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Autore: saffyj    19/05/2016    8 recensioni
Edward ama sua figlia, ma deve fare i conti con i sensi di colpa che porta con sé. Penny, la figlia di Edward ha portato con sè tutto il dramma che ci si aspetta da un Masen.
Sequel della FF "Fridays at Noon" di troublefollows
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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CAPITOLO 3

 
 
“Wow, sembri davvero la ballerina più bella del mondo!” Alice prese in braccio Penny e la fece girare intorno.
“Lo sai che non dovresti sollevarla nella tua… condizione.”
“Sono incinta, non disabile” disse, sollevando gli occhi al cielo.
“Che ci fai qui?”
“Non hai tante cose di cui occuparti oggi? Porterò Faith alla lezione di danza al posto tuo.” Mi guardava come se fossi tonto.
Scossi la testa. “Non devi farlo per forza, Al­“
“Questo è ciò che fanno le famiglie, Edward. Ci aiutiamo l’uno con l’altro. Non devi fare tutto da solo.” Era la stessa cosa che Esme mi aveva detto ieri sera quando lei e Carlisle erano passati per portare Penny a prendere del gelato.
“Dai forza, mi piacciono moltissimo le lezioni di danza” mentii. “I weekend sono i miei unici veri momenti con lei, lo sai.” Quella era la verità. “E poi tu non hai un figlio tuo di cui occuparti?”
“Jackson sta trascorrendo la giornata con i suoi nonni. Portare Faith a danza mi aiuterà a prepararmi per questa piccolina.” Si diede un colpetto sul pancione. Alice finiva il tempo tra un paio di mesi. Sapevano che sarebbe stata una femmina.
Penny si aggrappò alla gamba di Alice. “Voglio che Zia Alice mi veda ballare.”
“Ho delle cose di lavoro di cui occuparmi che avrei incastrato mentre faceva il suo pisolino.”
“Beh, ora puoi fargli posto mentre è a danza” mi disse Alice prima di dare un buffetto sulla testa di mia figlia. “Saluta Papà, Faith.”
“Ciao!” Lasciò andare Alice e corse da me con le braccia sollevate così che potessi prenderla in braccio. “Ti voglio bene, Papà.”
La abbracciai stretta e le baciai la guancia prima di rimetterla giù. “Io ti voglio più bene. Fai la brava con Zia Alice.”
Fece scivolare la manina in quella della zia e si diressero alla porta. Penny si girò per guardarmi da lontano e mi salutò con un cenno. Io agitai le dita per lei. Stava diventando così grande… Non era più una bimba. Non ero pronto per quello. Ovviamente, quando si trattava di Faith, non ero mai pronto per nulla. Crescere un bambino certamente non era qualcosa che t’insegnavano al MIT.
Tornai nel mio ufficio strofinandomi gli occhi stanchi.
“Ha bisogno che rimanga nei dintorni?” mi chiese Tyler in piedi fuori dalla porta.
“Non c’è bisogno che ti fermi a meno che tu non voglia” risposi passandogli accanto per entrare in ufficio.
“Emmett sarà qui tra poco, giusto?”
Mentre mi sedevo gli occhi non poterono fare a meno di cadermi sulla foto di Isabella racchiusa in una cornice sulla mia scrivania. Era una sua foto il giorno del nostro matrimonio. La donna che aveva celebrato il nostro matrimonio aveva scattato alcune foto e questa era la mia preferita. Isabella stringeva premuto sul petto un piccolo bouquet di fiori tra le mani. Mostrava quel sorriso che diceva, ‘Non posso credere che mi hai fatto sposare senza indossare le mutande.’ Le era piaciuto, chi voleva prendere in giro?
“Em dovrebbe essere qui per pranzo. Vai. Puoi tornare stasera.”
“Non vorrei intromettermi.”
Piegai la testa e gli rivolsi uno sguardo che trapelava il mio fastidio.
Mi sorrise e mi rivolse un cenno di assenso. “Allora tornerò stasera, signore.”
“Bene.”
C’era ancora della formalità tra noi. Lui non aveva mai superato quel limite con me. Era un amico di Isabella e un mio dipendente. Anche dopo tutto ciò che era accaduto, mantenevamo ancora un rapporto emotivo cauto. Era più facile in quel modo.
Scossi la testa e mi misi al lavoro. La Masen Corporation era stata ingaggiata dal Governo statunitense per creare un cavallo di Troia (*virus informatico) che gli permettesse di infiltrarsi nei computer di gruppi terroristici conosciuti. Al momento era il progetto aziendale più grande e stimolante mai avuto. Ero coinvolto personalmente a tutti i livelli. Occupava una parte enorme del mio tempo, di conseguenza mi ritrovavo a trascorrere in ufficio molte più ore di quanto volessi. Però credevo di poter creare un programma che sarebbe stato totalmente irrintracciabile. Ero vicino. Molto vicino.
 
