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Autore: Egomet    12/04/2009    9 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano seduti sul divano, un’ora dopo, e parlavano animatamente, senza smettere mai di guardarsi. La ragazza gli aveva raccontato tutto quello che era successo in quelle due settimane circa. Di Bruno, della scuola, del bambino che aveva sentito muoversi nella sua pancia.
-...quando ho sentito il bambino ho avuto... paura- spiegò, stringendosi nelle spalle –non ero più tanto sicura di volerlo fare-
-Questo glielo hai detto?- domandò serio e attento lui.
-No- scosse la testa –me ne sono solo andata. Ma in caso non avrei saputo davvero cosa dirgli. Non lo so... è che- sospirò e fece una smorfia –...non ci capisco più niente. Non so più cosa devo fare-
Davide finì di ascoltare paziente le sue parole e quando vide che era in attesa di una sua risposta o di un parere, si passò una mano sul mento, riflettendo.
Non era una cosa semplice da dire.
-Che ne pensi?- domandò ansiosa.
Lui sorrise per sdrammatizzare.
-è...è un po’ difficile-
Allora anche lei sorrise, un sorriso breve.
-Tu dimmi tutto quello che pensi-
Si guardarono un attimo. Lui non voleva deluderla, metterla a disagio più di quanto non lo fosse già; si vedeva che non sapeva più dove sbattere la testa.
Però era anche convinto che prima o poi quel problema avrebbe dovuto affrontarlo, e anzi, era già un po’ tardi.
Si passò la lingua sulle labbra brevemente.
-Io... penso che non devi uccidere il bambino- disse.
Francesca aggrottò un po’ le sopracciglia.
-è facile a dirlo per te. Non sei tu che lo devi far nascere-
-Ma di che hai paura?-
-E me lo chiedi?-
La bionda deglutì un attimo, prima di rispondere convinta.
-Di tutto. Non c’ho più una casa. Non ho una famiglia. Non ho i soldi. Non ho niente. Ho solo questo bambino. Io... io ho paura di che succederà dopo-
Si interruppe per vedere se lui volesse interromperla, ma Davide stette zitto ad osservarla. Era stato, per tutto il tempo del suo racconto da quando l’aveva fatta sedere lì, a guardarla e ascoltarla attento. Di tanto in tanto interveniva, ma per la maggior parte era silenzioso e attento, interessato.
-...ho paura di quello che diranno le persone- confessò triste.
Davide non poté biasimarla per questo.
-Capisco-
-No, non capisci-
-Sì invece-
Lei abbassò lo sguardo, triste.
-No, non credo che tu capisca. Tu... non sai. Io ho sempre nascosto tantissime cose agli altri, come per esempio- e qui gli rivolse un’occhiata rapida –che sono orfana, che mi hanno adottato...-
Fece una pausa, poi riprese.
-Se mi va a pu**ane anche una sola di queste bugie, non so che fare. Non so che penseranno gli altri di me. Anzi...- aggiunse con un sorriso malinconico –una ragazza già voleva dire tutto ai miei amici. Non so dove, ma mi ha visto che stavo con te, e sa che sono incinta-
-Se gli altri le avessero creduto... sicuramente avrebbero pensato male di me, e da cosa nasce cosa...-
Concluse il suo discorso appoggiandosi alla poltrona, incrociando le braccia al petto, triste.
Sentiva di essere arrivata al capolinea, da dove non si poteva più scappare.
Davide la osservò triste anche lui; gli dispiaceva veramente.
-Dimmi allora, cosa vuoi fare?-
-Boh- alzò le spalle lei.
Lui si avvicinò col corpo.
-Se... se tu non mi dici qual è il problema, come faccio ad aiutarti?-
Francesca alzò lo sguardo, voltandosi a destra e lo guardò.
-Tu non vuoi davvero aiutarmi-
-Perché dici questo?-
-Perché non hai motivo di preoccuparti di me-
-Allora che sei venuta a fare qua?-
Lui le sorrise quando la ragazza si imbronciò, sentendosi ferita nell’orgoglio.
-Non ti scaldare... volevo solo dire che se sei venuta qui, almeno un po’ credi che io ti aiuterei-
Prima di rispondere la bionda sorrise accigliata.
-Dovevo aver preso una botta di sole-
-Io ti voglio aiutare, sul serio. Tu- sorrise –non so perché, ma pensi sempre che il mondo vada contro di te e che a nessuno importi nulla. Ma non è vero...-
-...è vero che ci sono quelli che se ne sbattono degli altri, ma tu sei solo una ragazzina. Non puoi pensare di combattere contro tutti da sola- proseguì, più serio.
-In fondo quel bambino è anche colpa mia, no? Sempre se tu vuoi, io sono pronto a prendermi le mie responsabilità e a provarci. Non è mai facile-
-Ma a volte è troppo difficile- disse lei, continuando a guardarlo e ascoltandolo.
Stettero in silenzio per qualche minuto, poi lui si decise a parlare, a dire una cosa che lo imbarazzava un po’.
-Sai... le prime volte che parlavamo, appena ci siamo conosciuti... pensavo che fossi... forte-
Quando lei lo fissò interrogativa, lui spiegò
-Nel senso... sai, sapevi sempre cosa fare. Avevi già programmato tutto. Questo... mi piaceva, perché mi aspettavo che tu dovessi piangere e cadere in una crisi-
Si sorrisero, poi Francesca disse
-Beh, allora meno male che la crisi mi è venuta dopo-
-Ma poi...-
-...ho rovinato tutto. Mi dispiace, non volevo deluderti-
Davide a quelle parola alzò la testa sorpreso. Arrossì anche un po’, imbarazzato: non credeva che lei avesse preso in considerazione le sue parole, ma a quanto pareva si era sbagliato. Ci aveva pensato eccome, e forse le avevano fatto male, il che gli dispiacque.
La guardò a lungo e disse
-Be’, magari potremmo ricominciare daccapo-
-Mi piaceva stare in questa casa- confidò la ragazza con un sorriso, guardandosi intorno –tu cucini meglio di Bruno-
Davide rise di gusto, assaporando la ritrovata atmosfera rilassata.
Francesca ci pensò su molto, incerta se dirglielo o meno, e poi alla fine optò per la prima ipotesi.
-Sai, ho deciso- disse, alzandosi in piedi.
-Terrò il bambino, ma non lo faccio per lui-
Arrossì e spostò lo sguardo a terra.
-Lo faccio soltanto per te-
Lui la guardò, e arrossì a sua volta. Forse quella bionda testarda era cambiata davvero.
Lei sospirò e si allontanò per andare di là, poi a metà strada si voltò.
-Se dici a qualcuno che ho pianto, ti uccido-
Davide scosse la testa.
Non era cambiata affatto. Ma forse era meglio così.
 
