Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: MarsAreia    29/05/2016    1 recensioni
Arriva un momento nella vita di ognuno di noi in cui si è posti di fronte ad un bivio: essere noi stessi o ciò che tutto il resto vorrebbe che fossimo.
Ed è questo, quello di cui tratta questa storia; di come una singola scelta può cambiare il nostro destino per sempre.
§ Storia betata da Lady Viviana.§
Il titolo è preso dalla canzone "Heroes" di David Bowie.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione, Fred Weasley/Hermione Granger
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'We can beat them, for ever and ever.'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Capitolo 1°: Australia.



 

Nel quartiere di Lower North Shore, nella periferia di Sydney, Australia, la vita era piuttosto monotona. Prettamente residenziale, non vi accadeva proprio nulla di eclatante, se non si considera qualche furtarello ad opera del criminale di turno o il solito litigio tra vicini per il colore dello steccato.

Tutto era pigro, lì: il vento, che cominciava ad essere decisamente più freddo con l'avvicinarsi dell'inverno, smuoveva lievemente le poche foglie arancioni rimaste ancora sugli alberi, il rumore dell'insegna al neon, lasciata perennemente accesa, del negozio di antiquariato del Signor Miller, su Sailors Bay Road, il lento ondeggiare della coda del gatto di Miss Watson, impegnato a godersi il sole sul davanzale della finestra e persino il cigolio dell'altalena nel parco giochi per i bambini della zona, ancora tutti a scuola. Eppure, Monica Wilkins sapeva che quella giornata era diversa, perché qualcosa l'aveva resa tale, a cominciare dalla mattina, quando aveva bruciato i biscotti tanto amati dai ragazzi. Dopo poco, la vicina, la signora Sumner, aveva bussato alla sua porta con la chiara intenzione di tediarla raccontandole l'ennesimo successo di quel figlio prodigio che aveva generato (Ah, se avesse potuto parlare lei!). Come se non bastasse, in tarda mattinata la sua segretaria l'aveva chiamata al cellulare dicendo che lì con lei, presso lo studio, c’era il signor Grath, il quale lamentava l'ennesimo dolore al dente del giudizio, senza però essersi deciso a fare la necessaria estrazione del suddetto dente. Codardo e deciso a rovinarle la già non bellissima giornata, il giovane aveva alla fine ceduto, concedendole di estrarre quel molare maledetto ed estirpare alla radice il problema. Decisamente sollevato, era poi tornato a casa, scusandosi per il disturbo e ringraziandola infinitamente. Lei, d'altro canto, ne aveva approfittato per tornare al suo tanto agognato giorno libero, passando a prendere i bambini da scuola e portandoli al parco. 

Tuttavia, avvertiva nelle vene che qualcosa sarebbe cambiato, quel giorno. Non avrebbe saputo dire cosa, ma era abbastanza sicura che quella giornata non fosse ancora finita e se ne convinse ancora di più quando i gemelli cominciarono ad architettare uno dei loro soliti scherzi ingegnosi, di cui non poteva far a meno di sorridere tra un rimprovero e l'altro, ai danni di un ragazzino più grande, il primo figlio dei Durkheim, quello con l’aria da adulto e il cervello di un criceto, che non avrebbe tardato a lamentarsi con i propri genitori, convincendoli maggiormente di quanto già non fossero della maleducazione dei due. Sapeva benissimo che non avrebbe dovuto incoraggiare quella loro vena attira-guai, come suo marito tendeva a ricordarle nei rari momenti in cui assumeva il ruolo di “genitore” responsabile, ma i due avevano la capacità di tirarsi fuori da ogni situazione pericolosa con grande furbizia e intelligenza. Alla peggio, la faccia tosta che si ritrovavano permetteva loro di affrontare a viso aperto le conseguenze della malefatta in questione. Per questo, lei proprio non riusciva a rimproverarli più di tanto. Nonostante ciò, quella sensazione non la lasciava tranquilla, così, guardinga, disse ai due ragazzini che era ora di tornare a casa. Tra una protesta e l'altra, Martha e Jamie, questi i nomi dei fanciulli, seguirono la donna, raccontandole la loro giornata. Con un certo magone, la donna si ritrovò a pensare che i bambini sarebbero rimasti tali ancora per poco. Presto avrebbero iniziato a crescere ancora più velocemente di quanto già non facessero e loro sarebbero rimasti indietro, intenti a guardarli andare avanti da soli, sempre meno bisognosi di loro. Represse un sospiro angosciato, mentre entravano in casa e i due tornado rossi correvano in camera loro. Lei, invece, si diresse in cucina, posando lo sguardo sul calendario, che segnava la data del cinque giugno duemiladieci.

