Anime & Manga > Rossana/Kodocha
Segui la storia  |       
Autore: Juliet88    20/05/2016    3 recensioni
Mi sembrava fossero passati secoli invece che sei anni.
A pensarci bene, erano -già- passati sei anni. Sei anni da quando per impegni lavorativi dovetti trasferirmi a Beverly Hills. Sei anni da quando salutai e vidi per l'ultima volta il viso di mia madre, del mio agente Rei, i visi dei miei amici. Sei anni in cui la mia carriera aveva decisamente preso la piega giusta, contratti su contratti che mi portarono, appunto, a trascorrere tutti questi anni lontano dal Giappone. Lontano da casa mia.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
ghnh "Akito! Akito! Ma dove ti sei cacciato?"
Alzai gli occhi al cielo. Odiavo essere disturbato quando leggevo, e quella vocetta stridula non potè che aggravare il mio disappunto.
L'ospite indesiderata continuò a urlare il mio nome, come se non gli importasse se avessi da fare o meno. Il mio sguardo fermo sulla porta, consapevole che prima o poi si sarebbe aperta, e tanti saluti al relax a cui  mi stavo dedicando.
"Akito! Ti ho trovato! E' da cinque minuti che tento di trovarti. Potresti anche rispondere, che razza di fratello strambo che ho"
"Nat, stavo leggendo, come puoi vedere. Dì quello che hai da dirmi e poi lasciami in pace"
Lei ripetè il gesto fatto da me poco prima, quando sapevo che sarei stato distolto dalla mia solitudine. Tuttavia non desistette dal raccontare qualsiasi diavoleria le circolasse per il cervello, dato che conoscesse bene il mio carattere non proprio socievole.
"Ti è arrivata la notizia? L'ho appena saputo da Aya, in realtà non voleva lo dicessi a nessuno, e per questo devi promettermi di mantenere il segreto" disse, su di giri.
La osservai, con la mia solita indifferenza.
"Se si tratta di un segreto forse non dovresti divulgarlo così" cercai di tagliare.
Mia sorella si portò le braccia al petto, e si avvicinò verso di me, prendendo posto sul mio letto, mentre io, di malavoglia, mi spostai per permetterle di farlo.
"Quasi sicuramente Aya l'avrà detto a quel tuo amico occhialuto di Tsuyoshi, quindi lo sapresti comunque..."
"Nat, per amor del cielo, vuoi deciderti a parlare? Stavo leggendo e sai bene quanto voglia stare in pace quando lo faccio" riposi, forse un po' bisbetico, ma sincero.
"Beh...indovina un po' chi  tra qualche giorno tornerà qui in Giappone direttamente dagli Stati Uniti!" quasi gridò, entusiasta.
E non ci volle molto prima che realizzassi l'unica persona possibile di cui potesse parlare Nat. Il mio sguardo si spostò dai suoi occhi a un punto qualsiasi della stanza, evidentemente sorpreso e sconvolto. Sentii una morsa allo stomaco, ma la soffocai immediatamente, avrei dovuto continuare a parlare prima che lei potesse dire il suo nome. Avevo capito di chi stesse parlando, ma non avevo alcuna voglia di udire dopo anni quel nome che con sforzo e dolore avevo cacciato dalla mia testa e dal mio cuore.
"Mmh, ho capito di chi stai parlando. Sono contento per lei" mi rivolsi a mia sorella, tornando a leggere, o fingere di farlo, ostentando quella solita tranquillità, quella solita noncuranza di cui mi vestivo.
Lei si alzò.
"E' tutto quello che hai da dire, Akito? Mi sembrava foste molto amici qualche anno fa" esclamò, arrabbiata e amareggiata dalla mia reazione.
"Nat, non prenderò a saltellare e urlare per tutta la stanza con te, se è questo ciò a cui stavi pensando. Lascio queste cose a voi del genere femminile. Va' da Aya, se ne senti il bisogno"
"Ah, sei veramente irrecuperabile, Akito! Ci vediamo." Con queste parole si voltò e lasciò la mia stanza, facendo ondeggiare più del normale i suoi capelli ormai lunghi fino a metà schiena. Voleva farmi notare quanto fosse arrabbiata dalla durezza delle mie frasi, ma sapevo che avrebbe dimenticato tutto entro qualche minuto.