Inviai un paio di mail e parlai a Peter di alcune delle idee che avevo avuto riguardo il nostro ultimo tentativo. I miei occhi tornarono alla foto di Isabella. Mi mancava. Mi mancava in un modo che sembrava inimmaginabile. Feci correre il dito lungo il suo viso coperto dal vetro. Volevo toccarla di nuovo, più di quanto volessi qualunque altra cosa.
“Non riesco a credere che tu oggi stia lavorando su questo” disse Peter dal microfono del telefono.
“Mia sorella ha portato Faith a danza. Mi ha dato più o meno un’ora per finire le cose.”
“Pensavo solo che oggi ti stessi barcamenando con troppe cose.”
“Peter, gestisco una compagnia multi­miliardaria. Le mie abilità di gestione sono forti.”
“Non stavo mettendo in dubbio le tue abilità di dirigere le cose.” Rise. “Solo pensavo che lavorare sarebbe stata l’ultima cosa che avevi in mente.”
“Posso sempre trovare tempo per incastrare un po’ di lavoro. Per questo la Masen
Corporation è ciò che è.”
Ridacchiò di nuovo. “Lo vedremo.”
“Datti da dare con quel codice. Ti chiamerò lunedì” dissi premendo il bottone per disconnettere la chiamata prima che potesse dire qualcos’altro. Non sapeva di cosa parlava.
Isabella s’infastidiva molto per la mia abilità di incastrare il lavoro quando ero a casa. Guardai di nuovo la sua foto.
 
 
***
 
“Avevi detto che stasera eri tutto mio. Questo non vuol dire essere tutto mio” mi sussurrò mentre tentavo di finire la mia telefonata.
Sollevai un dito cercando di comunicarle che avevo bisogno solo di uno o due minuti in più. “Ho sentito quello che hai detto, Tanya. Capisco che le cose sono più complicate di come vorrei. Questo non vuol dire che non possono essere fatte.”
“Edward, stai chiedendo qualcosa che non può essere fatto nel lasso di tempo che pretendi” rispose Tanya risentita.
“Penso che se ognuno farà il proprio lavoro può essere facilmente ottenuta nei tempi stabiliti.”
Isabella si sporse in avanti e si appoggiò sulla scrivania. “Penso che se non stacchi il telefono, la sola cosa che otterrai sarà che andrò a letto. Da sola.”
La guardai storto e premetti il tasto muto sul telefono mentre Tanya produceva una manciata di scuse per le quali il suo gruppo non sarebbe stato in grado di soddisfare le mie scadenze.
“Isabella, ho bisogno di due minuti. Puoi smetterla di fare la melodrammatica?”
“La melodrammatica? Vuoi vedere cosa fa una melodrammatica?” Si alzò e si diresse verso la porta.
“Fermati!” Urlai. Sorprendentemente, mi ascoltò ma non si girò. “Siediti e dammi due dannati minuti. Mi dispiace. Se non mi occupo di questa cosa, il progetto non sarà finito in tempo. Due minuti.”
Mia moglie si girò lentamente, gli occhi piantati nei miei. “Due minuti, Edward. E’ tutto.” Si sedette nuovamente, gambe e braccia incrociate in modo rabbioso. Era bellissima anche quando era arrabbiata. A volte mi piaceva farla arrabbiare per vederla così.
Schiacciai il bottone del tasto muto così che Tanya potesse ascoltarmi. Parlammo delle sue preoccupazioni e provai a cercare delle soluzioni. Passarono due minuti ed ero ancora al telefono.
 
