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Autore: MarsAreia    08/06/2016    0 recensioni
Arriva un momento nella vita di ognuno di noi in cui si è posti di fronte ad un bivio: essere noi stessi o ciò che tutto il resto vorrebbe che fossimo.
Ed è questo, quello di cui tratta questa storia; di come una singola scelta può cambiare il nostro destino per sempre.
§ Storia betata da Lady Viviana.§
Il titolo è preso dalla canzone "Heroes" di David Bowie.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Il trio protagonista, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio | Coppie: Draco/Hermione, Fred Weasley/Hermione Granger
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'We can beat them, for ever and ever.'
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Capitolo 2°: Looking for happiness.





 


Sotto molti aspetti, il tempo aveva giovato alla Londra magica e i numerosi governi succedutisi in quei dieci anni avevano avuto l’unico merito di essere riusciti a cancellare in fretta la distruzione causata dalla seconda guerra magica, riportando le strade e, più in generale, la vita del mago medio agli standard precedenti. Fu quindi una Diagon Alley identica a quella che ricordava che Hermione Granger trovò, quando, due giorni dopo la visita in Australia, oltrepassò il passaggio del Paiolo Magico. Avvolta in un mantello, attenta a non farsi notare, la donna iniziò a guardarsi intorno: l’atmosfera che si respirava lì non era cambiata. C’era sempre quella sensazione di fermento ad ogni ora del giorno che non era riuscita ad avvertire in nessun altro posto e i maghi, abbigliati in modi che ai Babbani sarebbero sembrati a dir poco folli, si affaccendavano tra un negozio e l’altro, intenti nei loro compiti di routine o nelle spese giornaliere. Lei si fermò sotto una delle colonne della Gringott, intenta ad osservare quello che la circondava: una gelateria aveva aperto proprio di fronte, probabilmente per sopperire alla chiusura inevitabile del negozio di Fortebraccio, e il negozio di Kiddle aveva prosperato da quando Olivander aveva chiuso. Lasciò perdere quei meri dettagli, notando solo in quel momento che qualcuno stava urlando frasi a ritmo cadenzato poco distante da lei. Lo sguardo, allora, si posò sui manifesti elettorali che tappezzavano i muri della stradina, recanti le immagini di quelli che, presumibilmente, erano due dei leader più influenti del momento: il primo, quello meno ricorrente, era un certo Xavier Gambol, il quale sorrideva con aria sicura, appoggiato ad una scrivania, e ogni tanto urlava frasi del tipo “La sicurezza dei maghi viene prima di tutto!”, oppure “È ora di smetterla con i compromessi!” e “Basta con questo perbenismo!”, guadagnandosi occhiatacce da numerosi passanti. L’altro, Horatio Gamp, si limitava invece a salutare i bambini e, più in generale, tutti quelli che passavano davanti, invitandoli a sintonizzarsi per quella sera sulla stazione radio presso la quale sarebbe avvenuto in diretta il confronto tra lui e il suo rivale. Tuttavia, vedeva dai volti compiaciuti della gente che il destino di quella sfida era già scritto e, a giudicare dalle scelte di propaganda, le pareva la più condivisibile. Allontanò allora la propria attenzione dai manifesti politici, notando come la gente iniziasse, compreso un Auror di pattuglia, ad osservarla di sottecchi, perciò decise che era il caso di confondersi con i passanti. Continuò, perciò, ad addentrarsi nella stradina, obbligandosi a stare attenta e a passare inosservata. Non era proprio nei suoi piani finire sui giornali del giorno dopo, non senza aver prima deciso cosa fare della propria vita, perlomeno. La sua priorità, in quel momento, era parlare con la professoressa McGranitt; in seguito a quel colloquio, avrebbe deciso se divulgare o meno la notizia del suo ritorno. Prima di tutto, però, c'era una persona che doveva incontrare. Alla fine, si fermò davanti all'ingresso del negozio di scherzi. Anni prima, alla vista di quel pupazzo dalle sembianze Weasley, aveva pensato che fosse a dir poco orrido, ma non aveva detto nulla, per non smorzare l'entusiasmo che animava Fred quella mattina. In quel momento, invece, le parve bellissimo e, al solo vederlo, il cuore iniziò a battere all’impazzata, la salivazione si azzerò e si riscosse unicamente quando il campanellino sulla porta suonò, segno che qualcuno stava uscendo. Per la precisione si trattava di un bambino con in mano una Puffola Pigmea, insieme a sua madre. Ne approfittò per entrare, gustando quel chiacchiericcio che le ricordava l’adolescenza e facendosi sommergere dai ricordi. Le venne in mente il sorriso di Fred, mentre le mostrava il negozio, prossimo all’apertura. L’aveva guardata con una luce negli occhi che raramente gli aveva visto, mentre parlava e descriveva i loro progetti per il futuro, fiero che lui e il suo gemello fossero arrivati fin lì. Rideva della sua espressione contrariata ogni volta che accennava alle vendite ad Hogwarts, trascinandola per mano su e giù tra gli scaffali, sul volto un sorriso indelebile e il cuore innamorato. Sentì il suo scaldarsi al solo pensiero e, prima che la malinconia e la tristezza l’assalissero, prese a guardarsi intorno, alla ricerca di un viso conosciuto. Intravide Verity, alle prese con un cliente e Angelina Johnson alla cassa. Sorrise con aria maliziosa, sicura che non avrebbe mancato di vedere una fede al dito del gemello che cercava. Infine, lo vide. Stava spiegando ad un bambino il funzionamento delle Merendine Marinare. Divertita, si fermò alle sue spalle attendendo che si accorgesse della sua finta indecisione. Come se lei non conoscesse esattamente gli effetti di quei prodotti! 

