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Autore: Nutelfrog    27/05/2016    0 recensioni
Draco la osservò con la fronte corrugata in un'espressione che in origine doveva essere stata arrabbiata, ma ora era solo curiosa e forse un po' irritata. Le loro vie non si erano mai incontrate, prima di quel momento. Lei sostenne il suo sguardo con fierezza, senza paura. Avrebbe dovuto averne, se avesse saputo cosa nascondeva sotto la manica della camicia. La pelle marchiata pizzicò sotto la stoffa, mentre la studiava. //
«Sai» mormorò una voce poco lontana da lei, «non sono tutti troie o Man.. stronzi» due posti davanti a lei, gli occhi chiari di Theodore Nott la osservavano divertiti.
«Fatico ad immaginarlo» ribatté, accennando però un lieve sorriso.
Lui scosse leggermente la testa prima di riprendere a mangiare.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott, Un po' tutti | Coppie: Harry/Pansy
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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La storia si svolge dall'inizio del Principe Mezzosangue. Non seguirà di pari passo l'evolversi della trama del libro.
È una revisitazione di una storia che avevo già precedentemente pubblicato anni fa ma che non avevo poi continuato ("We.."). Alcuni nomi e fatti sono stati cambiati, e alcuni personaggi secondari dei libri - ad esempio la maggior parte dei Serpeverde - sono stati mossi ed interpretati secondo il mio pensiero. Spero vi piaccia!



Numb on a roof

 

Chapter 1.

 

La sveglia suonò, il trillo secco e molesto che entrava nelle orecchie.

Possibile che qualcuno avesse inventato un tale affare con il solo scopo di torturare le persone? A volte si ritrovava a pensare a come mai fosse tanto masochista da tenere un tale arnese di tortura in casa, nella sua camera. A pochi centimetri dalla sua testa. Si rendeva conto anche da sola che ormai il danno era fatto: quel suono le avrebbe rovinato la mattinata, non ci voleva certo un genio a capirlo. Si coprì il viso con il lenzuolo, ma a quanto pareva l'aggeggio infernale riusciva a passare attraverso la stoffa. Voltandosi quindi verso la sveglia e i numeri scritti in un rosso disturbante, non poté non avere un colpo al cuore: erano già le nove passate e sarebbe dovuta uscire di casa meno di venti minuti dopo. Buttando le coperte all'aria, si alzò dal letto, prima di uscire dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.

Percorse di fretta le scale, rischiando di inciampare un paio di volte, e si fiondò sulla colazione come un naufrago nel deserto alla ricerca di acqua. La tavola, si poteva notare visibilmente, era imbandita da molto tempo prima che arrivasse lei, e le tracce delle altre bocche voraci che avevano consumato la loro colazione mattutina erano visibili: le tazze vuote, i tovaglioli sbilenchi, le briciole dei biscotti sopra la tovaglia. Per non parlare del suo caffè: era freddo.

«Non fare quella smorfia, tu!» la rimbrottò la zia, appena entrata in cucina. «È lì da ben due ore» tipico. Non era certo mattiniera, lei, sopratutto non dopo quasi tre mesi di vacanze nelle quali lo svacco era stato più totale. Non poteva farci nulla: avrebbe ripreso ad alzarsi presto rapidamente, comunque, e a quel punto a fine anno il problema sarebbe stato l'inverso.

«Scusa, zia» mormorò accennando un lieve sorriso di scuse. «Kat?» chiese, quindi.

«In camera, assieme a Natalie» il tono della zia sembrava quasi dirle “avevi dubbi?”. Già, che domande: sua sorella e sua cugina erano inseparabili, e quando Katheleen doveva lasciarla per iniziare un nuovo anno scolastico, finiva sempre che una delle due scoppiava a piangere. A lei, invece, non dispiaceva poi così tanto di allontanarsi da quella che ormai era la sua famiglia. Non aveva fatto amicizia con i ragazzi del quartiere, e principalmente le uniche persone che avevano quasi la sua età erano gli amici di sua cugina: inutile dire che avessero comunque tre anni in meno, e visto e considerato che i ragazzi di tredici anni erano leggermente – ma leggermente, chiaro – diversi da quelli di sedici, quasi diciassette, era difficile riuscire ad interagire con loro. Neppure ci provava, ma questi erano dettagli. Quindi, dopo tre mesi di vacanza, non vedeva praticamente l'ora di riprendere la scuola. Stare tra quelle mura le dava la noia: avrebbe potuto farci la muffa.