Isabella iniziò a scimmiottarmi a bassa voce dall’altro lato della scrivania. “Oh Isabella. Voglio un bambino. Voglio un bambino più di ogni altra cosa. Per favore, per favore non fare le iniezioni. Proveremo per un paio di mesi e vedremo come andrà.”
Mi aveva accontentato e non aveva fatto le iniezioni contraccettive. Ora, secondo i libri e il calendario, i prossimi giorni erano i momenti migliori per rimanere incinta durante la sua ovulazione. Le avevo promesso la mia piena e totale attenzione. Sfortunatamente io non stavo soddisfando la mia parte dell’accordo. Mi stava incenerendo con gli occhi. Provai a mimare un ‘mi dispiace’ e che avevo bisogno di un altro minuto. Se non mi fossi sbrigato, sarebbe andata a letto e si sarebbe addormentata prontamente per ripicca.
“Posso mettere qualcun’altro a lavorarci se è ciò di cui hai bisogno, Tanya, ma pensavo che lo volessi fare tu.”
“E’ così. Lo voglio!” professò Tanya. “Sto facendo di tutto per provare a farlo funzionare, ho bisogno solo di un po’ più di tempo.”
“Non ho più tempo da concederti” replicai guardando mia moglie alzarsi di nuovo. “Siediti.” Indicai di nuovo la sedia che Isabella aveva lasciato libera.
“Scusami?” disse Tanya pensando che parlassi con lei.
Pensavo che Isabella stesse progettando di andarsene invece allungò le mani sotto la gonna e iniziò a tirarsi giù le mutandine dalle gambe. Questo davvero non me lo aspettavo.
“Non tu” dissi al telefono, incapace di staccare gli occhi di dosso dallo spettacolo che si prospettava di fronte a me.
Isabella si liberò delle sue mutandine di seta bianca e le lanciò sulla scrivania. Atterrarono sulla sua foto. Spinse indietro la sedia, lontana dalla scrivania e si sedette nuovamente. Da qui avevo una visuale perfetta di tutto il suo corpo. Accavallò le gambe e mi stuzzicò sollevando un sopracciglio. Sapevo cosa stava facendo, cosa stava per fare. Lentamente allargò le gambe come Sharon Stone in Basic Insinct. I miei occhi si allargarono mentre mi offrì una vista perfetta della più perfetta fica che avessi mai visto. Iniziò a sbottonarsi la camicetta ma si fermò proprio quando potevo vedere a malapena il coordinato di seta del suo reggiseno. Avevo la bocca spalancata, gli occhi spalancati e pregavo che continuasse.
“Edward? Edward?” La voce di Tanya invase il mio cervello molto occupato.
“Ti devo lasciare.”
Isabella sorrise e le sue dita iniziarono a slacciare il resto dei bottoni.
Chiusi il telefono in faccia ad una Tanya estremamente confusa. “Sei malefica. Lo sai vero?”
“Sei tu ad avermi fatto delle promesse. Se avessi un nichelino…” mi stuzzicò, aprendo la camicetta fino alla fine così che potessi vedere quei seni graziosi in quel reggiseno all’apparenza innocente. Mia moglie era tutt’altro che innocente. L’avevo trasformata chiaramente in una donna arrapante e sexy.
Mi alzai dalla poltrona e girai intorno alla scrivania, sedendomi sull’altro lato. Godevo nel guardarla. “Se la Masen Corporation andrà in bancarotta, non avremo modo di sostenere questo bambino che stiamo programmando di fare. Come conviverai con te stessa?”
Fece un sorrisetto e si tolse completamente la camicetta. “Qualcosa mi dice che la Masen Corp resterà in forma.”