Due ragazzi correvano veloci per il corridoio semideserto della scuola, l’una avanti, che cercava freneticamente la bacheca, e l’altro che le arrancava dietro.
Francesca arrivò nell’atrio e si precipitò al muro.
C’erano parecchie file di schedari, recanti il nome di classi, sezioni, alunni e materie. Lei cercò il corso F, nella seconda classe, scorrendo col dito. Accanto a lei c’erano altri ragazzi, chi accompagnato dai genitori, chi da solo; chi esultava strillando, chi sbuffava triste a testa bassa.
Era l’undici giugno, giorno dei quadri.
La bionda cercava febbrilmente senza successo il suo nome in mezzo a quel marasma di ragazzi. Davide le arrivò alle spalle, e subito individuò il nome.
Seconda F, lettera D.
Daniele Francesca.
-Eccoti-
Piantò il dito indice contro la casella che la racchiudeva, indicandola. Lei lo notò e chiuse gli occhi, sospirando.
-Non ce la faccio, dimmi tu quanto ho preso-
Nel frattempo incrociò le dita e stette in attesa, voltandosi.
Lui strinse gli occhi e per vedere meglio si avvicinò, sovrastandola. Fece scorrere l’indice verso destra finché non incappò nei primi voti.
Sbalordito, schiuse la bocca. Portò lo sguardo attonito dai numeri alla testolina bionda che sotto il suo braccio alzato, poggiata al suo torace, stava ad occhi chiusi.
-Allora?- lo incalzò impaziente, tenendo serrate le palpebre.
Riscotendosi dalla sorpresa, il ragazzo lesse la materia.
-Italiano...-
-Sette- disse lei, già pronta.
-Otto- mormorò lui, in estasi.
-Otto?-
Francesca aprì gli occhi e lo spostò, maldestra, di lato per vedere. Quando confermò con la vista le parole udite, sorrise e gridò felice.
-Sì! Ca**o... leggi ancora!- disse mettendosi una mano sulle labbra.
Davide spostò l’indice ancora verso destra.
-Matematica... nove- e qui lei strinse i pugni e allargò il suo sorriso.
-...Scienze naturali otto, Arte otto, Fisica sette, Storia otto, Inglese sette, Ed. fisica sette...-
Il ragazzo qui si mise a ridere.
-Com’è, di tutta la carica che hai non la usi in palestra?-
-Macché, mi ha abbassato il voto perché sto sempre in giro- precisò la bionda, ma senza perdere il sorriso –dai, vai avanti- lo incitò.
-...Latino otto-
Lui fece scivolare l’indice giù, alla fine della fila, e la guardò ammirato.
Francesca rilesse i suoi voti e ogni volta si convinceva che erano veri. Sorrise e poi sbirciò anche quelli dei suoi compagni, così per curiosità.
-Ehi, genietta- le sorrise il ragazzo –ma allora...-
Le afferrò scherzoso la testa con una mano e le frizionò i capelli biondi, impendendole di divincolarsi.
-...allora questa testa dura la usi, ogni tanto-
-Ah ah ah- fece lei, liberandosi e sgusciando via dallo spazio creato dal corpo del ragazzo e la bacheca nel quale prima era stata rinchiusa.
Davide infilò le mani in tasca e guardò nuovamente i voti della ragazzina. Caspita, era vero che certe materie non le aveva mai studiate, però era certo che quei voti non fossero affatto pessimi.
A parte matematica, nella quale era sempre stato molto bravo, gli altri voti non riusciva assolutamente ad eguagliarli, se si voleva fare un paragone con i propri del liceo.
E considerando i problemi e le difficoltà che aveva avuto, si sentì, diciamo, orgoglioso della ragazza; fiero che nonostante tutto avesse ottenuto buoni risultati: evidentemente ci teneva alla scuola.
Le diede un buffetto sulla spalla, e lei si girò, radiosa come poche volte l’aveva vista.
-Brava- le disse con sincero trasporto.
-Grazie- rispose la bionda, compiaciuta del suo complimento.
Arrossì un po’, poi disse
-Aspetta, vado a cercare dei miei amici. Aspettami in macchina-
Così fece, allontanandosi con le mani in tasca e uscendo dall’edificio. Il cortile era pieno di ragazzi e lui si infilò nella sua macchina, abbracciandosi le maniche della sua t-shirt e aspettando la ragazza.
Nei giorni passati avevano provato a ricominciare tutto daccapo, tenendo il bambino, e fortunatamente per entrambi, il carattere della bionda era migliorato. Forse perché ora non aveva più nulla da nascondergli, il loro rapporto si manteneva stabile o quasi su un livello civile, senza più musi imbronciati o silenzi cupi, scherzando, prendendo tutto alla leggera forse contagiati dall’atmosfera estiva ormai alle porte.
Se con l’inverno e la primavera sembrava che tutto andasse male e non vi fosse alcuna soluzione, dopo che entrambi si erano messi in chiaro senza nascondere all’altro più nulla, l’estate frivola, fresca e spensierata li aveva contagiati.
Se era vero che il bambino c’era sempre, e cresceva rapido nella sua pancia, ora questo non sembrava avere tanta importanza da impedirle di trascorrere una vita normale.
Certo c’erano sempre i brutti momenti in agguato.
Francesca chiacchierava assieme alla sua amica Paola col suo professore di matematica, fiero di entrambe e carico di complimenti, quando videro passare vicini due delle disgrazie peggiori che le fossero capitate in quei mesi.
Bruno, riappropriatosi del suo cappello di tela e della giacca nera, ed Elena, che al contrario del ragazzo, che tirò dritto, le rivolse un’occhiata velenosa.
Alla bionda non piacque affatto, e appena poté liberarsi del professore inseguì i due; aveva un po’ di conti da regolare.
Mentre passava accanto ad un bagno, sentì la pancia sussultarle e si fermò un attimo, per controllare che andasse tutto bene. Questo le costò caro: mentre usciva incontrò davanti a sé la ragazza tanto odiata.
Elena si avvicinò con l’intenzione di attaccare battaglia.
-Tutto bene i quadri?- domandò falsa gentile.
-Fa****o- rispose dura lei, facendo per sorpassarla.
-Come va il bambino?- chiese, impedendole di passare.
-Che bambino?-
-Il tuo bambino. Cosa credi, che siamo tutti cretini? Che non ce ne siamo accorti?- disse con un’espressione cattiva.
Francesca preferì fare l’ignorante, tanto, pensò fra sé, era nell’ambiente giusto.
-Io non so di che tu stia parlando...- alzò le spalle e uscì dalla porta.
Sfortunatamente però, alzando lo sguardo riconobbe la giacca nera che nei mesi addietro tanto le era piaciuta.
Bruno la aspettava alla fine del corridoio, e per non parere codarda, fu costretta a passargli davanti.
Non lo salutò, e mentre lo oltrepassava sperò che non facesse nulla.
Purtroppo il ragazzo, colto da uno scatto vendicativo, le afferrò un braccio e la tirò a sé.
-Cos’è questa ca**ata del bambino? M’hai raccontato una bugia!- le sibilò arrabbiato.
-Ahio!- si divincolò lei, storcendo il braccio –Lasciami, ma che sei stupido?-
-Perché mi hai raccontato una bugia?-
-Ma che bugia?- ringhiò la ragazzina, affrontandolo a muso duro.
-M’hai detto che avevi un bambino. E ora ti sento che vai a dire che non è vero. A che gioco stai giocando, eh?-
Lei non poteva rispondere, perché accanto a loro sapeva che c’era quella pettegola che avrebbe spifferato tutto. Non poteva dire sì, altrimenti Elena avrebbe sentito, e non poteva dire no, perché a Bruno aveva raccontato del bambino. Non c’era via di scampo.
Ma per sua immensa fortuna il suo professore, attirato forse dal suo grido precedente, si precipitò lì.
-Tutto a posto?- domandò inquisitore.
Bruno non poté fare altro che lasciarla andare e borbottare un ‘sì’. Lei sorrise grata al professore e se ne andò.
Tornata in macchina, si massaggiava il polso e Davide lo notò.
-Che hai?-
-Niente- disse, osservandolo farsi rosso –uno str***o. Cose che capitano-
-Se lo dici tu...- fece lui, prima di accendere il motore.
 