«Posso esserle utile?» la voce di George non tardò a raggiungerla, strappandola a qualunque riflessione stesse per fare.

«In realtà ho solo bisogno di un consiglio. C’è questa persona che non vedo da anni e che probabilmente non si aspetta minimamente di rivedermi così, all’improvviso. Pensavo di presentarmi a casa sua e basta, sa, per fargli una sorpresa, ma ho pensato che, senza il giusto preavviso, avrebbe come minimo rischiato l’infarto o pensato che fossi un fantasma, così mi sono presentata sul luogo di lavoro.» Hermione posò le merendine che aveva in mano sullo scaffale, prendendo a giocherellare con un anello che aveva al pollice. Incuriosito da quelle parole, George la esortò ad andare avanti.

«Allora, beh, sono andata lì e con una scusa ho iniziato a parlargli. Ho cercato anche di portare la sua attenzione sull’anello che mi regalò il fratello anni fa, questo che ho al pollice, vede? In modo che lo notasse, sicura che lo avrebbe riconosciuto.» George sentì il sospetto e il dubbio crescere dentro di lui, osservando il piccolo cerchietto d’argento tremendamente familiare che lei gli stava mostrando. Alzò, allora, gli occhi per cercare conferma nelle sue fattezze, nascoste dal mantello, ma lei riprese a parlare.

«So che ha iniziato a capire quasi subito. Non è mai stato uno stupido, quindi non ho mai avuto dubbi, ma c’era un’altra cosa che mi premeva sapesse. Ecco, non sa ancora nessuno che sono tornata e, dopo dieci anni, immagino che la notizia desterebbe un po' di scalpore, cosa che non voglio assolutamente. Perciò, crede che lui capirebbe?» George boccheggiò. Si guardò intorno, cercando di capire se qualcuno avesse sentito la conversazione, ma erano tutti presi dalle loro spese. La risatina della ragazza sciolse ogni suo dubbio: c’era solo una persona che rideva in quel modo in tutta Londra. La abbracciò stretta, prima di ridere, contento.