Incrociai le braccia sul petto. Volevo toccarla, ma questo era un gioco e volevo giocare. Si allungò all’indietro e sganciò il reggiseno. Le bretelle iniziarono a caderle dalle spalle ma lo teneva contro il petto per non farmi vedere ciò che volevo vedere. Decisi di unirmi a lei e mi slacciai la cintura. La tirai via dai passanti e piegai la cinta di pelle nera a metà, colpendola con lentezza contro il palmo.
“Probabilmente dovrei sculacciarti se dovessi causare qualche danno alla mia compagnia, signora Masen.”
Alzò gli occhi al cielo e si alzò. Non era per niente spaventata da me.
“Avvicinati a me in qualunque modo con quella cintura e la tua preziosa piccola azienda sarà la sola cosa che ti scalderà la notte, signor Masen.”
Non potevamo permettercelo. Posai la cintura sulla scrivania e finii di togliermi i pantaloni. Si avvicinò a me come un predatore pronto all’attacco. Amavo la confidenza che trasudava nei miei confronti. Amavo che sapesse di avermi in pugno. Amavo che non dubitasse mai che avrei fatto qualunque cosa volesse. La amavo. La amavo completamente.
Si fermò di fronte a me mentre allentavo la cravatta. Fece cadere le braccia ai lati, che portarono il reggiseno giù con loro. Dovevo toccarla. Non ci fu alcuna resistenza. Toccai con il palmo della mano tutte e due i seni e mi piegai per baciarle le labbra. Nemmeno lei fece resistenza. Si mise al lavoro con la cravatta e la camicia, mentre io la toccavo senza vergogna.
“Provare a fare dei bambini sarà il mio passatempo preferito. Lo so” Dissi tra un bacio e l’altro. Mi liberò della camicia e la lasciò cadere sul pavimento. Smisi di palpeggiarla quel tanto che bastava per spostare alcune cose dalla scrivania, così che potessi poggiarla su di essa. Stare dentro di lei era il mio solo obiettivo. La spinsi ad allargare le gambe e mi misi al lavoro per creare il mio erede.
“Sto sperando che ci voglia qualche mese.” Mi sorrise mentre mi guardavo entrare e uscire da lei.
Feci correre una mano sulla sua pancia, immaginandola un giorno grande e tonda. Isabella era destinata a essere una madre magnifica. Lei mi avrebbe insegnato come essere un buon genitore. Avremmo imparato insieme. Avremmo superato i momenti difficili, festeggiato i piaceri e avremmo risolto tutto quello che sarebbe arrivato nel mezzo insieme, perché insieme potevamo fare qualunque cosa.
“Sono sempre stato una persona ambiziosa, Isabella. E’ molto probabile che tu sia incinta di due gemelli prima della fine della giornata.”
Ridacchiò e la sua risata mi rese felice. Fece anche contrarre le mie viscere, rendendo difficoltoso il tentativo numero uno di durare più di due minuti.
“Ti amo” mi confessò con gli occhi legati ai miei.
“Ti amo anch’io. Dannatamente tanto.” Era l’assoluta verità. Provavo così tanto amore per lei, era quasi un’entità separata. Era come una cosa vera e tangibile che potevo toccare, assaggiare e vedere. Venni dentro di lei e già sapevo. Sapevo che avevamo creato un bambino perché qualcosa doveva essere stato creato dal tipo di amore che Isabella ed io condividevamo.
Era troppo potente, troppo grande per essere negato.
 
