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Autore: shalalahs    22/05/2016    3 recensioni
Rogers, Steve sorride. No, non è abbastanza. Rogers, Steve sorride. Il corpo, la psiche e Bucky hanno una reazione molto positiva. Il corpo ha di nuovo problemi con il cuore. Lo sente stringersi – non si “preoccupa”. Il corpo cerca di abbinare il sorriso di Rogers, Steve con il proprio.
Rogers, Steve smette di sorridere.
Abortire.

Descrizione più dettagliata nelle note del primo capitolo, causa CACW spoilers.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Parole: 7728
Warnings: linguaggio forte, gore appena descritto.


FAITHFUL DOUBT


Il corpo apre gli occhi. È mattina presto, ma abbastanza tardi perché le prime luci dell'alba. Accanto a sé, la sagoma di Steve è coperta da un solo lenzuolo sottile, ancora addormentato. Steve sembra un uomo grande e grosso, ma la verità è che un angolo della mente di Bucky, quella malinconica e nostalgica del vecchio sé, riconosce ancora i tratti del ragazzino secco e magrolino dalla salute troppo cagionevole. Lo stesso modo in cui dorme gli ricorda di come erano soliti addormentarsi sul divano disfatto, in mezzo alle coperte, vicini quanto più possibili all'unica fonte di calore che potevano trovare durante l'inverno – oltre a sé stessi.

Steve sembra un uomo, ma la verità è che quando dorme sembra un bambino, raggomitolato nelle coperte, pronto ad invadere anche il posto di Bucky non appena si renderà conto di avere più spazio per potersi allargare e muovere.

Bucky sceglie di non svegliarlo.

Si alza con lentezza, scivolando giù dal materasso e poggiando i piedi nudi sul parquet riscaldato dell'appartamento. Steve tiene sempre il riscaldamento acceso quando Bucky passa del tempo da lui. Bucky sospetta che abbia spiato una volta di troppo quando lo ha invitato, perché la temperatura impostata è la stessa che ha lui nel proprio loft.

Si sofferma solo per togliere la sveglia, sia sua che di Steve, disattivandola per un giorno ed incamminandosi fuori dalla stanza. Il corridoio porta in due direzioni separate: un ripostiglio ed un bagno da favola a sinistra, la cucina ed il salotto a destra. Bucky svolta a sinistra, infilandosi in bagno ed accendendo le luci, prima di cominciare a spogliarsi e girare la manopola dell'acqua, impostando la temperatura ed aspettando quei pochi minuti per permettere all'acqua di riscaldarsi.

Lo sguardo evita con accuratezza lo specchio mentre poggia i vestiti sulla toilette, tornando a voltarsi in direzione di esso e prendendo un respiro profondo. Solleva lo sguardo ed eccolo lì, un estraneo che lo sta fissando con aria vuota, quasi apatica. I tratti del volto sono affilati e marcati, duri, proprio come quelli del padre che ricorda a malapena. La mascella è squadrata, disegnata da una linea forte, ed anche coperta di barba incolta di qualche giorno. Gli zigomi alti e delineati infossano le guance quel che basta da sottolineare la struttura ossea del volto. I capelli sono un disastro: racchiusi in una coda sfatta, vedono ciuffi scappare a destra e a manca, mentre il cipollotto è racchiuso malamente fra due giri d'elastico nero. Solo gli occhi risaltano, in mezzo a tutte le tonalità scure ed il pallore della pelle. Grandi ed azzurri, sono forse l'unica cosa che ricordava di avere con certezza. Sempre stati così, dalle sopracciglia folte e lunghe, scure, ad incorniciare un paio di pupille azzurro-grigio come il cielo.

Lo sconosciuto lo sta fissando con attenzione, esaminando ogni centimetro di pelle, abbassando gli occhi sul braccio meccanico che gli si fonde alla carne lacerata, frutto di ripetuti esperimenti e tentativi all'interno dei laboratori HYDRA. Sono dei flash minimali, ma ricorda di aver avuto un moncherino più accentuato, più lungo. Sicuramente non aveva perso fino alla spalla. Eppure, ogni volta che era cosciente, il braccio era sempre più corto. Cristo, si era perfino svegliato nel bel mezzo di una delle operazioni, proprio mentre gli stavano segando la pelle e l'osso.

Ci sono voluti anni per ottenere il braccio definitivo, quello che Stark ha disintegrato con uno schiocco di dita. Anni di protesi che rovinavano l'osso e creavano problemi, che lo vedevano finire ogni volta sotto ai ferri, facendosi togliere pezzo per pezzo il braccio, finché non capirono che era inutile attaccarlo all'osso troncato, che sarebbe stato meglio rimpiazzare parte dello scheletro ed attaccarci direttamente una protesi che partisse direttamente dalla spalla e, perché no, ricostruisse perfino parte del torace e della spalla.

Il corpo gli è andato a fuoco per giorni, dopo tutta la serie di iniezioni, operazioni, mutilazioni.

E Stark lo ha disintegrato.

Hanno dovuto aspettare settimane prima che Bucky decidesse di farsi toccare da qualcuno degli scienziati, solo per vedere, solo per controllare. Mesi per convincerlo a farsi addormentare e farsi mettere su un lettino d'ospedale, in mezzo ad una sala operatoria un po' meno inquietante di quella HYDRA.

Il braccio, adesso, è fatto completamente di vibranio. Non era sicuro di volerlo, ma T'Challa aveva insistito e Steve sembrava tutt'altro che scontento di un possibile braccio indistruttibile.

Bucky vorrebbe solo riavere il proprio braccio. Quello vero, in carne ed ossa. Non.. questo.

Aveva guardato i prototipi con aria scettica, quel giorno, prima che la nausea arrivasse e lui fosse improvvisamente costretto a sgusciare via dal laboratorio, rinchiudendosi per l'ennesima volta nel proprio loft.

L'acqua è calda quando si posiziona sotto il getto, tenendo la testa bassa e socchiudendo le palpebre e tenendole chiuse tutto il tempo. Preferisce ancora la vasca da bagno, ma non ha così tanto tempo a disposizione stamattina, non se vuole davvero incontrare T'Challa e la sua equip di scienziati che stanno curando la sua protesi. Ha rimandato questo giorno già abbastanza e non vuole rischiare qualche malfunzionamento.

