminare e tornare al quinjet.

Bucky si svegliò con quel pensiero ancora piantato nella mente, come un chiodo malamente attaccato. Ed aveva ripetuto il processo per altre due sedute, finché i primi segni di cedimento non avevano cominciato a far insospettire T'Challa. Il Re del Wakanda era una persona perspicace. Forse più di Steve, per certe cose. D'altronde, T'Challa non doveva affrontare una miriade di “se” e “forse” collegati a chissà quale idea Steve avesse del vecchio Bucky, del vero Bucky. T'Challa era interessato a conoscere ed osservare qualunque cosa ci fosse al posto di Bucky ed il Soldato d'Inverno. Qualcosa a metà fra i due, ma mai completamente definita.

Neanche Bucky era riuscito, ai tempi, a capire come a sentirsi più sé stesso.

Così, alla quarta seduta, Bucky aveva passato tutto il tempo ad arrovellarsi su cosa fosse giusto fare e cosa volesse davvero fare con tali convinzioni. Era arrivato a convincersi che la sicurezza degli altri era più importante di un mero capriccio personale, che anche se Steve aveva dato dimostrazione di sapersi difendere contro il Soldato d'Inverno più e più volte, non era detto che un giorno sarebbe arrivato il momento che tale condizione avrebbe cessato di valere.

Si era convinto, sì. Finché non è stato di nuovo scortato da Steve, T'Challa, Sam e tutto il resto del gruppo – Wanda, Clint, Scott e Natasha, per quanto Clint e Scott si fossero allontanati dopo avergli dato una pacca sulla spalla, lasciando Natasha e Wanda ad affiancare Sam. Una volta giunti davanti alla porta del laboratorio, era stato seguito al suo interno solo da Steve e T'Challa, per quanto il Re del Wakanda fosse rimasto in disparte ad osservare gli scienziati lavorare, chiedere entro quanto sarebbero stati pronti e concedere un po' di spazio a Bucky e Steve.

Era perfino riuscito a liberarsi della felpa che gli aveva offerto Steve per tenersi al caldo e guardarsi nel riflesso del vetro, vestito di bianco, con ancora il moncherino del braccio meccanico coperto da una benda nera elastica.

E poi si era irrigidito di colpo, quando il portellone era stato sollevato dai pistoni con un suono sibilante, prima di chetarsi del tutto.

— Tutto okay? — aveva chiesto Steve.

Bucky non aveva risposto. La psiche ed il corpo erano come pietrificati, mentre gli occhi viaggiavano a destra e a manca, notando gli occhi di una delle scienziate sollevarsi e bloccare qualsiasi sequenza stesse inserendo all'interno del programma, qualunque cosa regolasse i sistemi della camera cryogenica.

— Mi dispiace. — aveva cominciato a farneticare Bucky in direzione della donna pochi secondi dopo, giusto quando la pazienza e la preoccupazione di Steve stavano cominciando una a finire e l'altra ad emergere.

— C'è qualcosa che non va? —

La voce di T'Challa lo aveva fatto voltare in sua direzione, deglutendo malamente e facendo una smorfia. Steve era rimasto in silenzio tutto il tempo, guardando i due e restando vicino a Bucky.

— Non — Bucky aveva chiuso gli occhi e trattenuto il respiro. Non sei più là, si era ripetuto. — Non posso. — aveva cacciato fuori con debolezza, tanto che solo Steve era riuscito a capire cos'avesse detto. — Non posso. —

— Hey. — qualunque cosa Steve volesse dire era stata interrotta quando il biondo aveva cercato di toccare la spalla di Bucky.

Bucky si era allontanato di scatto, senza dare modo a Steve di sfiorarlo in alcun modo, lo stomaco contratto e messo a dura prova da un improvviso senso di nausea. Si era scusato di nuovo, ma non poteva. E Steve aveva allontanato le mani, assumendo una posizione non ostile.

La testa di Bucky stava lavorando troppo velocemente. Era perso e concentrato allo stesso modo, i pensieri che correvano ad un miglio al minuto, accelerandone il respiro e gettando solo panico, man mano che pensava che avrebbe dovuto andare di nuovo incontro a tutto il risveglio. Di nuovo e di nuovo e di nuovo.

Aveva paura. Paura che non sarebbe più finito. Paura che non avrebbero più trovato una cura. E allora che senso avrebbe avuto restare rinchiuso là dentro per riavere una vita, quando una vita non l'avrebbe potuta riavere ugualmente?

La psiche era occupata a trovare colorate offese che fossero sinonimo di “egoista”. Bucky era in lotta contro sé stesso.