Ingurgitò il caffè freddo senza tante cerimonie, prima di tornare di sopra senza dire nulla. Quando riaprì la porta della sua stanza sospirò: la confusione dilagava. Giornali per terra, quasi come un tappeto; un grande baule aperto, dove spuntavano libri, penne nuove, pergamene, fialette, contenitori con cose poco rassicuranti all'interno. La piccola scrivania, a ridosso della finestra, era forse ancora più incasinata. Sbuffò, seccata, prima di chiudere rapidamente il baule, infilandovi dentro le ultime cose prima della definitiva partenza.

Il suo gufo tubò cercando di ricevere qualche attenzione, chiuso nella sua gabbia. Sospirò leggermente, prima di prendere del mangime per uccelli da un cassetto della scrivania al quale era appoggiato. Si fermò ad osservarne le sue lunghe piume brune, prima di carezzargli con la punta delle dita la testa. «Tra poco potrai volare ancora» sussurrò accennando ad un sorriso. Sua zia non era molto contenta che tenesse un gufo in casa, ma quando lei aveva accennato ad alcune capatine notturne per celi di mezza estate, era stata categorica: una volta a settimana, e solo se non c'era troppa confusione tra le strade. Non voleva certo che la prendessero per stramba, vedendo un gufo planare nella stanza di sua nipote.

Non senza fatica trascinò in mezzo al corridoio il baule pieno, chiedendosi se un'innocua magia come il wingardium leviosa sarebbe stato abbastanza per far scattare il Ministero.

«Vuoi mettere l'adrenalina di rischiare di spezzarsi il collo lungo le scale?» mormorò ad una seccata Kat che sbuffava per il suo stesso motivo.

La sorella alzò gli occhi al cielo. «Già. A volte mi chiedo se non lo facciano apposta».

******

Il binario nove e tre quarti era pieno zeppo di gente anche quell'anno. A volte si chiedeva se i maghi non fossero più prolifici dei criceti in calore. L'una accanto all'altra, le due sorelle si guardavano intorno come fosse la prima volta. Era un bello spettacolo quello che tutti loro davano il 1° Settembre al King's Cross.

«Io vado, ho visto Laura salire! Sarà meglio che le dica di prendermi il posto» Kathleen fece già per andare, sparendo tra la folla, ma non le sfuggì la smorfia della sorella. «E ora qual'è il problema?»

Lei scosse la testa, come per dirle di lasciar perdere, facendole cenno di salire per non perdere di vista l'amica Tassorosso, così come Kat stessa. Non che lei avesse problemi a riguardo, chiaro: semplicemente, era protettiva nei confronti della sorella, e sapeva quanto le persone che frequentavi fossero importanti per l'immagine di sé che si dava agli altri. Ecco perché lei era sola, per questo.

«Certa gente proprio non sa farsi amici decenti, mh?» una voce alle sue spalle la fece voltare di scatto. I suoi occhi azzurri incontrarono quelli più scuri di un'altra ragazza.

«Parkinson, parli tu» sibilò quindi, alzando gli occhi al cielo. Erano coetanee, certo, concasate pure, ma non avevano mai avuto un buon rapporto. Era già tanto che si ignorassero, nel dormitorio, senza rivolgersi la parola se non per fare le dispotiche.

«Di sicuro non tu, Dolohov» il modo stesso con il quale pronunciò il suo cognome la fece tremare. Sulla bocca degli altri, sapeva tanto di bestemmia. Di sputo in faccia. Anche da parte di Pansy, che poteva giurare fosse votata al male quanto il suo cognome, c'era una sorta di muto avvertimento. Come se il fatto che i suoi genitori l'avessero abbandonata assieme alla sorella fosse stato colpa sua. Come se il fatto che fossero stati rinchiusi ad Azkaban fosse colpa sua.

Come se fosse lei, la fautrice delle sventure dei Dolohov.

Magari lo era davvero.