Datti una calmata, Barnes, si ripete mentalmente, man mano che l'acqua gli picchietta addosso, risvegliando brividi e vecchie sensazioni di quando veniva – se veniva – lavato con un getto d'acqua tiepida, ma che finiva sempre per essere fredda per quando avevano finito di pulirlo. E se le prime volte era rinchiuso in una gabbia, incapace di nascondersi dietro niente, se non aderire con quante più parti del corpo possibili, il tutto è andato peggiorando, quando hanno cominciato ad usare i guinzagli per i cani o le bestie rabbiose, tenendo il manico di metallo lontano dal carceriere per permettergli di strattonarlo e voltarlo su sé stesso, quando un fianco era stato pulito.

Più lottava, più impiegavano contromisure dolorose, sempre più difficili da evadere e contrastare. Più lottava, più perdeva di vista il motivo per cui stesse lottando. Finché non ha smesso di lottare, lentamente.

Riesce a tornare in sé prima di distruggere l'ennesimo muro – sarebbe il terzo, questo mese – con il proprio braccio di vibranio, nuovo di zecca. La rabbia brucia, proprio come il fallimento e l'irrazionale idea di essere stato un codardo ed un debole, per essersi arreso ed aver permesso a così tante persone di spezzarlo e rimetterlo assieme come più faceva loro comodo.

Almeno adesso è cosciente del fatto che un sentimento del genere è irrazionale. Almeno adesso riesce a fermarsi e capire che non aveva molte altre scelte, se voleva sopravvivere.

Nonostante ciò, si sente debole. Un nervo scoperto che ha solo bisogno del giusto tocco per contrarsi e reagire proprio come si vuole. Un burattino nelle mani maldestre di un creatore sadico e privo di empatia verso il prossimo.

Il cellulare vibra dentro la tasca dei pantaloni, poco più in là nella stanza. Bucky riesce a sgusciare via dal loop di pensieri, girando la manopola della doccia ed imprecando quando le dita deformano il metallo. Tre oggetti rotti in un mese, T'Challa sarà così felice di dover buttare via altri soldi, sempre che qualcuno sceglierà di dirglielo. Bucky non ha intenzione di avvertirlo, ma ha già preso la decisione che convincerà Steve a fare lo stesso.

Afferra l'accappatoio, asciugandosi prima di tutto le mani, prima di camminare scalzo in direzione della pila di abiti, afferrando il telefono e notando la sveglia secondaria che aveva inserito. Ricordati del fottuto lab, Barnes, lampeggia sul display, prima che il pollice in carne prema il touchscreen, spegnendo la sveglia. Storce le labbra, poggiando il cellulare su un angolo disponibile della toilette, così da non rischiare di dimenticarselo.

— Fottuta tecnologia. — bofonchia man mano che si asciuga i capelli ed il resto del corpo, fissando storto la manopola deformata e, subito dopo, il proprio braccio, non riuscendo a fare a meno di roteare le iridi al soffitto e sbuffare in un attimo di esasperazione.

Certe volte vorrebbe avere solo un braccio normale. Meccanico, sì, ma che non rischi di disfare qualunque cosa che tocca solo perché non è ancora abituato ai nuovi sensori di pressione, o a dosare la propria forza. L'unico lato positivo? T'Challa ha avuto l'accortezza di far installare un regolatore termico, così da non far diventare le lame metalliche schifosamente calde dopo una giornata passata sotto il sole cocente, ma neanche fredde come la morte durante l'inverno, evitando sia a Bucky che Steve brutti risvegli per contatti casuali e tutt'altro che volutamente fastidiosi.

Ciò non toglie che Bucky abbia completo accesso su tale “aggeggio”, come ormai ha preso a chiamare tutto ciò che c'è di tecnologico, e lo disinstalli regolarmente per poter far prendere qualche colpo a Steve, quando ha la forza ed il coraggio di avvicinarsi e toccarlo con fare scherzoso, senza aver paura che rischierà di rompergli l'osso del collo – o almeno provarci – per via della programmazione del Soldato d'Inverno.

Rientrando nella stanza di Steve si ferma per qualche istante a fissare la sagoma dell'uomo massiccio e muscoloso, ora disteso sulla propria pancia e in procinto di stritolare il cuscino fra un paio di braccia fin troppo grandi, che non coincidono decisamente col ricordo che ha del suo Steve.

La prima volta che ha ricordato, c'è quasi rimasto male. Non che abbia avuto molto altro tempo, poi, se non per correre verso uno dei propri quaderni, aprirlo e scrivere in fretta e furia ciò che aveva appena ricordato. Finché il pensiero non gli era scivolato dalla mente, come se si fosse appena svegliato da un sogno, lasciandolo con una frase completata a metà e nessuna fine o senso logico da conferirle. Quando se ne rese conto, ruppe il tavolino di legno che aveva comprato con i pochi risparmi messi da parte, raccolti facendo piccoli lavori part-time e per diverse persone, lavori che lo avrebbero tenuto lontano dalle persone.

La seconda volta che ha ricordato, fu quando Steve gli chiese con quale dei due “Bucky” stesse parlando. E, seppure la bile e l'amaro avessero deciso di rovinargli la salivazione, si era trattenuto dal rispondere “tu che dici? Quanti Bucky conosci oltre a me?” e ridere in faccia a Sam per la faccia che avrebbe fatto.. o per la battuta che avrebbe rifilato. Beh, non che Sam non lo abbia fatto.

La terza volta risale a qualche settimana fa, mentre Steve cucinava e lui guardava la televisione. Fu più un flash, che un vero e proprio ricordo, ma di punto in bianco si voltò e gli occhi gli caddero sulla linea dei glutei di Steve, costringendolo ad esclamare un — Steve! — e far voltare di conseguenza il biondo.

— Che succede? — Steve aveva chiaramente frainteso la natura dell'esclamazione, mettendo subito su la sua faccia preoccupata e guardandosi attorno.

— Il tuo culo! Il siero ti ha dato un culo nuovo di zecca! — aveva risposto Bucky, prima di scoppiare a ridere e buttarsi a schiena in giù sul divano.

Quella fu una delle poche volte in cui rise.

Quella fu anche una delle poche volte in cui Steve scoppiò in una crisi isterica, fra pianti e risate, costringendo Bucky ad andare da lui ed abbracciarlo, prima di unirsi all'isteria e piangere come una vite tagliata.

Natasha li aveva trovati così dopo aver aperto la porta d'ingresso all'appartamento di Steve, richiudendola dopo qualche istante e tornando a bussare dieci minuti dopo, dando tempo a Steve e Bucky di riottenere un certo equilibrio.

Natasha, da quel giorno, bussa sempre alla loro porta, prima di entrare. Che siano soli o assieme.