Sorrisi appena, divertito da quella sua recita, mentre sbatteva la porta, riportandomi a quella solitudine iniziale a cui tanto auspicavo da quando fu rotta da mia sorella. Una solitudine diversa però. Una nuova sfumatura. Adesso i pensieri e le preoccupazioni sostituirono la tranquillità e la pace di poco prima, e non potei fare a meno di odiarmi. Odiarmi perchè quella ragazzina fastidiosa avesse ancora la capacità di sconvolgere e destabilizzare il mio stato d'animo.
I miei pensieri, che stavano già salpando, furono interrotti da qualche piccolo colpo alla mia porta.
"Chi è?" domandai, con evidente fastidio.
Aprì piano la porta, mentre i capelli e il viso di mia sorella sbucarono, facendo capolino.
"Ho preparato il sushi stamattina, so che ne vai matto, per cui te ne ho lasciato un po' sul tavolo in cucina. Io vado...ciao Akito" disse, mandandomi un bacio.
Sapevo l'arrabbiatura le fosse già passata, conoscevo abbastanza mia sorella per poter immaginare quasi con precisione chirurgica i suoi gesti e i suoi pensieri.
La ringraziai, e guardai la porta chiudersi, stavolta in modo permanente.
Chiusi il libro, mi sembrò ridicolo anche solo pensare di poter tornare a dedicarmi alla lettura, seppure del maestro di karate Funakoshi, quando nella mia testa avevo solo un viso che era tornato a tormentarmi.
Un volto. Un volto che era stato con me durante tutti i primi anni dell'adolescenza. L'unica persona che aveva il potere di scombussolarmi così. Mi concentrai sull'ultima immagine che il mio cervello aveva registrato di lei. Un viso così armonioso, con occhi color cioccolato sempre luminosi e amichevoli, resi ancor più splendenti dalle lacrime che in quella giornata di sole bagnavano il suo viso. I dettagli ancora acerbi, ma meravigliosi. Sorrisi amaramente quando ricordai che il contesto fu proprio l'aeroporto. Tipico.
"Ragazzina egoista" bisbigliai a me stesso.
Dimenticare quella voce, quel carattere tanto odioso quanto adorabile fu probabilmente la cosa più difficile che feci durante la mia vita, ma ci ero riuscito, avevo messo da parte Sana, per pensare un po' anche a me, esattamente come lei pensasse a quel suo dannato lavoro e solo a se stessa. Grazie anche a Tsuyoshi, sarebbe da codardi negarlo, e alla sua pazienza, al karate, la rabbia che provai inizialmente fu sostituita dalla rassegnazione, la rassegnazione fu sostituita dall'accettazione, Kurata apparteneva al mio passato. Un passato che avrei sempre portato in un piccolo spigolo del mio cuore, inevitabilmente, ma pur sempre passato e non poteva nè avrebbe dovuto fare parte del mio futuro.
I miei occhi andarono verso l'ultimo cassetto del mio comodino, dove sapevo avrei trovato un'oggetto che per tutti quegli anni avevo scelto di non guardare più.
Andai lentamente verso quel cassetto di legno chiaro, abbassandomi sulle ginocchia. Eccolo lì, quel piccolo dinosauro che quella testa rossa inarrestabile aveva pensato di donarmi quando avevamo appena 12 anni.
Come sarebbe stato rivederla? Avrei provato indifferenza? Avrei provato insofferenza?
Durante quegli anni il mio carattere era andato migliorandosi, grazie anche alla maturazione, nonostante fossi fermamente dell'idea che io un bambino vero e proprio non lo ero mai divenuto. Ma Kurata mi aveva aiutato in questo, e le sarei stato sempre riconoscente. In fondo la mia vita di adesso era anche merito suo. Avevo Tsuyoshi, mia sorella, mio padre, tutti miei compagni di classe delle elementari con cui non avevamo mai sciolto i legami. E anche Kurata era una mia amica, la mia prima vera amica. Ricordai come risultasse naturale aiutarci a vicenda, essere presente quando l'altro stava male, quando ne avevamo bisogno. Le cose divennero complicate solo quando non riuscimmo a evitare che il nostro legame diventasse qualcos'altro, permettendo che i sentimenti, prima miei che suoi, ad essere sinceri,  mettessero a dura prova il nostro rapporto.
Ma adesso ne ero sicuro, quei sentimenti avevano cessato di esistere, saremmo potuti tornare ad essere amici come un tempo. Forse.
