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Autore: Juliet88    26/05/2016    2 recensioni
Mi sembrava fossero passati secoli invece che sei anni.
A pensarci bene, erano -già- passati sei anni. Sei anni da quando per impegni lavorativi dovetti trasferirmi a Beverly Hills. Sei anni da quando salutai e vidi per l'ultima volta il viso di mia madre, del mio agente Rei, i visi dei miei amici. Sei anni in cui la mia carriera aveva decisamente preso la piega giusta, contratti su contratti che mi portarono, appunto, a trascorrere tutti questi anni lontano dal Giappone. Lontano da casa mia.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Altro Personaggio, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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dfvvfv La mattina successiva il risveglio parve essere più problematico del solito. Fu la suoneria del mio cellulare, a causarlo. Avrei dovuto prendere la buona abitudine di silenziarlo prima di andare a letto.
Cercai di allungare una mano verso il comodino, dove sapevo giacesse il mio cellulare, nel tentativo di afferrarlo, ancora confusa, e con gli occhi fermamente decisi a non aprirsi.
Tastai più volte quella superficie, mentre il suono della chiamata diveniva sempre più fastidioso di secondo in secondo.
Quando finalmente l'ebbi preso, lo portai al mio orecchio, pronunciando un debole "Pronto?" con una voce talmente roca che mi sorpresi potessi essere davvero stata io a parlare.
"Pronto? Sana, sei tu?" fu la risposta, una voce femminile, che non riuscii a riconoscere, intontita com'ero dal sonno.
"Sì, ehm, sono io. Con chi parlo?"
"Ti sei già scordata di me? Ma brava!" esclamò, la donna.
In quell'istante mi sembrò obbligatorio dover finalmente schiudere i miei occhi, per decidermi a controllare se potesse apparire un nome che potesse darmi un indizio sull'identità.
Lessi il nome di Natsumi.
"Oh, scusami, scusami Natsumi! Stavo dormendo, e...ti assicuro che in circostanze come questa non ricordo neanche il mio, di nome!"
Rise per ciò che avevo detto.
"E così tu credi di tornare qui in Giappone e non farmi nemmeno una piccola visita? Sono davvero infuriata con te" rispose, tornando seria, ma con una punta di ironia che mi facesse intuire quanto in realtà arrabbiata non lo fosse nemmeno un po'.
"Hai ragione, davvero. Ma ho avuto così poco tempo! Mi farò perdonare, te lo prometto! Ti va bene oggi, nel pomeriggio?" mi affrettai a rispondere, sinceramente risentita.
Finse di pensarci qualche istante.
"Sì, andrà bene. Non vedo l'ora di riabbracciarti!"
"Allora ci vediamo oggi pomeriggio" le ripetei, preannunciando il termine della conversazione.
"Certo, ma...ehm, Sana? Non riuscirò mai a perdonarti se non porti con te quei mervigliosi biscotti che prepara la signora Shimura!" scherzò.
Risi, per poi accettare la sua ragionevole proposta, e chiudere, stavolta in via definitiva, la chiamata.
Appena posato il cellulare nuovamente sul mio comodino, mi misi a sedere sul letto, improvvisamente colta da uno strano senso di malessere. Emicrania? Spossatezza? Inappetenza?
Mi portai le mani alle tempie, che sembravano voler giocare a scandire i secondi del tempo con il loro pulsare a mio discapito.
Rimasi qualche secondo ferma, a meditare su una qualche ragione che potesse farmi spiegare il motivo della mia indisposizione. Non trascorse molto tempo prima di trovare le risposte a quella domanda.
Tutti quei fastidi erano i classici e banali postumi di una sbornia, la sbornia che mi ero abilmente procurata la sera prima.
Cercai di farmi tornare in mente quanti più dettagli potessi su cosa avessi combinato, ma in risposta a questo sforzo che stavo richiedendo al mio cervello arrivò solo qualche immagine confusa e discontinua.
Riuscii a ricordare solo bicchieri su bicchieri, contenenti i liquidi dai più diversi colori, odori, sapori. Fu inevitabile non avvertire velocemente la nausea assalirmi. Mi domandai se avessi davvero ventun'anni, o sedici.
"Maledetto Hayama, lui e le sue (solo sue) manie competitive. Era tutta colpa sua" bisbigliai, seccata.