******

Quando salì sulla locomotiva scarlatta, questa era quasi completamente piena. Se gli scompartimenti non erano liberi, né pieni di studenti, c'erano sicuramente visi poco carini, o interessanti ad accoglierla, e ogni volta che lei incrociava lo sguardo di uno di essi, finiva sempre per roteare gli occhi al cielo. Nella scuola era abbastanza conosciuta, lei. Principalmente per i suoi genitori, ma se qualcuno l'anno passato non l'avesse conosciuta, sicuramente dopo l'evasione da Azkaban dei suoi genitori era certa che la conoscessero tutti. E se sua sorella Kathleen era una ragazza solare, piena di energie ed estroversa, capace di farsi amici nel giro di pochi istanti, lei era l'esatto opposto. Ma non se ne lamentava, non al momento almeno: la solitudine ed il silenzio erano piacevoli e vi conviveva da talmente tanto che, ormai, ne aveva ricavato una sorta di dipendenza.

«E che fai, San Potter dei Miracoli?» aggressiva, una voce le arrivò alle spalle. «Essere morto e risorto già tre, quattro volte non ti basta? Vuoi la botta definitiva?»

Si voltò, giusto in tempo per sentire tre voci mescolarsi.

«Stupeficium!»

«Everte statim!»

«Protego».

San Potter dei Miracoli e Malfuretto si guardarono in cagnesco, cercando di capire con quale logica i loro incantesimi li avessero tramortiti a vicenda. La barriera azzurrina che si frapponeva tra loro era più spessa di quanto avessero creduto. Guardarono verso il corridoio nello stesso istante.

Lei stava lì, nel mezzo. Frapposta tra l'uno e l'altro, la bacchetta ancora in mano. Aveva reagito prima il corpo della mente: neppure si era resa conto di ciò che aveva fatto.

«Dolohov» soffiò Malfoy, guardandola con astio. Come se fosse un problema il fatto che per colpa sua non sarebbe finito in Presidenza nel giro di una serata. Dire “grazie” sarebbe stato troppo, in effetti, pensò tra sé e sé.

«Malfoy» ribatté calma, il tono che tradiva una leggera provocazione. I loro occhi si incrociarono: argento su azzurro. Draco la osservò con la fronte corrugata in un'espressione che in origine doveva essere stata arrabbiata, ma ora era solo curiosa e forse un po' irritata. Le loro vie non si erano mai incontrate, prima di quel momento. Lei sostenne il suo sguardo con fierezza, senza paura. Avrebbe dovuto averne, se avesse saputo cosa nascondeva sotto la manica della camicia. La pelle marchiata pizzicò sotto la stoffa, mentre la studiava.

«Scusa, ma chi sei?» Potter ruppe il silenzio creato tra i tre, passandosi una mano tra i capelli ribelli. Solo a quel punto lo sguardo della ragazza venne distolto dal Serpeverde suo concasato. Le scappò un sorrisetto divertito per quell'apparente ebetaggine del Ragazzo-che-è-Sopravvissuto.

«Candice» un soffio, prima di voltare le spalle ad entrambi, andandosene.

******

Il treno si muoveva già da più di mezz'ora, e lei era ancora in piedi alla ricerca di un posto.

Aveva visto sua sorella farle cenno di entrare nel suo scompartimento, ma non aveva voluto mettersi in mezzo al gruppo di amici di Kathleen. Per non parlare del fatto che non sarebbe stata così accomodante, assieme a tutti quei Tassorosso, e che probabilmente li avrebbe fucilati tutti sul colpo, se ne avesse avuta l'occasione – o l'avesse creata.

La locomotiva scarlatta sarebbe arrivata solo verso sera al Castello, sfrecciando alla massima velocità verso la Scozia. Ferma in mezzo a due scompartimenti, si era ritrovata a guardare fuori dal grande finestrino con un mezzo sorriso sulle labbra, al pensiero che sarebbe tornata ad Hogwarts. A casa, l'unico luogo nel quale riusciva e poteva essere sé stessa, senza barriere, senza costrizioni.

Quando Hermione Granger aprì la porta del suo scompartimento, incrociando il suo sguardo per un istante, la mora la superò senza tante cerimonie. Continuando però a percepire il suo sguardo puntato sulla sua schiena non poté fare a meno che girarsi. «Vuoi qualcosa, scusa?» la sensazione di essere la persona sbagliata a dire quella frase si impossessò di lei. Infondo, era o non era la Grifondoro ad aver rischiato il culo assieme ai suoi amichetti e a Potter, l'anno passato? Avrebbe dovuto chiederle un autografo, o qualcosa del genere.