Bucky azzarda un piccolo sorriso, prima di voltarsi e far scorrere l'anta dell'armadio. Steve ha richiesto esplicitamente un armadio piccolo – per quanto “piccolo” sia inappropriato, dato che l'idea di “piccolo” deve essere “medio-grande” nella mentalità del Re del Wakanda. Non è una cabina-armadio, ma poco ci manca, dato che Bucky potrebbe entrarci comodamente dentro e non batterci la testa, o girare su sé stesso.

Nonostante abbia un'anta tutta sua, ruba sempre alcuni vestiti a Steve. Oggi non è diverso. Oggi è anche uno dei Friendly!Bucky Days, dato che opta per una felpa grigio chiaro, con una stampa blu scuro sulla schiena, qualcosa a proposito di chissà quale Università delle Belle Arti, borbottando l'ennesimo “Tipico, Steve, molto tipico” fra sé e sé, infilandosi prima una canottiera bianca e poi la felpa, lasciando la zip aperta ed il cappuccio sulla schiena. I pantaloni del pigiama vengono rimpiazzati da un paio di sweaters neri, comodi e morbidi, per poi infilarsi un paio di calzini ed avviarsi fuori dalla stanza.

Si affaccia in bagno solo per prendere uno dei suoi elastici, così da poter raccogliere i capelli sulla nuca, in un codino lento e disfatto.

Infine, il tocco di classe: i suoi anfibi preferiti, coi quali non esce quasi mai.

Reprime l'istinto di far scivolare un coltello in una delle tasche, socchiudendo le palpebre e riportando il braccio al proprio fianco, man mano che afferra la propria chiave magnetica – aggiornata coi permessi per aprire anche la porta di Steve – e controlla di avere il cellulare in tasca. A volte si dimentica di fare il cambio delle tasche, quando si cambia. Ma i coltelli non li dimentica mai. Sia mai che si dimentichi di portare con sé un coltello, dovesse anche soltanto andare a mangiare fuori con Natasha, o Sam.


[…]

 

— Come va il nuovo braccio? —

La voce di T'Challa è sempre calma e controllata quando parla con Bucky. Più di una volta il moro si è trovato a pensare che il Re del Wakanda assomigliasse davvero ad un gatto, in certi modi di fare ed esprimersi.

Il registro alto e la scelta accurata di ogni parole, accompagnati dalla carezza delicata della sua voce, gli hanno sempre fatto pensare di trovarsi davvero davanti ad una sorta di felino gigante, col quale non è saggio scherzare. E, non per scherzare, ne ha davvero avuto prova e dimostrazione pratica, durante il loro inconveniente iniziale.

Bucky pensava che si sarebbe fidato con difficoltà di T'Challa, ma la realtà dei fatti è che Steve gli ha raccontato cosa l'uomo era disposto a fare per loro, pur di rimediare agli errori ed alle scelte compiute in preda alla rabbia.

— Leggero. — osserva Bucky, spogliato della propria felpa. — Molto più leggero. — mentre tira su e giù il bicipite, permettendo agli scienziati di testare la risposta agli impulsi nervosi da parte delle fibre. — E decisamente forte. — gli occhi azzurri che si spostano in quelli neri dell'uomo.

— Sì, i muri dell'ala Est concordano con te. —

Bucky chiude le palpebre ed abbassa la testa, reprimendo il bisogno di sorridere a quella frecciatina.

— Stiamo lavorando per installare un blocco regolabile, così non dovrai preoccuparti di rompere niente quando sei sovrappensiero. — aggiunge la donna di colore al suo fianco, occhi fissi sullo schermo ed aria concentrata, professionale.

Nessuno lo ha mai trattato diversamente, da quando ha rifiutato la camera cryogenica. Nessuno si è comportato diversamente o lo ha guardato in modo diverso da quando ha cominciato a girellare per l'enorme struttura che lo ospita.

— Potrò anche staccarlo e lanciarlo al primo che mi chiede di dare una mano? —

Sta cercando di scherzare da qualche mese, ormai. A volte gli riesce, altre la frase esce fuori come un orribile racconto dell'orrore che porta, generalmente, chiunque a tapparsi la bocca e fissarlo per un attimo, prima di ricordarsi le buone maniere e ridere con fare nervoso, o magari ridere affatto, più mettere su un sorrisetto tirato nel pessimo tentativo di fingere di non aver sentito una parte di ciò che HYDRA ha fatto durante i suoi settant'anni di libertà incondizionata coi suoi giocattoli.

Stavolta deve essere riuscito, uno degli scienziati sbuffa ed arriccia le labbra, senza distogliere lo sguardo dallo schermo e lasciando che la donna di poco prima risponda.

— Ci sono delle giunture che faciliteranno eventuali cambi futuri, dovesse.. — si prende un attimo di tempo per soppesare le seguenti parole. Bucky sa già cosa tirerà fuori. — Dovesse succedere un altro inconveniente come è successo con Stark, per quanto lo dubitiamo, adesso che le fibre sono state ricostruite col Vibranio. — spiega con voce pacata. — Ciò non toglie che, dovesse presentarsi la necessità, alcune giunture potranno essere intercambiabili all'altezza delle articolazioni. —

— Quindi, tecnicamente, potrei staccarmi il braccio e lanciarlo. — insiste Bucky cercando di mantenere un tono leggero.

— Non dubito che un braccio di Vibranio, manovrato nella giusta maniera, risulterebbe un'arma impropria non indifferente, ma dubito esistano ancora delle tecniche per un simile tipo di combattimento. — T'Challa ha un sorriso leggero e misurato, come sempre, nonostante il suo tono sia vicino a quello di Bucky.

Bucky si prende la libertà di sorridere. Ridere è un'opzione che si presenta solo in compagnia di Steve e, alle volte, di Natasha e Sam. Quando l'Altro non è ai comandi, almeno. Le persone sembrano prediligere Bucky al Soldato. Bucky non le biasima davvero, anche lui preferisce sé stesso al Soldato. Ogni volta che torna indietro gli sembra di aver passato dieci anni all'interno della camera cryogenica.

Una degli scienziati – Mehret, suggerisce una parte del suo cervello – si avvicina con degli aggeggi che Bucky non conosce, ma rimane sempre a tre metri di distanza, attenta a non innescare involontariamente un altro attacco di panico.

L'equipe presente è stata personalmente selezionata da T'Challa, Bucky e Mehret, la prima che si sia guadagnata un minimo di fiducia da potersi anche solo permettere di chiedere a Bucky “posso toccarti?” senza ricevere un'occhiata diffidente ed un'offesa trattenuta a fior di labbra.

