Sperava fosse un sogno, un terribile sogno.

Tutto quell’odore di lavanda e di pulito, ora, lo infastidiva parecchio. Sentiva un leggero movimento intorno a lui, piccoli passi leggeri, eppure non voleva ancora aprire gli occhi.

Pensava che tenendo gli occhi chiusi, ergendo quella barriera dai tratti infantili come i bambini che hanno paura del buio, si potesse salvare da quella realtà che proprio non voleva accettare.

Per quanto ne sfuggisse però, lo sapeva bene ormai, prima o poi avrebbe dovuto affrontarla.

Analiticamente, cercò di capire a quale pericolo fosse esposto, memore dei suoi quasi vent’anni da spia: l’ambiente non era certo ostile, e questo forse era un bene, provava una strana pace misto a tristezza, e quel poco che aveva attorno di certo non vibrava di magia.

Ecco questo lo insospettì più di tutto.

C’era della magia, che poteva essere benissimo la sua, ma non era un luogo magico, sicuramente babbano, perciò non osava immaginare in quali mani fosse finito.

Non erano nemici, in caso contrario, non sarebbe stato trattato così bene.

Però, relativamente, si sentiva al sicuro, il suo istinto non diceva pericolo, eppure sentiva uno strano ingarbugliamento.

Si fece una diagnosi mentale: non era in forma, si sentiva appesantito e stanco, ma tutto sommato passabile, sicuramente aveva un paio di costole incrinate e la gola era dolorante, tanto che faceva fatica ad ingoiare. Il braccio sinistro gli faceva male, come se la pelle si stesse risanando dopo una brutta scottatura, e fece mente locale, il marchio nero.

Quel marchio che gli aveva ricordato ogni minuto chi era, che cosa era, quale orrore si trascinava da tempo così immemore che nessuno al mondo lo avrebbe scisso da quel simbolo.

Aveva paura del suo stesso braccio in quel preciso istante, era inutile negarlo, almeno a se stesso. Sapeva con certosina precisione che se lo avesse guardato, avrebbe scoperto subito un'altra amara verità. E non sapeva quale fine sarebbe stata la migliore.

Respirò più a fondo, mentre quei piccoli passi leggeri si erano fermati e sentì una presenza vicino. Sentì un vago odore familiare. Non sarebbe riuscito a definirlo, eppure sapeva di conoscerlo.

Il letto si abbassò sotto il peso della persona che gli era accanto, ormai sapeva di non poter più rimandare, socchiuse gli occhi e vide il profilo del suo salvatore, i capelli castani e scomposti le coprivano il viso, ma avrebbe riconosciuto quel profilo e quei capelli scomposti ovunque: Hermione Granger.

La mano della ragazza, che ancora non si era accorta dello spettatore, teneva in mano la sua bacchetta e allargò ancora di più gli occhi, quasi gli sembrava un sacrilegio che quella giovane donna stava toccando ciò che gli era più caro al mondo e respirò più a fondo guardando la scena.

La ragazza, dopo aver posato la bacchetta, si girò verso l'uomo e prese uno spavento sovraumano quando quei due occhi neri e senza fondo la squadrarono come se fosse un fantasma, il suo insegnante di Pozioni era sveglio e cosciente e sussurrò un "maledizione" tra i denti.

Dopo un fugace secondo di quella sorpresa, entrambi, senza lasciare lo sguardo l'uno dell'altro, raggiusero con un solo veloce movimento, la bacchetta dell'uomo e l'afferrarono insieme.

Si ritrovarono con le mani, una sopra l'altro, su quel pezzo di legno mentre continuavano a squadrarsi, come se si fossero visti per la prima volta.
-Non si tocca ciò che non ti appartiene, Granger.

Ringhiò lui, mentre lei in contemporanea rispose:
-Non si muova di un millimetro, professore.

Mentre pronunciarono la frase, la punta della bacchetta si illuminò e sfrigolo delle luci dorate.

Entrambi si girarono verso quel crepitio, e lo guardarono attoniti.

Ma Severus si riprese in fretta, non lasciando mai la mano di lei che impugnava la bacchetta.

-Granger, lascia subito la mia bacchetta. Ora.

Sibilò nuovamente, mentre la ragazza si girò nuovamente verso di lui.

Portò la mano sull'avambraccio dell'uomo e guardò con quella luce battagliera, quasi folle, il viso del professore.

-Non so se posso fidarmi di lei.

Severus Piton socchiuse gli occhi e prese un altro profondo respiro.

-Sono in una situazione di netto svantaggio, e lo sai anche tu."

Preferì andarci leggero, volendo avrebbe potuto combattere a discapito dei suoi dolori e riprendersi l'oggetto tanto caro, ma lei era troppo… esposta.

Quel suo sguardo lo aveva fatto desistere, non sapendo quali azioni lei avrebbe potuto intraprendere in quel momento.