«Oh, sì» conciliante, la ragazza le sorrise appena. «Hai bisogno di un posto a sedere?» le chiese, facendo cenno al suo scompartimento. «Noi siamo solo in tre» aggiunse.

«Lo so» infondo, chi mai si sarebbe aggiunto al Golden Trio senza sentirsi a disagio?

«Beh se vuoi puoi venire» alzò un sopracciglio, scettica. Sembrava un invito dettato dalla semplice gentilezza e forse dal grande fottutissimo animo buono che aveva la Granger, ma sicuramente ci doveva essere qualcosa sotto. Non era abituata a vedere una mano tesa in aiuto senza che l'altra si tendesse per richiederne il pagamento.

Corrugò la fronte. «Ah» lo sguardo dorato della Grifondoro non la abbandonò, incitandola silenziosamente ad aggiungersi a quel gruppetto. «Okay» borbottò, alzando le spalle. Non che le andasse particolarmente, s'intende. Sopratutto perché suo padre – Antonin Dolohov – aveva attaccato assieme agli altri Mangiamorte la sua combriccola di studenti, al Ministero.

La Granger però sembrò alquanto bendisposta nei suoi confronti, quindi cercò di farsi piacere l'idea di dover stare nello stesso scompartimento con lei e i suoi due amici – amici, certo, come no! - senza tanto dover borbottare, o minacciare. Infondo, piuttosto che passare il resto della giornata in piedi come un'allocca poteva anche condividere la sua aria con persone che non apprezzava particolarmente.

Non appena entrò, lo sguardo dei due ragazzi si posò su di lei. Per un lungo istante si sentì in soggezione da quelle persone che fino a pochi istanti prima non sapevano della sua esistenza, mentre lei e tutto il resto del Mondo Magico sapeva della loro. «Ehi» Harry Potter le rivolse un sorriso. Secondo la logica, avrebbe dovuto sciogliersi, o strapparsi mutande e reggiseno seduta stante e donarsi a lui come avrebbe fatto ogni ragazza della storia. O farsi gli scongiuri. Meglio.

«Candice, giusto?» lei annuì, prima di sedersi sul posto libero accanto ad una Granger che, sai che novità, aveva preso in mano uno dei tanti libri.

«Candice? Candice quella Candice?» Weasley si animò sul posto, voltandosi verso di lei e poi verso Harry. «La Candice di Malfoy?» la Candice di Malfoy. E dopo questa, poteva definitivamente avere il diritto di schiantarlo.

Potter sembrò preso contropiede dal migliore amico e si voltò verso di lei come per dire qualcosa.

«Candice Dolohov. La Candice di nessuno» ribatté invece lei, sibillina. Si chiese con che logica quel terzetto fosse stato composto: Potter era lo sfregiato, e a quanto si diceva anche il Prescelto, la Granger era gnocca, oltre ad essere anche brillante. E poi c'era Weasley, che era chiaramente la mascotte, o più che altro una piaga della quale gli altri due non sapevano come liberarsi.

«Oh, si certo!» avvampò lui.

«Bene»

Quando, fin troppe ore dopo, fu giustificata ad abbandonare quello scompartimento, poté tirare un sospiro di sollievo. Allelujah. Se fosse rimasta con quei tre per altri pochi minuti, probabilmente avrebbe fatto una strage. Tra le frasi molto argute di Potter che non aveva idea di come intavolare una conversazione ma che, comunque, dopo un po' era dovuto andare a chissà quale riunione per gli Sfregiati come lui, le domande evasive della Granger sulla scuola e sul futuro che desiderava – futuro che probabilmente lei, San Potter e Lenticchia le avrebbero garantito rischiando il culo altre mille e passa volte, certo – alle quali lei aveva risposto con un sopracciglio alzato e un silenzio insistente, e i balbettii imbarazzati di Weasley che non aveva idea di che fare o di cosa lamentarsi se non del tempo, aveva perso la pazienza. Così non appena il treno si era fermato, aveva preso la Gazzetta del Profeta che aveva praticamente imparato a memoria in quelle ore, ed era uscita di lì senza spiaccicare un'altra parola.

