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Autore: tixit    28/05/2016    8 recensioni
Alcuni momenti assolutamente non mancanti dell'anime, tra Lady Oscar e le rose.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Uno qualunque

Non avrebbe dimenticato il giorno del matrimonio di sua sorella.


Non avrebbe voluto esserci, ma suo padre non avrebbe capito e a Versailles le avevano concesso una licenza appositamente - la Delfina addirittura aveva preso da un suo cassetto un ciondolo a forma di rosa, ricavato da una perla barocca, forse una di quelle di minor pregio che il Re aveva donato alla piccola Maria Teresa, per cui accettabile era solo il meglio del meglio. Una rosa semplice a cinque petali, sua Madre avrebbe saputo sicuramente dire quale varietà, anche se Oscar sospettò che Bessange, il gioielliere ugonotto che si inchinava impunemente dinanzi al Re, passasse tutto il suo tempo a cesellare e ad ammassare diamanti, come un tesoro dei Nibelunghi, invece di annusare fiori nei giardini.
Che ne sapeva davvero di rose bianche? Non avrebbe mai potuto realizzarne una che esistesse in natura.


Perle e diamanti per la Sposa, aveva detto la Delfina, con un sorriso, gli occhi grandi e luminosi da cucciolo amato da tutti, certa di stare offrendo due tra le cose più belle al mondo, forse le più belle - la sua passione per i gioielli non era un segreto.
Lei, Oscar, aveva ringraziato imbarazzata - da piccola sua sorella glielo avrebbe gettato in faccia, quel ciondolo, non per motivi estetici, ma per averla chiusa a chiave in una stanza, contro il suo volere. Da piccola gliene avrebbe dette quattro, le mani a pugno sul petit panier, imitazione di una donnina che ancora non era, ma adesso lei era l’Erede e sua sorella la Sposa e non si parlavano più, se non per discorsi che non dicevano nulla, solo che erano ancora tutte e due vive, nel senso che respiravano ancora.
 

La Sposa avrebbe ringraziato e scritto un elegante bigliettino, come si conveniva alla Sposa.

E l’Erede l’avrebbe consegnato alla Delfina, assicurandole che il dono era stato infinitamente gradito, come si conveniva all’Erede.
 

Non aveva potuto non accettare la licenza, sarebbe sembrato strano: ancora doveva restare a dormire al quartier generale, rito di passaggio che li disintossicava tutti dai legami con la famiglia, con ciò che erano, con ciò credevano di essere o con ciò si erano illusi di essere (persone senz’altro importantissime), per farli diventare altro: le Guardie del Re.
 

Tutti loro nella loro vita normale avevano avuto qualcuno che veniva “prima”.
Prima di ciò che era giusto, onorevole, bello. Prima di loro stessi.
Qualcuno per cui fare un passo indietro sarebbe stato facile, nemmeno da pensarci troppo sopra, qualcuno contro cui non c’era gioco.

 

I più fortunati ne avevano avuta anche più di una di persone così: una balia, una madre, un padre, fratelli, un precettore, persone con cui erano cresciuti, amici che sarebbero venuti “prima”. Ma una Guardia del Re quel “prima” lo deve spostare un pochino - svuotare, addirittura, non lo pretendevano, quello no, in fondo chi ha solo se stesso al primo posto è qualcuno di cui non ci si può fidare, libero come l’aria, che non ha un prezzo noto a tutti, con cui non puoi comprarlo, ringraziarlo o ricattarlo - niente leve da usare per spingerlo nella giusta direzione.  

 

Una Guardia del Re, al primo posto, ha il suo lavoro, al primo posto ha il Re e la  Famiglia Reale. A lei, tra tutti i membri minori, era toccata la Delfina - doveva essere lei il suo “prima”, subito dopo il Re, s’intende. Il resto doveva essere ricatalogato e spostato un passo indietro, come i giocattoli di quando si è bambini, con cui un adulto non gioca più, ma nemmeno butta via come immondezza.

 

Oscar non si illudeva tanto. I più fortunati non avevano calpestato mai quel “prima”, rendendosi conto che a volte il passo indietro non è così facile, che a volte nemmeno si riesce a riconoscere quando arriva il momento giusto per farlo quel passo, se non quando il momento è già passato.

Altri, come lei, sul prima ci erano passati sopra come l’aratro su un fiore di campo - l’aveva tradotta quella poesia e non l’aveva capita.

 

Avrebbe sentito quella voce quell’Oscar ti prego ancora per quanto tempo, quando chiudeva la porta del suo alloggio e si sdraiava sul letto? Sempre meglio del silenzio e dei grazie e dei prego così educati, che oramai le venivano riservati.


Non si poteva permettere di calpestare più nessun prima. Nemmeno quelli che non si era scelta lei. Faceva troppo male e la vergogna la stava schiacciando: d'ora in avanti coi suoi prima sarebbe stata perfetta, mai più avrebbe pensato di sapere lei cosa era meglio, perché lei, se ne era accorta, non sapeva nulla di nulla.

 

Il giorno del matrimonio se lo sarebbe ricordato a lungo, pensò, mentre rientrava a Versailles, prima del rito della chiusura.

Bella cerimonia, belle rose anche allora - sua Madre aveva cercato di metterci tutto quello che piaceva alla Sposa, se alla Sposa fossero piaciute le oche bianche e le caprette, le oche avrebbero girato per la Cappella, agitando le loro codine, starnazzando allegre e decorando il pavimento con i loro escrementi verdeblù, mentre le caprette avrebbero rosicchiato i ricami sull’altare.
Ma a sua sorella, ringraziando il cielo, piacevano le rose.


