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Autore: kiku_san    23/05/2016    4 recensioni
La vita di Itachi raccontata da alcuni personaggi che hanno condiviso un tratto di strada con lui, amandolo, ammirandolo, invidiandolo, odiandolo.
Ognuno ne racconta un frammento di cui è stato testimone, ognuno dà di Itachi un ritratto diverso, perchè Itachi è luce e ombre, verità e menzogna.
Raccolta di one-shot, liberamente ispirate allo spin-off "La storia di Itachi: luce e oscurità".
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Itachi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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2.Izumi Uchiha: hana yori dango.*



“Izumi”
La voce penetra tra i miei singhiozzi e le mie invocazioni di aiuto, si insinua tra la polvere che invade la stradina.
“Izumi vieni”
Mi giro e lo vedo, miracolosamente accanto a me che mi tende la mano.
Mi sono svegliata nel mio letto per uno scoppio che ha fatto tremare la casa e cadere calcinacci dal soffitto, ho aperto gli occhi e ho chiamato la mamma e il papà, ma nessuno mi ha risposto.
Sono scesa dal letto e ho chiamato di nuovo, ma la casa completamente vuota ha rimandato solo l’eco della mia voce, allora ho pensato: “ C’è il terremoto, devo uscire il più in fretta possibile” e così sono corsa fuori.
Sono uscita dalla stradina sul retro e mi sono trovata avvolta in una nuvola di polvere, il cielo oscurato dal fumo e nell'aria scoppi, boati, urla.
“Aiuto Itachi... aiutami” e gli tendo la mano, lui me l’afferra e mi tira verso di sè, appena in tempo, prima che la casa accanto crolli e invada di macerie la strada.
Ogni cosa è coperta da una polvere bianca e dovunque ci sono calcinacci e gli oggetti più strani: pergamene sparpagliate, un sandalo spaiato, un libro strappato, un cesto con della frutta rovesciata...
Mi afferro alla sua maglia e corriamo in mezzo a gente spaventata che scappa da tutte le parti, corriamo in mezzo alla fine del mondo.
“Dobbiamo andare ai rifugi a sud-est” mi dice lui e io so solo annuire.
Molte case sono incendiate e distrutte, travi fumanti e macerie ostruiscono le strade strette, voci concitate e rumori sordi di muri che crollano e di tetti sfondati invadono l’aria. Cominciamo a scorgere figure che corrono gridando ordini, i ninja medici stanno rovistando tra le macerie, in cerca dei superstiti.
Quando arriviamo in prossimità del rifugio, una fila di persone sta spingendo per entrare e la polizia cerca di mettere ordine e di evitare il caos.
“Non avere paura, qui sarai al sicuro” mi dice e cerca di allontanarsi, ma io stringo ancora la sua maglia, non voglio che se ne vada, che mi lasci sola.
Con una mano cerco di scostarmi una ciocca di capelli impolverata e il nastro rosso con cui me li lego, scivola a terra senza che io me ne accorga, Itachi si china e lo raccoglie.
“Izumi sei qui” le braccia della nonna mi sollevano e mi stringono, Itachi mi sorride con il suo sorriso un po’ timido, mi mette tra le mani il mio nastro e scappa via.
In quel momento, anche se entrambi abbiamo solo cinque anni, capisco che mi sono innamorata di lui e che lo sarò per sempre.
“C’è il terremoto?” chiedo alla nonna, mentre con lo sguardo cerco di seguirlo tra la folla.
“ Qualcuno ha liberato la Volpe a Nove Code” risponde lei, scuotendo la testa e avanzando verso l’entrata del rifugio.
Qualche giorno più tardi siamo tutti in fila davanti al Terzo Hogake, La Volpe è stata sigillata grazie al Quarto che ha dato la sua vita per salvare Konoha, ma ogni clan ha qualcuno da piangere e case da ricostruire. Il dolore opprime molti dei presenti che non sanno trattenere le lacrime ma io, lo so che è una cosa orribile da dire, io non ascolto le parole dell’Hogake, ne mi lascio commuovere dal pianto di chi mi è accanto, cerco solo con gli occhi Itachi e quando lo vedo, accanto a suo padre e a sua madre, sono felice che lui sia salvo.