— Veloce ed indolore. — mormora Bucky, storcendo le labbra e mettendosi a sedere accanto al tavolo, prima di allungare il braccio e poggiarlo sui vari ganci di metallo, così che questi possano tenerlo in posto quando sarà disattivato e privo di controllo, perciò soggetto a gravità e poco attrito su superfici lisce.

Mehret annuisce, andando a rimuovere alcune delle placche, mostrando un marasma di fili e circuiti in cui inserisce gli aggeggi, armeggiando con chissà cosa. Bucky non è interessato a continuare. Si volta e le lascia interrompere momentaneamente i circuiti collegati ai nervi.

Bucky sente sempre quando il circuito viene chiuso, impedendo agli impulsi nervosi di raggiungere il resto dell'arto. Fa male, non è insopportabile, ma non può fare a meno di accigliarsi quando il cervello comincia a registrare la mancanza dell'arto, per quanto non sia davvero carne ed ossa, la sensazione è scomoda e fastidiosa, seguita da un formicolio che s'impossessa di tutta la spalla – o almeno, i tessuti che ancora la compongono.

Prende un respiro profondo, man mano che sente i rumori delle fibre, dei cavi e delle piastre metalliche che entrano in contatto con gli aggeggi della scienziata.

T'Challa si è ritirato nell'altra stanza, parlando a voce bassa con uno degli uomini dell'equipe, annuendo e controllando dei fogli. Bucky sa che non è niente che lo riguardi davvero. T'Challa parla di costi, tempi e comfort, preoccupandosi che Bucky non aspetti e non sia mai troppo a disagio durante le sessioni in laboratorio, od in generale con il nuovo braccio. Una cosa che ha fatto storcere il naso di Bucky è il rifiuto di renderlo parte di quanti soldi abbia dovuto spendere per costruire un braccio del genere da capo.

Nessuno degli scienziati dell'equipe sembra voler condividere l'informazione e Bucky si è ripromesso che non avrebbe cercato di scoprirlo sfruttando le conoscenze inculcate nella mente dell'Altro. Perciò, ha solo scritto su uno dei suoi notebook che, probabilmente, il suo debito-a-vita con T'Challa si estenderà forse anche più in là di essa.

Steve non fa altro che cercare modi di ripagare la generosità dell'uomo, così come tutto il team di ex-Avengers che si sono portati dietro dopo averli aiutati ad evadere dal Raft. Soprattutto Scott e Clint, con cui ha parlato poco, ma quel che basta per comprendere lo stato d'animo dei due: un misto di rabbia e preoccupazione per le loro famiglie. Wanda e Natasha sembrano avere una situazione molto simile alla sua: nessuna famiglia, nessun posto a cui far ritorno che non sia Steve, un amico vicino – nel caso di Natasha – ed una sottospecie di fratello maggiore – per Wanda.

Bucky non sa molto sulla storia di Wanda, ma sa che anche lei ha perso qualcuno a cui era molto, molto vicina.

Sam e Sharon, invece, sono due casi totalmente a parte. Sharon ha rifiutato l'invito di T'Challa, mentre Sam si è più visto costretto – un po' come Scott e Clint – per via della sua amicizia stretta con Steve.

A Bucky piace Sam, una parte di Bucky adora Sam, non solo come persona, ma per essere stato vicino a Steve durante questi ultimi anni. La parte meno dignitosa di Bucky, invece, lo invidia per aver preso un posto che, un tempo, era solo suo. Perché Bucky è sempre stato il migliore amico di Steve, la persona speciale nella sua vita. Adesso, quella parte di sé si sente come lasciata indietro per un'età a cui non appartiene, per una persona che magari può aiutare – ed ha aiutato – Steve ad andare avanti, ad ambientarsi ed accettare che, ormai, il ventesimo secolo non è che acqua passata. Farà sempre parte di Steve, ma non avrà più il permesso di condizionarlo così a fondo.

Bucky si sente parte di quel fardello che ancora Steve a tempi andati e persi, un fardello che Steve non sembra pronto a lasciar andare. Cristo, Steve ha abbandonato il suo scudo per portare via Bucky dalla base siberiana dell'HYDRA.

Ci sono tante parti di Bucky. Una concorda con la parte invidiosa, concorda sul fatto che Sam porterà via Steve da Bucky, ma ne è quasi contenta e crede che sia la cosa giusta da fare per Steve. Un'altra parte gli ricorda che non dovrebbe essere invidioso di una cosa del genere, perché Steve sta conoscendo altre persone di cui potersi fidare e non avrà solo un unico amico come avveniva quando erano piccoli e Bucky era la sua unica famiglia ed amicizia. Un'altra, decisamente più debole ed insicura, cerca di trovare un modo per incastrare anche Bucky in un quadro futuro in cui Steve è circondato di persone di cui si fida ed ha una vita sana e piena di alti e bassi.

L'ultima volta che Bucky si è perso in simili pensieri ha quasi avuto un attacco di panico, facendo preoccupare Steve a morte e rinchiudendosi nella stanza di Steve per poi rifiutarsi categoricamente di parlargli di cos'era successo. L'ansia di venir lasciato indietro, la speranza che avvenisse e – al tempo stesso – che Steve si ricordasse di lui, si voltasse e gli tendesse la mano. Bucky ha cercato di calmarsi così tante volte pensando che Steve, teoricamente, aveva fatto esattamente ciò che la parte più debole ed insicura di sé aveva sperato facesse. Steve è rimasto con lui e, tutt'ora, ha alzato un paio di dita medie al mondo per restare con lui.

Non appena l'ansia ha ricominciato a montare, Bucky ha decretato l'argomento come tabù. Pensare che Steve sta praticamente buttando via la sua libertà, la sua vita, se non perfino una parte di sé stesso per aiutare Bucky è.. qualcosa che non è disposto ad accettare, né a volere. Men che meno essere la ragione per cui tutto questo stia avvenendo.

— Ecco fatto. —

Il click che arriva dal braccio è quasi un sollievo, assieme agli impulsi nervosi che viaggiano fino alle dita, non risparmiandolo ancora dalla sensazione formicolante, ma permettendogli almeno di tirare su il braccio e guardarlo da vicino, fissando Mehret e chinando appena il capo in un tacito segno di ringraziamento, nonché di comprensione.

— Per oggi abbiamo finito, ma temo dovremo vederci ancora un paio di volte. — aggiunge la donna in un tono professionale, distaccato, ma non troppo. Non sta trattando Bucky come un oggetto, ma come una persona, un cliente.

Bucky annuisce, prima di voltarsi ed osservare T'Challa fare il suo ingresso all'interno della stanza, l'espressione distesa di chi porta buone notizie.