«Non posso crederci!» bisbigliò al suo orecchio. Hermione lo strinse, sentendosi di nuovo a casa. Quella sensazione, quel profumo, tutto apparteneva alla vita in cui era una persona giusta e coraggiosa, non aveva ancora commesso gli errori più grandi della sua vita, né aveva ancora abbandonato nessuno. Poteva davvero ritornare a quei piacevoli giorni? In quell’abbraccio fraterno le sembrava di sì.

George la prese per mano, scortandola al piano di sopra e facendo cenno ad Angelina che si sarebbe assentato per qualche momento. La donna lo scrutò salire la scala a chiocciola con quella figura completamente avvolta nel mantello; per un attimo temette che fosse successo qualcosa di grave e fu tentata di seguirlo. Poi, però, scosse la testa. Aveva imparato a interpretare ogni espressione del ragazzo e quella che le aveva rivolto poco prima le era sembrata assolutamente felice e rilassata, perciò tornò a servire i clienti, convincendosi che, qualunque cosa fosse, George gliene avrebbe parlato in seguito. Al piano di sopra, invece, Hermione fu lieta di poter togliere il mantello. Sospirò, poggiandolo sull’attaccapanni vicino all’ingresso e attese. L’uomo era andato a prendere qualcosa da bere, così che potessero rifocillarsi entrambi mentre si aggiornavano sugli ultimi anni passati lontani.

Si avvicinò ad una foto incorniciata, in cui un bambino rideva ad una smorfia di Angelina e lo scrutò con attenzione, certa che quello fosse l’erede dei gemelli Weasley. Accanto, c’era una foto di Fred, intorno ai sedici anni, che la guardava divertito. Merlino! Erano anni che non vedeva la sua faccia. Ne aveva una foto sempre con sé, ovviamente, ma raramente riusciva a guardarla senza sentirsi male. Ne accarezzò la superficie, sentendo la familiare stretta al cuore, tipica di quando pensava a lui. Spesso si era chiesta come sarebbe stata la sua vita se non fosse morto. Felice, era la prima risposta che si dava. I suoi figli, i suoi genitori, lei. Tutti sarebbero stati felici. Strinse i pugni, distogliendo lo sguardo. Era stata quella rabbia la sua rovina, pensò. Quel rammarico, che ancora la pervadeva, aveva rovinato quel poco di felicità che la vita le aveva concesso con la gravidanza. Si allontanò, quindi, dalle foto, accomodandosi su una delle due sedie. Riuscì a ricomporsi in tempo e a sorridere, quando George tornò con una caraffa di succo di zucca.

«Allora, Hermione! … Per Morgana, ancora non ci credo!» proferì lui.

«Dove sei stata tutti questi anni?» Hermione prese il bicchiere pieno di succo che le passò, prima di rispondere.

«Ho viaggiato molto. Non sono stata tanto tempo ferma nello stesso posto, non ci riuscivo.» Si umettò le labbra, in imbarazzo.

«So che ti ho lasciato solo, George. Non sai quanto mi dispiace. Ma … non so, credo che, semplicemente, il mio cervello sia andato in pausa e da allora non ne ho fatta una giusta.»

Il ragazzo piegò lievemente l’angolo destro della bocca.

«L’avevo capito. Dopo anni e con l’aiuto di Angelina ne sono uscito, ho superato il dolore e sono riuscito anche a leggere il tuo comportamento in modo più chiaro. Non angustiarti per quello che è successo. Abbiamo sofferto tutti e troppo presto.» Hermione non poté non annuire, prima di posare lo sguardo di nuovo su quella foto, alle spalle dell’uomo.