 
***
 
 
“Chi ha lasciato la porta del bagno aperta?” urlò Charlotte da qualche punto della casa. Sospirai, sapendo che c’era una sola ragione per la quale stava facendo quella domanda: Cupcake aveva colpito ancora. Mi alzai e mi diressi alla porta scontrandomi con la peste canina in persona. La carta igienica penzolava dalla sua bocca e mi stava guardando come se stesse valutando quanta carta poteva ancora portare in giro per casa prima che fosse catturata e chiusa a chiave nella sua dannata gabbia. Mi maledii per non aver pensato a chiuderla là dentro mentre Penny era fuori.
“Cupcake…” la chiamai cautamente. Era una cagnolina che correva velocemente. Lo sapevo e lei sapeva che lo sapevo. “Ferma. Ferma, cucciola.” Rimase ferma, gli occhi puntati nei miei mentre mi avvicinavo. “Brava cucciola.” Ero vicino. Molto vicino. Decollò, portandosi dietro la carta igienica. Quando mi girai verso l’altro corridoio, vidi che aveva praticamente srotolato l’intero rotolo.
La Charmin* sventolava ovunque. *(carta igienica famosa come la nostra scottex.)
Charlotte mi avrebbe ucciso, anche se non era colpa mia. Non avevo lasciato la porta del bagno aperta. Sapevo che dovevamo chiudere la porta o la bastardina malvagia sarebbe entrata lì dentro e avrebbe fatto esattamente questo. Probabilmente era stata Penny, Char dovrebbe essere arrabbiata con Penny invece sapevo che avrebbe incolpato me. Nessuno in questa casa si arrabbiava mai con quella bambina.
Strappai la carta a terra così che lo stupido cane corresse intorno con qualunque cosa ci fosse nella sua bocca senza creare una scia di carta più lunga e iniziai a ripulire il casino.
“Quello era un rotolo appena preso” si lamentò Charlotte. “L’ha portato in giro per tutto il salone e su e giù per l’ingresso. Un vero spreco.”
“Lo pulirò io.” Mi offrii. Avevo già una bracciata di carta. “Sono sicuro sia stata Faith a lasciare la porta aperta.”
“Uno di questi giorni, dirò ‘o me o il cane’.”
“Per favore, fallo” la pregai. “Dillo. Sai che sceglierà te. Sarebbe persa senza la sua Lala.” Avrei dato qualunque cosa per essere in grado di liberare la casa da quel cane.
“Giusto.” Si accigliò. “Come se mi piacesse fare la parte della cattiva. Tu hai comprato il cane. Tu sei quello che dovrebbe addestrarla o liberarsene.”
“Quando dovrei addestrarla? Non ho tempo. Presto ne avrò ancora meno. Forse posso assumere un dog whisperer che venga qui e la addestri.”
Charlotte mi guardava come se fossi pazzo. “Puoi assumere tutti i dog whisperer che vuoi, ma addestrare un cane significa anche addestrare se stesso oltre che il cane. Deve imparare a obbedire a te non a un dog whisperer che non vive qui.”
“Forse potrei trovare qualcuno che voglia vivere qui. Un addestratore di cani residente.” Sembravo disperato perché lo ero veramente.
Charlotte scosse la testa e tornò in cucina. Pensava che fossi perso. Forse lo ero. Non ero bravo a fare tutto questo per conto mio. Ero bravo a delegare. Ero bravo a dirigere e ordinare. Ero eccellente nel fare in modo che tutti gli altri facessero quello che gli chiedevo di fare. Non ero così bravo a fare tutto da solo.
“Ciao!” La voce di Emmett rimbombò mentre entrava in casa. Avevo raccolto tutta la carta igienica quando mi trovò. “Qualcuno ha lasciato la porta aperta in bagno di nuovo, huh?”
Gelai con lo sguardo lui e il suo sorprendente spirito di osservazione. “Butta via questo nel garage.” Spinsi l’enorme pila di carta igienica nel suo petto. M’impressionava quanto casino che poteva creare un piccolo rotolo. Emmett emise un sospiro frustrato ma fece come gli dissi.
Lo aspettai in cucina, poiché era qui per pranzo. Charlotte aveva già del cibo pronto sistemato per noi. Non voleva parlare con me. Si muoveva nella stanza come se io non fossi presente.
“Grazie per aver preparato il pranzo.” Speravo che mostrarmi educato potesse aiutarla a perdonarmi più velocemente. Espresse la sua disapprovazione e mi passò una limonata appena fatta con una fetta di limone caramellato sul bordo. Mi voleva bene. Almeno era quello che credevo finché non ne passò uno anche a Emmett quando si unì a me. Forse ci amava entrambi.
 