Mangiai il sushi di fretta, mentre mi preparai per andare nella mia palestra, per tenere la lezione con quei marmocchi desiderosi di apprendere l'antica nobile arte del karate.
Al termine della lezione, salutai tutti i bambini, mentre mi accorsi di un paio di occhiali da vista intenti a fissarmi fuori la porta.
Tsuyoshi.
Se quella mezza cartuccia comincia a parlarmi di Kurata gli assesto un bel destro, promisi a me stesso, anche se ero perfettamente consapevole che l'avrebbe fatto, e perfettamente consapevole che non avrei mai avuto la forza di fargli del male.
"Akito, ciao!"
"Ciao, Tsu"
Qualche secondo di silenzio dopo il mio saluto, mentre osservai lui  sfregarsi nervosamente le mani.
Mi fece sorridere vederlo così impacciato, consapevole del motivo per cui lo fosse. Così decisi di giocare un po' su questo.
"Beh? Sei venuto per osservare il parquet? Ha delle belle sfumature, effettivamente..."
Sorrise istericamente.
"N-no..in realta sono venuto per dirti una cosa..."
Poggiai le mie spalle alla parete, intrecciando le mie mani, cercando di non ridere.
"Ti ascolto" gli risposi, cercando di incoraggiarlo.
I suoi pugni si strinsero.
"Ma ti avverto Tsuyoshi, non ho tempo da perdere. Quindi, prima che ti lasci qui a parlare con chi pulisce la palestra, dimmi quello per cui sei venuto"
"S-si...ecco...Oggi ho parlato con Aya"
Sollevai le sopracciglia.
"Hai parlato con la tua ragazza. Bene. Lo appunterò nel mio diario segreto"
Continuò a fingere di ridere.
"Ehm, ecco, Akito, ti andrebbe di prendere un caffè?"
Lo guardai con indifferenza, mentre nascondevo una risata per via del suo atteggiamento. Gli feci cenno con la testa di dirigerci verso il bar più vicino, accontentandolo. Lui mi seguii per il tragitto senza dire nemmeno una parola. Non che ne fossi infastidito.
Quando arrivammo in quel piccolo locale prendemmo subito posto, ordinando due espressi. Quando anche la cameriera andò a comunicare ciò che avevamo richiesto, gli feci cenno di cominciare a prendere parola, spazientito.
"Come stavo per dirti...ho parlato con Aya, e...in realtà mi ha chiesto di non rivelare questo segreto, anche se lei e Fuka sono talmente contente da non riuscire a mantenerlo nascosto quasi con nessuno..."
Continuai a guardarlo, ostentando sempre il solito disinteresse a cui si era abituato, afferrando la tazzina in vetro che intanto era giunta al mio tavolo.
"Sai che io e Aya, beh, ecco, ci sposiamo, no?"
"Mi hai chiesto anche di farti da testimone, Tsuyoshi. Mi sembra chiaro."
"Beh, prova a immaginare chi vorrebbe Aya come sua, di testimone"
Presi un'altro sorso dalla tazzina.
"Bene, ho capito" dissi semplicemente, voltandomi per andare a pagare il conto e tornare alla palestra per allenarmi date le vicine competizioni al livello agonistico che mi aspettavano.
Come fu prevedibile mi corse dietro.
"Cosa? Hai capito? E' tutto quello che vorresti dirmi?" domandò, con una nota di disappunto.
"Sì. Cosa ti aspettavi che facessi? Dei salti perchè Kurata torna dagli Stati Uniti?"
"No, ma...pensavo avresti avuto una qualche reazione"
"Tsuyoshi, tu, più di qualsiasi altra persona, sai quanto mi sia impegnato per dimenticarla, e quando ti ho confidato d'esserci riuscito non mentivo affatto. Continuo a volerle bene, o forse voglio bene il suo ricordo, non ne sono sicuro. Rivederla sarà come vedere una vecchia amica, tutto qui" gli spiegai, tranquillamente.
Magari si era anche fidanzata con quel damerino di Kamura, chi poteva saperlo. Questo mio ultimo pensiero non lo riferii a Tsuyoshi.
Il suo viso sembrò acquietarsi.
"Sì, beh...hai ragione. Ormai siamo adulti, e le cose sono cambiate. Mi sono preoccupato solo perchè conoscevo la profondità del rapporto che vi legava, nonostante la giovane età. Tutto qui"
"Non c'è motivo di preoccuparsi" risposi, incamminandomi nuovamente.