«In questi anni di continui viaggi ho sempre cercato di dimenticarlo, di andare oltre e superare la sua morte. Invece, ho ottenuto soltanto di rafforzare il mio amore per lui, non riuscendo a non tremare di rabbia ogni volta che pensavo a com’è stata ingiusta la vita. Solo nell’ultimo periodo ho iniziato a credere che Fred non avrebbe mai approvato le mie scelte e sto provando a porvi rimedio. Mi fa piacere sapere che, almeno tu, non ce l’hai con me.» George le strinse la mano, sorridendole incoraggiante.

«Puoi stare tranquilla, Hermione. Nessuno di noi ce l’ha con te per non aver retto a quella situazione. Harry e Ron saranno felicissimi di rivederti!» lei si morse il labbro nervosa: incontrarli non era nei suoi piani a breve termine. L’altro, notando quell’esitazione, le chiese spiegazioni.

«Ecco, vedi, come ti anticipavo prima, non voglio che si sappia del mio ritorno. Tanto meno Harry e Ron. Ci sono ancora delle cose che devo sistemare, prima di comunicarlo a tutti. Sono passata a trovarti perché con te, più di tutti gli altri, sento di essermi comportata male. Vivevamo lo stesso atroce dolore e ti ho lasciato solo.» George parve sorpreso da quella decisione. Non capiva. Se l’amica voleva porre rimedio a quella lunga assenza, perché non iniziava subito? Perché aspettare? Ma in quel momento capì dallo sguardo sfuggente della donna che c’era qualcosa che ancora non gli aveva detto. Riconosceva il suo nervosismo dal modo di tormentarsi le dita, tenendo lo sguardo basso, e dall’improvviso silenzio. La guardò sospirare.

«So cosa stai pensando, George. Lo vedo dal modo in cui mi guardi.» rise lievemente, con amarezza.

«Ma è un segreto che non posso ancora confessarti.» L’altro sbarrò gli occhi, sconvolto da quella frase e lei rise, cercando di smorzare la tensione.

«Stai tranquillo, non ho ucciso nessuno! Non fare quella faccia! È qualcosa che mi porto dietro da anni e, ormai, non è più un segreto solo mio. Devo parlare prima con la professoressa McGranitt. Poi tornerò qui e, se vorrai, ne parleremo. D’accordo?» Tutto quel mistero sorprese il suo interlocutore che, improvvisamente, realizzò che la ragazzina innamorata di suo fratello, quella che aveva beccato a piangere per un amore che credeva non corrisposto, era morta insieme a lui. L’Hermione Granger che vedeva era solo esteticamente simile a lei. Anche nel modo di ridere, di parlare lo era, certo, ma della sua dolcezza, del suo imbarazzo e della sua onestà non era rimasto nulla. Si trattenne dal scuotere la testa. Non voleva che lei capisse quanta amarezza stesse generando in lui con quelle decisioni.

In quel momento Hermione, per nulla consapevole di ciò che provava il ragazzo, si alzò, guardando l’orologio che portava al polso.

«Adesso devo andare. Ho appuntamento con la professoressa McGranitt tra un po’. Mi ha fatto piacere rivederti, George. E anche saperti felicemente sposato con Angelina! Quello è tuo figlio, vero?» gli chiese, mentre si alzava e andava a prendere il mantello. L’altro, perso nei propri pensieri, ci mise un po’ per rendersi conto che Hermione aveva cambiato discorso. Cercando di sorridere annuì, avvicinandosi alla foto del bambino.

«Sì, lui è Fred II, il nostro primogenito.» le rispose, con un senso di orgoglio nel cuore.

«Lei, invece, è Roxanne» continuò, indicandole la seconda foto, una che la donna non aveva notato, presa com’era da quella di Fred. Hermione si congratulò con lui per la sua felicità e i bambini. Poi, rimesso il cappuccio, lo salutò, ignara dello sguardo malinconico con cui lui la osservò uscire dal negozio. Quando arrivò vicino alla cassa, Angelina gli fu subito accanto.