— Qualche giorno fa ho avuto modo di parlare con Romanov e Shaliq. — un uomo dell'equipe tira su la testa, assieme ad una mano e salutando Bucky, quando T'Challa lo indica. — Ci ha detto che, qualche tempo fa, stava considerando l'idea di mimetizzare la protesi con un braccio vero e proprio e che lo SHIELD le aveva fornito un equipaggiamento in grado di ricreare la struttura facciale di uno dei CEO, giusto prima che Washington venisse distrutta dagli helicarrier. —

Bucky abbassa la testa, ricordi frammentati della lotta con Steve sull'helicarrier che gli riempiono la mente.

— Per fortuna, Romanov è riuscita a recuperare una delle maschere e portarla qui. — e, mentre T'Challa parla, Shaliq gli si avvicina con una valigetta metalizzata con ancora il simbolo dello SHIELD sopra, porgendola al Re del Wakanda. — La tecnologia è la stessa che permetteva agli helicarrier di schermarsi anche ad occhio nudo, per quanto questa sia decisamente più manovrabile, data la scala ridotta. —

— “Sharon ha bisogno di uno strappo,” eh? — sbuffa Bucky, incrociando le braccia al petto, ancora seduto. — Ecco che fine aveva fatto. —

Sapeva che Natasha sarebbe stata via per una settimana, ma non immaginava fosse questo il motivo. Senza contare che Sharon, da quel che Steve gli ha detto, era un agente dello SHIELD. Adesso la cosa aveva decisamente più senso.

— Immagino abbia voluto aspettare, prima di darti delle speranze inconsistenti. — aggiunge T'Challa, poggiando la valigetta sul tavolo ed aprendola, permettendo così a Bucky di osservare una piccola rete composta da piccole, fitte scaglie esagonali al centro di una sagoma ritagliata, le scaglie che rifrangono la luce debolmente, dipingendo striature rosastre ed azzurrine in più punti.

— Sembra più invisibile, che altro. — osserva Bucky, non osando toccare l'ennesimo aggeggio che gli stanno mostrando quest'oggi.

— L'idea principale era quella, ma poi è stata modificata per riflettere il colore della pelle sottostante e ricreare ombre e sagome lì dove c'era bisogno. — spiega Shaliq, intervenendo dal fianco di Mehret. — Ci vorrà un po', ma una volta ottenuta una mappatura completa della protesi, potremmo ricreare una pellicola che alteri il colore e non le forme. — conclude.

— Niente più maniche lunghe o guanti da serial killer, insomma. — “scherza” Bucky, fissando ancora la maschera tecnologica. — Suona come un'ottima idea. — e solleva lo sguardo verso T'Challa e, infine, Mahret e Shaliq. — Quale rene dovrò impegnare a vita per una cosa del genere? —

T'Challa sorride, stavolta uno sbuffo che increspa anche le rughe d'espressione vicino agli occhi. — Nessun rene, mi basterà quell'allenamento che mi promettesti qualche tempo fa. — risponde.

Ma poi è anche vero che T'Challa ha sempre risposto a quel modo. E Bucky si è ritrovato più e più volte all'interno della sala d'allenamento, col culo per terra – a volte pure tutto il corpo, – senza fiato e con un paio di lividi che bene o male sarebbero svaniti entro la serata.

Prima che Bucky possa riprendere col discorso sul non aver fatto abbastanza, T'Challa s'incammina verso l'uscita della stanza, invitandolo a seguirlo con un semplice: — Hai già fatto colazione? Ho ancora mezz'ora, prima del primo appuntamento. — con tanto di occhiata. Furbo ed affilato.

Bucky lo segue all'esterno della stanza, accigliato come sempre, dopo aver salutato l'equipe con un cenno ed aver ricevuto la stessa attenzione minima in cambio.

— Sul serio, ci sarà qualcosa che posso fare. So che sei più ricco di Stark, ma non stai soltanto dando fondo ai soldi per tenerci qui e —

T'Challa si volta di scatto, facendo chetare e tendere Bucky di botto, l'istinto che gli urla di mettersi in posizione ed aspettare il primo colpo.

T'Challa lo nota, nonostante Bucky si forzi quasi subito ad assumere una posizione più neutra, finendo solo col sospirare e distogliere lo sguardo dall'uomo.

— Signor Barnes —

— Bucky. — lo interrompe Bucky, ricordandogli per l'ennesima volta che T'Challa gli ha sempre chiesto di essere chiamato per nome.

— Bucky — si corregge T'Challa, senza dare segni di disagio; qualcosa che Bucky gli invidia, sotto certi aspetti. — so che non sarà mai la stessa cosa, ma anch'io ho delle colpe da espiare nei tuoi confronti. Non ho sentito ragioni, ti avrei ucciso se la signorina Maximoff non mi avesse fermato, o se non avessi seguito Stark fino in Siberia e poi avessi sentito Zemo confessare cos'aveva fatto. —

Bucky deglutisce, il nervoso e l'ansia che ritornano a galla ogni volta che la Siberia viene portata in ballo.

T'Challa non sembra realizzarlo, o magari è troppo bravo a mascherare le proprie reazioni.

— L'ospitalità è il minimo che io possa fare, oltre che aiutarti a recuperare una parte della tua libertà, se non quanta più mi sarà possibile. — continua, calmo e sicuro. Ormai è chiaro che abbia già preso la sua decisione. — Non sono ingenuo, so che un giorno o l'altro anch'io avrò bisogno d'aiuto, che la mia armatura non basterà a proteggermi da qualunque cosa il destino abbia in serbo per me. Ma so che quel giorno, se davvero vorrai sdebitarti di un debito inesistente, non rifiuterò alcun aiuto mi sarà offerto. —

Bucky invidia quest'uomo. La sua calma e capacità di accettare qualcosa di ignoto, se non spaventoso.

— Non ti sto aiutando per approfittarmi della tua bontà, né per tornaconto personale. Beh, non materialmente almeno. — e qui un piccolo sorriso si palesa di nuovo sulle labbra scure dell'uomo. — Mi piacerebbe che tu mi considerassi un amico. Non potrò mai essere all'altezza di Rogers, ma spero quantomeno di guadagnarmi parte di quella fiducia che avete l'uno nell'altro. —

Il suo discorso è interrotto dall'arrivo della sua segretaria – una donna dai capelli rasati, alta e robusta.

— La riunione è stata anticipata di venti minuti, quasi tutti gli ospiti sono arrivati, mancate solo voi ed un paio di persone. — mormora in un tono basso.

T'Challa sospira, annuendo e lanciando un'occhiata di scuse in direzione di Bucky.

