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Autore: Carla Marrone    24/05/2016    1 recensioni
Un'avventura umoristica, in cui, il mio OC, una glottologa, finirà nel mondo di Lost Canvas. Il suo scopo? Tradurre delle antiche pergamene, che conducono ad un misterioso, magico tesoro. Il tutto, possibilmente, prima che queste cadano nelle mani degli Specter. Ad aiutarla, i Cavalieri di Atena, che avrà occasione di conoscere.
Come unica avvertenza, il linguaggio, solo in alcuni punti, un po' scurrile. Mi piace illudermi che, talvolta, fosse più che necessario. Quando ci vuole, ci vuole.
Spero vi divertiate a leggere questa breve incursione nella realtà dei Saint Seiya, almeno quanto mi sono divertita io ad inventarla. Fatemi sapere, ci conto!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.TRE GIORNI DOPO 

Ho detto ad Allen che avevo ultimato le traduzioni. Così, senza neanche avere il tempo di rivedere il tutto un’ultima volta, mi ritrovo davanti ai dodici Cavalieri ed al Gran Sacerdote, con tanto di presenza della dea Atena in persona. A quanto pare, in questo momento non deve studiare. O, forse, è sembrato a tutti necessario che presiedesse alla spiegazione relativa le pergamene. Lei è il “grande capo”, in fondo, deve essere informata circa ogni singola missione. 

Ed eccomi, dietro al suddetto tavolo ligneo, circondata da scartoffie, “nell’aula magna” a spiegare come una maestrina. L’attenzione di tutti è incentrata su di me. Per quanto ami vedere le persone pendere dalle mie labbra, devo ammettere che, l’attuale situazione mi crea non poca tensione. E se avessi sbagliato qualcosa? So che non c’è tempo da perdere, anche se mi hanno detto che sarebbero stati collaborativi. D’altronde, non credo che i nostri nemici aspetteranno che rilegga quanto ho scritto, in cerca di punteggiatura mancante e vari refusi, per condurre il mondo alla sua rovina. Quindi, mi faccio coraggio e cerco di spiegare il tutto nella maniera più breve ed esauriente possibile. Cacchio, l’ho proprio presa sul serio questa faccenda! Non avrei mai creduto. Di solito, l’unica cosa che leggo seriamente, nonostante la passione per le lingue antiche, è il menù del ristorante… 

“Dunque, comincerò col dirvi che le prime due pergamene che ho tradotto erano relativamente semplici. E questo è un bene. Tuttavia, non contenevano informazioni particolarmente utili. Si tratta del diario personale di un antico imperatore. – prendo delle pagine e le sollevo, di modo che siano visibili a tutti- Su questi fogli ho scritto la traduzione delle cronache imperiali per intero, nel caso foste interessati. Trattano di uno scrigno raro, che l’uomo voleva regalare alla sua futura sposa. L’imperatore – abbasso il capo e mi porto per un attimo due dita alla bocca, come imponendomi di misurare bene le parole. Spero non l’abbiano scambiato per un rutto soffocato. Forse, no, dato che è da quando ho iniziato a svolgere il lavoro richiestomi, che non mangio. – aveva scoperto che l’oggetto citato aveva proprietà, come definirle,- cerco le parole adatte, che non esistono - paranormali. Chiunque lo aprisse, veniva inondato di un vigore immane, che ampliava le sue capacità, per un determinato lasso di tempo. – a questo punto, le espressioni sulle facce dei cavalieri si fanno, se possibile, ancora più serie. Riesco a cogliere dei mormorii preoccupati, provenire dal fondo della gola di alcuni di loro. – Per questo motivo, il sovrano, fece costruire un labirinto, irto di pericoli, nel quale racchiuse lo scrigno. Ed arriviamo così, alle altre due pergamene. Sono scritte in una lingua popolare, diciamo, un dialetto, simile al sanscrito. Probabilmente, l’imperatore voleva essere sicuro che solo una persona che conoscesse bene la sua lingua e la sua cultura potesse averne accesso. Sapeva, evidentemente, che un conflitto, dovuto al possesso dell’oggetto magico, avrebbe potuto accendersi anche a distanza di millenni, tanto è preziosa la posta in gioco. Ora, devo ammettere che tradurre queste due ultime scritture mi è stato piuttosto difficile, ma utile, in compenso, a capire che l’ultima pergamena è una mappa.” E qui, finalmente prendo fiato. Decido di lasciare il tempo ai guerrieri di immagazzinare la mole di informazioni fornitegli. 

“Quindi,- prende la parola il più giovane tra i Cavalieri d’oro- l’arma che stiamo cercando è in realtà uno scrigno? E per trovarla dobbiamo seguire la mappa che è attualmente in nostro possesso?” Di solito, le persone che hanno il dono della sintesi mi piacciono. Ma così, il ragazzino vanifica tutto il mio articolato lavoro di illustrazione del problema. 