Giugno era ormai inoltrato e l’estate col caldo, l’aria di vacanza e di ca**eggiamenti vari sempre presente a regnare sovrana, i vestiti corti, le maniche sbracciate e tutte le sere ad uscire stando fuori fino a tardi era arrivata, dopo essersi fatta attendere parecchio.
Lui e Francesca, quando lei non voleva uscire a passeggio con le sue amiche, andavano a bere una birra, una coca cola, un tè o qualunque cosa fosse fresca e in lattina seduti su un muretto al parco. Un posto come un altro per passare la sera insieme, divertirsi a guardare le coppiette, seduti o stravaccati sulle panchine di pietra.
Tutto era nato dal suo desiderio espresso una delle prime sere del mese.
 
Davide stava per uscire, quando un lamento simile ad un vagito si alzò dal divano.
-Dove vai?-
-Esco- rispose il ragazzo, prendendo chiavi e portafoglio. Una chioma bionda emerse dal divano, tutta scompigliata.
-Aspetta, posso venire anche io? Non mi porti mai insieme a te...-
Lui piegò di lato la testa.
-Oh andiamo...devi proprio?-
-E dai!- la ragazza si alzò, andando verso di lui –Dai, io qua mi annoio a morte, non ho niente da fare!-
Il ragazzo sospirò e ci pensò su.
-E va bene- concesse –ma promettimi che farai la brava, eh?-
Mezz’ora dopo, la bionda era seduta intorno ad un tavolo di plastica. Un uomo di quarant’anni stava mischiando le carte.
-Allora... – iniziò, scrutando gli altri.
Davide e Francesca erano seduti vicini, l’una che osservava gli altri ragazzi e lui che annoiato beveva una birra.
C’era un ragazzo abbronzatissimo, molto carino a detta di lei, che impaziente sfogliava delle banconote.
-Dai andiamo, che Debora mi aspetta-
-E aspetta, che tanto aspetta in buona compagnia- fece un altro, sogghignando e seguito da altre risate.
-Oh chiudi quella ca**o di bocca!-
Poi guardò scocciato quello che teneva in mano il mazzo.
-Zio muoviti!-
-E n’attimo, Marcolì, me lo vuoi dà il tempo?-
L’uomo spartì le carte fra i giocatori.
-Allora, facciamo io con Marco, Giuseppe e Gigi, la signorina gioca?- domandò gentile.
-Lei gioca con me- Davide si batté una mano sul petto.
Quando ognuno prese in mano le proprie carte, Francesca si chinò verso il ragazzo.
-A che giochiamo?-
-Scopa. Sai giocare?-
-Più o meno- alzò le spalle lei.
-Bene, e ora fuori i soldi della posta- ricordò il ragazzo abbronzato chiamato Marco.
Poco tempo dopo, Davide raccoglieva estasiato un bel po’ di soldi, sorridendo alla ragazza.
-Brava biondina-
-E sì ma non vale, eh! Se lo sapevo mi ci mettevo io con lei!- commentò un ragazzo scontento, guardando i suoi soldi andare via.
-Eh no, troppo facile. Lei sta con me- sorrise furbo l’altro.
Poi invitò la bionda ad alzarsi e a seguirlo fino ad una panchina senza schienale, accanto ad un muretto.
-E ora?- domandò lei, sedendosi.
-E ora niente. Ci si fa una birra-
 