— Va tutto bene Buck, nessuno vuole farti del male. — aveva rassicurato Steve, guardandolo con attenzione e velata preoccupazione.

Bucky gli aveva creduto.

— Non posso. — aveva ripetuto e poi, subito dopo, aveva corretto il tutto odiando come la sua voce era suonata lagnosa e supplichevole allo stesso tempo. — Non voglio, Steve. — l'astio che sgorgava dalla voce come un fiume in piena.

— Mehret, disattiva la macchina per favore. — aveva interrotto T'Challa, parlando volutamente Inglese per farsi sentire chiaro e tondo da Bucky.

Sia Steve che Bucky si erano voltati ad osservare l'uomo, prima che Bucky adocchiasse la donna che, con un cenno affermativo del capo, si era messa a digitare sulla touchboard.

Pochi istanti ed il portellone era scivolato a posto, le luci si erano spente e la macchina si era chetata, ritornando silente.

La psiche aveva finalmente smesso di infierire su Bucky, ma il senso di colpa non se n'era andato davvero, quando realizzò cos'aveva fatto T'Challa. Solo quando l'altro parlò di nuovo, si sentì ripetere la stessa scusa a voce bassa.

— Non c'è niente di cui tu debba scusarti, Barnes. — aveva interrotto T'Challa, prima di aggiungere qualcosa di ancora più assurdo. — Ti ringrazio. —

Steve aveva espresso, visivamente, tutta la confusione che si era riversata nella testa di Bucky.

— Avevo fatto preparare una stanza da molto tempo, in vista di una simile possibilità. Vorresti vederla? — aveva continuato T'Challa, come se niente fosse successo, come se Steve non gli stesse chiaramente rivolgendo una miriade di domande tacite e silenziose nella speranza di una spiegazione.

Bucky era rimasto interdetto, concentrato sull'uomo, a corto di fiato e ancora titubante. Non era ancora in grado di formulare un discorso ben preciso, non in Inglese almeno. Perciò si limitò ad annuire, dopo aver lanciato un'occhiata dubbiosa a Steve.

Steve, semplicemente, aveva messo da parte la confusione ed aveva annuito un'unica volta, tentando di far sembrare il gesto quanto più incoraggiante possibile.

Almeno, era quello che sperava Bucky.

T'Challa non se l'era fatto ripetere due volte, ma aveva invitato solo Bucky a seguirlo, lasciando a Bucky stesso la decisione se voleva dare modo a Steve di entrare dentro la propria stanza.

Bucky era riuscito a dire di sì fino all'ingresso della porta. Non appena T'Challa gli aveva consegnato la chiave magnetica, l'aveva afferrata e si era rinchiuso all'interno della stanza in silenzio. Per poi scoprire che chiamarla “stanza” era decisamente riduttivo.

Sembrava più un loft, a conti fatti. T'Challa aveva tenuto da parte una delle “stanze” che si affacciavano direttamente sulla vallata del Wakanda, permettendo perfino di scorgere la statua della Pantera Nera situata davanti alla struttura. Eppure, Bucky era stato in grado facilmente di trovare punti ciechi che potessero nasconderlo da occhi esterni, o che si sarebbero potuti rivelare ottimi per nascondersi e cogliere di sorpresa eventuali intrusi provenienti dalla porta d'ingresso.

Aveva passato tutto il pomeriggio a controllare la stanza-che-non-era-davvero-una-stanza. Cimici, telecamere nascoste, qualunque cosa potesse monitorarlo o segnalare la sua posizione all'interno del luogo. Aveva solo trovato i pannelli di controllo dell'aria condizionata, del riscaldamento e probabilmente qualche linea telefonica interna alla struttura, con tanto di legenda per la composizione di determinati numeri, con tanto di elenco di chi occupava quale stanza e quale fosse il suo numero.

Aveva passato la prima parte della serata a memorizzare i numeri e la piantina del loft, nascondendo coltelli presi direttamente dalla cucina in punti strategici e svuotare quasi tutto il guardaroba per poter poi ridere degli abiti che T'Challa – o chiunque avesse incaricato – aveva scelto per lui. Ridere fu quasi shockante, oltre che strano. Non era propriamente una risata ben definita, quando qualcosa di più debole ed accennato. Uno sbuffo.

Finché qualcuno non aveva bussato alla porta.

Finché non si era scoperto camminare in direzione della porta con un coltello nascosto nella manica della felpa di Steve – l'aveva portata con sé, quando erano usciti dal laboratorio, e l'aveva tutt'ora indosso.