“Itachi” lo chiamo quando la cerimonia finisce e lui se ne sta andando, si ferma un po’ perplesso e io lo raggiungo di corsa.
“Itachi volevo ringraziarti per avermi salvato, senza il tuo aiuto sarei morta”
Lui mi sorride imbarazzato, per un momento non sa che dire, poi risponde: “Sono contento che non sei morta”.
La sua voce è pacata e seria come al solito, mentre parla mi guarda negli occhi e io sento il mio cuore che fa salti di gioia.
Anche se ho solo cinque anni, so già che da lui non potrò aspettarmi parole d’amore e dichiarazioni appassionate e che dovrò imparare a leggere, dietro frasi che sembrano solo di pura cortesia, qualcosa che lui non riuscirà mai ad esprimere apertamente.
Anche se ho solo cinque anni, decido che mi va bene così.


Quando poco dopo siamo ammessi all’Accademia, senza chiedere il suo consenso mi siedo accanto a lui nel banco e mi crogiolo di felicità, nel vedere gli sguardi invidiosi di tutte le altre bambine, che vorrebbero essere al mio posto.
Già penso che potremo stare insieme per alcuni anni, studiare insieme, allenarci insieme, crescere insieme, ma non ho tenuto conto del fatto che Itachi non è come tutti noi, lui è speciale, un bambino-prodigio, un piccolo genio e io... io sono solo una qualunque.
Dopo solo un anno lui prende il diploma, è genin a sette anni, viene assegnato ad un team ed è più il tempo che passa in missione di quello che sta a casa, ma nonostante questo so tutto di lui; suo padre, il capitano Fugaku, è il superiore del mio e gli racconta di come sia fiero dei progressi prodigiosi di suo figlio, che sta diventando non solo l’orgoglio della sua famiglia, ma di tutto il clan.
Un giorno che l’incrocio appena rientrato da una missione, lo fermo e lo invito in riva al lago.
E’ una giornata piena di luce, il lago riflette i raggi del sole e l’aria increspa leggermente la superficie.
“Scusami, forse avresti voluto tornare a casa invece di stare qui con me, ma era da tanto che non ti vedevo e volevo congratularmi con te per essere stato promosso genin”
“Grazie, ma non c'è nè bisogno”
“Certo che sì, sei stato molto bravo, avrei voluto farti un regalo ma non c’è mai stata l’occasione e così volevo offrirti questi” rido, rido sempre quando sto con lui, di certo penserà che sono una sciocca.
Apro un pacchettino con dentro dei dango tricolori e glieli offro, lui fa una faccia perplessa e io mi sento sprofondare. Rido per la centesima volta.
“Scusami, sono proprio stupida, come ho fatto a pensare che ti possano piacere.... non importa, la prossima volta che ci vediamo ti prenderò un regalo vero..uno shuriken forse.. o un kunai.. che ne dici? ...Cosa ti piacerebbe?”
Lui mi guarda con negli occhi un’espressione che al momento non riesco a decifrare, poi li abbassa, ingoia saliva e arrosisce e io capisco che Itachi potrà anche essere un genio ma poi, lì in riva al lago, è solo un bambino proprio come me, che ha l’acquolina in bocca.
“ Allora ti piacciono?”
Annuisce timidamente e sorride quando glieli offro.
“E’ il mio dolce preferito, come facevi a saperlo?”
“E’ anche il mio”
Da quella volta il pontile in riva al lago è il “nostro posto”, quello dove sedere vicini a mangiare dango e a parlare, facendo finta che tutto quello che ci sta attorno non esita: nè il clan, nè il villaggio, nè la pressione che Itachi comincia a sentire, nonostante sia ancora un bambino, di dover sempre dimostrare di essere il migliore, di nutrire incessantemente l’orgoglio del padre.
Lì siamo solo noi, io parlo raccontandogli cose buffe che succedono all’Accademia e lo faccio ridere, solo io e suo fratellino Sasuke siamo capaci di farlo!
Un pomeriggio di ottobre siamo lì come capita sempre più di rado, perchè Itachi è sempre più spesso fuori in missione e capisco che c’è qualcosa che non va, lui è serio più del solito e triste.
“Cosa ti è capitato? Dovresti essere contento, ho saputo che il tuo sharingan si è risvegliato”
“Come fai a saperlo?” la sua voce è tetra.