Lei sembrò soppesare le sue parole e alla fine chiuse gli occhi sapendo di aver preso una decisone.

Lui asserì col capo e allentò la stretta sulla mano lasciando quel bozzolo.

Entrambi, dopo un cenno, lasciarono la stecca e questa cadde per terra, Hermione la calciò con un piede, mandandola sotto il letto, in modo che entrambi non potessero arrivarci.

Si sedette sul letto riprendendo fiato, mentre Severus Piton ritornava nella sua posizione supina, chiudendo gli occhi e cercando di tenere i gemiti di dolore sottovoce.

-Come si sente?

Severus riaprì gli occhi guardando il soffitto.

-Prima mi minacci e ora mi chiedi come mi sento?"

Non voleva essere sgarbato, si sentiva esausto, ma quello scudo oramai consolidato da anni non cedeva neanche in quella circostanza.

-Sono due giorni che sono confinata qui dentro a vegliare su di lei, perciò, sì voglio sapere come sta.

Digrignò tra i denti.

Severus si rialzò di scatto e si ritrovò a pochi centimetri dal viso di lei, guardandola sprezzante.

-Nessuno ti ha chiesto di fare questo inutile e stupido e, soprattutto, non richiesto sacrificio.

Il viso dell'uomo, ancora pallido, era pervaso dall'ira. E faceva ancora più paura.

Hermione si ritrasse per un attimo.

-Visto che ha la forza di urlare, beh vuol dire che sta decisamente meglio!

Si ritrovò a sbraitare anche lei.

Lei gli aveva salvato la vita, e lui, non solo non la ringraziava, ma le urlava addosso. Si alzò dal letto piena di furia, e uscì sbattendo la porta.

Severus cerco di far confluire l'aria nei polmoni, quel gridare contro la Griffondoro le era valso un forte sforzo, la testa girava e quel momento di rabbia gli era costato.

Beh forse era davvero in netto svantaggio.

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Qualche ora più tardi, dopo aver sbollito la rabbia girovagando per casa, Hermione riuscì a calmarsi e provò nuovamente ad entrare in camera, sperando, non solo di avere una conversazione civile, ma almeno capire se davvero era il traditore o la spia.

Non sapeva cosa la guidasse, sapeva solo che voleva delle risposte, un modo per avere spiegazioni su quella guerra che l'aveva si temprata, ma in qualche modo distrutta.

Portò con sé dell'acqua, quasi come un'offerta di pace, e bussò lievemente alla porta per poi socchiuderla, trovò il suo professore con gli occhi chiusi, seduto con la testa reclinata contro la testiera del letto e le mani posate sul grembo. Le fece compassione, quasi tenerezza, sembrava vulnerabile come mai lo aveva visto.

- Smetti di fissarmi.

Hermione si riscosse, e appoggiò la sua offerta di pace sul comodino, per prendere posto sulla poltrona della camera.

Lui, senza lasciare la sua posizione, ascoltò nuovamente i suoi passi. Non poteva far altro.

- Posso fidarmi di lei?

- Dipende dalla tua forma di fiducia, sai chi sono e che cosa ho fatto.

- Allora, per adesso, facciamo finta che l'abbia. Risponderà alle mie domande?

Severus si sollevò e la guardò negli occhi, mentre i suoi capelli scivolarono sulla spalla, coprendo parte del viso, mentre un pizzicore gli si riversò nello stomaco.

Come poteva anche solo pensare di fare finta di aver fiducia in lui? Dopo tutto quello che era successo? Stupida sventatezza Grifondoro.

- Prima rispondi alla mia, dove siamo?

- Nella mia casa babbana, a Londra.

- Perché?

- Fanny ci ha portato qui.

Severus, alla menzione dell’animale, strinse una mano a pugno, con la sensazione, così poco familiare, di sollievo.

-Perché?

Lei sapeva che quella domanda era riferita al perché lui fosse lì vivo, ma in verità non sapeva cosa rispondere.
Lui era lì, su quel pavimento, in mezzo a tutto quel sangue, e non poteva far altro che provare. Non poteva lasciare che quella fievole speranza si abbattesse, non voleva che qualcun altro perdesse la vita in quella guerra.

Quando aveva praticato la respirazione bocca a bocca su di lui, impregnando tutto il suo essere, ogni molecola, ogni fiato e tutte le sue lacrime, sapeva che stava facendo la cosa giusta.

Forse poteva dirgli la verità.

Hermione, abbassò il capo, stringendo le mani sulle ginocchia, le parole erano lì, nella sua gola, eppure erano così difficili da pronunciare, così pressanti.

-Io… Non riuscivo, non potevo proprio…

Riprovò di nuovo, respirando lentamente.

-Fanny mi ha portato da lei, io… credevo fosse morto. E invece lei respirava, ed era lì e io… come potevo lasciarla così.