Quelli, pensò, sarebbero stati gli ultimi mesi che avrebbero passato in piena normalità; dopo, da quel primo settembre che pesava sulle sue spalle come un macigno, tutto sarebbe cambiato e ancora una volta la vita le avrebbe presentato l’ennesima incognita da affrontare. Uscì in giardino, rendendosi conto di aver bisogno d'aria. Salutò con un cenno il loro dirimpettaio, intento ad accendere la brace nel proprio giardino, ma abbassando subito dopo lo sguardo, per evitare un eventuale tentativo di conversazione. Fu così che notò un fiore, un gladiolo rosa, solo tra quei pochi ciuffi d'erba rimasti e lontano anni luce dalla pianta che avrebbe potuto generare un germoglio simile in una stagione come quella. Un fiore che compariva solo in determinate occasioni della sua vita e che in quel momento si stagliava davanti a lei in tutta la sua bellezza. Monica lo raccolse, guardandosi intorno, pur sapendo che non avrebbe notato nulla di insolito, prima di tornare in casa e sentire quella sensazione dentro di sé sfumare, finalmente soddisfatta.
Poggiò, quindi, il gladiolo sul tavolo in salotto, sedendosi per osservarlo. Non ne trovava uno da sei anni. Da quando la persona che con un semplice incantesimo faceva sì che comparisse nel giardino di casa loro le aveva comunicato che sarebbe partita per la Grecia.
Prese il fiore tra le dita, sul viso un sorriso malinconico. Aveva perso le speranze di rivederlo ancora, dopo tutto quel tempo passato senza ricevere sue notizie.
Non sapeva nemmeno se dirlo o meno a suo marito, dato che le ultime due volte non aveva voluto essere presente, mentre lei, al contrario, continuava a raccogliere quel simbolo e ad accettare l’incontro, nonostante non fosse per nulla sicura che fosse una buona idea. Wendell - le faceva ancora strano chiamarlo così - aveva litigato con la loro unica figlia quando questa era partita, affidando loro i gemelli. Lei invece, era stata più tollerante, perché poteva capire, con non pochi sforzi, che sua figlia, dopo la guerra, avesse bisogno di ritrovare se stessa, che necessitasse di una speranza, anche solo vana, di poter riportare tra loro il padre di quei due angeli. Ma, dopo tre anni, anche lei aveva dovuto riconoscere il profondo cambiamento della donna, che sembrava incapace di star lontana da battaglie, libri e misteri, completamente dimentica delle due creature che aveva generato. Forse, si disse, ora che mancava così poco alla loro partenza, Hermione aveva realizzato che avrebbero scoperto il mondo della magia per davvero e dunque meritavano di sapere la verità sui genitori, mentre lei e suo marito avevano il diritto di riprendere le identità che aveva tolto loro durante la guerra. 
Si passò una mano sulla bocca, ricordando la delusione che aveva provato sei anni prima, quando si era illusa allo stesso modo circa il cambiamento della ragazza. Ma, se non fosse stato così, che senso avrebbe avuto tornare? Se non aveva finalmente capito i suoi errori, se non era lì per quelle due piccole pesti, quale poteva essere il motivo che la spingeva ad arrivare fin lì? Semplice voglia di rivedere i suoi genitori, forse? 
Si alzò, poggiando il fiore dentro uno scrigno che fungeva da soprammobile, e si diresse in cucina, provando a pensare ad altro.
Ciò nonostante, rimase distratta tutta la sera, sotto lo sguardo sospettoso di suo marito e quello incuriosito dei nipoti, ma fu solo quando questi furono mandati a prepararsi per andare a dormire, che l’uomo prese la parola, osservandola da dietro gli occhiali mentre era intenta a pulire il fornello.

«Ne hai trovato uno, non è vero?»

Monica alzò lo sguardo, incrociando quello dell’uomo. Tolse i guanti, prima di sospirare, consapevole che qualunque risposta si sarebbe rivelata inutile e si appoggiò con la schiena contro il mobile, aspettando una reazione.