Da quella sera, scoperto l’incredibile talento per le carte di lei, se la portava sempre a giocare con quel piccolo circolo di amici; ogni sera poi, quando vincevano, si spartivano il ricavato e compravano birre, gelati, caramelle e stavano per tutto il tempo a campare seduti sulla panchina, in santa pace.
Parlavano, giocavano a carte, e qualche volta invitavano anche gli amici di lei.
Francesca si accostò la bottiglia alla bocca, inclinandola e ingoiando la birra; poteva apparire un gesto apposta provocante rivolto a qualche bel ragazzo, ma in realtà era solo una scommessa contro Davide.
Quando finì di bere, tre ragazzi più grandi che erano con lei, e una ragazza le fecero un coro d’approvazione. La bionda guardò mordendosi un labbro il ragazzo seduto davanti a lei, con indosso una maglietta scura e un mazzo di carte in mano.
Gli rese la bottiglia che lui afferrò e terminò di bere, per poi poggiarla con cautela e precisione sul muretto. Subito un ragazzo dai capelli all’aria, tutti spettinati, saltò giù.
-Scommetti che la prendo al primo colpo?- propose alla compagnia.
-See...- gli fecero eco tutti, scettici.
Lui controllò con la suola un pallone vecchio e consumato, poi lo calciò malamente, mandandolo fuori traiettoria.
-Che mira!- lo scherzò Paola, seduta sulla panchina accanto all’amica. Dopo che i ragazzi ebbero sfottuto lo spettinato, si alzarono.
-Noi andiamo. Vieni?- domandò la ragazza all’amica bionda.
-No, rimango qua-
-Ok ciao-
Davide guardò Francesca avvicinarsi a lui e sorrise, iniziando a dare le carte.
-Uffa ho voglia di un’altra birra...- disse piano lei, sorridendo al ragazzo, invitante.
Lui scosse la testa, senza abboccare.
-No basta. Ti fanno male poi-
-Ma che dici? Eddai, per favore-
Afferrò le sue tre carte con una mano e non smise di guardarlo.
-No, e gioca, tocca a te per prima-
Francesca lo batteva in ogni singolo gioco a cui si sfidassero, carte, scacchi, dama; l’unica cosa che non avevano provato era la briscola, e lui, deciso a batterla, ci si stava mettendo d’impegno.
La bionda stava seduta di fronte a lui, concentrata sulle carte che aveva in mano, e ne buttò in campo una. Era un sette di bastoni.
Davide gettò un due di denari, concedendole quelle due prime carte.
Ma non furono le ultime che le concedette. Costretto a darle l’asso di spade e il tre di denari, prese la sua rivincita giocando l’asso di coppe, la briscola, e guadagnando un tre di bastoni.
-Dai, me la compri una birra?- chiese ancora supplichevole.
-No, ti fa male-
-Perché?-
Lei giocava carte apparentemente senza pensare, mentre lui era concentratissimo.
-Fa male al bambino- rispose senza troppo entusiasmo, calando un'altra carta.
La bionda sbuffò, ma si consolò giocando perfettamente l’ultima mano.
Davide lasciò andare le carte che aveva vinto, rinunciando a contare i punti, sapendo già che aveva vinto la ragazzina.
Questa non fu soddisfatta finché non ottenne il punteggio preciso e schiacciante.
-Un’altra, Davi-
-Oh e non rompere...- mugugnò lui, sdraiandosi e chiudendo gli occhi.
-Strip poker?- propose maliziosa, avvicinandosi.
-E fammi dormire- brontolò seccato, mettendosi un braccio sugli occhi.
-Paura, eh?- sogghignò, mischiando le carte e avvicinandosi.
Lui storse il naso ma non rispose.
A Francesca piaceva stare lì, seduti fino a tardi, senza dire niente o fare niente, ad aspettare che arrivasse la mezzanotte per ritirarsi. Il parco era frequentato da coppiette che insieme si divertivano a sfottere, di ragazzi simpatici che giocavano a carte con loro, e che venivano puntualmente battuti, e da anziani, bambini, tutti gettati nel parco a cercare un po’ di riparo dal caldo.
Davide era capace di dormire per tutto il tempo, stando seduto su quella panchina a sonnecchiare e di tanto in tanto a partecipare pigro alle partite. Stava attaccato a quella birra per un po’, poi la offriva alla ragazzina e se la riprendeva. Passavano così le loro serate.
Aveva conosciuto un po’ dei suoi amici, tutti maschi eccetto Paola, e qualche volta, come quella sera, si fermavano a giocare con loro. Francesca aveva spiegato, mentendo, che lei e Davide erano amici da tanto tempo, e loro lo avevano accettato senza troppe domande.
Agli amici del giro delle carte, Davide aveva detto che era un po’ come una sorellina, che si portava dietro a giocare per non farla annoiare. Insieme alle carte, le avevano insegnato a bere le marche di birra migliori, ed era diventata l’unica femmina del gruppo, rispettata dai maschi.
Anche perché a carte era imbattibile.