«Chi era?» gli chiese, poggiandogli una mano sul braccio. Non si aspettava di vederlo così turbato, dato che era salito pieno di entusiasmo. George sospirò, mentre il campanellino all’ingresso suonava, indicandogli che la donna era definitivamente uscita dal locale.

«Non ha importanza. Non era chi credevo.» Angelina rimase interdetta a quella frase criptica. Lui, allora, le baciò il capo, prima di tornare al suo lavoro, il cuore libero, al pensiero che non avrebbe dovuto mentire a nessuno: quella donna di Hermione Granger aveva solo le fattezze.

 

Hogwarts, col cattivo tempo, aveva un fascino particolare. Era sempre un luogo imponente e maestoso, ovviamente ma, con le nuvole nere cariche di pioggia alle spalle, aveva qualcosa di sinistro e misterioso che ghermiva l’anima. Ripercorrere la strada che tante volte aveva fatto insieme agli altri studenti, aveva uno strano effetto su Hermione, provocandole un misto di felicità e tristezza che non faceva altro che spingerla ad avvicinarsi più in fretta, come se non vedesse l’ora. Di entrare o di andar via di lì, non avrebbe saputo dirlo.

Dopo quel maggio del 1998, il castello era stato ricostruito, nel tempo, da coloro che erano sopravvissuti, i quali avevano ritenuto opportuno edificare un monumento ai caduti. Questo si trovava in giardino, da dove svettava in tutta la sua imponenza, ma lei non voleva vederlo. Non in quel momento, perlomeno, perché sapeva che quelle poche lettere incise nel marmo le avrebbero fatto più male di quello che avrebbero dovuto, perciò si ritrovò subito a percorrere l’ingresso, arrivando vicino alla scalinata. La scuola era vuota come non l’aveva mai vista e ogni suo passo risuonava nella sala quasi completamente al buio, non fosse stato per la luce proveniente alle sue spalle e da qualche torcia. Per un attimo si chiese come sarebbe stato vivere lì senza gli studenti, il trambusto e le loro chiacchiere. Beh, si disse, forse lo scoprirò quest’anno. Si fermò e aspettò pazientemente che la professoressa McGranitt la raggiungesse. Quando il giorno prima le aveva scritto, comunicandole la sua necessità di parlare con lei, immaginava che la donna non avrebbe perso tempo. Doveva aver pensato che, per comparire così, dopo anni dalla sua partenza, doveva essere qualcosa di importante. E lo era, anche se forse non nel senso che aveva inteso la Preside. Interruppe i suoi pensieri nell’udire dei passi provenienti dal corridoio in fondo alla sala: Minerva McGranitt era rimasta quasi uguale, non fosse stato per i capelli grigi. Sembrava che nulla potesse scalfire quella fierezza pienamente Grifondoro che aveva nel cuore. Le andò subito incontro sentendosi, per l’ennesima volta in quella giornata, di nuovo una studentessa. Il sorriso che vide comparire sulle labbra dell'altra provocò il suo, prima che potesse salutarla con affetto.

«Professoressa! Mi fa piacere rivederla!» Lei annuì, stringendole le mani.

«Anche a me, signorina Granger. Cominciavo a credere che non saresti mai tornata. Ma vieni, andiamo nel mio vecchio ufficio, dove potremo parlare. Credo tu abbia tanto da raccontare dopo tutti questi anni…» Hermione, un po’ intimorita, la seguì su per le scale, al primo piano.

Addentrandosi nei corridoi della scuola, cominciò a notare le prime differenze: c’erano diversi posti vuoti, tra i quadri appesi alle pareti e gli unici rimasti erano quelli che ritraevano scene di vita quotidiana, un banchetto o una festa. Dov’erano quelli dei grandi maghi del passato? Quelli che rimproveravano sempre lei, Harry e Ron quando vagavano per i corridoi tra un pericolo e l’altro? Gettò un’occhiata alla professoressa, accanto a lei. Perché poi stavano andando nel suo vecchio ufficio e non in quello del Preside? Possibile che la ricostruzione non fosse ancora terminata dopo tutto quel tempo? No, si disse. Doveva essere successo qualcosa. Ma cosa?