******

Il Castello era come lo ricordava: sembrava averla attesa, e l'aveva accolta con le braccia aperte ed il sorriso di chi sa che prima o poi sarebbe tornata. Anche le persone erano come le ricordava: rumorose e confusionarie, martellanti. Sempre le solite facce. Sempre la solita storia.

La Sala Grande era gremita anche quell'anno: e dire che la sua convinzione che l'evasione di massa da Azkaban avrebbe portato una non si sapeva quale strage di studenti urlanti ed esagitati era alquanto radicata in lei. E invece no, erano tutti li. Come al solito, vivi e più irritanti che mai.

Sua sorella, due tavoli davanti a lei, rideva e sorrideva. Il tavolo di Tassorosso era forse quello più cheto, rispetto agli altri, ma non sarebbe mai stato il suo tavolo. La tavolata dei Grifondoro era impossibile: non riusciva a capire come, ogni diamine di anno, fossero in grado di avere quel sorriso stampato sulle labbra nonostante quello che succedeva al di fuori della scuola. Ma infondo, erano pur sempre Grifondoro: la perspicacia l'avevano lasciata ai Corvonero. Candice sedeva al tavolo di Serpeverde osservando ogni cosa accanto a lei, con una sorta di passivo interesse che erano in grado di avere solo alcuni componenti della sua Casa. Accanto a lei, gli studenti verdi-argento continuavano a mangiare. Al suo fianco sedeva un'irritante Pansy Parkinson che ocheggiava con le due Grengrass, parlando del suo viaggio negli USA. «E tu, Candice, che hai fatto quest'estate?» la tirò in mezzo, un sorriso sardonico sulle labbra rosee. Continuando a servirsi il dolce al gelato, alzò le spalle. «Niente di speciale, immagino» commentò quindi, prima di sporgersi verso le due bionde davanti a lei. «Probabilmente da quegli sporchi babbani dei suoi parenti» fece una smorfia, come se non ci fosse cosa peggiore al mondo.

Candice ignorò la provocazione. «Sai» mormorò una voce poco lontana da lei, «non sono tutti troie o Man.. stronzi» due posti davanti a lei, gli occhi chiari di Theodore Nott la osservavano divertiti.

«Fatico ad immaginarlo» ribatté, accennando però un lieve sorriso.

Lui scosse leggermente la testa prima di riprendere a mangiare.

******

«Dolohov!» qualcuno la chiamò, mentre percorreva i corridoi dei Sotterranei per potersi finalmente chiudere nel suo Dormitorio. Si voltò di scatto mentre lentamente, con la sua flemma da uomo che poteva farsi attendere, le su avvicinava. Lui e la sua faccia da sberle.

La Candice di nessuno. «Malfoy».

«Cos'è, vuoi entrare nelle grazie dello Sfregiato?» l'aveva affiancata, eppure, nonostante fossero uno accanto all'altro, poteva percepire chiaramente che lui si sentisse di un gradino maggiore rispetto a lei. Di come lui avesse saputo del suo fraternizzare con il nemico e di come questo dovesse toccarlo in alcun modo, sembravano reali misteri della fede.

«Non potrei mai, so quanto ci tieni ad averne tu il primato» rispose, sibillina. Sembrò non apprezzare particolarmente la battuta: lo vide tendersi e stringere i pugni. Non doveva essere abituato alle persone che gli rispondevano a tono, o più probabilmente non era abituato a persone che gli rispondevano in modi diversi dal chinare la testa e obbedire. Tipico comportamento da Malfoy. «Immagino che tu non sia abituato alle persone che fanno ciò che vogliono».

«Immagino che tu non sia abituata a sentirti dire cosa fare» ribatté lui con una smorfia che non rese però il suo viso meno piacente. «Ma ogni tanto dovresti. Di questi tempi, schierarsi dalla parte sbagliata sarebbe deleterio».

«È forse una minaccia? Perché non ho paura. Sopratutto, non di te» mormorò, guardandolo fissa negli occhi argentei. Nonostante sapesse quanto il nome dei Malfoy dovesse incutere timore, non riusciva a non alzare la testa e rispondere a modo. Non era da lei prostrarsi ai piedi del potente per cercare protezione. Preferiva crearsela da sola.

«Dovresti» mormorò lui. Per un attimo ebbe il dubbio che volesse aggiungere qualcosa, ma poi semplicemente la superò come se nulla fosse. Fuggiva, forse? Da lei o da sé stesso?

  
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