Francesca non era l’unica ad aver cambiato qualcosa. Anche Davide si era messo d’impegno per mettere una svolta nella sua vita, e combinare qualcosa di buono.
Aveva lasciato il lavoro al bar, e da un paio di settimane andava ogni due giorni a frequentare un corso per ragionieri.
La ragazza bionda stava guardando la tv, quando sentì rumore di chiavi e dei passi verso l’ingresso. Era troppo tardi perché lui stesse andando al bar, ed era troppo presto perché stesse per uscire fuori, al parco solito. Anche perché in quel caso avrebbe portato anche lei. Si coprì la pancia in eccesso che usciva fuori dalla maglietta e si tirò su a sedere.
-Dove stai andando?- domandò.
Davide si strinse nelle spalle, nascondendo le chiavi.
-Da nessuna parte-
-Ma chi vuoi fregare? Dai, dove vai?- lei sorrise furba e si alzò in piedi, andando verso di lui. Il ragazzo non voleva dirle del corso, perché aveva paura di essere preso in giro.
-Da nessuna parte, vado a comprare un po’ di cose- disse svelto.
-Mmm- lei si morse un labbro e scosse la testa.
-Allora perché hai lasciato il portafoglio sul mobile?- domandò trionfante e strafottente, indicandolo.
Lui arrossì, ma si riprese subito.
-Eh, che sbadato! Grazie- lo prese e le sorrise, andando verso la maniglia.
Ma Francesca non era intenzionata a smetterla e soprattutto una bugia così evidente non l’avrebbe mai bevuta.
-Io lo so che succede...- sentenziò, sapendo che lui si sarebbe fermato.
Così fu infatti e Davide impallidì osservando la ragazzina.
-Davvero?- domandò, chiaro ed inequivocabile segno che nascondeva qualcosa.
-Sì sì-
Lei lo guardò bene dritto negli occhi, sapendo che lo metteva in imbarazzo. Indossava una larga maglietta azzurra, adatta a coprire la rotondità che si andava formando sul suo ventre.
-Hai una fidanzata!- salì sulle punte per dargli un pizzico lungo sulla guancia.
-No...- il ragazzo sorrise di sollievo e la spinse via piano.
-Com’è, com’è? Ci sei già andato a letto? Me la fai conoscere?- cominciò a sparare domande a destra e a manca, e lui, per eluderle, uscì di casa.
Ma perché doveva essere tanto testarda? Se poi anche avesse avuto una ragazza, sorrise fra sé, non le avrebbe mai fatto conoscere lei. Lei... beh, sarebbe stata sicuramente un impiccio alla relazione. Non credeva che ad una ragazza piacesse sapere che il fidanzato viveva con una che era incinta di lui. Non parlavano mai del bambino nemmeno ora che si erano riappacificati, e Davide supponeva che la bionda ancora facesse fatica ad accettarlo.
Le stava cominciando a crescere la pancia. E come per reazione, lei si ostinava a nasconderla; mentre prima indossava indumenti che le aderivano perfettamente al corpo, ora a volte prendeva in prestito sue magliette. Davide non era stupido e poteva capire perfettamente il suo disagio, provocato dall’improvviso cambiamento nel suo fisico, ma non riteneva che si dovesse sentire per questo inferiore ad altre ragazze. Anzi, pensò arrossendo leggermente, era il contrario.
Quando dopo un bel po’ tornò a casa, scoprì che la su curiosità non si era placata. Dal momento in cui varcò la porta d’ingresso a quello in cui si gettò morto sul letto, non smise di bombardarlo di domande.
-Allora com’è andata? È carina? L’hai portata a mangiare fuori? Hai già conosciuto la sua famiglia? Da quanto tempo state insieme? L’avete fatto? È mora, vero?-
-...Smettila- mormorò con la voce ovattata dal materasso, girandosi verso destra.
Francesca gli strisciò vicino come fa un gatto, sdraiandosi di fianco in modo da guardarlo negli occhi.
-Dai me lo dici come si chiama?- chiese piano, con voce invitante.
Lui avrebbe anche potuto reggersi il gioco solo per il gusto di vedere quanto si sarebbe spinta in là e cosa veramente volesse sapere, ma non ci riuscì.
-Non si chiama perché non esiste- mugugnò stanco, desideroso di levarsela dai piedi.
-Non ci credo-
-E non ci credere- esalò il ragazzo stanco, girandosi a pancia in su.
La bionda stette a contemplarlo per un po’, riflettendo sulla situazione. Era convinta che avesse una fidanzata anche da prima che lo sorprendesse ad uscire. E aveva anche le prove.
-Sì che ce l’hai una fidanzata. Si nota- insistette.
Davide sbuffò seccato, e decise che se non le avesse risposto in modo esauriente, non avrebbe mai smesso.
Si voltò dalla sua parte, di fianco e senza entusiasmo.
-E perché si nota, sentiamo?-
-Be’, tanto per cominciare ti vesti molto meglio- disse con tono saputo lei, appoggiando la testa al braccio.
-Poi ti fai la barba poche volte, perché finalmente hai capito che con un po’ di quella sei molto più bello- proseguì noncurante del suo imbarazzo: infatti a queste sue ultime uscite lui si era fatto rosso, sorpreso. Significava forse che lo guardava?
Notando il suo rossore lei si avvicinò di più, facendo apposta un po’ di scena.
-Perché, non è vero? Scommetto che preferiresti che ci fosse lei al mio posto, vero? Così le daresti un bacio- disse guardandolo provocante e con quanta più strafottenza riusciva a mettere insieme nelle sguardo.
Davide arrossì di più, ma non era affatto perché lei aveva scoperto il suo segreto, dato che non ne aveva. Erano forse quelle parole a farlo imbarazzare, pronunciate poi con quello sguardo e quel tono saccente. Forse non era la bella ragazza della porta accanto a farlo arrossire, ma la ragazzina incinta che ora lo stava guardando negli occhi in quel momento. Il ragazzo capì in tempo che doveva tirarsi fuori da quella situazione in fretta se voleva conservare un po’ di dignità.
-Ma io non ce l’ho la ragazza- ripeté per l’ennesima volta, scivolando via dalla situazione scomoda. Francesca non si arrese.
Rimase nella posizione di prima, e guardandosi le unghie smaltate disse
-Mica sarà ancora quella Silvia? E a proposito, non mi porti più al bar?-
Davide sorrise spostandole la testa bionda con una mano, buffamente.
-Silvia è solo una gran pu**ana-
-L’hai capito finalmente- commentò svelta lei, guardandolo da sotto in su bene dritto negli occhi.
Lui la guardò che si sdraiava, e nel farlo vide la maglietta che indossava alzarsi, e da sotto comparire una pancia rigonfia e rotonda, non di molto ma certamente non normale. Ad un’occhiata si sarebbe capito subito che non era grasso quello.
Si ricordò che gliel’aveva detto, un po’ di tempo fa, che Silvia se la faceva con Bruto. Ma lui non le aveva creduto.
-Vuoi capirlo o no che non ce l’ho la ragazza?- domandò, sperando di farla smettere.
-Bugiardo-
-Ma è vero-
-E allora dove sei andato stasera?- tornò alla carica guardandolo scettica.
Che seccatura, pensò fra sé il ragazzo. Decise, per evitare altri interrogatori da sfinimento, di dirle la verità.
-A scuola-
-Se- commentò sarcastica, facendo schioccare la lingua.
-Veramente. Guarda-
Davide si alzò, scese dal letto e prese un quaderno posato sul comodino, porgendoglielo.
Francesca, prima dubbiosa, lo prese in mano e lo aprì; poi subito dopo lo guardò perplessa.
-Che sarebbe stà roba?-
-Matematica, non si vede?-
Lei stupita sfogliò le pagine. Erano tutte scarabocchiate da una penna nera, in alcuno punti da frasi scritte con grafia piccola e lunga, nella maggior parte invece da equazioni, funzioni, grafici e bilanci. Che ne occupavano almeno i due terzi. Lei si fermò su una semplice equazione di matematica finanziaria, osservandola. Guardava corrucciata i numeri, le x, il delta complicato. –Hai sbagliato- disse sicura, dopo averci riflettuto un po’.
-Sì? E tu che ne sai?-
-Stupido guarda...- gli sbatté il quaderno sotto il naso così vicino che non riuscì a leggere e dovette allontanarlo
-Cretino, guarda qua-
Adorava essere nel giusto sugli altri e non esitava a primeggiare quando poteva permetterselo. Lui si strinse nelle spalle larghe e prese una penna, correggendo l’errore e scherzandola con finto tono sprezzante
-Ah adesso è arrivata la genietta-
Per tutta risposta si beccò un pugno sulla spalla.
-Non chiamarmi così-
Aspettò un po’ prima di dirlo, ma si decise, senza guardarlo in faccia.
-Allora non ce l’hai la fidanzata?-
-L’hai capito finalmente- sorrise lui, restituendole la battuta di prima.
Aveva un’altra cosa da dirle, e gli sembrò che fosse il momento adatto.
-Devo dirti una cosa importante- confessò guardandola.
Lei alzò la testa dal quaderno e ricambiò l’occhiata; dal modo in cui piantò le iridi azzurre nelle sue verdi si intuiva che aspettava qualcosa di veramente importante. Lo era, ma forse non era quello che si aspettava lei.
-Come sta tuo padre?-
La ragazza fu così delusa che piegò d’un tratto la testa da un lato, chiudendo gli occhi e sorridendo.
-Boh. Chi se ne frega?-
Ma la domanda la mise a disagio, perché chiuse il quaderno e scivolò giù dal letto.
Davide aveva capito e sapeva che in fondo, anche se con le persone che non le piacevano voleva mostrarsi così, non era cattiva e menefreghista. Anche lei aveva i rimorsi e la coscienza, perciò il ragazzo pensò di far leva su quello per convincerla di fare la cosa giusta, così come aveva fatto col bambino.
Infondo avrebbe fatto bene sia a lei, che a suo padre.
-Sì sì. E allora perché hai la sua foto?- cominciò, sorridendo sornione e guardandola curioso della reazione.
Come prevedibile quella fu violenta.
-Oh senti! Ce l’ho perché mi scoccia a togliermela!-
-Sì certo, come no- proseguì strafottente.
L’avrebbe fatta esplodere, e lo sapeva. Era quello che voleva. Francesca era un concentrato di emozioni e pensieri e sensazioni che venivano trattenute a forza in una morsa. Quando per un qualche motivo queste venivano liberate, la reazione era certamente, nel bene o nel male, esplosiva. Che si trattasse dei sentimenti che provava per un ragazzo o di una tirata contro qualcuno, c’era da star sicuri che sarebbe esplosa.
Infatti, come previsto, lei si avvicinò rabbiosa, facendo una smorfia.
-Senti non cominciare, eh? Non iniziare a rompere i co*****i-
Davide sorrise storto guardandola negli occhi per nulla preoccupato, anzi piuttosto tranquillo.
-Non essere volgare. Lo sai che non mi piace sentirti dire queste cose-
-Ah perché ora sei te che mi dici cosa devo e non devo fare?- sbottò, infiammandosi nel vero senso della parola, perché diventò rossa.
-E sennò chi te lo dice?-
-Nessuno. Io faccio quello che mi pare-
Lui sapeva che ciò che stava dicendo era dettato solo dall’irruenza e dall’orgoglio del momento. La bionda, se stuzzicata in temi che non le piacevano, poteva benissimo rispondere male e ferire le persone. Ma lui aveva imparato che quello che diceva durante le sue incavolature era limitato al momento. Ovvero, una volta sbollita la rabbia spesso si rimangiava le parole ed era costretta a chiedere scusa. Non che quello che dicesse fosse una balla tanto per ribattere. Ma quando l’istinto prendeva il sopravvento, diceva cose ingigantite che al 70% non pensava.
-Ti manca. Ti manca tanto-
Francesca adottò la tattica dell’indifferenza e provò a cambiare discorso.
-Allora vai ad un corso per ragionieri? Quanto dura?- domandò.
-Due mesi. E comunque dai, ascoltami per una buona volta! Sempre di testa tua devi fare, permalosa- la derise sperando in una reazione.
Okay, aveva lanciato la bomba.
Tre.
Francesca alzò la testa finora rimasta fissa sul lenzuolo verso di lui.
Due.
Lo guardò con i suoi occhi azzurri stringendo le palpebre.
Uno.
Prese fiato respirando lentamente.
Boom.
-Tu, brutto idiota!- si lanciò (non in senso figurato) contro il povero malcapitato, tirandogli colpi dove riusciva ad arrivare. Poi si fermò per proseguire il suo discorso.
-Imbecille, deficiente, sfigato. Ma vai a quel paese, vacci e muori!-
Davide osservò incredulo la sua reazione.
-Non ti permettere di dirmi così capito? Che a me non mi comanda nessuno. E tantomeno tu, cretino stupido! Ma vai affan...-
Non poté finire la parolaccia perché lui le tappò la bocca con una mano; sotto le sue mute proteste le si avvicinò.
-Shh, zitta...- anche la sua voce si spense prima di finire la parola.
Francesca non si era resa conto di aver alzato di parecchio la voce durante il suo monologo. Ora come se d’improvviso quella tempesta si fosse placata, il silenzio calò nella stanza. Erano inginocchiati sul letto l’uno di fronte all’altro, la mano di lui che ancora le copriva le labbra.
Lentamente la tolse guardandola divertito negli occhi.
-Cosa urli? Io sto qua, mica dall’altra parte del mondo- disse, e il suo tono basso e ridente contrastava con l’espressione imbronciata della ragazzina.
-Parliamo come due persone civili, d’accordo? Stai buona-
Lei lo guardò dritto negli occhi verdi, e fece scivolare le sue braccia prima giù, poi incrociate al petto.
-E poi, ti pare il caso di insegnare queste parole al bambino?- aggiunse con un principio di sorriso lui. La bionda non avrebbe voluto ricambiare, perché orgogliosa voleva averla vinta e litigare, ma vedendo la sua faccia un angolo della bocca le si arricciò in su, sciogliendo l’espressione dura che aveva.
Davide sorrise, e anche lei lo fece, incapace di continuare a tenergli il muso.
-Finito l’uragano?- domandò piano.
Francesca non badò più al fatto che si era arrabbiata con lui; le piaceva il modo in cui la stava guardando.
-Sì ma se non stai attento torna-
Siccome prima erano inginocchiati, si sedettero a gambe incrociate, sempre l’uno davanti all’altra.
-Perché non vai a parlare con tuo padre?- cercò di invogliarla.
-E perché devo scusa? Poi lui non è mio padre-
Prima di continuare lui la osservò con un minimo di rimprovero scherzoso negli occhi. Poi la buttò sullo sfottò.
-Anche se vuoi fare tanto la figa...- sorrise sornione -...io lo so che ti manca. E ti manca pure tanto. Io ti posso fare da amico, da chef, da fratellone, ma il papà... tu ce l’hai ed è lui-
-Ah perché, tu m’avresti fatto da fratello?- deviò l’argomento scherzando la bionda.
Il sopracciglio alzato di lui la fece sbuffare seccata.
-Uffa ma che ti devo dire? Lui a me non è mai piaciuto-
Davide roteò gli occhi in un gesto esasperato.
-Allora, lo so che non sei sciocca. Lo sai che alcuni bambini adottati finiscono fra le mani di uomini orribili? Che non gli vogliono affatto bene? Tu sei fortunata-
-Non mi pare-
-Tuo padre ti ha sempre fatta contenta- proseguì sicuro di ciò che diceva –non ha manco fatto resistenza quando te ne sei andata di casa-
Lei ricordò uno schiaffo, il primo che le avesse mai dato, e una frase lapidaria pronunciata con cattiveria.
Tu non sei mio padre.
Caspita, ci voleva un bel coraggio a dirglielo in faccia, pensò fra sé, del tutto dimentica del ragazzo che stava davanti a lei. Sorrise come un’ebete, ricordandosi la mattina del suo sedicesimo compleanno.
 