Andai verso le tende, determinata ad aprirle per permettere alla mia stanza di illuminarsi, beando anche me, con un po' di Vitamina D che sicuramente non avrebbe fatto che bene. Solo ad azione compita mi resi conto che non fosse affatto una buona idea, quando avvertii i miei occhi bruciare come se mi avessero appena gettato dell'acido in viso.
Subito mi gettai per la stanza, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse aiutarmi a proteggerli. Dovevano pur esserci degli occhiali da sole, da qualche parte.
Con gli occhi obbligatoriamente socchiusi trovai ciò che stavo cercando in un cassetto della mia scrivania, e solo dopo averli portati più vicino mi accorsi di quanto questi fossero ridicoli.
Erano degli occhiali con dei finti occhi disegnati sopra le lenti, di quelli che avevamo utilizzato io, Rei ed Asako per tentare di sfuggire ai paparazzi. Non potei impedirmi di ridere, come era mio solito fare, indossandoli, e cercando di immaginare come sarebbe potuta sembrare la mia figura. La risata si intensificò quando decisi di scoprirlo, dirigendomi verso il bagno della mia stanza.
Avevo un aspetto orribile, con delle occhiaie violacee, quasi cianotiche e capelli arruffati a incorniciare il tutto, come una bella ciliegina.
Doccia. Avevo un disperato bisogno di farmi una doccia.

"Buongiorno, mamma" dissi, scandendomi la voce ancora leggermente roca, e con quegli occhiali ridicoli a cui non avevo voluto rinunciare.
"Buongiorno, cara. Hai un aspetto terribile" furono le prime parole che mi rivolse, senza staccare gli occhi dalla tastiera del computer.
"Mamma, ti hanno mai detto che sei la persona più carina al mondo?" domandai, con il tono più sarcastico che riuscii a donare.
"Sono solo sincera. Maro, qui sopra, ha avuto un tremolio quando ti ha vista" rispose, altrettando sarcastica, ridendo ma cercando di non farsi notare.
Mi simbrò quasi che le mie tempie, le stesse tempie che continuavano a pulsare, adesso avessero anche scoperto la capacità di fumare.
Mi misi a sedere a tavola, prendendo del latte, e i pancakes che la signora Shimura aveva cucinato. Mi ero abituata bene alla colazione americana, lì nella West Coast.
"Che ha combinato ieri la mia ragazzaccia?" domandò, all'improvviso, i suoi occhi ancora sullo schermo.
"Nulla, mamma. Sono solo stanca, ieri i miei amici non sono andati via molto presto..." mentii.
"Sana, sei sicura di fare l'attrice? Non ho creduto neanche per un millesimo di secondo alle tue parole!" cantò, alzandosi e portando un'aspirina sul tavolo.
"E' stata colpa di Hayama!"
Con un movimento talmente veloce da rendere difficoltoso seguirla persino con i miei occhi, mia madre fu accanto a me, con un'espressione di malizia, e il ventaglio che le copriva le labbra.
"Avete chiarito, voi due?"
"Non farti strane idee. Sto cercando di recuperare il rapporto con lui, così come con tutti gli altri miei amici. Ma se prima era più difficile per colpa dei nostri sentimenti, adesso lo è solo perchè complicato è rimanere amici stando lontani. Ma sono sicura che ce la farò!"
"I tuoi amici, Akito Hayama compreso, ti vogliono già bene. Non devi riconquistare l'affetto di nessuno, cara."
"Sì, forse. Per tutti sono tornata qui solo per via del matrimonio di Aya e Tsuyoshi, ma in realtà...in realtà meditavo da prima di abbandonare per un po' l'America e tornare qui a casa mia. Nessuno di loro mi ha domandato quando tornerò negli Stati Uniti, forse non vogliono pensarci...ma io so che non ho voglia di tornare lì, per adesso. Volevo dirlo a te prima di chiunque altro. Che ne pensi, mamma?"
Mi osservò per qualche secondo.
"Cara, ho sempre preferito che prendessi le tue scelte da te, consapevole di doverne poi affrontare anche le conseguenze. Ti ho cresciuta con questo pensiero, e so che nonostante il comportamento qualche volta "volutamente" infantile, sei una donna matura. Prendi le scelte in base a ciò che ti rende più felice. Felice solo come mia figlia sa essere" asserì, prendendo posto sulla sedia accanto a me, per poi avvicinarsi con un meraviglioso abbraccio capace di infondermi benessere e calma.
Dopo quel breve momento, tornai subito guardinga, andando svelta dalla signora Shimura a chiedere se potesse prepararmi quei suoi famosi biscotti con le gocce di cioccolato, in modo da portarli a Natsumi.