Tsu rimase per qualche secondo fermo a fissare la mia figura che si allontanava, per poi voltarsi e riprendere anche lui il passo. Fu proprio in quel momento che mi voltai per richiamare la sua attenzione.
"Tsuyoshi" urlai.
Lui si fermò, girandosi velocemente.
"Comunque, lo sapevo già" dissi, sorridendo, e beandomi dei suoi occhiali che cominciavano a diventare sempre più specchiati, e i suoi occhi più accesi.
Durante la passeggiata di ritorno solo un "Cosa?!" urlato talmente forte da sorprendermi del fatto che la gola non gli si fosse squarciata, e la mia risata, abilmente velata, ma impossibile da uccidere.

I giorni successivi trascorsero molto velocemente, decisamente più velocemente del previsto. Cercai di tenermi occupato quasi ogni minuto per tentare di scacciare quel pensiero fisso che avevo preso prepotentemente posto nella mia mente. A volte avrei persino voluto avere quel martelletto che Kurata amava portare sempre con sè, per picchiare da solo la mia testa che sembrava non seguire più le mie direttive. Chissà se lo possiede ancora...
Pensavo a come sarebbe stato davvero rivedere quel viso, e riscoprirlo più cresciuto, maturato. Quanto sarebbe cambiata in questi anni? E il carattere? Era rimasto lo stesso? Era ancora la Sana Kurata sempre allegra e incapace di stare ferma? Avrebbe parlato con un fastidioso accento occidentale? Mi ritrovai persino a domandarmi se ogni tanto facesse ancora quelle ridicole codine.
Il rumore di una telefonata proveniente dal mio cellulare imterruppe il mio "flusso di coscienza", gliene fui, in parte, grato. Guardai chi fosse a telefonarmi, mi sorpresi di leggere il nome di Fuka.
"Pronto, Fuka"
"Akito! Ciao!"
"Che succede? Va tutto bene?" domandai.
"Oh, sì. Ti chiamo semplicemente per un appuntamento a cui dovrai tenere fede per domani pomeriggio. Non accetto risposte negative." disse, con entusiasmo, il tipico entusiasmo di Fuka.
"Un appuntamento?" chiesi, con sospetto.
"Sì, non farti idee strane. Come saprai domani torna Sana, e volevamo farle una sorta di rimpatriata a sorpresa...verrai, non è così?"
Meditai qualche secondo, e Fuka se ne accorse. Stava cominciando a parlare con tono di rassicurazione e di persuasione, quando la interruppi prima di sentire qualcuna delle sue insopportabili frasi.
"Ok. Dimmi solo dove e a che ora."

Il pensiero che tutte quelle domande avrebbero avuto termine solo il giorno successivo mi fecero sentire un po' di nervosismo. Un nervosismo che non avvertivo da tempo, d'altronde non ero un tipo da stupide paranoie, non lo ero mai stato. Ma quando si parlava di Kurata, per quanto mi impegnassi, per quanto fossi certo di aver chiuso quel cassetto, nulla mi sembrava razionale, nulla si sembrava acquistare senso. Lei era stata una delle persone più importanti della mia vita, sebbene non l'avrei ammesso nemmeno se torturato dall'inquisizione spagnola, ed era assolutamente normale che i miei occhi diventassero vuoti per qualche secondo quando sentivo pronunciare quel nome. Quando la vedevo in una di quelle stupide pubblicità in televisione. Quando trasmettevano uno dei suoi film.
Sebbene odiassi registrare ancora queste piccole reazioni, non riuscivo a evitarlo.
Decisi di bloccare i miei piensieri su Kurata, almeno per quella sera. Decisi di non pensare a come sarebbe stato il nostro rapporto adesso, dopo questo tempo di lontananza. Non me ne sarei curato.

La mattina successiva feci colazione con Nat e la piccola Koharu, in un suggestivo locale che dava su un laghetto artificiale. L'atmosfera era primaverile e, sebbene preferissi l'inverno, davvero piacevole. Fare colazione, tuttavia, non si rivelò per niente una cosa semplice, dato che Koharu, la mia deliziosa nipotina di appena quattro anni, non volle scendere dalle mie gambe nemmeno per un istante. Quei piccoli e biondi boccoli al profumo di camomilla, e quel visetto, tanto simile a mia madre ebbero la capacità di infondermi un po' di calma nonostante l'evento che quel pomeriggio mi avrebbe aspettato.