“Tuo padre lo ha raccontato a tutti”
“Capisco! E ha raccontato anche come è avvenuto?”
“So che eri in missione”
“Già, e sai anche che il mio compagno Tenma è morto?”
Mi zittisco e il sorriso mi scompare dalla faccia.
“No, non lo sapevo” mormoro, “come è successo?”
“E’ successo che tutti, fin da piccolo, mi hanno detto e ripetuto che sono speciale così tante volte che io ho finito per crederci e invece non è vero!”
“Che stai dicendo?”
“E’ così! Perchè se fossi veramente così in gamba come tutti credono, il mio amico non sarebbe morto per salvarmi la vita, se fossi stato così eccezionale, sarebbe dovuto avvenire il contrario”
Sta zitto e tra noi cala il silenzio.
Allungo una mano e gli accarezzo una spalla, so fare solo quello, non è molto, ma forse è più di ciò che qualcuno gli ha dato finora.
“Non devi sentirti in colpa, Tenma ha fatto quello che doveva fare, non essere triste per lui, è morto con onore”
“Non sono stato capace di salvarlo”
“Non puoi salvare tutti, Itachi”
“Mio padre quando sono tornato era felice, sprizzava orgoglio da tutti i pori, finalmente suo figlio aveva lo sharingan, finalmente poteva dirsi a tutti gli effetti un Uchiha... non mi ha chiesto niente di Tenma, non una parola, seguitava a darmi consigli, a parlare del mio futuro, mentre io continuavo a ripetermi nella testa: “ Come puoi far finta di niente, come puoi pensare allo sharingan in un momento come questo? E’ morto il mio compagno di squadra e io ero lì accanto a lui, dimmi che ti dispiace, chiedimi come mi sento..consolami...”
“Glielo hai detto?”
Lui alza gli occhi e mi guarda avvilito.
“No, l’ho rassicurato che non mi sarei seduto sugli allori, ma che avrei continuato ad allenarmi per essere sempre il migliore”
Gli prendo la mano e gliela stringo e non parlo più, ma stiamo uno accanto all’altro a guardare la luce che a poco a poco si affievolisce e scompare.
Non sono un genio, ma in quel momento capisco una cosa che non ho più dimenticato: anche le persone più eccezionali hanno le loro fragilità e debolezze. La debolezza di Itachi è quella di non riuscire ad essere veramente se stesso, come se fosse sempre un po’ bloccato, come se dovesse sempre recitare la parte del figlio perfetto, dell’allievo perfetto, dello shinobi perfetto. La sua fragilità è mentire a se stesso e agli altri sui propri sentimenti, aver paura ad esprimere le proprie emozioni, i propri pensieri. La sua debolezza è fidarsi troppo di sè e nulla degli altri, come se fosse suo dovere risolvere i problemi del mondo tutto da solo, senza chiedere aiuto a nessuno.


Quando a tredici anni Itachi diventa chunin e poco dopo entra nella squadra ANBU, diventa sempre più difficile riuscire ad incontrarci, così cominciamo a perderci di vista.
Non so so quasi più nulla di lui, so solo che mi manca, che mi piacerebbe incontrarlo e parlargli, farlo ridere, donargli qualche momento di spensieratezza.
Poi un giorno, tornando da una missione con la mia squadra, mi fermo a mangiare qualcosa nel mio chiosco preferito.
Mi sono appena seduta che sento una voce alle mie spalle.
“Sapevo che saresti rientrata oggi e ho pensato che ti avrei trovata qui”
Mi volto di scatto, sapendo già chi ha parlato.
“Itachi! Da quanto tempo non ci vediamo”
“E’ vero, troppo. Posso farti compagnia?”
“Certo, che domande!”
Ordina anche lui una porzione di ramen e mi si siede accanto, ho il cuore che mi batte a mille, non gli staccherei gli occhi di dosso...
“Che c’è? Ho qualcosa di strano?”
Arrossisco fino alla punta delle orecchie, forse ho proprio esagerato.
“No, figurati... è che ...è così tanto che non ti vedo..sei cresciuto, non sei più un bambino”
“Neanche tu”
E mi sfiora con il suo sguardo serio, che per chi non lo conosce può sembrare freddo e distaccato, mentre a me fa rabbividire di piacere misto a imbarazzo.