-Non voglio alzarmi!- protestò una testa bionda, rinfilandosi sotto le coperte calde e morbide, al riparo dal freddo.
-Dai andiamo. Hai sedici anni e ti comporti come se ne avessi sei!-
-Esatto. Ancora non vado all’asilo io!-
Damiano sorrise e d’un tratto scoprì il letto, privandolo delle coperte, e alzando la serranda lasciò che i raggi del sole ormai sorto penetrassero nella stanza e sbattessero sul volto di lei.
Francesca borbottò proteste vane, che non vennero ascoltate.
L’uomo si sedette sul materasso, vestito di tutto punto e pronto per l’ufficio, e le spinse un qualcosa sotto il cuscino.
Francesca sbatté il naso, arricciandolo, contro qualcosa di duro e questo la convinse ad alzare il capo. Damiano sorrideva e lei andò alla ricerca di ciò che le aveva dato fastidio. Era una scatola impacchettata.
-Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri Francesca...- canticchiò piano lui, dandole un bacio sulla testa. Lei si rizzò a sedere, e vergognandosi ormai delle sue forme, si nascose sotto il pigiama.
-Per me? Grazie- sorrise scartandolo. Un cellulare nuovo, ultima generazione.
-Ti piace? Ho scelto il più leggero, il migliore-
-Grazie Damiano- disse contenta, abbracciandolo sciogliendosi in un sorriso raro ma grato e sincero.
 