Salii nuovamente in camera mia, ostinata a cambiarmi d'abito e truccarmi, nel tentativo di di nascondere quelle occhiaie così determinate, con una sola destinazione in testa.
Mi ricordai, infatti, delle informazioni che Rei mi aveva fornito sulla nuova serie de "Il giocattolo dei bambini" che avrebbero girato. Passare per un saluto mi avrebbe fatto davvero piacere, ed era proprio ciò che avevo intenzione di fare quella mattina.
Presi le chiavi delle macchina, e dopo aver salutato mia madre con un veloce bacio sulla guancia, sfrecciai verso gli studi televisivi con tanto di occhiali da sole e copricapo, in modo da non rendermi facilmente riconoscibile nel caso avessi incontrato qualche paparazzo.
Solo poco prima di scendere dalla macchina mi accorsi che probabilmente trovarmi nel parcheggio degli studi televisivi non era esattamente un luogo ideale se l'intenzione fosse non incontrare giornalisti, o farti scattare qualche foto.
Diedi un ultimo sguardo ai miei capelli, e mi resi conto che un leone sarebbe stato sicuramente invidioso. Passai le dita tra alcune ciocche, sperando che questo potesse bastare ma fu tutto inutile. Non mi rimase, quindi, che sperare perchè non ci fosse nessuno.
"Ehy tu! Ma t-tu sei Sana?" una voce alle mie spalle, a cui cercai disperatamente di poter abbinare un viso conosciuto, ma la risposta arrivò quando quell'uomo girò attorno, in modo da vedere il mio viso.
Ecco che cominciò a scattare qualche fotografia, in cui mi immaginai già essere apparsa ridicola, dati i movimenti sgraziati e frettolosi che feci pur di arrivare in quel portone in fretta.
Fu davvero una soddisfazione quando il buttafuori gli comunicò che avrebbe dovuto arrestare la sua corsa, permettendomi invece di rinchiudermi lì dentro. Non potei fare a meno di fargli una linguaccia, per poi riprendere il mio itinerario.
Sapevo ancora orientarmi bene in quegli studi, sebbene sembrarono fossero cambiate alcune cose. Lavori di restaurazione avevano, infatti,  reso l'ambiente più grande, più moderno, luminoso. Era piacevole alla vista.
Arrestai il passo solo dinanzi al set che riconobbi essere quello de "Il giocattolo dei bambini", sorridendo guardando quei piccoli banchi dove una volta mi sarei seduta anche io.
"Sana? Non è possibile. Sei davvero tu?"
Mi voltai immediatamente per capire chi sarebbe stato il mio interlocutore, e passarono solo due secondi prima che corressi verso di lui, abbracciandolo fino a quasi farlo diventare cianotico.
"Zenjiro! Oh, Zenjiro! E' così bello rivederti!" esclamai, sincera.
"Non sapevo fossi qui, quando sei tornata?" si affrettò a rispondere.
"Solo due o tre giorni fa"
Mi abbracciò di nuovo.
"Ho guardato ogni tuo singolo film, ogni apparizione, ogni intervista. Meriti davvero il successo che hai avuto." mi rivolse, davanti un caffè che insistette per offrirmi.
"Grazie, Zen. E tu? Sarai sempre tu a presentare la "nostra" cara trasmissione?" domandai, curiosa.
"Beh, sì. Hanno voluto che fossi io a condurre nuovamente questo programma, e ne sono stato felice. Anche se il conduttore non è più bello e affascinante come un tempo..." pronunciò guardando un punto in alto, toccandosi la barba in modo teatrale.
"Oh, sei sempre affascinante, Zenjiro" dissi sarcasticamente, imitando i suoi gesti melodrammatici di qualche secondo prima.
"Vedo che quella lingua saccente sta ancora al suo posto!" esclamò, divertito e dintamente offeso.
Gli sorrisi.
"Sana, ho appena avuto un'idea! E' fantastico! Che ne dici di fare qualche puntata de "Il giocattolo dei bambini" con me, come conduttrice anche tu?"
"Io? Condurre quella trasmissione?" dissi, in tono incredulo.
"Sì, beh, con me" precisò, Zenjiro.