Era stato bello tutto - i dettagli non se li ricordava, ma sapeva che era stato proprio tutto il meglio del meglio - i Jarjayes erano apparsi forti e potenti, coi loro leoni d’oro in campo rosso, le medaglie del Generale e la sua divisa ancora nuova.

 

Una volta che aveva attraversato il portone delle mura di Versailles, André se ne era andato verso le stalle, portando con sé Cesar. Non l’aveva fermato per parlare, per tutta la festa era rimasto silenzioso, un passo indietro rispetto a lei, seguendola ovunque, senza un accidenti da dire a lei, ma attento a riempire i vuoti della sua conversazione con tutti gli altri, grazie a quel suo ruolo ambiguo di servo, protégé dei Jarjayes, amico di infanzia della Sposa e dell’Erede, frequentatore silenzioso di Versailles, notato dalla Delfina. Uno con cui si accettava, insomma, di parlare del tempo, a patto che venisse interrogato e non rivolgesse la parola per primo.
 

Si chiese, osservandone la schiena che si allontanava, se lui sapesse la cosa orribile che lei aveva fatto, se l’aveva giudicata, e come, nel caso. Se un po’ della loro amicizia se ne era per caso andata via, come il lucido dalle decorazioni.

 

Strinse le mani a pugno e si voltò verso il portone, che stavano per chiudere, lo avevano socchiuso per un ritardatario… vide così uno della Guardia, che arrivava arrancando. Ubriaco.


Un uomo che insultava la sua divisa, decise, quello che significava e quello che era costata.

Si mosse a passo deciso pronta a farlo punire. Quello che era giusto era giusto e lui stava sputando su se stesso, su quella divisa, su quello che rappresentava e su tutti i suoi prima vecchi e nuovi. E, sputando sui suoi, di prima, per riflesso, stava sputando sui prima di tutti i suoi compagni.

 

Si mosse decisa, gli occhi che le lampeggiavano, la rabbia impossibile da  nascondere, che le stava esplodendo dentro, alla ricerca di una crepa da cui defluire, pregando che quel tizio le opponesse resistenza, che gli desse l’opportunità di torcergli un braccio fino a spezzarlo, di fargli sentire cos’era il dolore, cosa può farti davvero male.

 

“Me ne occupo io…” la voce di Girodelle la colpì sgradevolmente, da dove saltava fuori? Era rimasto lì ad aspettare la chiusura?
E, soprattutto, come si permetteva? Lui era solo l’avanzo della sua spada. Alto, un bel visino e nulla più, si mormorava in giro che gli piacessero rose e lillà - un pervertito, probabilmente .
Se ne stava lì, frapponendosi tra lei e quell'altro che la osservava in silenzio, lo sguardo torvo, carico di disprezzo.

 

“Non credo siate adatto.” lo rimbeccò secca, guardando ostentatamente la divisa dalla cui manica spuntava un ricamo  - non indossava certo la camicia di ordinanza… cosa ne sapeva di un prima un uomo così? Nel suo prima probabilmente c’era qualche modista ed un guantaio.
 

“Forse nemmeno Voi.“ la voce era rispettosa, “Venite dalla stessa festa, credo. In ogni caso avete brindato alla stessa Sposa, sarebbe imbarazzante...” fece un sorriso conciliante ed un gesto vago, cos'era mai successo, in fondo, sembrava dire, anche se le sembrò che lo sguardo fosse inquieto, che la stesse osservando cercando di capire se lei capiva, ma cosa? cosa avrebbe dovuto capire?

 

Lo vide prendere il ragazzo per le spalle e portarlo verso il suo dormitorio, prendendolo in giro, ironico, chiedendogli di avvertirlo, mi raccomando, se stava per vomitare. Nel caso, facesse pure, ma non sui suoi splendidi stivali, venuti direttamente dalla Polonia, in un soliloquio vanesio che le faceva venire, a lei sì, voglia di vomitare. Non poteva spezzare un braccio ad un ospite di suo padre, quello le era chiaro. Ma se lo sarebbe meritato.

 

Fu solo dopo, mentre si stava togliendo i suoi, di stivali, seduta sul bordo del letto, che le venne in mente che non c’era nessuno delle Guardie Reali al matrimonio di sua sorella - suo padre, gli parve, avrebbe voluto invitare proprio Girodelle, ma lui aveva declinato l’invito (era di turno) e a lei non era venuto in mente di invitare proprio nessuno dei suoi compagni d’arme: quello di casa sua era un prima che non voleva condividere, come la sua vecchia trottola ed il coltellino con il manico rosso, cose sue che riponeva come pareva a lei, dove pareva a lei. Cose da tenere per sé, non da mostrare agli altri, nemmeno da raccontare. Cose chiuse nel suo cuore, come lei ed André nello stagno, il giorno in cui stava per affogare, o la prima coppia di spade ricevuta in dono.

 

Gli spiacque non averlo osservato in volto - un ufficialetto ubriaco, uno qualunque che Girodelle aveva coperto… probabilmente un suo amichetto. Non era certamente stato a nessun matrimonio, nessuna buona padrona di casa avrebbe lasciato che un suo ospite si riducesse così al matrimonio di sua figlia.
A qualcuno aveva sicuramente brindato, ma chiunque fosse stato questo qualcuno, il brindisi in cui era annegato, era avvenuto in qualche osteria, dove servivano vino da pochi spiccioli, roba di qualità infima, su cui non valeva la pena pagare il dazio.

Sperò che avesse davvero vomitato sugli stivali di Girodelle, uno che non sapeva proprio nulla di nulla e parlava tanto per parlare.


Poi si addormentò, ripensando ad una trottola e ad coltellino.
   
 
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