“Ti va di passare dal nostro posto?” gli propongo.
Lui annuisce e così, finito di pranzare, ci compriamo alcuni dango e andiamo a sederci sul pontile.
“Come stai Itachi?”
“Perchè me lo chiedi?”
Gli sfioro con la punta delle dita le occhiaie che si disegnano evidenti.
“Per queste. Qualcosa ti preoccupa?”
“Tante cose, ma essere preoccupati diventa la normalità per il capitano di una squadra ANBU”
“Girano delle voci nel clan...”
“Non voglio parlare del clan in questo momento, non ora”
“Hai ragione.....” recupero a fatica il mio tono spensierato “...E così sapevi che sarei tornata oggi dalla missione...”
“Fa parte dei miei compiti sorvegliare il villaggio e essere al corrente di ciò che succede”
“Ahhh... ovvio.. Sapevi anche che mi avresti trovata a quel chiosco...anche questo fa parte dei tuoi compiti?”
“Naturalmente” e sorride.
“Quindi tu sei a conoscenza di quali chioschi preferisce ognuno di noi? E’ così?”
“Non proprio, sono a conoscenza dei posti che preferisci tu”
“Quindi per gli ANBU sono una sorvegliata speciale? Mi devo preoccupare?”
“Non per gli ANBU, diciamo piuttosto per me e no.... penso che tu non debba preoccupati”
Rido e abbasso gli occhi per evitare che si accorga del mio rossore.
“So che sei diventata una brava genin, ti stai perfezionando nelle Arti Marziali e sai usare bene lo sharingan”
“E che altro sai di me?”
“So che ci sono parecchi ragazzi a cui piacerebbe uscire con te”
“Gia, peccato che loro non piacciano a me”
“Ti ricordi quando sono stato promosso genin e tu mi hai regalato i dango?”
“Sì, certo!”
“Beh mi sono reso conto che io non ho mai contraccambiato e allora ho pensato di portarti questo”
Si fruga nella tasca e ne estrae un pacchettino, quando me lo porge non so cosa aspettarmi, lo apro con impazienza e dentro c’è una collanina a cerchietti argentati.
“Ti piace?”
“Tantissimo, mi aiuti ad allacciarla?”
Sento le sue mani sulla mia nuca e non resisto, mi volto e anche se nella mia testa una voce mi dice che una brava ragazza non deve mai prendere l’inziativa e che chissà lui cosa potrà pensare di me, accosto le mie labbra alle sue, aspettandomi che lui si ritragga e mi respinga con la pacatezza che lo contaddistingue, invece lui rimane fermo e risponde al mio bacio.


Si festeggia l’Equinozio di primavera e io insieme alla mia famiglia, come tutte le famiglie di Konoha, andiamo a visitare le tombe dei nostri cari.
E’ una giornata chiara e piena di vento, io e mia madre risistemiamo e puliamo le lapidi, togliamo le erbacce e le purifichiamo con l’acqua, poi le abbelliamo con i fiori che abbiamo colto e con bacchette di incenso profumato. Alla fine apriamo i pacchettini di cibo e dolci che abbiamo portato e li offriamo per rallegrare le anime dei morti.
Itachi è poco distante da noi, insieme ai suoi genitori e a suo fratellino, lo osservo di sottecchi e come sempre, quando è insieme agli altri, mi sembra gentile ma freddo, distaccato e impenetrabile, come se la cosa più importante fosse non perdere mai il controllo su se stesso e sulla realtà, come se fosse necessario tenere celato a tutti cosa lo tormenta.
Potrà riuscirci con gli altri ma a me non sfuggono le sue occhiaie sempre più profonde e il suo sguardo sempre più distante, come se sia in partenza da tutto ciò che lo circonda, come se si preparasse ad un addio.
Mi si stringe il cuore e rabbrividisco, non credo ai presagi ma mi assale una sensazione come di imminente catastrofe, come se qualcosa fosse in agguato, pronto a spazzare via ogni cosa a cui tengo.
E’ sera, tutto il villaggio è illuminato da lampioncini appesi agli alberi che si stanno coprendo di fiori, il vento si è calmato e l’aria è tranquilla, io invece sono inquieta e continuo a guardarmi attorno, come se fossi circondata da nemici.