"Oh, mi farebbe tanto piacer...ehm, lasciami prima parlare con il mio manager" asserii, cambiando radicalmente tono di voce dall'inizio, alla fine della frase. Nella prima parte allegro e lusingato, moderato e razionale nella seconda. Parlare con Rei di qualsiasi offerta di lavoro mi fosse proposta era stata sempre una mia buona abitudine, anche durante i miei anni a Beverly Hills.
"E vorrei dirti anche che Hiroshi sta cercando una persona famosa che possa girare una pubblicità per la catena di ristoranti che sta aprendo tra Giappone e Cina. Mi aveva detto di aver bisogno di qualcuno abbastanza in vista, ti dispiace se ti indico?"
"Oh, no, mi renderebbe felice aiutarlo!"
"Perfetto, allora dammi pure il numero del tuo agente Rei, in modo da parlare e accordarmi con lui anche sull'aspetto legale e negoziale"
Annuii decisa, mentre Zenjiro mi passò un pezzo di carta sul quale scrissi il recapito mio e di Rei. Finii l'ultimo sorso di caffè, per poi ringraziarlo e salutarlo allegramente.
La mia passeggiata agli studi televisivi continuò serenamente, incontrando anche Asako, e alcuni ragazzi conosciuti quando con lo show "Il giocattolo dei bambini" giocavo a fare l'attrice, non rendendomi conto che sarebbe stato proprio ciò che avrei fatto anche in età adulta.
Tornai all'uscita, allegra per l'ottimo svolgimento della mattina, stavolta prestando più accortezza nel guardarmi intorno in cerca di paparazzi. Sembrava ci fosse via libera.
Presi il cellulare, cercando in rubrica il nome del mio manager, che, tutt'altro che sorprendentemente, rispose dopo soli tre squilli.
Gli parlai dell'offerta di lavoro che avevo ricevuto, e si dimostrò davvero felice per quanto mi avessero proposto. Rei diceva che tornare a girare qualche puntata speciale dello show che mi aveva lanciata avrebbe dato una buona immagine di me, come una ragazza che non dimentica le proprie radici, e sinceramente riconoscente. Non potei che trovarmi d'accordo con tutte le sue parole. Disse anche che si sarebbe occupato lui dell'organizzazione, quando Zenjiro gli avrebbe telefonato. Chiusi la conversazione, preparandomi a guidare, dritta verso casa, in modo da portare con me i biscotti che Natsumi mi aveva domandato. Guardando l'orologio mi resi conto di quanto avessi fatto tardi, mentre l'ora di pranzo fosse già passate da qualche giro di lancette, avevo perso assoluatmente la cognizione del tempo, non che fosse una cosa nuova per la sottoscritta.
Mangiai velocemente qualcosa fuori, in un ristorante accanto casa, per poi dirigermi verso essa e prendere tutto ciò che la signora Shimura mi aveva accuratamente e pazientemente preparato. Scelsi di andare a piedi, ricordando che casa Hayama fosse solo alla distanza di qualche passo. Camminare un po' mi avrebbe fatto bene. Durante il tragitto, presi la scorciatoia verso il parco, trovandomi senza che davvero l'avessi premeditato proprio dinanzi il gazebo. Quel gazebo.
Il gazebo che aveva visto nascere quella strana, ma sincera amicizia tra me e Hayama, spettatore silenzioso anche di tutte le nostre incomprensioni e successivi chiarimenti. Sorrisi nostalgica, mentre i pensieri e ricordi arrivavano veloci. Non potei fare a meno di sedere, anche solo per pochi secondi, su quella panchina, e con le gambe incrociate, osservare il cielo blu primaverile. Il leggero vento non fece che giovare al mio umore, noncurante della mia capigliatura già precedentemente messa a dura prova.
Rammentai quando, qualche anno prima, finsi di essere la madre di Hayama, per aiutarlo a superare quel dolore che per tutta la sua infanzia aveva portato con sè. Era stato per me un gesto semplice, spontaneo,  di cui avevo capito l'importanza solo qualche anno dopo. Rammentai tutte le nostre chiacchierate, e le nostre litigate, sorridendo amaramente per il tempo e il destino che non aveva mai avuto nessuna pietà per me, e in particolar modo per lui.
Scossi leggermente la testa, per risvegliarmi da quel torpore, da quel flusso di coscienza da cui non mi ero riuscita a sottrarre, fermamente convinta che fossero momenti appartenenti solo ad un passato ormai inesistente. Ripresi a camminare.
Solo qualche altro metro e mi trovai dinanzi la deliziosa casa Hayama, che ritrovai essere, almeno all'esterno, esteticamente la medesima.