“Allora, papone, che succede? Dov’è Faith?” Emmett si guardò intorno come se mia figlia potesse nascondersi da qualche parte nella stanza.
“E’ a danza. L’ha portata mia sorella.” Guardai l’orologio. Dovrebbero essere a casa a quest’ora.
Avevo lasciato il telefono in ufficio. Non c’era ragione di essere ansiosi ma ero iperprotettivo anche se cercavo di contenermi.
“Oggi pensavi di farti una doccia e vestirti o cosa?”
Guardai me stesso. Indossavo ancora la T­Shirt e i pantaloni del pigiama. Tra il prendermi cura di mia figlia e lavorare un po’ non avevo avuto un momento per prendermi cura di me stesso.
“Ne farò una dopo pranzo. Tu e Faith potete fare un gioco mentre mi lavo.”
Emmett trovava divertente che fossi così trasandato. “Amico, tu sei abituato a essere un tipo che appare come un miliardario mattina, pomeriggio e sera. Una bimba di quattro anni le vince tutte con te.” Posò il dito sulla macchia di sciroppo sulla mia T­shirt.
Scacciai via la sua mano. “Un giorno scoprirai che vuol dire. Aspetta e vedrai.”
Il sorriso di Emmett si spense in fretta. Non era mia intenzione incupirgli l’umore. Emmett e Rosalie avevano rotto quasi un anno fa. Non era uscito seriamente con nessun’altra da allora. Desiderava sposare Rosalie ma lei aveva altre idee. Idee che l’avevano portata dall’altro lato del paese per condurre un ristorante a New York. Io ed Em avevamo trascorso molto tempo a parlare della scelta tra carriera e amore. Gli aveva spezzato il cuore. Em aveva pensato di chiederle se poteva andare con lei, ma in qualche modo anche lui aveva preferito la carriera a lei. Anche se a me piaceva pensare che fosse rimasto perché la nostra amicizia e il suo amore per la mia famiglia erano più importanti del suo lavoro come guardia del corpo. Emmett adorava Penny. Si era totalmente innamorato dal momento in cui aveva posato gli occhi su di lei. Non aveva trovato la forza di andare via, immaginando di riuscire a gestire la loro relazione a distanza per un po’. Rosalie non gli aveva mai chiesto di seguirla. Dopo circa sei mesi dalla sua partenza l’aveva chiamato e gli aveva detto che aveva incontrato un altro. Pensavo di vederlo distrutto, ma avevo torto. Quest’ultimo anno è stato pieno di diversi alti e bassi ed ultimamente sembrava più felice.
 