Rilancio con una seconda manche. “E’ la prima volta che vedo una mappa disegnata così. – Srotolo la pergamena e gliela mostro. – Per interpretarla è necessario leggere le due pagine scritte nel loro dialetto. – Metto via il primo foglio e gli indico una parola scritta sul secondo, che tiro fuori. – Come puoi vedere, intorno a parecchie parole ci sono dei puntini. Come nell’arabo moderno. Ma, non trattandosi, in questo caso, di quella lingua, mi sono chiesta a cosa potessero servire. La spiegazione lampante mi è giunta quando ho provato ad inserire le parole dentro a dei quadrati. – Il mocciosetto, lo chiamo così, perché è evidente che è più piccolo di me, mi sta fissando come se si aspettasse di veder sbucare un’aureola dietro la mia testa, da un momento all’altro. Se solo avessi il mio iPhone, farei partire “like a virgin” di Madonna. – Si tratta di frecce direzionali belle e buone!” Esclamo infine.   

“Frecce?” Mi interrompe un soldato dai capelli castani lunghi fino alle spalle. Sembra indeciso tra il preoccuparsi o l’essere genuinamente interessato. 

“Esatto, anche se non ne hanno la forma. Inserendo, come vi dicevo, i simboli in quadrati disegnati da noi, si evince che, il puntino, messo in alto a destra, ci indicherà che dobbiamo proseguire a nord, prendendo il sentiero alla nostra destra, per esempio. Comunque, non temete, ho tradotto anche la mappa.” Dico, mostrandogli un ennesimo foglio, pieno di disegni, appunti e schemi. 

“Dunque, - sentenzia il Patriarca – non ci resta che andare a recuperare il tesoro. – s’interrompe per un attimo, poi, mi chiede anticipando quello che già stavo per dirgli – C’è dell’altro?” 

“In effetti, sì. – rispondo. La mia espressione si fa accigliata. – Avrete sicuramente notato che esiste un’unica mappa, ma ben due pergamene che indicano come seguirla. – il Patriarca strizza gli occhi. Ed io so, per certo, che quanto sto per dire è probabilmente ciò a cui lui sta pensando, in questo momento. – Una delle due pergamene potrebbe contenere informazioni false, volte a attirarvi in una trappola, in un luogo in cui non vi è alcun tesoro. Oppure…” Lascio a metà la frase, mentre rifletto attentamente su quanto segue nel mio discorso. 

“Oppure, Miranda?” La voce dolce di Sasha interrompe il mio pensare intensamente, senza mettermi realmente fretta. E’ quasi come se la ragazza volesse, più che altro, accertarsi fossi ancora con loro.

Tiro un respiro profondo, quindi, parlo. “Potrebbe esistere un’altra mappa, anche se dubito vi sia un altro tesoro. Nel diario dell’imperatore non è menzionato. – prima che me lo domandino, glielo dirò io – Suggerirei di cominciare a seguire questa. – prendo una pergamena e la indico – Accanto ai disegni, sulla  mappa, vi sono degli ideogrammi complessi, scomponibili in più parole. Si tratta di nomi di stanze di un luogo chiamato “la Fortezza”. Inutile dirvi, a questo punto, che tali stanze sono citate in questa pergamena, scritta in lingua popolare.” 

“Sull’altra pergamena scritta in lingua popolare non se ne fa menzione?” Stavolta è il soldato che mi hanno detto chiamarsi Dégel a prendere la parola. Ha una voce piuttosto grave, per un aspetto così delicato. Oggi indossa degli occhiali rotondi, simili ai miei da lettura. A proposito, quanto vorrei avere i miei occhiali da lettura qui e adesso! Potrei aggiustarmeli sul naso mentre parlo, con gesto disinvolto, stile relatore all’università. Un momento. Mi ha fatto una domanda. 

“No, non vengono menzionate.” Chiedo mentalmente scusa per la tardiva risposta, ma ho un certo languore. E quando io ho un certo languore, forse lo immaginerete, cazzeggio! 

“Posso visionare i tuoi appunti?” Mi chiede in seguito. Ma come parla questo? 

“Li ho scritti apposta…”

Il giovane non se lo fa dire due volte. Chiede con lo sguardo l’approvazione del Patriarca e, ricevutala in forma di un cenno del capo, si muove verso il tavolo dietro il quale mi sono barricata. I suoi compagni lo seguono a ruota. Dégel esamina i miei scritti leggendo in fretta. Avevo immaginato i soldati essere meno colti. A quanto pare, lui è la secchia del gruppo. Ma come potevo immaginarlo, ha gli occhiali, oggi, va bene, ma la gobba, i brufoli, le braccine rachitiche? Oddio, il mio cazzeggio peggiora. Forse, sono solo contenta di aver portato a termine il mio lavoro. O, forse, è davvero perché ho tanta fame e non un semplice languore? Un momento, da quanto tempo è che non mangio? 

“Il Gran Sacerdote non ti ha detto chi stiamo combattendo, giusto?” La voce del ragazzino dall’armatura dorata mi riporta alla realtà. 

“No.” Ammetto con un filo di voce. Devo avere proprio una faccia stralunata, in questo momento, perché il moccioso annuisce due volte e mi guarda pensieroso prima di parlare. 