Bussai con due piccoli pugni alla porta, con un odore di biscotti che mi stava quasi facendo impazzire. In fondo, era giunta anche l'ora del thè.
"Kurata. Che ci fai qui?" domandò, in segno di saluto, una testa bionda che conoscevo come me stessa.
"Ciao Hayama. Scusa se mi presento in questo modo, ma questa mattina ha chiamato tua sorella per incontrarci...pensavo ne fossi a conoscenza" risposi, ancora con il vassoio in mano.
"Forse non lo ero perchè Natsumi non abita più qui" disse, rendendo la voce un po' più acuta verso la fine della frase, facendo assumere una sfumatura beffarda e ovvia alle sue parole.
"Oh, io..avrei dovuto chiedere! Che stupida! Scusami, allora"
"No, sta' tranquilla, vive in una casa vicina a questa. La chiamo e le dico di venire qui. Entra" mi informò, spostandosi di due passi indietro per consentirmi di entrare.
Mi presi qualche secondo per guardarlo bene, in quella tenuta casalinga. Portava un pantalone di una tuta grigia, e una maglia bianca, leggermente scollata sul collo, che lasciava notare i muscoli sul petto e torace. I capelli sempre volutamente scombinati, le ciglia anch'esse chiare a fare da cornice a quegli occhi intensi. Hayama era diventato davvero un bel ragazzo, era innegabile persino per una cocciuta come me.
"Stai usando un nuovo profumo, o sento odore di biscotti?" domandò, guardando con sospetto il piccolo vassoio che avevo appena posto sul tavolino in salotto.
"Giù le mani, sono per tua sorella" esclamai, arrivando lesta tra lui e ciò che avevo portato.
Alzò gli occhi al cielo, scocciato per l'obbligo che gli avevo imposto.
Si scusò per qualche istante, andando a telefonare alla sorella per informarla della mia solita sbadataggine. Clichè.
Mi offrì un bicchiere d'acqua, mentre aveva già preparato la teiera per quando sua sorella sarebbe arrivata. Mi sedetti sul piano cucina, toccando distrattamente la testa che ancora non desisteva dal farmi male.
Lo sentii sorridere, in modo scanzonatorio.
"Beh? Che hai da sghignazzare?"
"Mi chiedevo se ti facesse male la testa, data la sbornia che ti sei procurata ieri..."
Credetti di divenire un tutt'uno con i miei capelli, rossa di rabbia com'ero.
"E i tuoi capelli...sembri un pulcino!" continuò, prendendosi gioco di me.
"Hayama, razza di stupido! Avrai sicuramente barato, gettando di nascosto i bicchieri che ti passavo"
"Non ho barato, ho solo vinto" susurrò, beffardo, avvicinandosi poco a me.
"Di nuovo..." aggiunse, successivamente.
Voleva farmi infuriare, era più che evidente. Si divertiva a farlo, e non tolleravo ammettere che ci stesse anche riuscendo.
"Hai vinto una battaglia, non la guerra, sprovveduto. Ti batterò!" esclamai, con un pugno chiuso, mentre lui ancora sorrideva per la mia ultima battuta, forse gli era sembrato che scherzassi.
Se ne sarebbe reso conto, avrebbe perso, una volta o l'altra.
"Allora...come vanno qui le cose?" domandai, sviando la discussione.
Si poggiò in un punto della cucina accanto a me, con le gambe incrociate, e portando le mani al petto.
"Intendi con la mia famiglia?"
"Sì"
"Beh, normalmente, credo. Mio padre è fuori per lavoro da quasi tre mesi, nonostante chiami almeno due volte al giorno, mentre Nat...beh, Nat si è sposata"
"Si è sposata?" gridai, scendendo giù dal piano in uno scatto felino per lo stupore.
"Puoi evitare di starnazzare come una gallina, Kurata?"
Lo guardai, alzando un sopracciglio.
"Sì, si è sposata, e...ha avuto anche una bambina" continuò, poco dopo, accertandosi che non decidessi di parlare.
"Cosa?" urlai, nuovamente.
"E io non ne avevo idea! Oh, che maleducata! Non le ho portato nemmeno un piccolo regalino! E com'è? Somiglia a te? A lei? Al padre? Al signor Hayama?" chiesi, in un solo respiro, curiosa di quel nuovo arrivo nella loro famiglia.
Hayama chiuse gli occhi, evidentemente importunato dalle mie piccole urla.