"Koharu, scendi dalle gambe dello zio, e lascialo fare colazione" ordinò, con tono materno, Nat.
"No, mamma. Voglio stare qui con lo zio Akito"
"Lasciala, Nat." dissi, con semplicità. Non mi piaceva ammetterlo a voce alta, ma adoravo avere intorno quella graziosa bambina a cui volevo un bene incondizionato.
"Joshua dov'è?" chiesi, cambiando discorso.
"Tornerà nel pomeriggio a casa, è stato due giorni fuori per lavoro, e sia io che Koharu ne abbiamo sentito terribilmente la mancanza" rispose, con gli occhi che mi sembrarono assumere la forma di un cuore. Decisamente stucchevole, ma adoravo vederla così felice.
Alzai gli occhi al cielo, mentre Nat mi diede un piccolo pizzico sul braccio.
"Come stai tu?" domandò all'improvviso, facendomi smettere di giocare con Koharu.
"Bene, sto bene" risposi, secco, riprendendo a stuzzicare quella piccola e vispa bimba. Nat mi guardò di sottecchi.
"Sei sicuro, Akito?" chiese, come se non avesse creduto nemmeno per un istante alle parole di poco prima.
Poggiai le mie spalle sulla sedia. "Nat, cosa vorresti che ti dicessi, con precisione?" sussurrai, con tono seccato.
"La verità, fratellino."
"Non lo so. Non so come sto. Sento un po'...un po' la testa per aria, ma passerà"
In risposta alla mia frase Nat mi strinse le mani, con occhi comprensivi, come se fosse a conoscenza che ci fosse dell'altro, ma che non riuscissi a dire altro, nonostante si trattasse della punta dell'iceberg. Non fece nessun'altra domanda, ed io fui grato e riconoscente per ciò.
Le accompagnai a casa, e le salutai, anche se non prima di aver consegnato quel piccolo peluche che avevo portato in dono a Koharu. Appena lo vide cominciò a fare i salti di gioia, stringendomi con quelle sue piccole manine il collo, per poi fuggire e andare a chiudersi nella sua stanzetta.
"Akito, ti prego...praticamente casa mia è diventata un magazzino per tutti i regali che fai a Koharu!"
"Faremo costruire una soffitta" risposi, sorridendo.
"Crescerà viziata" sussurrò, nel tentativo di persuadermi di nuovo.
"Me la cavo bene con le bambine viziate" fu la mia risposta, con un riferimento che, ovviamente, non fu indifferente a Natsumi.
"Adesso vado, devo allenarmi e poi prepararmi per oggi pomeriggio"
"Va' pure, ci vediamo domani!"

"Perfetto, così"
"Mantieni la schiena dritta"
"Bene, Hayama. Per oggi abbiamo finito."
Mi sedetti per terra, sfinito. Il maestro sembrò leggermi nella mente quando mi passò l'asciugamano che non avrei preso prima di almeno dieci minuti, dato che mi sarei dovuto alzare per farlo.
"Maestro, lei crede che potrò ottenere il decimo dan tra tre settimane?"
"Akito..." si sedette vicino a me, incrociando le caviglie.
"Penso che tu abbia una predisposizione innata per questa disciplina. Non ne passano ogni anno, di allievi come te. Io fido molto nelle tue abilità, e anche tu devi"
Guardai  il pavimento, non guardando davvero ciò che i miei occhi avevano messo a fuoco.
Il Karate era una delle cose che mi aveva salvato da quell'inettitudine, da quell'accidia continua da cui ero affetto. Non provavo interesse, passione per nulla, e mi detestavo. Mi detestavo perchè non trovavo una sola ragione per vivere, ed ero codardo al punto di non scegliere di morire. Ma il karate, il karate mi aveva dato esattamente ciò che stavo cercando, una ragione per cui esistere. Insieme la mia famiglia, per cui dapprima provavo astio, adesso erano praticamente inseparabili da me, avrei protetto la loro vita con la mia senza dubitare un secondo.
La mia mente scelse di accarezazre nuovamente quel ricordo, uno di quelli che custodivo con più gelosia dentro di me. Io e Kurata, al parco, nel nostro gazebo. Il mio capo poggiato sulle sue gambe, le sue mani tra i miei capelli, viglili nel darmi piccole e delicate carezze. Quella svitata che voleva a tutti i costi interpretare mia madre. Sorrisi.