«Immagino che tu abbia accettato l’incontro. Cosa ti aspetti questa volta, Monica? Un cambiamento? Che venga qui per vedere i suoi figli? Sai benissimo che la nostra Hermione non c’è più. Le abbiamo detto addio molto prima che partisse, prima che quelle due piccole creature del Signore venissero alla luce.» la vide, quella patina lucida negli occhi di Brian, mentre diceva quelle parole. Lei, al contrario, non parlò, avvertendo la bocca improvvisamente asciutta.

«Noi siamo pronti!» urlò Jamie dalla loro stanza. La donna sentì le loro risate provenire dal fondo del corridoio, mentre erano in attesa che arrivasse il "controllo" serale.

«Vado io. Tu … fai come preferisci.» sospirò Wendell Wilkins, al tempo Brian Granger, prima di alzarsi e dirigersi verso la camera dei bambini.

«Ehy! Guardate che, se non avete lavato i denti, nessuno vi salverà dall’ira del nonno, eh!» la sghignazzata in sottofondo di Martha le fece capire che no, loro i denti non li avevano lavati proprio per questo.
 
Erano ormai le undici di sera passate, quando vide Wendell uscire dalla stanza, il sorriso ancora sulle labbra e la luce spenta alle sue spalle.

«Si sono addormentati?» chiese lei, appoggiata alla ringhiera della scala. L’uomo annuì, sospirando con malinconia.

«Mi mancherà tutto questo, quando saranno grandi.» Monica gli andò vicino per stringergli la mano.

«Non possiamo impedire loro di scoprire chi sono davvero.» il marito si tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi con fare stanco, prima di risponderle.

«Non riesco a non pensare che, se non avessimo mandato Hermione in quella scuola, ora lei sarebbe con noi a Londra, sposata e felice. Se fosse rimasta la ragazzina allegra e studiosa che era a undici anni, forse tutto questo non sarebbe accaduto.» Monica lo abbracciò, consapevole che anche lui, come lei, si vergognava di quei pensieri. Era impensabile credere che avrebbero potuto tenere lontano Hermione da una parte di se stessa, da quella stessa parte che aveva poi portato alla nascita dei loro nipoti. Ma la nostalgia, si sa, a volte gioca brutti scherzi e un genitore non può far a meno di pensare di aver colpa degli errori del figlio. La donna lo osservò rimettere gli occhiali, prima di parlare.

«Perché… perché non rimani, stasera? Potrebbe… magari lei …» Wendell scosse la testa, l’aria decisa.

«No, non parlerò con quella donna finché non mi ridarà indietro mia figlia.» l’altra non si meravigliò della sua reazione e sciolse l’abbraccio in cui lo aveva stretto. Questo, sistemandosi la vestaglia da camera, si chinò a lasciarle un bacio sulla guancia, prima di allontanarsi.

«Ti aspetto in camera, mi raccomando, non fare tardi.»

«D’accordo.» mormorò, scendendo poi le scale e tornando in salotto, dove sapeva che sua figlia sarebbe comparsa. E così fu, circa un quarto d’ora dopo. Monica, udendo il rumore della smaterializzazione, posò il libro che aveva usato per ingannare l'attesa sul tavolino accanto alla poltrona, prima di alzare lo sguardo sulla figura, avvolta in un mantello blu scuro, al centro della stanza.
Ricordava che, quando era stata lì l’ultima volta, aveva un sorriso felice sul viso, lo sguardo rinato ed un'energia che sprizzava da tutti i pori. Adesso, invece, non sembravano nemmeno la stessa persona: i capelli, che aveva visto legati in una coda alta tutte le volte che era venuta a trovarla i primi tempi, adesso erano liberi da qualsiasi fermo, lunghi fino alle spalle. Il viso recava i segni del sonno mancato, gli occhi erano gonfi. Solo il sorriso non mancava all’appello, anche se sembrava stonare con tutto il resto.

«Mamma!» lei le sorrise e Hermione l’abbracciò d’impeto.

«Come stai? È passato tanto tempo. » Le chiese, sciogliendo l'abbraccio per poter incrociare il suo sguardo.

«Io sto bene, mamma. So che dopo quella volta sei anni fa sono sparita, ma sono successe tante cose e … » la vide passarsi una mano sul volto, rendendo palese tutta la lotta che si stava scatenando dentro di lei. Monica capì che sedute attorno ad un tavolo, con una bevanda calda davanti, avrebbero potuto parlare più tranquillamente. 