Severus ingoiò aria a vuoto, allargando gli occhi, vedendo la ragazza singhiozzare lentamente.
Quando era stato l’ultima volta che qualcuno aveva provato della compassione per lui?
Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma sembrava tutto così sbagliato, qualsiasi cosa gli venisse in mente non gli sembrava adatto.
E poi lui si aspettava di morire, aveva calcolato che la sua vita sarebbe terminata. Non c’era un dopo.
Lui era la pedina da sacrificare.
Lui stava abbracciando la morte, consapevolmente.
Forse.

L’ultimo pensiero lo fece fremere dentro, senza darlo a vedere, e le sue labbra si erano incollate e allora si recise nel suo mutismo.

In quel momento la testa di Hermione si abbassò ancora di più a causa dell’imbarazzo

-Io ho provato a rianimarla, seguendo il primo soccorso babbano, con la respirazione artificiale. Non so se lo ricorda?

Come poteva dimenticarlo? Quella sensazione di calore, di quiete, in quel momento così solenne, così imponente che lo stava accompagnando nell'oblio in quella maniera così leggera.
Ora così inappropriato.
Eppure era così vicino quel ricordo …

-No, non lo ricordo.

Si ritrovò a dire.

-Meglio così. Forse è il caso di cercare un guaritore, qualcuno che possa davvero sapere come sta. Dovrei portarla al San Mugo, solo che….

Hermione arrossì in particolare modo, Severus aggrottò la fronte aspettando che lei continuasse con quello che stava per dire.

-Avanti, Granger.

-Ecco, nessuno..nessuno, sa che siamo qui. E soprattutto nessuno sa che lei è vivo.

Severus chiuse gli occhi recependo tutte quelle informazioni.

-Tra quanto verranno?

Hermione alzò il viso.

-Chi?

-Coloro che mi porteranno ad Azkaban.

Hermione impallidì a quella eventualità, si alzò di scatto, impaurita ma determinata.

- Non lo permetterò. Non può.

Il cinismo di Severus riaffiorò sul suo viso, assottigliò gli occhi mentre un sorriso freddo come una lama gli affilò le labbra .

-Ho assassinato Albus Silente, anche se i Dissenatori avranno davvero poco come pasto.

Hermione si alzò di scatto, con una furia alienante, gli occhi spalancati le mani tremanti.

-Io non lo permetterò. Nessuno varcherà quella soglia, nessuno di magico o babbano o qualsiasi essere vivente.

La guardava quasi stupefatto, cosa era successo a quella giovane donna?

Poi si rispose da solo, e quella risposta bastò: la guerra e la morte cambiava chiunque.

E quella risposta lo turbò non poco: lei ne era stata marchiata.

- Devo prendere una bacchetta, devo mettere questo posto al sicuro. L'incanto Fidelius non sarà sufficiente.

Si muoveva spasmodica, come tirò fuori la bacchetta di Bellatrix, la gettò subito a terra, terrorizzata.

-Mi presti la sua.

-Granger.

- Mi dia la sua bacchetta, la prego, gliela restituirò.

- Granger.

Disse ancora determinato.

Lei si fermò accasciandosi sulle ginocchia, di fianco al letto, mentre lo guardava supplicandolo.

-La prego.

-Ascoltami.

Scosse nuovamente la testa, così disperata.

-Ascoltami. Nessuno è arrivato fino adesso. Vuol dire che siamo al sicuro. Che sei al sicuro.

Lei appoggiò la fronte sul materasso, mentre le spalle fremevano ad ogni singhiozzo.

- Ti presterò la mia bacchetta. Ma non ora. Non saresti neanche in grado di far volare un piuma.

Hermione scosse la testa, la massa di capelli scarmigliata e scomposta si mosse sul letto. Severus provò la tentazione di allungare la mano in quella massa, per darle conforto. Lui lo sapeva, capiva lo stato d'animo della giovane donna, era quello che provava lui da anni, solo ben celato.

Chiuse gli occhi e ricacciò quel sentimento indietro nel suo costato. E respirò a fondo.

-Te la presterò. Ora respira a fondo.

Hermione non alzò la testa, tremante.

-Mi dispiace.

Severus ingoiò a vuoto e chiuse gli occhi senza farsi vedere. Fino a che non sentì la mano di lei arpionarsi al suo braccio, con forza.

-Mi dispiace.

Ricacciò nuovamente il bisogno di allungare una mano verso la sua. Non poteva. L'avrebbe macchiata.

Un boato li fece sobbalzare dalla loro posizione, Hermione si staccò subito interrompendo il contatto, mentre Severus si pentì di non avere la sua bacchetta a portata di mano.

- Credo che l'ucellaccio non faccia parte di quella schiera che dovrebbe stare fuori dalla soglia, a quanto pare.

Mormorò Severus.

Fanny era tornata.