Tuttavia, non poté porre nessuna di quelle domande perché l’altra si fermò: erano arrivate.

«Vieni, accomodati, Hermione. Ti va una tazza di tè?» la giovane donna entrò, accettando volentieri la proposta e accomodandosi. Le parve evidente che quello non fosse più lo studio della professoressa. Oltre al generale disordine che regnava in quella stanza, come se fosse tutto fuori posto, sistemato male e poco organizzato, cosa che non si era mai detta di quell'ufficio ai suoi tempi, c’erano numerose cornici che esponevano certificati, diplomi e attestati di un certo Thomas Peakes, il quale, a rigor di logica, doveva essere il nuovo professore di Trasfigurazione. Le due donne rimasero in silenzio, probabilmente prese entrambe dalle proprie riflessioni, fino a quando il tè non fu pronto. La professoressa, sedutasi sulla sedia accanto a quella della più giovane, iniziò a sorseggiare la bevanda, in attesa. Hermione, allora, prese un respiro profondo, prima di posare la tazza e il piattino sulla scrivania.

«Credo che la notizia della mia partenza, a detta dei giornali dovuta alla mia, “Incapacità di convivere con la notorietà” abbia fatto il giro di Londra, all’epoca, ma, se mi conosce almeno un po’ avrà capito che non fu quello il vero motivo per cui andai via. Uno dei tanti, era l'impossibilità di superare la morte di Fred. Non che l’abbia fatto, ad oggi, ma, in compenso, ho compreso di aver commesso tanti errori, a cui ora vorrei porre rimedio.» esitò, schiarendosi poi la voce.

«Uno di quelli più grandi è stato andar via dall’Australia, nove anni fa.» Ecco, pensò, è arrivato il momento della verità. Avrebbe ricevuto il suo biasimo? O l’avrebbe capita? Con il cuore a mille si preparò a confessare al suo modello adolescenziale il più grosso sbaglio della sua vita.

«Lì ho abbandonato i miei due figli, di pochi anni, per andarmene in giro per l’Europa, lasciando l’unica cosa che mi rimaneva di Fred ai miei genitori.» Minerva sbarrò gli occhi, stupita. Quando aveva visto quei bambini, aveva notato una somiglianza con la donna che le stava di fronte, ma non immaginava che potessero essere figli suoi. Insomma, se non si considerava l'età prematura, c'era sempre la questione che beh, Fred Weasley era morto. Come poteva essere? 

Hermione si alzò, infilando le mani nelle tasche dei jeans. Non credeva potesse essere così difficile. Cosa avrebbe fatto quando avrebbe dovuto parlarne con i Weasley? Tremò al solo pensiero.

«Sono cresciuti con i miei genitori, ignorando chi sia io. Mia madre mi ha detto che li ha già informati riguardo i loro poteri, senza accennare alla parentela con me. Inizieranno Hogwarts questo settembre e, quando ho realizzato che stavo per perdermi il loro primo giorno e che avevo già perso la loro prima magia spontanea, mi sono sentita crollare il mondo addosso. “Che razza di madre sono?”, ho pensato. Così ho lasciato la Grecia, dove mi trovavo da qualche anno, e sono tornata in Australia. » Si appoggiò al muro alle sue spalle, cercando di tornare lucida e arrivare al punto. Non era il momento di confidare ogni cosa, non con una richiesta così importante da fare, perlomeno.

«Professoressa, le ho chiesto di incontrarci per chiederle di poter accompagnare i miei figli a Diagon Alley, il mese prossimo. Di spiegare loro, per conto della scuola, tutto quello che c’è da sapere. Ma, soprattutto, per chiederle di poter insegnare qui. Ho conosciuto nuovi tipi di magia, ho viaggiato molto e credo di essere qualificata per più di una cattedra.» Minerva la guardò, scuotendo la testa.