La mia Penny arrivò saltellando in cucina, sollevando immediatamente il mio spirito e quello di Emmett.
“Papi, abbiamo fatto dei salti sopra i Beanie Babies* oggi! (peluche tipo trudi.)
Sono stata così brava che Zia Alice mi ha comprato il gelato.” Mostrò le sue abilità nel salto buttandosi direttamente tra le mie braccia.
Mia sorella entrò con uno sguardo di scuse sul viso.
“Beh, spero che tu abbia ancora spazio per il pranzo” dissi, fulminando Alice. E tutti dicono che vizio la bambina.
“Ce l’ha sicuramente.” Alice salutò Emmett con un bacio sulla guancia e un ‘felice di vederti’. “Abbiamo diviso un sundae. Sono una donna incinta, per cui sai che ne ho divorato la maggior parte.”
“Questo non è giusto. Ti volevo portare fuori io a prendere il gelato dopo pranzo” disse Emmett, facendo il solletico sulla pancia di mia figlia coperta dal body.
“I suoi nonni l’hanno portata fuori ieri sera. Niente più gelato per questa qui. Si trasformerà in un gelato se non state attenti, gente” dissi.
“Non posso dire di no al gelato, Papi! Giusto, Lala?”
“Giusto, le bambine non possono rifiutare il gelato” replicò Charlotte.
“L’ha detto Lala, perciò è vero.”
“Lala non ha sempre ragione, non è vero?”
“Sempre.” annui Penny.
Charlotte mi stava guardando male. Avevo dimenticato che dovevo ancora fare ammenda.
“Ovviamente Lala ha sempre ragione. Non penso di ricordare una volta in cui si è sbagliata. E’ molto saggia. Ci siamo già passati stamattina su questo fatto, non è vero?”
Charlotte annuì e sorrise. La stavo riconquistando.
“Ti unisci a noi per pranzo?” Chiesi a mia sorella mentre Charlotte iniziava a riempire un piatto per Penny.
Guardò il suo orologio. “Dovrei andare a casa. Posso tornare, però, giusto?” Sapevo che l’avrebbe chiesto.
“Pensavo che fossimo d’accordo che saresti venuta domani. Non vuoi stare con Jasper stasera?”
“Per favore” mi supplicò. Allargò gli occhi come quel dannato gatto in quei film sull’orco che avevo visto con Pennylove.
“Poi Esme vorrà venire…” argomentai.
“Non glielo dirò. Per favore?”
“Se lei può tornare, io rimango” disse Emmett con la bocca piena di sandwich. Guardai storto Alice.
“Visto cos’hai generato?”
“Sono tua sorella. Ti voglio bene. Per favore.”
Penny sospirò sul mio grembo. “Lasciala tornare, Papi. Le sorelle sono molto importanti.”
Abbassai la testa e baciai la sua dolce guanciotta. “La dovrei far tornare, huh?” Le solleticai i fianchi, facendola dimenare.
“Basta! Papi, basta!”
“Va bene.” Smisi di fare il solletico a mia figlia e guardai Alice che stava sorridendo e gli occhi stavano iniziando a lacrimarle. Devono essere gli ormoni della gravidanza. “Le sorelle sono importanti e tu, mia cara sorella, puoi tornare stasera per un po’.”
Si strofinò gli occhi, “Mi accompagni fuori?” Fece cenno con la testa verso la porta.
Mi alzai e feci sedere Penny sulla mia sedia. “Non lasciare che Zio Emmett si mangi tutto il cibo prima che torni.”
Ridacchiò verso Emmett che gonfiò le guance mentre masticava. Io accompagnai Alice alla porta principale.
“Sei così bravo con lei” disse, avvolgendomi in un abbraccio. “Non hai idea di come mi renda felice vederti così con lei, vedere quanto la ami.”
“E’ mia figlia. Certo che la amo.”
“Beh, sappiamo entrambi che essere il figlio di qualcuno non ti garantisce automaticamente il loro amore o il loro affetto.”
Lo sapevamo fin troppo bene. Era finita, però. I miei sentimenti per mio padre e la sua mancanza d’amore per me erano stati messi a riposo. Ero degno d’amore e anche molto capace di darne. Alice, insieme con Isabella, è stata quella che si preoccupava di più riguardo a come avrei fatto con un bambino mio, specialmente date le circostanze. A volte mi sembrava che fosse sorpresa di quanto amassi Penny. Cercavo di non sentirmi ferito dal fatto di averle instillato dei dubbi. Avevo compreso che tutti avevano avuto dei dubbi sul mio comportamento sia prima che subito dopo la sua nascita.
 