— Arrivo. — aveva borbottato, correndo a poggiare il coltello in cucina ed andando a spiare l'ologramma apparso davanti alla porta. Le porte del futuro sono inquietanti, ricorda di aver pensato mentre fissava uno Steve in miniatura, colorato da un'immensa gamma di pixel azzurri.

— Hey. — aveva detto Steve non appena la porta era stata aperta.

— Hey. — aveva ribattuto Bucky, con molta meno gentilezza.

— Non sapevo che T'Challa avesse tenuto una stanza per te. — confessò Steve, forse con quello che potrebbe definirsi rammarico, proprio stampato in volto. — Ti piace? — chiese alla fine, distogliendo l'attenzione da qualunque cosa sembrasse averlo reso pensieroso.

Bucky si era stretto fra le spalle, prima di guardare alle spalle di Steve, controllando che non ci fosse nessun altro.

— Non l'abbiamo ancora detto a nessuno. — anticipò Steve. — Cioè, se.. Insomma, immaginavo volessi dirlo tu, o gestirla da solo-.. Non —

— Grazie. — aveva troncato corto Bucky, suonando molto più scocciato di quanto fosse davvero, ammorbidendo l'espressione quando il volto di Steve si era contratto ancora di più in un'espressione di panico e confusione.

— Okay, allora se — si scharì la voce. — Se hai bisogno di qualcosa, io sto due stanze più in là.. Beh, diciamo anche isolati, questo posto è immenso. —

Bucky era improvvisamente ben conscio di come la parola “carino” si fosse presentata con prepotenza fra i suoi pensieri. Facendolo inciampare mentalmente un paio di volte, prima di sgranare gli occhi e parlare di nuovo.

— Vuoi entrare? —

E quasi gli era sembrato di tornare a respirare, quando Steve si era illuminato, annuendo ed avanzando verso di lui con un “permesso” impastato sulle labbra, troppo basso per essere sentito a grandi distanze. Bucky si era solo scostato, andando a chiudere la porta dietro le proprie spalle dopo aver controllato un'ultima volta che non ci fosse nessuno a spiarlo in lontananza. Come se il posto non fosse pieno di telecamere, nei corridoi.

— Wow. — aveva detto Steve, guardandosi attorno all'interno del salotto.

Ed il salotto era davvero la prima stanza che si vedeva una volta entrati nel loft: uno spazioso open space con una vetrata oscurata, ma che lasciava capire facilmente di come, di giorno, dava modo a chiunque di ammirare il panorama. Un tappeto circolare, grigio antracite, austero e semplice, era disteso sul parquet riscaldato di mogano, tanto che Bucky era libero di camminare scalzo e non sentire neanche un po' di freddo. Era la prima cosa che aveva settato una volta messe le mani sul pannello di controllo della stanza: caldo, sempre e comunque caldo.

Steve si ere avvicinato al divano nero, anch'esso abbastanza grande da permettere a persone così alte di distendercisi sopra senza rimanere rincalzati da qualche parte, o costretti a piegare le ginocchia per incastrarcisi dentro. Davanti ad esso, un tavolino basso, anch'esso di mogano, con sopra un piccolo posacenere di metallo. Sulla parete di destra, un televisore a schermo curvo con sottostante mobile pieno zeppo di libri e DVD. La parete di sinistra era inesistente, per quanto tale funzione era svolta da un'isola-bar con quattro sgabelli sistemati davanti. Separava il salotto dalla cucina, anch'essa richiamante i colori dei muri, dei mobili e del pavimento – grigio chiaro, antracite e nero, assieme al metallo.

— Com'è che a te è capitato il posto più figo? — aveva chiesto Steve, voltandosi a fissare Bucky con aria sorpresa.

— Non lo so, è chiaramente sprecato 'sto posto. — per uno come lui.

Steve aveva riso sommessamente, ma di gusto, infilandosi le mani nelle tasche e lanciando poi un'occhiata alla cucina.

— Hai qualcosa da mangiare là dentro? Io ho ancora degli avanzi di ieri sera, se hai fame e non ti va di cucinare. — aveva avanzato poi, voltandosi ed osservando Bucky.

— Cucinati da chi? Te? — aveva risposto Bucky con aria di scherno.

— Per tua informazione, le mie doti culinarie sono migliorate. —

— Nope. Neanche se lo vedo. —

E così la situazione era diventata più leggera, sopportabile. Quasi divertente. Spensierata.

Adesso è più normale scivolare in simili atteggiamenti, ritrovare la pace e la tranquillità che avevano da piccoli. Per quanto Bucky non la senta davvero come sua, sta imparando a trovare nuovi aspetti del nuovo Steve – e viceversa – da apprezzare e da prendere in giro.