“I nostri nemici sono gli Specter, l’armata di Hades. Sono molto potenti e pericolosi.”

Ho capito bene, ha detto Specter? E Hades, il dio dell’oltretomba? Non scherziamo. Anche se, ad occhio e croce, direi che non è esattamente quello che sta facendo. Non ho mai visto un ragazzino con la faccia così seria. Adesso sono costretta a darmi un tono anch’io, per non essere da meno. Purtroppo, ho esaurito tutta la mia serietà con la spiegazione delle scritture sanscrite, quindi, non mi resta che il cazzeggio. Scommetto che gli Specter, o come diavolo si chiamano, hanno l’armatura nera, stile darkettoni. Magari, hanno anche le borchie. 

“Indossano – prosegue il piccolo – delle armature nere come la pece. Se ne vedi uno, scappa subito più veloce che puoi.” Appunto. Già me li immagino, truccati come i Kiss. Quasi, quasi, gli chiedo se hanno le borchie. Mentre sono in procinto di aprir bocca per sparare la prima minchiata di quest’oggi, il ragazzo con i capelli spettinati, che ha riso alla mia battuta, qualche giorno fa, pianta una mano sulla testa del giovane cavaliere e proclama:- Non ti metterai mica a fare il maestrino anche tu, Regulus! Cos’è, vuoi fare colpo?- 

Prima che io possa dichiarare la mia vera età, (non quella che mi accomunerebbe a Sasha e Regulus), il soldatino mi si presenta mentre sposta, con malagrazia, la mano dell’altro dalla sua calotta cranica. 

“Ti chiedo scusa, mi sono rivolto a te senza, prima, presentarmi. – Quante cerimonie, questi cavalieri! Ma, d’altronde, lo dice la parola stessa: Cavalieri. – Io sono Regulus del Leone.” 

Gli porgo la mano. Dopo averla osservata per diversi secondi, afferra il concetto e la prende. Stritolandola. 

“Io, lo sai già, sono Miranda. Wow! – Esclamo, subito dopo, fingendomi estasiata – Credo che tu mi abbia appena rotto tutte le dita. Non oso immaginare quale trattamento riservi ai tuoi nemici!” 

Ca va sans dire, il ragazzino avvampa e balbetta un:- S-scusa, ho stretto troppo forte?- 

L’altro cavaliere esplode in una risata bomba. Mi fanno male i timpani. Come fa a non dare fastidio a lui che ride? Forse, sarà l’elmetto a proteggerlo dagli ultrasuoni che emette. Indossa una sorta di buffa frontiera con delle “zampe di ragno” che spuntano fuori. O, almeno, è quello che sembrano a me. Chissà se i suoi arti si attaccano ai muri... Potrebbe essere lo spider-man dell’antica Grecia. Di sicuro, spaventa i nemici. Quelli con un minimo di senso dell’estetica, se non altro. Ah, dimenticavo, gli Specter si vestono da emo. In tal caso, gli sembrerà tutto persino troppo normale. 

“Questo tizio – dice con rinnovata malagrazia – è Manigoldo del Cancro.” Quindi, è così che si chiama il simpaticone. Quale genitore sano di mente darebbe un nome simile al proprio figlio? E se si trattasse di uno pseudonimo? Forse, il tizio che ama ridere se l’è scelto come “nome d’arte”. E, così fosse, perché? “Manigoldo” non ha esattamente un’accezione positiva. Sento come la necessità di non indagare troppo. Almeno, ho scoperto che potrebbe essere italiano, proprio come me. Quasi, quasi, glielo dico mentre mi presento.  

Dunque, se quello piccolo, con la vocina da bambino, mi ha quasi rotto una mano, quello grande col vocione, per logica conseguenza, dovrebbe farmi crollare il braccio. Mentre pondero se tendergli timidamente la manina, oppure no, Dégel richiama i due soldati all’ordine chiedendogli di concentrarsi sulla lettura delle pergamene. Gli porge una carta a testa. Altri, arrivati prima, hanno già ultimato la lettura.

“Perché non leggi tu per tutti, visto che ti piace tanto? Io detesto questo genere di cose. E’ noioso ed inutile!”

Molto maturo, complimenti. Manigoldo si gratta un orecchio e tiene il mento sollevato, mentre parla con una smorfia sguaiata, stampata sulla faccia. E io che cosa ho lavorato a fare, allora? 

“E cosa avrebbe lavorato a fare, dunque, Miranda?” Appunto, molte grazie. Tra secchie, ce la intendiamo.

Prima che possa verificarsi una sommossa simil-crociata, pongo una domanda che mi preme fare da molto tempo. “Io avrei un ultimo dubbio, comunque. – tutti i cavalieri si volgono, nuovamente, verso di me. Quasi mi dispiace doverlo chiedere. Ma, al diavolo l’orgoglio. Qui si tratta di assoluta necessità. – Qualcuno ha, per caso, qualcosa da mangiare?”          

Inutile dirlo, Manigoldo scoppia a ridere.

   
 
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