«Ti va una tazza di tè? Così mi racconti tutto.» Hermione acconsentì, togliendo il mantello e poggiandolo sullo schienale del divano, prima di seguire la madre in cucina. Monica non la vide soffermarsi su quella che sapeva essere la porta dei propri figli, né tanto meno vide il suo sguardo caricarsi di rammarico e rimpianto. La sentì solo entrare e sedersi al tavolo della cucina con qualche minuto di ritardo, ma volle pensare che fosse dovuto tutto alla curiosità di vedere se qualcosa era cambiato. 

«Allora, cosa hai fatto in questi sei anni?» Non l’avrebbe mai ammesso, ma vederla in quello stato aveva riacceso in lei quella speranza che aveva ignorato con tutte le sue forze. In quel momento, voleva solo che sua figlia le desse ragione, dicendole che sì, era tornata per porre rimedio ai suoi errori, per conoscere i suoi figli e poi, chissà … restare.


«Mi sono diretta verso la Grecia, come ti dissi all’epoca.» prese a raccontare la donna, mentre la madre versava il tè. 

«Ho conosciuto molte culture orientali, creature che credevo che non esistessero nemmeno nel Mondo Magico. Lo sapevi che in India esiste una comunità che ha come animali da compagnia scimmie in grado di eseguire magie elementari? Io no. Si vede che non avevo aperto abbastanza la mia mente, se dopo unicorni e maghi oscuri sono ancora capace di sorprendermi dell’esistenza di qualcosa come una scimmia magica.» un sorriso piegò le sue labbra.
Per un momento cadde il silenzio, che Monica riconobbe come uno di quelli che Hermione usava per raccogliere le parole. Non si stupì, quindi, del suo improvviso cambio di discorso, qualche istante dopo.

«Mamma io … io ho capito.» alzò il viso per guardare la figlia, incredula. Aveva capito bene? L’altra, però, teneva lo sguardo basso e giocherellava con il centrotavola, decidendosi a parlare solo quando sentì di avere tutta l’attenzione della madre.

«Sì, quello che tu e papà mi diceste sei anni fa. Io ho capito, adesso. Sono stata un’egoista. Ho … oh, mamma, ho sbagliato tutto. Quanto vorrei poter tornare indietro e non fare nulla di quello che ho fatto in questi ultimi nove anni. Vorrei aver ascoltato i vostri discorsi, aver cresciuto i miei figli … e invece, guardami… Sono diventata … un mostro. Una madre degenere. Ci sono persone che darebbero la vita per poter avere quello che ho avuto io e invece cos’ho fatto? Li ho abbandonati. Con voi, certo, ma li ho privati della loro madre e di tante altre cose, quelle stesse cose che so essere fondamentali.» Monica, il cuore che pompava impazzito, si sedette accanto alla figlia e le prese la mano, alla vista dei suoi occhi pieni di lacrime. Hermione la strinse e continuò a parlare, con la voce incrinata.

«Ero partita per cercare un modo per riavere Fred, lo sai? Per dare un padre ai miei figli. Non mi sono resa conto però che, così facendo, li ho privati di entrambi i genitori, ottenendo in cambio solo dieci anni buttati via, passati a distruggere tutto quello che ritenevo importante.» il suo sorriso amaro, accompagnato da quelle parole, provocò una stretta al cuore dell'altra, la quale le asciugò il viso, sorridendole lievemente. Hermione rimaneva sua figlia e lei non avrebbe mai voltato le spalle a quella bambina dagli incisivi un po' troppo grandi che, ne era convinta, non era mai realmente andata via. 

«Non è troppo tardi, figlia mia, per porre rimedio ai tuoi errori. I ragazzi non hanno mai smesso di sperare in un tuo ritorno e adesso sei qui, a pochi passi da loro. Vuoi vederli?» Hermione alzò lo sguardo sulla madre a quella richiesta insperata, prima di annuire e seguire la donna in corridoio, fino alla porta bianca di legno, l’ultima barriera che la divideva da ciò che più di tutto agognava da anni. Vedere i suoi figli, toccarli, diventare quella che avrebbe dovuto essere se la guerra non si fosse messa in mezzo ad incasinarle il cervello.