***
 
“Per quanto tempo pensi di punirla esattamente?” Alice non si preoccupò di dire ciao mentre piombava nel mio appartamento.
“Non la sto punendo.”
“Ora ha bisogno di te e tu sei qui, a fare i capricci come un bambino.”
Non ero tornato a casa da due giorni. Non avevo neanche dormito per due giorni. Probabilmente era complice il fatto che ero incapace di avere una conversazione razionale con mia moglie. Avevamo tentato invano di parlarci un paio di volte per telefono. Entrambe le telefonate erano finite con me che urlavo e lei che piangeva.
Rientrai nel salone e tornai al mobile componibile, vicino a una bottiglia quasi vuota di scotch. “Sta scegliendo il bambino a me.”
Alice si sedette vicino a me, si sforzava di contenere la sua furia. “Cosa? Ma ti ascolti? Non farlo. Non essere come lui.”
“Potrebbe morire, Alice! Nessuno di voi lo capisce?” La mia voce riempiva la stanza mentre agitavo le braccia. Nessuno era qui eccetto me e mia sorella. Tutti erano con Isabella. Tutti erano dalla sua parte. Perfino Emmett. “Nessuno ha mai pensato che sia stupido fare nascere un bambino in questo mondo senza una madre? Che cosa dirai a mio figlio quando chiederà perché la sua mamma non è qui? Sei disposta a essere quella che gli dirà che ha ucciso sua madre?”
Alice chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, liberandolo lentamente dal naso.
I suoi occhi si aprirono e finalmente vidi un po’ di cazzo di comprensione per il mio ginepraio. “Nessuno dirà questo al tuo bambino perché Isabella non morirà. Bella è forte. Hai dei suggerimenti in anticipo, i migliori dottori, le migliori strutture. Carlisle farà tutto ciò di cui avrai bisogno. Non le accadrà nulla. Lei e il bambino ne usciranno più che bene. Devi crederci, Edward.”
“La gente muore! La gente a cui tengo muore per causa mia!” Abbassai la testa tra le mani. “Volevo questo bambino più di lei. Sono stato io a farle questo. Devo liberarmene, così che non accada nulla. Devo fermare questo prima…” Non riuscivo a finire la frase.
Sentii le braccia di Alice avvolgermi al meglio che poteva mentre singhiozzavo. Quando mi calmai, mi strinse forte a sè. “Liberarsi della vita che hai creato, non è il modo di salvarla. Lei ama il bambino. Ama te. Il bambino è parte di entrambi.”
“Ormai non sento più niente per questo bambino” confessai. “Niente.”
“Non ti credo. Penso che tu abbia paura, ma tu non sei Papà. Non lo sei.”
Quella crisi mi aveva ributtato di nuovo nel buco nero da cui avevo combattuto con le unghie e con i denti per uscirne da quando avevo incontrato Isabella. Non volevo essere mio padre, ma per la prima volta nella mia vita riuscivo quasi a capirlo. Ero fedele al mio credo per il quale se fosse successo qualcosa a Isabella, avrei odiato il bambino che l’aveva uccisa. Non c’era nient’altro che riuscivo a sentire.
 
***
 
A volte ero impossibilmente testardo ed era un miracolo che qualcuno volesse avere a che fare con me.
“So che giorno è oggi comunque. Qualcuno me l’ha detto.”
“Davvero?” sapevo chi glielo aveva detto. Non mi stupiva che fosse così preoccupata per me.
Alice mi mise la mano sul braccio. “Ho sentito anche che vai in visita ogni anno in questa giornata.”
“E’ vero. Ho intenzione di andare prima che­“
“Potrei venire con te” m’interruppe, abbassando il capo. Mi fece sorridere. A volte era come se fosse lei la sorella più grande nel rapporto. Faceva sempre attenzione a me, sempre a preoccuparsi che qualcuno si prendesse cura di me se non c’era lei. Era qui per me anche quando non c’era nessun altro.
“No. Puoi venire qui e aiutare Charlotte con Penny” proposi “ed Emmett dal momento che sei tu la ragione per cui sarà qui.” Risi quando s’imbronciò per un momento.
“Ci vediamo dopo allora” disse, dandomi una pacca sulle spalle.
“A dopo.” Le baciai la guancia e le aprii la porta.
Riuscivo a sentire Penny ridere a crepapelle in cucina. Emmett la stava certamente intrattenendo. La mia bimba era circondata costantemente d’amore. Avrei fatto in modo che fosse così sempre.

 

OK! DI STASERA HO DATO... ADESSO VADO A NANNA E SE TUTTO VA COME DEVE ANDARE DOMANI SERA CONTINUO CON QUESTA MAGNIFICA STORIA!!!

SE PER CASO AVETE INIZIATO A LEGGERLA SENZA CONOSCERE IL PREQUEL... 
QUESTO E' IL LINK

Friday at Noon
E VI CONSIGLIO VIVAMENTE DI LEGGERLO PRIMA DI CONTINARE CON QUESTA STORIA, PERCHE' CI SONO TANTISSIMI RIFERIMENTI A "FRIDAYS AT NOON"!!!
   
 
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