«Non ci sono problemi per l’accompagnamento dei tuoi figli, signorina Granger. Per la cattedra, però, temo di non poterti essere d’aiuto.» le rispose, con aria dispiaciuta. Hermione sentì crollarle il mondo addosso. Si passò una mano sul volto, tremante.

«Anche se avessi una cattedra libera - e non ve ne sono - non potrei offrirla ad un genitore. Mi dispiace.» La ragazza si voltò a guardarla, l’espressione accigliata.

«Non dirò loro che sono la madre. Se i miei genitori, i tutori legali a tutti gli effetti, me lo permetteranno, vivrò qui, osservandoli da lontano e conoscendoli poco a poco. Ritengo che per i ragazzi sarà meno traumatico e mi risparmierà tanto odio da parte loro.» La donna però, sospirò, alzandosi.

«Non metterò bocca nelle tue scelte personali, signorina Granger, perché non mi compete, ma, purtroppo, non posso assumere qualcuno se non ho posti liberi da offrire. Sono spiacente, ma è la realtà. Se posso fare altro per te, però, non esitare a chiedere.» L’altra annuì, prima di congedarsi, furente. 

Cosa si aspettava? Che quello stupido destino, karma, o chi per lui le permettesse di fare ciò che voleva dopo tutto quello che aveva combinato? I pugni stretti e i denti serrati, fuggì letteralmente via dalla scuola, lasciando alle sue spalle una Minerva McGranitt affranta e a tratti stupita da quella reazione.

 

~

 

Ellen Granger guardò il fiore che aveva tra le mani. Cosa doveva fare? Ascoltare ciò che aveva detto suo marito? O lasciare che Hermione facesse come voleva, guadagnandosi l’odio dei figli? Affranta, si sedette sul divano, ricordando la conversazione che avevano avuto poco prima. Quando gli aveva comunicato che la ragazza era tornata per riprendere i rapporti con i suoi figli, Brian aveva ripreso vita, per qualche breve istante. Aveva visto le lacrime affiorare nei suoi occhi increduli. Poi si era alzato, pregandola di dirgli di più. Alla fine del suo racconto, però, tutto quello era sparito e l’uomo burbero a cui si era abituata era tornato. Un sorriso amaro si era dipinto sul suo volto, prima che iniziasse a parlare.

«Che lo faccia! Metti quel maledetto fiore all’ingresso! Lascia che creda di poter instaurare un rapporto con quei bambini. Permettile di convincersi che non la odieranno, quando sapranno che ha mentito loro per tutto il tempo!» aveva cominciato, sprezzante. Dopo un verso di disappunto e rabbia aveva continuato, irritato come mai l’aveva visto.

«E io che mi illudo che quella donna possa ritornare ad essere la ragazza che ho cresciuto! E non guardarmi in quel modo!» aveva aggiunto, riferendosi allo sguardo pieno di dolore che gli aveva rivolto, dovuto a tutta quella situazione, a quel discorso e a quello che era stato. Come poteva fingere di non state male nel vedere la loro famiglia allo sbando? Lei voleva solo che fossero felici, come spettava loro di diritto. Possibile che fosse tanto difficile? 

Brian, intanto, aveva incrociato le braccia, esponendole poi la dura realtà dei fatti.

«Pensaci, Ellen … Qualsiasi cosa decideremo, i bambini ne soffriranno. Se la costringessimo a rimanere qui per conoscere i suoi figli, e non le permettessimo di accettare un fantomatico posto in quella dannata scuola, Martha e Jamie ci riterrebbero responsabili del loro allontanamento. Per non parlare poi del fatto che finirebbero per non volerci andare ad Hogwarts, negando quello che sono. E, per quanto io odi questo dannato gene della magia, non possiamo permetterlo! Al contrario, invece, se non dicessimo nulla, ci riterrebbero suoi complici e ci odierebbero per non aver detto la verità. Sia dannata quella donna! Ringrazio il cielo per non averla incontrata o non avrei risposto delle mie azioni! Anzi, sai cosa ti dico? Decidi tu. Io la mia opinione te l’ho data, adesso sta a te e a quella miserabile donna.» detto questo, borbottando frasi sconnesse, se n’era andato, sbattendo la porta del soggiorno e lasciando lei sul divano a riflettere.