— Cercherò di farmela passare. Grazie T'Challa. — lo interrompe Bucky, prima che T'Challa possa dire alcunché. E poi, quando lo vede annuire e sorridere, voltandosi ed incamminandosi assieme alla segretaria — Steve si fida di te. — alza un po' la voce, vedendo l'uomo rallentare e voltarsi. — Prima o poi imparerò anch'io. —

Un solo sorriso riceve come risposta, prima che il Re del Wakanda svolti l'angolo, sparendo assieme al ticchettio dei tacchi della segretaria.

Bucky, rimasto da solo, non può far altro che voltarsi ed incamminarsi in direzione dell'appartamento di Steve, per quanto dubiti che il biondo stia ancora dormendo, non alle nove del mattino.

 

[…]

 

Fare ritorno alla struttura principale, quella dove si trova l'area residenziale, è un percorso lungo, ma piacevole. Bucky si è sempre perso a curiosare in mezzo ai giardini pieni di piante tropicali, senza mai allontanarsi dal viale di piastrelle grige. La sua mente è persa in mezzo ai ricordi della prima volta che Mehret mise mano sul moncherino meccanico, facendolo sobbalzare e tendere come una molla. C'era anche Steve con lui, le prime volte, quando ancora non era sicuro, né troppo volenteroso di farsi sfruttare ancora come cavia da laboratorio.

Bucky non voleva neanche T'Challa all'interno della stanza, ma alla fine aveva ceduto alle sue richieste per la sicurezza dell'equipe – per quanto minima, ai tempi – nel caso in cui la riprogrammazione subentrasse e provocasse danni di cui si sarebbe pentito.

Mehret era stata perfetta, ma lui aveva rischiato di vomitare una volta rientrati nel loft. Steve gli aveva preparato delle bevande calde tutto il giorno, infine aveva mangiato da solo, con Bucky che lo fissava dall'angolo del divano, intabarrato nella coperta più morbida che avessero, la mano buona che reggeva la propria tazza piena di tè.

Ciò che lo aiutò a fidarsi un po' di più di Mehret furono gli incontri assidui che T'Challa aveva richiesto di sostenere. Le prime volte, Bucky era partito con un atteggiamento decisamente poco consono ad un gentiluomo, soprattutto nei confronti di una signora – una parte di lui, ancora incastrata negli anni '40, continuava a ripeterglielo e lui insisteva nell'ignorarla.

Mehret fu paziente, dal primo all'ultimo secondo, rispondendo a domande dall'aria minacciosa e ribadendo la sua etica professionale, finché non cominciò lei a fargli domande, a chiedergli come avrebbe preferito approcciare il tutto, cos'avrebbe dovuto imparare a sopportare e cos'altro si poteva evitare, se ci fosse stata la necessità. La donna aveva chiesto che Bucky parlasse chiaramente, di esprimere fin dal principio quando qualcosa gli era sopportabile e quando invece non voleva velocizzare le cose, ma andare piano.

Il fatto che Mehret, poi, ascoltasse davvero quando Bucky le chiedeva di andare piano, nonostante ciò significasse prolungare l'operazione di qualche ora, non fece altro che aiutare l'uomo ad accettare con più facilità ogni cosa Mehret avrebbe dovuto fare per poter costruire un nuovo braccio meccanico.

Andare sotto ai ferri. Quella fu la parte spaventosa.

— Sicuro di potercela fare, Buck? — aveva chiesto Steve, il suo solito broncio preoccupato, pieno d'ansia che non riusciva a nascondere.

— Ora o mai più, punk. — aveva risposto Bucky, dandogli una pacca sulla spalla e sedendosi sul lettino, prima di prendere un respiro e chiudere gli occhi mentre si distendeva.

La sensazione di poggiarsi su un materasso morbido attutì le immagini dei lettini freddi, metallici su cui gli scienziati dell'HYDRA operavano. Afferrare la maschera con l'anestetico lo aiutò in minima parte, dandogli quel poco controllo che avrebbe voluto avere in diverse situazioni. Tutti avevano aspettato in silenzio, senza mettergli pressione, ma non potendo fare niente per alleggerire quella che già gli gravava sulle spalle. Li stava tenendo tutti fermi per colpa di una stupida anestesia, ma il suo corpo si rifiutava di addormentarsi e perdere coscienza.

Aveva chiesto molte volte se sarebbe stato possibile farlo rimanere sveglio, ma Mehret gli aveva spiegato che avevano bisogno di meno impulsi cerebrali possibili durante il collegamento al sistema nervoso, che avrebbe fatto male e che sicuramente Bucky non avrebbe reagito bene, non dopo aver sentito il numero di terminazioni che avrebbero dovuto collegare e testare.

Si era alzato dal lettino con un — Devo vomitare. — sulle labbra e, per quanto non avesse mangiato niente, furono i succhi gastrici a raschiargli la gola e farlo tremare, quando riuscì a vincere i conati ed impedire che la gola si chiudesse in un nodo, rendendogli difficile la respirazione. Steve era con lui, trattenendogli i capelli ed evitandogli che si sporcassero.

Dopo qualche istante, qualcuno entrò per pulire, mentre lui si sciacquava la bocca all'interno del piccolo bagno, attiguo alla stanza. Steve, da lì, aveva cominciato ad agitarsi ancora di più, finché non gli fu chiesto di uscire, quando videro come il suo umore affliggeva anche quello di Bucky.

— Possiamo aspettare ancora un po', signor Bar —

— No, vi ho fatti aspettare fin troppo. È una questione di principio. — aveva interrotto lui, tornando a distendersi sul lettino e chiudendogli occhi, non guardando la propria mano mentre calava con la mascherina trasparente.

— Andrà tutto bene, James. — fu l'ultima cosa che comprese, aprendo appena gli occhi ed inspirando velocemente, tremolante, solo per osservare la visione sfocata e la sagoma di Mehret avvicinarsi, toccargli debolmente la spalla ed aiutando la propria mano a sostenere la maschera dell'anestetico.

Quando si svegliò, per poco non colpì Steve col suo nuovo braccio di Vibranio, ma riuscì a spaventarlo a morte, dato che stava dormendo affianco del suo letto. Ricorda di essere stato contento, quando realizzò di essere stato riportato nel proprio appartamento, e che nessun altro lo aveva visto nelle condizioni in cui riversava.

— Sei andato benissimo, Buck. Sono tutti fieri di te. — gli aveva detto Steve con un sorriso debole stampato sulle labbra carnose. E, per quanto Bucky fosse segretamente sollevato di sentirselo dire, una parte di sé sperava quasi che anche solo Steve potesse essere fiero di lui, senza bisogno di coinvolgere il resto del mondo nel processo.