"Ricordami di sbatterti la porta in faccia, la prossima volta che ti vedrò alla porta di casa mia" si decise a parlare, mantendendo un'espressione accigliata.
"E rinunciare a questi? So che ti piacciono da impazzire" chiesi, provocatoria, facendo ondeggiare quei biscotti profumati dinanzi al suo naso.
"Non mi dispiacciono" mi corresse.
Lasciai cadere quel discorso superficiale, chiedendogli altre informazioni sulla piccola nipotina che avevo appena scoperto avesse.
"Arriverà a momenti, potrai anche conoscerla da sola" tagliò corto, come al solito.
Giusto il tempo di strozzarlo leggermente incastrandolo nell'incavo del mio braccio, intimandogli quanto mi facesse innervosire la sua solita laconicità, per poi sentire il suono del campanello.
Andò ad aprire, liberandosi in pochi secondi dalla mia stretta, sussurrando un "che seccatura" indirizzato, ovviamente, proprio alla sottoscritta.
"Ti ho sentito" lo informai.
"Meglio"
Era incredibile quanto quel ragazzo riuscisse a farmi perdere le staffe. Io non sono un tipo paziente, lo riconosco, ma nessuno, davvero nessuno, riusciva in così poco tempo.
"Ciao, Nat" salutò sua sorella, con un breve abbraccio, per poi piegarsi sulle gambe e schioccare un leggero bacio anche a quel piccolo angioletto biondo.
Vidi  Nat correre verso di me, sinecramente felice e gioiosa nel rivedermi. Parlammo per qualche secondo di quanto ci fossimo mancate, e del fatto che non perdesse mai di recarsi al cinema quando sapeva esserci un mio film. Mi accorsi dei capelli, e di quanto li portasse lunghi adesso. Il fisico fanciullesco era chiaramente andato via, per lasciare il posto ad un fisico più maturo, più femminile, seppure fosse in forma smagliante.
Mi presentò la piccola che, per mia sorpresa, corse affermando con quella voce campanellina di conoscermi molto bene.
Mi piegai sulle ginocchia per permettermi di guardarla negli occhi, che sembravano essere di un bel grigio lucente.
"Mi conosci?" chiesi.
"Sì! La mamma mi ha parlato di te, e ho visto anche gli episodi dello spettacolo che facevi quando eri piccola come me! Sei simpatica!"
"Grazie piccolina, tu invece sei bellissima" le risposi.
"Grazie, zia Sana! E' merito di questo vestito che mi ha regalato il nonno" sussurrò, piroettando.
Mi aveva chiamata "Zia Sana"? Per me fu impossibile evitare che mi si riscaldasse il cuore. Davvero quella bambina sentiva già così affetto per me?
"Oh, io non ho portato nulla per te...Colpa dello zio Akito che non mi ha avvisata" dissi, e subito ci voltammo entrambe verso lui, comodamente seduto sulla poltrona. Seppure utilizzando due sguardi ben differenti; in cagnesco io, curiosità e adorazione per la piccola Koharu.
Poi mi venne in mente un'idea.
"Aspetta, forse qualcosa dovrei avere..." le bisbigliai, cominciando a frugare nella mia borsa, sotto lo sguardo attento e stuzzicato della bimba. Quando ebbi tirato fuori la versione in miniatura del mio piccolo martelletto, sentii Hayama pronunciare un "Oh, no...", mentre io me la stavo proprio spassando.
"No! non darai quell'oggetto infernale a Koharu! Sia mai dovesse trasformarsi in una stramba come te!" esclamò.
Gli intimai di stare zitto, mentre la piccola prendeva già confidenza con il piccolo regalino che le avevo dato, colpendo leggermente il ginocchio dello zio, sotto mio attento consiglio.
Hayama guardò il soffitto, silenziosamente divertito da quella scena.

Così prendemmo il thè tutti insieme, con gli immancabili biscotti, mentre ascoltavo interessata ciò che era successo a Natsumi da quando ero partita.
"E così...era un tirocinante che lavorava con tuo padre? Che romantico..." sospirai.
"Sì!" sorrise. "Adesso sono entrambi all'estero, ma dovrebbero tornare tra qualche giorno. Mio padre sarebbe così contento di rivederti!"
"Farebbe piacere anche a me!" risposi, sincera.
Lo squillo del suo cellulare interruppe la nostra chiacchierata. Si scusò per qualche istante, dicendo che si trattasse di una cosa importante.