Ricordai ogni emozione, ogni vibrazione di quell'istante. Fu come un cubetto di ghiaccio sciolto sotto un cielo blu estivo.
Sì, deve essere stato quello il momento in cui Kurata divenne così importante per me.
"Lo faccio, maestro. Credo in me, e credo in questa disciplina."
"Lo so, adesso riposati, ci vediamo domani mattina." asserì, dandomi una piccola pacca sulla spalla.
Tornai a casa, e guardavo già il cielo diventare più bruno. Accidenti, dovevo sbrigarmi.
"Tsu, faccio una doccia veloce. Passi da qui e andiamo insieme?" scrissi velocemente in un sms.
"D'accordo" fu la semplice risposta del mio amico occhialuto.
Andare di fretta l'avevo sempre detestato, ma quella volta fu decisamente una buona cosa. Prepararmi e vestirmi in modo veloce mi permise di tenere la mente lontana da riflessioni e pensieri, che avrebbero portato solo a un nervosismo ingiustificato.
Quando fui pronto, uscii dalla porta, mentre intravidi la sagoma di Tsu avvicinarsi verso di me.
"Possiamo andare?" domandò, con tono sereno.
Io annuii, e ci incamminammo verso quel nuovo bar di cui non riuscivo a ricordare il nome.
"Come stai?" chiese, all'improvviso. Non era una banale domanda di circostanza, lo si avvertiva dal tono. Tsuyoshi sapeva bene quanto non sopportassi la banalità del fare conversazione.
"Io, io sto bene, Tsu. Non preoccuparti, davvero."
"Pensa piuttosto alla libertà cui stai rinunciando, sposandoti" dissi dopo, con tono ironico.
Lui rise, consapevole che stessi scherzando e fossi contento per i miei due amici.
"Bene, ecco Gomi, Hisae e tutti gli altri, raggiungiamoli" asserì, indicando un punto del parco.
Salutammo tutti, e ci dissero che ci saremmo dovuti avvicinare quando Fuka avrebbe fatto uno squillo a Gomi. Nemmeno il tempo di terminare quella frase, che...ecco lo squillo.
Cominciammo a camminare, mentre la mia testa iniziò a ricordare tutti i miei momenti con Kurata, in modo così arbitrario da innervosirmi. Quella volta al parco, i nostri abbracci, il nostro rapporto, quell'ultimo bacio che rubai all'aeroporto.
Tuttavia sapevo che ormai quei sentimenti fossero soltanto un ricordo, e ne ero convinto, anche se l'affetto nei suoi confronti, per me come per tutte le mie amicizie, era rimasto immutato.

"Sana? Girati!" fu l'esclamazione di Fuka, con gli occhi che brillavano per la consapevolezza di aver fatto questa sorpresa alla sua amica.
Quella testolina rossa si girò, alzandosi di poco, e mostrando i lunghi capelli rossi. I suoi occhi si illuminarono quando capii a cosa si riferisse Matsui. Si girò nuovamente verso le due amiche, sussurandogli qualcosa che non riuscii a capire, mentre si avviò verso noi per salutarci singolarmente. Cercai di scrutare bene la sua figura, sebbene fosse quasi impossibile a causa di tutte le persone che le si ritrovarono accanto. Decisi di starmene un po' in disparte, con le mani intrecciate sul petto, e indossando la mia solita maschera di indifferenza. Vidi i suoi occhi fare capolino di tanto tanto e diventare quasi bagnati per la commozione, esibendo una voce diversa rispetto quello che la mia mente aveva. Ovviamente crescendo anche la voce le era cambiata, e sembrò essere meno acuta, meno stridula, seppur femminile e ben accordata. I saluti intanto procedevano, avvicinandosi a me,  mentre si fermava a parlare con ognuno dei nostri amici, sinceramente interessata ai loro cambiamenti e alle loro vite. Fu solo quando salutò Gomi, che notai i suoi occhi sui miei, e potei vedere bene la Kurata ventunenne.
La gonna blu le cingeva bene la vita stretta, mentre la camicetta chiara che aveva scelto le lasciava scoperte le clavicole, facendo anche intravedere il reggiseno sotto, a causa del colore candido del tessuto. Era decisamente cresciuta di statura, le lunghe gambe snelle e toniche incrociate tra loro. Era innegabile che fosse bella e attraente. D'altra parte ero sempre un uomo.