— Devo pisciare. — aveva detto Bucky, in risposta, guadagnandosi un vaffanculo ed un aiuto ad alzarsi dal letto, ancora intorpidito per via dell'anestesia, per quanto il siero del super-soldato avesse fatto davvero miracoli. Quantomeno si era evitato l'imbarazzo che seguiva simili tipi di conversazioni, sempre.

Una testolina biondo cenere rompe il fiume di ricordi, riportandolo alla realtà. Ha smesso di camminare da qualcosa come una decina di metri, fermo davanti a dei fiori rosso-aranciato con la punta di un arancione sfumato, quasi tendente al giallo, rigogliosi e forti, circondati da foglie verde scuro.

Bucky solleva lo sguardo, cogliendo il movimento poco più in là l'ennesima volta, e non ha bisogno dei sensi sviluppati per capire che una certa ragazza deve essersi presa uno spavento nel vederlo lì, immobile, come fosse incastrato in chissà quale pensiero. Le piante nascondono il viale trasversale che attraversa il giardino, ma non abbastanza da celare la figura vestita di rosso scuro e nero, men che meno il suono degli stivaletti simil-anfibi che sfregano sul suolo.

Quando nessun rumore arriva dall'altra parte del viale, Bucky si ritrova ad aprire bocca. — Wanda? — chiama, facendo un paio di passi e fermandosi.

Wanda sospira, palesandosi un paio di metri più avanti, sbucando dal viale di sinistra, i grandi occhi verde scolorito che lo scrutano con aria colpevole.

— Heym, uhm. — alza una mano, le dita affusolate che si distendono per un attimo, prima di richiudersi e venir tirate giù assieme al resto dell'arto. — Disturbo, per caso? — c'è un po' di esitazione nella voce.

— No, kid, non disturbi. — Bucky sente l'ombra di uno sbuffo palesarsi nella voce, assieme al tono ironico.

Wanda lo scruta come se avesse davanti un'altra persona. Una persona che non conosce. Non ci vuole un genio per capire che si trovi un po' in difficoltà.

— Volevo scusarmi. — la sente cominciare.

E già alza la mano per fermarla. — Non c'è niente di cui scusarsi, kid, non hai fatto niente di male. Mi dispiace solo che tu abbia dovuto vedere quella merda. Basto ed avanzo io a ricordare certe cose, non serve che ti unisca anche tu al club. — Bucky sta cercando di mantenere il tono ironico, ma la verità è che c'è amarezza nei suoi pensieri, ogni volta che pensa a quanto sia l'unico, assieme a Natasha, a sapere cosa significhi crescere nell'HYDRA.

— Vorrei poter aiutare. Non ero pronta, ho fatto un errore e so di aver visto qualcosa che non avrei dovuto. — insiste Wanda. — So che non ho nessun diritto di dirti che posso immaginare cosa tu abbia passato e che non devi affrontare tutto da solo, ma — la frase s'interrompe, mentre lei abbassa gli occhi chiari sulle proprie dita, fili rossi d'energia che s'intersecano fra loro, ricreando una minuscola perla luminosa e tremolante; la lascia scorrere fra le dita, come una moneta, e infine sospira — ha fatto male anche a me. L'ho provato anch'io, quando.. beh, quando ho visto. — mormora, la piccola sfera d'energia che sparisce. — Sapevo che avrei sperimentato ciò che hai provato tu e non ero pronta. —

Bucky sbuffa, l'amarezza che accompagna la risata che gli sfugge dalle labbra. — Non è esattamente qualcosa per cui qualcuno può prepararsi. —

Wanda rimane in silenzio, guardandolo. — Vorrei comunque chiederti scusa. —

Testarda la ragazza, eh?

— Sai, sei liberissima di prenderlo come un'offesa, ma mi ricordi davvero un teppista biondo, palestrato e con un debole per il vintage. —

Wanda ridacchia, abbandonando un po' della tensione che l'aveva dall'inizio del discorso. — Se è un modo carino per dirmi che non sono perdonata, okay, posso accettarlo. — confessa, infine. — Avevo comunque in mente di prepararti del pollo alla paprica come seconda opzione. —

— Non c'è niente da perdonare, te l'ho detto kid. Smetti di sprecare il tempo coi vecchi ultracentenari e vai a farti insegnare qualcosa di badass da Romanov, sul serio. — come se poi tutta quella roba che fa con le mani non facesse già la sua porca figura.

— Questo è un colpo basso. — Wanda ha quel fare giovanile di chi ha ancora tutta la vita davanti da godersi. Una scintilla che Bucky è sicurissimo d'aver perso molto tempo fa. Sa di nostalgia, ma in senso positivo. Come osservare un vecchio album fotografico e sorridere nel vedere le vecchie fotografie, ridere di quelle buffe ed imbarazzarsi di quelle strane. — Vorresti dire che non sono già abbastanza badass con i miei poteri? —

— Roba. — ricalca Bucky, storcendo la testa.

— Poteri, prego. —

Bucky sospira, incrociando le braccia e spostando il peso sulla gamba sinistra. Avere di nuovo un braccio, ma non sentirlo minimamente così leggero è.. strano. Molto strano. Si sente quasi sbilanciato, sotto certi aspetti.

Whatever. Cos'è il pollo alla paprica di cui parlavi, esattamente? — cambiare discorso è sempre stata un'ottima strategia.

— Non hai mai.. Okay, hai da fare domani? Mi aspetto, no, anzi, esigo di trovarti davanti alla porta d'ingresso con lo stomaco vuoto e neanche una frase schizzinosa in stile Clint “Non Mangerò Altro Che Pizza In Vita Mia” Barton. —

Bucky ride a quella battuta, perché – in effetti – le poche volte che ha incontrato Clint, l'uomo si lamentava sempre di come non ci fosse mai abbastanza pizza nel mondo. E, al momento, per mondo intendeva chiaramente il Wakanda.

— Cercherò di mangiare quel che riesco, ma non prometto niente sul quando e come. — confessa Bucky, infilandosi le mani nelle tasche, prima di cominciare a camminare e passare oltre alla ragazza. — Torni anche tu nell'ala Est? — fermandosi solo per voltarsi appena e rivolgerle un'aria interrogativa.

— Yep, in realtà lo stavo facendo, prima di.. Beh, prima di vederti e sentire il mio cervello che andava totalmente in retromarcia. —

A Bucky piace Wanda. Sta scoprendo che Steve ha davvero buoni gusti in fatto di persone, per quanto un'affermazione simile dovrebbe includere anche Bucky all'interno della cerchia di persone decenti con cui far amicizia. Perciò, si sente in diritto di modificare la cosa in “Steve, nel ventunesimo secolo, ha sviluppato davvero buoni gusti in fatto di persone”. Circa.