Francesca si toccò la tasca e ne fece scivolare fuori un cellulare un po’ ammaccato. Lo guardò a lungo. Davide in tutto quel tempo che aveva riflettuto era stato zitto, osservandola incantato mentre guardava l’oggetto. Ma chissà a che stava pensando, quella testa bionda.
Sorrise quando la vide in qualche modo combattuta.
Se una parte di lei rivendicava l’orgoglio, i presupposti egoisti e i principi che si era imposta, l’altra, ormai provata da tante cose, scaldata dalle parole che aveva detto il ragazzo prima, non riuscì a trattenere la nostalgia, e l’improvviso dispiacere. Triste guardò Davide, che sembrò capirla.
-Decidi tu- disse.
Ma sapeva che almeno qualcosa aveva smosso. Com’era difficile quella ragazzina, così testarda!
-Non lo so- disse, guardandolo incerta e facendo una smorfia.
Se aveva detto così significava che ci stava pensando, rifletté Davide compiaciuto che quella discussione fosse andata a buon fine. Anche se avevano delle discussioni ogni tanto e in quelle l’indole arrabbiata di lei usciva sempre fuori, il ragazzo aveva imparato come prenderla, come riuscire a calmarla. Non era poi così difficile, una volta capito il trucco.
Le diceva di star buona, e lei ci stava, dopo aver sfogato la rabbia iniziale.
-Allora dov’è che sbagliavo?- domandò, porgendole il quaderno.