Spostai il mio sguardo su Koharu, tutta presa a giocherellare con il nuovo martelletto che le avevo dato. Sorrisi amabilmente.
Impovvisamente la vidi farsi un po' più seria, e guardare sia me che Hayama, che rispondevamo con un'espressione confusa.
"Ehm, io...ho un po' di fame!" tintinnò.
"Hai fame? Hayama cosa possiamo darle da mangiare?" chiesi e mi ritrovai a domandarmi come un'idiota cosa mangiassero i bambini, nemmeno fossero creature di un altro universo.
Mi guardò distrattamente. "Dalle uno dei tuoi biscotti, senza andare in paranoie" soffiò, stendendosi sul divano.
"Cosa? No! Ha bisogno di crescere, deve mangiare qualcosa di sano!"
Bisbigliò qualcosa che non riuscii a interpretare, forse qualche maledizione contro di me.
"Non hai nulla di appropriato in frigo?" domandai, alzandomi dalla sedia.
"Qui ci vivo solo io, e mio padre quando è di ritorno dai viaggi d'affari. Non compro cibo per mocciosi"
Feci un verso di disappunto e d'esasperazione.
Gli intimai di alzarsi, per trovare qualcosa da far mangiare a Koharu, ma sembrò non volesse ascoltarmi. Così, decisi di passare ai miei vecchi metodi, seppure non ortodossi, facendolo cadere dal divano, e provocando anche le risate di Koharu.
"Ahi! Ma sei matta?"
"Su, adesso vieni con me in cucina. Dovrai pure avere un po' di frutta!"
Mi seguì, indicandomi un contenitore con delle pesche, mentre notai anche strane bevande colorate con sali minerali, di quegli intrugli che utilizzano gli atleti. Mi ricordai della sua passione verso il Karate.
Tagliai in piccole parti la pesca, e mentre la consegnavo ad Akito, affinchè potese darlo a Koharu, mi sedetti accanto a lui.
"Non mi hai detto nulla sul karate, Hayama. Come va?"
Sembrò irrigidirsi.
"Ho aperto una palestra mia in cui tengo delle lezioni a bambini e ragazzi" rispose, senza staccare lo sguardo da Koharu.
"Davvero? E' molto bello voler trasmettere una passione a qualcun'altro" gli riferii, incuriosita da ciò che stesse dicendo, ma soprattutto ciò che non stesse dicendo.
Finalmente si girò verso di me, sussurrando un debole "Sì".
"A volte, quando qualcuno dei docenti della scuola media prende dei periodi di assenza dal lavoro, vado anche ad insegnare educazione fisica" continuò.
"Hayama in una struttura scolastica che insegna, non riuscivo a immaginarlo.
"E tu? Non sei più andato avanti con i gradi?"
"A breve dovrò fare l'esame per il decimo dan cintura nera" disse, con il solito tono piatto, ma con qualcosa di diverso nel suo sguardo. Sembrava quasi dovessi tirare le frasi una alla volta, ma ci avevo fatto l'abitudine. Con Hayama era così.
Hayama era davvero impossibile da decifrare quasi per tutti, se non chi lo conosceva davvero bene. Era come se come strumento di comunicazione non utilizzasse mai le labbra, le parole, solo gli occhi, ed era proprio attraverso quelli, mi roicordai, che tentavo di interpretare i suoi sentimenti quando eravamo bambini.
"E cos'è che ti turba, allora?" chiesi, consapevole di aver centrato il punto.
Tornò a guardarmi, dapprima sorpreso, incerto, poi rassegnato, come se si aspettasse che non mi sarei fermata a quella breve frase di prima.
"Non lo so. E' già la seconda volta che tento questo esame, temo di non poter avere le capacità giuste per farlo"
"Se non sbaglio, lo credevi anche quando eri solo al primo dan, eppure li hai scalati tutti, perchè hai del talento, e perchè so che credi in questa arte, esattamente come io credo nella mia. Hai tutte le carte in regola per poter arrivare al tuo obiettivo" gli confidai, stringendogli lievemente il braccio.
Mi osservò intensamente per qualche secondo, per poi stringere la mia mano, ancora poggiata sul suo polso. La breve scossa che avvertii a quel contatto fu inaspettata e terribilmente scontata al tempo stesso, talmente scontata che mi arrabbiai con me stessa.
Ci guardammo per qualche secondo, fortunatamente o sfortunatamente interrotti dallo squillo del mio cellulare.