— Succede anche a me ogni tanto. Ho scoperto che la chiamano brainfart, di questi tempi. — la voce stessa di Bucky tradisce la confusione nel leggere un termine del genere su internet. — Il mondo ha un sacco di nuovi termini strani, devo dire. Non so se riuscirò mai davvero a farci l'abitudine. — non importa quanti libri comportamentali legga, si sente sempre un pesce fuor d'acqua in mezzo a persone propriamente funzionanti.

— Okay, Steve non mi aveva mai detto che eri divertente. —

— Immagino il suo concetto di privacy si estenda ad informazioni marginali come questa. — Bucky si stringe nelle spalle, man mano che prosegue lungo il percorso.

— Penso sia ancora un argomento delicato, anche per lui. — mormora Wanda, senza ancora guardare Bucky in volto. Tiene gli occhi fissi sul viale e sulla vegetazione. — Ha rischiato di esplodere con Rumlow quando gli ha detto di te. —

Bucky si ferma, guardando la ragazza fare lo stesso, solo dopo un paio di passi. L'espressione confusa sulla faccia della giovane è abbastanza da fargli aprire bocca per spiegare il perché di tale reazione.

— Cos'ha detto..? — le labbra fanno per curvarsi sulla R, anche solo per abbozzare il nome dell'uomo, ma la psiche ha un fermo improvviso. Punta i piedi e lo blocca, chetandolo e facendogli sperare che la minima sfumatura interrogativa faccia capire all'altra che si tratti di una domanda.

— Non lo so, sono arrivata.. Aveva finito il discorso, più o meno, qualcosa sul portare Steve con sé. Poi è successo tutto il disastro. — Wanda abbassa lo sguardo, chiaramente a disagio con l'argomento.

Bucky conosce bene la sensazione: una situazione che sfugge di mano e sortisce gli effetti contrari, o quantomeno parzialmente non voluti, senza che nessuno possa fare diversamente. Lei, almeno, ha salvato delle vite nel processo. Lui non può dire di essere stato altrettanto fortunato.

— Non è colpa tua. — si sente dire, lentamente. — Lagos era un ammasso di possibilità, una peggio dell'altra. Un edificio esploso ed una dozzina di casualità sono niente, se pensi a cosa sarebbe successo se non fossi intervenuta. Steve morto, se non addirittura un'allerta mondiale per un possibile attacco chimico chissà dove. — deglutisce, man mano che scivola in un tono più neutro e vacuo, calcolatore. Detesta quando la sua testa fa così, ma tenersi a distanza da determinati avvenimenti è l'unico modo che lo aveva tenuto lontano dalla follia, durante la Guerra. Quel poco che ricorda, almeno.

— Beh, se qualcuno se n'è reso conto, non l'ho minimamente visto, né sentito al telegiornale. — Wanda gli rifila un piccolo sorriso, per quanto sia chiaro che la voglia di sorridere sia poca.

— L'importante è che te ne renda conto tu da sola, kid. — Bucky tira su una mano, ci prova almeno a sfiorare la spalla di Wanda. Un urto di diffidenza e paura lo investe, bloccando il gesto a metà e facendo schizzare via l'arto, ritraendolo e rimettendolo a posto.

Wanda lo nota. Ed ovviamente parla prima che possa farlo Bucky.

— Grazie. — lasciando i “non ti preoccupare” per la parte silente e nascosta fra le righe del discorso.

Bucky annuisce, tira l'angolo delle labbra in un sorriso amaro che sa comunque di scuse, prima che il cellulare si metta a vibrare un paio di volte all'interno della sua tasca. Perfetto, la scusante perfetta per far cadere il discorso ed aprire l'sms da Steve.


Con Nat in palestra ;)
E grazie – neanche un po' – per avermi spento la sveglia.
Stronzo.


 

— Hey, cambio di programma, devo andare da un'altra parte. — caccia fuori Bucky, tirando su lo sguardo alla ricerca di quello di Wanda.

— Okay, basta non ti dimentichi che mi devi un pranzo.. o cena, insomma, come ti torna meglio. — Wanda si stringe nelle spalle, prima di alzare una mano. — Anche Steve è invitato, se vuole! — gli esclama dietro, non appena si sono allontanati.

— Glielo farò sapere! — ricambia Bucky, prima di imbucare uno dei viali lastricati che aveva visto più indietro, incamminandosi verso un'altra parte dell'agglomerato di edifici. — Questo posto è troppo grande. — mormora fra sé e sé, man mano che s'incammina in silenzio.
 


Author's Corner:
EEEED eccoci qui, slave. Come va? Oh boy, oh boy, was that a long chapter.
C'è voluto un po', ma eccomi qui. Dovrei studiare, ma ho paura che la voglia di scrivere passi, quindi niente, scrivo finché posso(?). Help.
Come sempre, I feed on feedback, quindi pls commentate (anche se trovate errori, sOPRATTUTTO se trovate errori), che aiuta davvero uehuehe
Ho cominciato ad introdurre un paio di cose su Clint e Scott, ma anche loro avranno dei capitoli precisi in cui sviluppare i loro problemi. Ho fisicamente bisogno che Bucky diventi amico di Wanda e T'Challa, quindi sappiate che vedrete molto 'sti due apparire qua e là. Senza contare che, dannazione, ci saranno un po' di feels nel prossimo capitolo (non vi dico per quale ship, perché hehe, it's a secret) e che ho intenzione di fare grandi cose(?) con T'Challa, se riesco davvero a finire almeno questo progetto (so far, so good, PLS let it be good 4ever). Plus, visto che siamo tutte persone sane di mente(?) e non #NOHOMO accaniti della Marvel, avverto fin da subito che tengo il bacio fra Steve e Sharon, MA (c'è sempre un ma, uao) la loro relazione è in un punto strano, soprattutto perché.. y'know, Sharon è un po' la nipote di Peggy and ew, Steve, that's so awkward how do you even.. no.

Detto ciò, un grazie galattico ai commenti del capitolo precedente - sul serio, y'all the cutest - e a
vorsakh - (click dems links) di cui dovreste leggere qualcosa, sono tipo due storie, neanche troppo lunghe, cosavicosta - che continua a spammarmi Stucky feels e sorbirsi letture prolungate perché "secondo te questa cosa suona come se fosse detta da Taldetali Personaggio????"

Pazzo e chiudo,
Shà <3
  
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