Monica aprì la porta, osservando la gioia e il rammarico negli occhi della figlia. Hermione entrò piano nella stanza, avvolta nel buio, se non fosse stato per la luce proveniente dal corridoio. Negli angoli in fondo c’erano due letti, uno di fronte all’altro, separati solo da un comodino, sopra cui c’era una lampada a forma di coccinella. Si avvicinò al primo, dove scoprì Jamie, placidamente addormentato. Gli accarezzò i capelli, scoprendoli al tatto non molto dissimili dai suoi. Posò un bacio sul capo del bambino e si voltò poi verso la sorellina, Martha, sorridendo nel vederla dormire completamente avvolta dal piumone, al punto da non potersi muovere. Glielo sistemò, prima di ripetere gli stessi gesti amorevoli che aveva avuto per il fratello e alzarsi, uscendo dalla stanza. Chiusa la porta, Hermione sospirò, cercando di trattenere le lacrime.

«Che cosa ho fatto, mamma? Perché sono andata via?» disse, alzando gli occhi sulla madre che sostava poco distante da lei. Questa la abbracciò, sentendo le lacrime scendere anche dai suoi occhi, mentre si univa al dolore della figlia.

«Sono bellissimi.» mormorò Hermione, tirando su col naso.

«E ti somigliano tanto. Anche se sono decisamente più pestiferi!» risero lievemente a quel tentativo di alleggerire l'atmosfera e al pensiero che sì, i geni di Fred Weasley non si sarebbero fatti soppiantare troppo facilmente.
La più giovane si allontanò un po’, tornando a guardare la porta chiusa.

«Quest’anno andranno ad Hogwarts.» 

«Sì, la lettera è arrivata a dicembre, quando hanno compiuto undici anni. Qualche giorno dopo è arrivata anche una professoressa, quella che tu mi dicevi essere l’insegnante di Trasfigurazione. Mi ha riconosciuta e ho approfittato del fatto che i bambini fossero con tuo padre, per accennarle un po’ la storia. Non so dirti quanto abbia capito davvero, ma ha mostrato loro quello che io e tuo padre sapevamo già. Sai, credo che avessero sempre sospettato di avere qualcosa di magico. Comunque, penso che la rivedremo per la fine di agosto, quando verrà a prenderli per accompagnarli a fare spese durante la loro prima visita del mondo magico.»

Hermione stette in silenzio per un po’, prima di tornare in cucina. Monica, scettica e incuriosita dalla sua aria pensierosa, la seguì, sorprendendola a guardare il calendario.

«Hermione? Cosa c’è?» la ragazza, ancora intenta a fissare i numeri stampati, le rivolse una lunga occhiata, prima di parlare.

«Pensavo che, se i bambini andranno ad Hogwarts a settembre non li vedrei più di tre mesi all’anno, se rimanessi qui.» L'altra si trovò d'accordo con lei, ma le sfuggiva il punto della situazione, così la esortò ad andare avanti.

«Quindi, stavo pensando, e se lavorassi ad Hogwarts? Insomma, potrei stare con loro dodici mesi all’anno e recuperare il tempo perso, in un certo senso, non trovi?»

«Hermione, non credo che tu avresti gradito avermi come tua insegnante.» La figlia fece un gesto di sufficienza.

«Sciocchezze! Non dirò di essere la loro madre, ovviamente. Del resto, parliamoci chiaro: sono sparita per nove anni. Probabilmente se ricomparissi così, all’improvviso, mi odierebbero, o, almeno, io lo farei. Mio padre già lo fa e Fred non sarebbe da meno. Così pensavo che potrei conoscerli, imparare a rapportarmi con loro e beh … rivelare loro la verità solo dopo qualche tempo. Che ne pensi?» Monica boccheggiò, prima di corrugare le sopracciglia.

«Io credo che quei bambini abbiano già sofferto abbastanza, Hermione. Non te ne rendi conto, vero?» la donna scosse la testa, prima di riprendere a parlare.

«Se davvero vuoi ritornare e fare la madre, vieni qui domani e insieme affronteremo la questione con loro. Nel peggiore dei casi, impareranno a volerti bene e a perdonarti, col tempo. D'altra parte, non credi che ti odierebbero lo stesso nello scoprire la verità?» la ragazza poggiò la fronte contro il muro, chiudendo gli occhi e avvertendo tutto il peso della situazione sulle spalle.