Mi allontano, ho bisogno di stare sola, di riuscire a calmarmi, senza accorgermene arrivo alla casa della nonna, che dalla sua morte è rimasta chiusa. E’ una piccola casa che sorge al limite del bosco, con una terrazza di legno dove mi piaceva leggere quando ero bambina. Mi arrampico lì sopra e rimango a guardare sotto di me le strade illuminate dalla luce rossa delle lanterne, cullata dal vociare confuso e sfocato della gente che si diverte.
Ad un tratto un rumore lievissimo mi fa trasalire, mi volto di scatto pronta a difendermi e vedo Itachi dietro di me.
“Itachi mi hai fatto paura..” sto per aggiungere qualcos’altro quando mi blocco, vedendo le sue mani sporche di sangue e i suoi occhi rossi, disegnati da un segno mai visto.
“Itachi..cosa ti è successo?” balbetto e mi avvicino, ma lui fa un passo indietro e allunga il braccio ad impedirmi di proseguire.
“I tuoi occhi....”
Lui li chiude, barcolla impercettibilmente, si appoggia alla balaustra come se avesse un capogiro.
“Itachi.....”
“Shisui è morto” la sua voce è impercettibile.
“Morto? Chi è stato?”
“Non chiedermi niente, Izumi se davvero mi ami non chiedermi niente, non posso parlare, non voglio mentirti e se parlassi dovrei farlo”
Mi avvicino e lo abbraccio, Itachi negli ultimi tempi è cambiato, è come se stesse tagliando i ponti con tutti noi: con suo padre, con sua madre, addirittura con suo fratello, forse anche con me, è come se fossimo diventati tutti dei fantasmi, ma io non glielo permetterò, io non mi arrenderò, non ho nessuno con cui sostiturlo come sta facendo Fugaku, che adesso trova soddisfazione nell’allenare Sasuke, io ho solo lui!
E’ per questo che lo bacio e lo stringo, gli slaccio il giubbetto e infilo le mani sotto la sua maglia e quando anche lui risponde, ci lasciamo cadere sul legno profumato della veranda e alla luce rossa dei lampioni facciamo l’amore, io e lui entrambi per la prima volta, con la disperata voglia di cancellare ogni dolore e ogni presagio triste.


Una notte mi sono svegliata e c’era la luna piena, una luna sinistra e malefica che tagliava le ombre con luce fredda.
Ho sentito urla e confusione, ho preso le armi e sono uscita di corsa. Sono arrivata al Quartier Generale della Polizia e ho cominciato a vedere i morti per strada, i vetri rotti e il sangue, sangue dappertutto. All’ingresso è uscito un uomo coperto da un mantello e con una maschera strana che gli copriva il viso, gli ho lanciato gli shuriken senza colpirlo, lui, con una velocità incredibile, mi ha scagliato contro una catena che mi si è stretta intorno, facendomi cadere per terra e stritolandomi il torace.
“Aiuto Itachi... aiutami” ho mormorato a fatica, poi ho alzato gli occhi e l’ho visto correre sui tetti silenziosamente con la spada in mano e così non ho avuto più paura.
E’ sceso agile come un gatto.
“C’è ancora del lavoro da fare” ha detto a voce bassa all’uomo che mi aveva imprigionato,“ Vai, di lei mi occupo io”
Si è inginocchiato accanto a me e ha raccolto qualcosa per terra.
“La tua catenina... ti si è slacciata” mi ha mormorato, stringendola nel pugno.
Si è chinato accanto al mio viso e mi ha baciato, poi mi ha guardata e ho visto nei suoi occhi disegnarsi uno strano sharingan, quello sharingan che per un attimo avevo percepito sulla terrazza, la notte che Shisui era morto.

Quando la Volpe a Nove Code attaccò Konoha, Itachi venne a casa mia e mi portò ai rifugi mettendomi in salvo.
Fu sempre lui che, la notte in cui sterminò il clan Uchiha, mi imprigionò in una illusione con lo Sharingan Ipnotico e poi mi uccise, ma fu un’illusione d’amore che per me fece durare una vita intera.



*Proverbio giapponese: “Meglio i dango che i fiori”.
I dango sono è una sorta di gnocco giapponese fatto di farina di riso .Da tre a quattro dango sono spesso serviti in uno spiedo.
  
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