Subito tornammo alle nostre postazioni iniziali, mentre io mi lazai per prendere il telefono lasciato all'interno della borsa.
"Pronto?"
"Sana, sono Rei. Ho ricevuto la telefonata di Zenjiro, accettando per quelle puntate speciali de "Il giocattolo dei bambini". Dobbiamo solo andare a firmare."
"Perfetto" dissi, felice.
"E...subito dopo anche Hiroshi ha telefonato, per la pubblicità. Ho accettato anche quel piccolo spot, e mi ha chiesto un favore."
Non parlai, curiosa di sentire cosa altro volesse dirmi.
"Mi ha chiesto di procurargli delle comparse, solo piccoli ruoli per la pubblicità nulla di che. Così ho pensato potessi dirlo ad alcuni dei tuoi amici. Che ne dici?"
Immaginai un Hayama tutto impacciato davanti la cinepresa, e risi senza che Rei potesse capirne il motivo.
"Sana?" mi chiamò, facendomi riprendere dalla mia immaginazione.
"Oh, sì, Rei. Beh, posso chiedere cosa ne pensano. Sarebbe...interessante!" dissi, quasi cantando, pregustando già cosa avrei costretto a fare quell'Hayama ancora ignaro.
"D'accordo, ci sentiamo più tardi. Un bacio" riferii, posando il telefono sul tavolo.
Tornai in cucina, dove trovai anche Natsumi.
"Hayama, chiama Aya, Fuka, e Tsuyoshi. Dì di vederci al parco tra mezz'ora. Ho qualcosa di interessante da dirvi."
Mi guardò interrogativo, e fui abile nel riuscire a scorgere anche una sfumatura di preoccupazione, consapevole di non immaginare cosa aspettarsi da me.
"Su, sbrigati!" gli ripetei.
"Sana, che cosa ti frulla in testa?"
"Oh, l'idea non è mia, ma sono sicura vi piacerà. Su, ti aspetto in macchina" riuscii a dire, mentre già riprendevo la giacca e la borsa, dopo aver salutato Natsumi e la piccola Koharu.

"Tu sei matta, Sana!" esclamò, Fuka.
"Sono d'accordo!" fu la risposta di Tsuyoshi.
"Avanti, ragazzi! Non è nulla di brutto! Dovrete solo essere ripresi per qualche secondo. Per favore!"
"Sì, beh...forse non è così male come idea. Potrebbe essere divertente!" si contrappose Aya. Finalmente qualcuno che la potesse pensare come me.
I ragazzi sembrarono pensarci su per qualche secondo. Assaporavo precocemente il fatto di averlo convinti, con l'aiuto di Aya, mentre osservavo Hayama, che non aveva proferito alcuna parola.
Lo richiamai.
"Hayama, tu...tu che ne pensi?"
"Dico che non se ne parla nemmeno. Potrai convincere loro, ma non me." mi informò, deciso.
"Su, Hayama!" parlai, mettendomi di fronte a lui.
"No. Odio le telecamere. Non sopporto quegli aggeggi, e quelle persone strane. Già ho te, e in quanto a stranezze, sei già sufficiente."
"Sei soltanto accecato dai preconcetti"
"No."
Lo tirai per un braccio, allontanandoci un po' dal resto dei nostri amici.
"Ti ricordi poco fa? Quando ti ho detto di credere nella mia arte, così come tu credi nella tua? Non dicevo bugie. Ma oltre a credere in ciò che faccio io, sono tua amica, e credo anche in ciò che fai tu. Per te non è così?" gli domandai, parlando d'un fiato, mentre sentivo Aya e Fuka domandarsi a cosa potesse riferirsi "poco fa".
Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
"Kurata, io...io detesto quelle cose lì, le detesto più o meno da quando avevo tredici anni" mi rivelò, serio, lasciandomi intuire un probabile motivo per cui potesse provare tanta antipatia verso il mondo dello spettacolo. Ma forse era solo uno stupido pensiero che la mia mente si divertiva a fare arrivare.
Continuai a guardarlo, senza dire alcuna parola.
Sospirò. Un sospiro che suonò come un guerriero in ritirata, arreso.
"D'accordo" pronunciò, scocciato.
Gli sorrisi, uno di quei sorrisi luminosi che a poche persone donavo. Tornando, successivamente dai miei amici, dissi che saremmo stati tutti favorevoli, mentre immaginanai di tenere un astratto premio tra le mani.








  
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