«Hai ragione. Ma … se il risultato sarà comunque il loro odio, non vale la pena vivere almeno qualche mese godendo dei loro sorrisi? Vederli vivere sereni, senza astio nei loro occhi? Non ho diritto al loro bene, questo lo so. Non lo merito, non dopo quello che ho fatto. Ma puoi biasimarmi se voglio commettere quest’ultimo atto egoistico? Se voglio vedere i loro sorrisi quando li porterò a Diagon Alley e proveranno la loro prima bacchetta?» e osservò la madre, che sospirò.

«Io mi preoccupo solo per quei ragazzi. Hermione, so che questo ti farà rattristare, ma non li hai visti in questi anni. Non hai visto la malinconia nei loro sguardi ad ogni compleanno, quando realizzavano che non saresti tornata. Non posso accettare che tu menta loro in questo modo. Non lo meritano.» Hermione strinse i pugni, distogliendo lo sguardo. Serrò gli occhi, cercando di recuperare la calma. Poi sospirò, esponendo alla donna il secondo problema.

«Ok, mettiamo il caso che io dica loro la verità. Ammesso che loro non mi odino e Dio solo sa quanto lo vorrei, si troverebbero ad affrontare il loro primo anno ad Hogwarts con gli occhi di mezzo mondo puntati su di loro e, credimi, so com’è quando tutti conoscono te e la tua storia, mentre tu la ignori. Vuoi davvero che i tuoi nipoti si trovino in una situazione come questa, seguiti dalla fama dei loro genitori che hanno combattuto la battagli di Hogwarts e nel 1998 erano lì, a fianco del grande Harry Potter?» Monica dovette ammettere a se stessa di non aver pensato a quello. 

«Su questo hai ragione, ma i bambini avrebbero di nuovo te e potrebbero contare sul nostro appoggio oltre che l'uno sull’altra.»

«Ti capisco. Ma, mamma, la gente ricorda ancora tutto della guerra. Vivrebbero con il peso dei nomi dei loro genitori sulle spalle e mi ringrazierebbero ancora meno di quanto già non facciano.»
Monica attese ancora qualche istante, prima di replicare.

«Devo pensarci, Hermione. Ne parlerò anche con tuo padre. Hai affidato i bambini a noi nove anni fa e, perdonami, ma, finché non sarò certa del tuo cambiamento, non voglio fare nulla che possa farli soffrire. Ne abbiamo tutti abbastanza di lacrime e dolore.» Hermione annuì, cercando di ignorare la voglia che avvertiva nel cuore di andare a prendere i figli dalla loro stanza e portarli via con sé. Guardò la madre, la determinazione a incendiarle lo sguardo. Avrebbe rimediato ai suoi errori, in un modo o nell'altro.

«Papà non approverà, lo sai. Comunque sia, chiederò alla Preside se potrebbe aver bisogno di me ad Hogwarts e di permettermi, nel caso, di accompagnare i ragazzi a fare le spese necessarie. Poi, aspetterò una vostra decisione. Metti il fiore sulla porta quando l'avrete presa, così lo vedrò.»
Ellen Granger, ora Monica Wilkins, abbracciò un’ultima volta la figlia, prima di andar via e salire le scale che l’avrebbero portata nella sua camera. Hermione, invece, si diresse in salotto, per poi recuperare il mantello e smaterializzarsi, lo sguardo sempre puntato sulla porta che celava i suoi figli.
Per ora, la sua gioia era solo rimandata, si disse. Prima o poi li avrebbe riabbracciati.
Adesso doveva solo recarsi ad Hogwarts per parlare con la professoressa McGranitt di quella questione.
Sorrise, apparendo in quello che, per quella notte, avrebbe rappresentato il suo alloggio. La Skeeter avrebbe fatto follie per una sua intervista di lì a qualche giorno. Già immaginava il titolo "Hermione Granger torna in Inghilterra”, seguito da qualche congettura su cosa avesse fatto in quei dodici anni. Si adagiò sul letto, il sorriso sulle labbra, mentre con la mente tornava indietro a quando aveva rivisto i propri figli, alla sensazione provata quando li aveva accarezzati.

Sì, si disse, sono sulla strada giusta per porre rimedio ai miei errori. 

 




Ed eccoci qui, alla fine del primo capitolo! Spero vi sia piaciuto e che decidiate di leggere il resto della storia. È la prima long che scrivo su Harry Potter e spero che il risultato sia piacevole da leggere, anche grazie al lavoro della mia cara beta. ^^ 
Tutti i pareri sono benaccetti :D
Al prossimo capitolo, che pubblicherò tra paio di settimane ^^.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: MarsAreia