 











Un enorme grazie a chi segue la storia, l'ha messa nei preferiti, e a chi l'ha recensita.

GinTB: "Testarda di una ragazza..". Una sintesi perfetta della personailtà di Francesca, pronunciata con un sibilo di disapprovazione.
Dunque, rigraziamo la tua curiosità che ti ha trattenuta dal cliccare sulla x rossa a destra. Ho letto il tuo profilo e credo che tu e lei siate piuttosto simili, se non di più. Grazie per i complimenti, non ti sei dilungata troppo, anzi, m'ha fatto molto piacere la tua recensione.

FeFeRoNZa: dunque, facciamo due rapidi calcoli... tu adori Davide, che è molto (se non di più, con i diritti e i copyright) ispirato al sottoscritto, perciò... Cos'è, una proposta di matrimonio?
...e ora chi lo dice a mia madre? Ma soprattutto... chi lo dirà a Francesca? Mi ucciderà. Ah, che seccatura...
Scherzi a parte, sono felice che ti sia piaciuto il capitolo e il modo in cui si è comportata Francesca.

Rebellious_Angel: ti ringrazio molto per i complimenti. In effetti anche la mia prof d'italiano dice che ho un grande "potere di sintesi" e sono molto "ermetico, ma scorrevole". Lei pensa di farmi rodere di rabbia ma non sa che ne vado molto fiero, alla faccia sua. Grazie ancora, complimenti molto graditi.

vero15star: Cosa intendeva Davide con 'Non farlo più'? "Piangere,scappare via,aver intenzione di uccidere il bambino". Ti sei risposta da sola.

Jiuliet: dannazione, no. è banale? è banale, dimmi la verità. Io detesto essere banale e scontato. E non ti preoccupare se ti sembra di essere ripetitiva, mi hai già detto tutto quello che mi basta. Grazie.

MissQueen: Salve fanciulla! Certo, hai ragione, è proprio quello che serviva a Francesca, e anche lei lo sapeva. Un bacio? Un abbraccio? Ovvio, sì che stai sognando... Non ti prendo affatto per un'insensibile, se hai ritenuto giusto farlo tanto basta. Dopotutto mi pare che l'insensibile sia stato lui. O sbaglio?

Marty McGonagall: mi spiace, mi sa che devi riporre il kit da ultras della Curva Nord, ma ti prometto che potrai usarlo in tempi migliori. Buonasera a te, Martina!
Che bello, mi sono proprio "scialato" a leggere la descrizione del comportamento di Francesca, perchè è corretta, ed è gratificante quando qualcuno sa cogliere quello che vuoi comunicare. Grazie per gli auguri, spero tu abbia passato una buona Pasqua.

bribry85: grazie per la recensione, grazie dei complimenti, se poi ti va di dirmi perchè ti piace tanto, ne sarei anche più felice. Ma va bene così.

Devilgirl89: sesto senso oppure era così scontato? Spero per la prima. Sono contento che Francesca inizi a piacerti. "Sì, perchè tu sai la verità!". Sembrava tanto una minaccia... scherzo. Grazie. Mr X fa tanto fighetto con gli occhiali da sole, ma preferisco il mio vero nome. Io e il camposcuola familiare (a cui tra l'altro sta per aggiungersi un nuovo pargolo) ti ringraziamo per gli auguri.


  
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