Così era rimasta da allora. Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato. Se ne stava lì, seduta, ad osservare quel fiore, chiedendosi se esistesse un modo per risolvere la situazione, senza però vederlo davvero. Possibile che non potesse risparmiare quella sofferenza ai nipoti? Abbandonò il fiore sul cuscino, alzandosi. Si passò una mano tra i capelli, cercando di ragionare lucidamente, ma senza successo e un moto di rabbia la invase, spingendola a salire le scale diretta nella loro camera da letto. Aprì la porta e accese la luce, guardando il marito in collera.

«Non te ne laverai le mani così! Tu adesso mi aiuterai, che ti piaccia o no!» urlò. Brian la guardò, sbattendo le palpebre per abituare gli occhi alla luce improvvisa e mettendosi a sedere. Ellen, però, non gli permise di parlare, riprendendo subito il discorso.

«Non mi interessa se hai già esposto la tua idea, smettila di tirarti indietro e affronta questa situazione con me, perché sono nostra figlia e i nostri nipoti quelli di cui stiamo parlando!»

«Quella non è mia figlia, Ellen! Io non ho cresciuto una donna così!» rispose lui, furente, e alzando la voce.

«Smettila di dire stronzate, Brian! Quella è nostra figlia Hermione e noi abbiamo il dovere di aiutarla e consigliarla!»

«Certo! Ma noi il nostro consiglio glielo abbiamo dato all’epoca, quando le dicemmo di crescere i suoi figli, perciò adesso cosa vuole da noi? Dovremmo forse perdonarle tutto? Far finta di nulla? Ellen, Hermione ci ha spediti qui, ci ha escluso dalla sua vita, è tornata incinta di due bambini che non ha voluto crescere e poi ha ignorato le nostre suppliche - suppliche! - di non partire e abbandonare i figli! Invece, cos’ha fatto? È partita con il primo aereo per la Russia, lasciandoci un misero bigliettino e un ridicolo fiore con cui ogni tanto ci comunica che torna a trovarci. E ora ci chiede di mentire ai nostri nipoti per permetterle di continuare a fare il bello e il cattivo tempo nella loro vita?!? Mi dispiace, ma non ci sto.» Aveva concluso, stendendosi di nuovo sul letto e dandole le spalle.

«Allora aiutami a trovare una soluzione che permetta a Martha e Jamie di non soffrire. Se non vuoi farlo per me, per tua figlia o per te stesso, fallo per loro. Non lasciarmi questa responsabilità, non voglio affrontare tutto questo da sola. Smetti di fare il codardo e affronta la situazione con me!» Brian, però, non rispose, osservando il muro bianco davanti a sé. Cosa avrebbe dovuto risponderle? Si era già espresso a riguardo, non c’erano soluzioni. Non senza far soffrire i bambini, più di quanto già non facessero, perlomeno. 

Ellen scosse la testa, spegnendo la luce e andandosene, consapevole che quella situazione l’avrebbe affrontata da sola, poiché, ormai, era troppo tardi per chiedere aiuto a lui. Allora scese le scale decisa a trovare una soluzione, a costo di pensarci giorno e notte.



Ed ecco qui anche il secondo capitolo! Spero vi sia piaciuto! Vi aspetto al prossimo, che verrà pubblicato tra una decina di giorni ^^ 
Ps: Se vi va, lasciate una recensione, sono sempre benaccette :D 

  
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