— Vuoi tornare a dormire? — chiede Steve, avvicinando la propria mano alle dita metalliche e sfiorandole con un tocco delicato. I sensori di pressione registrano il tutto minimamente, lanciando un impulso quasi impercettibile.

Bucky ritorna a guardare il biondo davanti a sé. Ricorda di nuovo come mai non si trova nel proprio loft, ma in quello di Steve. La sua testa fa senso di nuovo.

Due giorni fa era stato preda dell'ennesimo attacco di panico, seguito dall'inesorabile bisogno di ritrovare pace ed equilibrio. Il Soldato d'Inverno era l'unica fonte di silenzio e quiete, per quanto fosse ben lontano dalla rappresentazione di pace ed equilibrio.

Steve è stato tutto il giorno con lui, facendolo tornare lentamente in sé, preparando tisane a non finire, mettendo stupidi telefilm e lanciandogli pop corn dalla cucina quando lo vedeva incantato per troppo tempo. Principalmente, Steve si muoveva. Bucky restava immobile sul divano finché le membra non gli si intorpidivano.

Ieri – o forse la stessa mattina? Che ore sono? – aveva deciso di provare di nuovo a togliersi le parole dalla testa. Wanda si era offerta e poi il vuoto.

Steve deve averlo portato in camera da solo, optando per il posto più vicino, dato che trascinare cento e passa chili di super-soldato a peso morto fra le proprie braccia non deve essere esattamente il massimo. E Bucky sa come diventa Steve quando si preoccupa. Non avrà permesso a nessuno di toccarlo o muoverlo.

Bucky ha chiesto a Steve di fare così, quando ha visto che il biondo era della stessa opinione.

Adesso, può solo guardarlo ed annuire, sospirando leggermente.

— Ti ho svegliato? — gli chiede, prima di sistemarsi sul letto, sul proprio cuscino, fissando Steve mentre si distende con lui.

— Per tua fortuna, la mia testa ti ha anticipato di una mezz'ora. — risponde Steve, l'ombra di un sorriso sulle labbra.

Bucky risponde a quel sorriso, per quanto non dica niente, né altro.

— Buona notte, Buck. — lo sente mormorare, prima di accomodarsi sul letto su un fianco, rivolto sempre verso bucky.

— Buona notte, Stevie. —
 


Author's Corner:
Salve! Contro ogni aspettativa, oggi mi è preso l'estro ed ho finito anche il capitolo.
Vorrei scrivere un sacco di cose extra, ma ho un talento pessimo per gestire storie troppo lunghe (senza contare che voglio uppare tutto e subito, al più presto possibile, sigh).
In ogni caso, spero sia piaciuta!
As always, I feed on feedback. Se avete qualcosa da dirmi - che sia anche solo un "AAAAAHH" insensato o cose del genere, commentate pure perché è davvero una delle poche cose che aiutano la mia voglia di scrivere e che non mi danno l'idea di star qui a perdere tempo(?).
Grazie a chi ha messo la storia fra i preferiti ed i seguiti e Aching heart che s'è presa la briga di scrivere la prima recensione (e fangirlare piangere in separata sede con me su Civil War)
Prendete esempio da Aching heart, grazieprego(?)

Now! Passiamo alla parte nerd/ossessionata della fanfiction - perché, diavolo raga, so che suona folle, ma quando le cose vanno fatte per bene, vanno fatte per bene, no?
Per chi ancora si stesse chiedendo cosa significhino le parole in Russo all'inizio della fanfiction, non sono altro che la trigger sequence per annullare Bucky e tirar fuori il Soldato d'Inverno all'interno di Civil War:
- Желание [Zhelaniye] = Appartenenza
- Ржaвый [Rzhavyy] = Arrugginito
- Семнадцать [Semnadtsat'] = Diciassette
- Рассвет [Rassvet] = Alba
- Печь [Pech'] = Fornace
- Девять [Devyat'] = Nove
- Добросердечный [Dobroserdechnyy] = Benigno
- Возвращение на родину [Vozvrashcheniye na rodinu] = Ritorno (a casa)
- Один [Odin] = Uno
- Грузовой вагон [Gruzovoy vagon] = Vagone merci

Ed ecco, invece, anche quello che risponde Bucky in Russo:
- Я готов отвечать [Ya gotov otvechat'] = Pronto ad ubbidire
Mentre invece, quando Steve lo chiama Soldat altri non è che la pronuncia Russa di soldato (солдат).

Pazzo e chiudo,
Shà <3
  
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