Il viso aveva conservato ancora quegli occhi così espressivi, dal color cioccolato che da bambino adoravo guardare, seppure fosse evidente anche sul volto l'opera svolta dal tempo. Le labbra erano decisamente più carnose, colorate da un rossetto che mi faceva ricordare le ciliegie nella bella stagione.
Quando finalmente mi vide, continuò a parlare con Gomi, lanciandomi ripetuti sguardi. Chissà a cosa pensava, chissà se il suo carattere era maturato.
La chiaccherata con Gomi volse al termine, e la rossa concentrò immediatamente i suoi occhi sui miei. Sentii una piccola morsa allo stomaco quando cominciò a camminare nella mia direzione. "Hayama, smettila di fare il ragazzino" mi ordinai, sciogliendo le mie mani e facendole cadere sui fianchi. Mi irriigidì un po', e probabilmente se ne accorse, ma questo non la intimidì nemmeno per un istante.
Arrivò esattamente di fronte a me, mentre mi rivolse uno dei suoi sorrisi che erano come fonte di vita per me durante la prima adolescenza.
"Hayama" fu tutto ciò che mi disse, con una sfumatura di imbarazzo, e le guance diventate improvvisamente rosate.
Feci un sorrisetto abbozzato, mentre in modo assolutamente scontato mi preparai a rispondere al saluto.
"Kurata..."
Ci osservammo entrambi per qualche secondo, senza che nessuno dicesse qualcosa. Sembrò cercare di voler interpretare le mie emozioni, capire come comportarsi o cosa fare. Sempre la solita...farsi mille problemi per mettere a proprio agio gli altri era proprio da Kurata. La osservai anche io, sembrò volesse rivolgermi parole e parole che però trovavano la loro fine in gola, a causa dell'imbarazzo.
Un'imbarazzo che scoprì essere nuovo nel modo di fare della ragazza che ricordavo. Forse il nome giusto con cui descriverlo sarebbe stato "buonsenso".
All'improvviso registrai un piccolissimo movimento nei suoi occhi, rappresentò il segno di una qualche decisione presa seguendo un filo logico che non potevo conoscere, il filo dei suoi pensieri e di ciò che le frullava in testa.
In uno scatto quasi felino, mi strinse a sè, alzandosi sulle punte per portare il mento all'altezza della mia spalla. Mi curvai leggeremente per facilitarle l'impresa, sebbene fossi sorpreso da questo inaspettato gesto. Fu talmente inaspettato che sarebbe stato impossibile per me impedire che le mie labbra si schiudessero in un eloquente "Oh", che ovviamente non le fu indifferente.
Mi strinse talmente forte che mi sorpresi della forza di cui quel corpicino snello poteva disporre, le mie mani ancora sui miei fianchi adesso si stavano muovendo verso le sue spalle, per ricambiare l'abbraccio. Appena un secondo dopo il contatto delle mie mani sulla sua schiena, Kurata scelse di riprendere le distanze.
Ne fui quasi dispiaciuto, e mi maledissi per questo.
"Hey, Sana!" urlò una terza voce, che feci presto a riconoscere come quella di Matsui.
Subito si voltò, asciugando leggermente una lacrima.
"Sì?"
"Comunque sappi che questo è solo l'antipasto...ci siamo già accordate con tua madre, abbiamo organizzato una festa di bentornato a casa tua per domani!" gridò Fuka.
Perfetto, ci mancava solo questa.
"Dici sul serio? Fuka, Aya...non avreste dovuto darvi tutto questo disturbo!"
Per una volta io e Kurata eravamo della stessa opinione.
"Sta' zitta, Sana! Vedrai che ti divertirai" sentenziò Matsui.
Ci avvicinammo verso il resto dei nostri amici, mentre fu impossibile ai miei occhi impedire di tanto in tanto di andare verso il suo viso, scoprendo anche d'essere ricambiato, mentre lo sguardo preoccupato di Tsu bloccato sui miei occhi mi fece sorridere per il carattere timoroso del mio amico.
In questo lui e Aya erano quasi gli stessi.
Lo rassicurai con un mezzo sorriso, mentre ripresi la mia discussione sul Karate con Gomi.





  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Rossana/Kodocha / Vai alla pagina dell'autore: Juliet88