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Autore: x_cyanide    30/05/2016    0 recensioni
{ OT3 • Jongkook|Namjoon|Yoongi }
“Cosa farai questo sabato?” Namjoon si aggirava per la cucina, era un venerdì freddo, fuori diluviava e la luce che filtrava dalle grande finestre dell'appartamento rendevano tutto piatto, senza ombre. “Lo sai già” Presi un sorso di caffè dalla mia tazza e la poggiai sul freddo tavolo di metallo “quello che farò” conclusi mentre mi sedevo. Namjoon se ne stava ricurvo, qualche passo più in là, a guardare la magia della macchina di caffè."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Namjoon/ RapMonster, Min Yoongi/ Suga
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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1. Itaewon blues


Girare con Yoongi per le strette vie di Itaewon, senza una precisa meta, era diventata la mia principale attività dei sabati sera. Camminavo sempre qualche metro a distanza e lo distinguevo tra la folla solo grazie a quel colore quasi trasparente dei suoi capelli. Le luci fosforescenti dei bar risplendevano illuminando la strada ed il loro colore si schiantava sul suo capo cambiandone la tonalità; ora rosa, ora blu, ora verde.
Il suo passo era sempre sostenuto, sembrava quasi stesse fuggendo da qualcosa, forse fuggiva da me, chi lo sa. “Yoongi-ssi” chiamavo il suo nome, ma le voci della gente attorno a noi fungevano quasi da muro “Yoongi-ssi!” alzavo la mia voce fino a quando non si fermava e si girava.
Il suo sguardo vuoto incontrava il mio, e quelli erano i momenti più fugaci e intensi che i nostri sabati sera incontravano.

Cosa farai questo sabato?Namjoon si aggirava per la cucina, era un venerdì freddo, fuori diluviava e la luce che filtrava dalle grande finestre dell'appartamento rendevano tutto piatto, senza ombre. “Lo sai già” Presi un sorso di caffè dalla mia tazza e la poggiai sul freddo tavolo di metallo “quello che farò” conclusi mentre mi sedevo. Namjoon se ne stava ricurvo, qualche passo più in là, a guardare la magia della macchina di caffè. Era intensamente concentrato, osservava le gocce cadere sulla caraffa di vetro e con le labbra semi aperte ogni tanto esalava un sospiro.
Non ti stanchi di seguire qualcuno che a malapena conosci” un altra goccia cadette si aggiunse al composto liquido “per tutta la sera?”. L'odore del caffè appena fatto si diffuse nell'aria mentre lo serviva in una alta tazza bianca. Si avvicinò al tavolo, prese una sedia e si sedette davanti a me, sguardo fisso al di fuori delle finestre. Non penso che in realtà volesse una risposta, quasi tutti i venerdì mattina si presentava con quella domanda e anche se la risposta non arrivava, lui non obiettava e non insisteva.

Vai a lavoro?” gli chiesi mentre uscivo dal bagno e lo guardavo vestirsi in camera. “Sì, ma forse ritorno presto” stava infilando il suo montgomery preferito, color caffè. Una volta caricatosi la macchina fotografica e preso dei documenti, si avvicinò alla porta del bagno e mi disse “forse dovresti andarci anche tu” smisi di sfregarmi i capelli bagnati e non risposi “al lavoro” aggiunse con tono flebile e quasi deluso. “Forse” gli risposi.

La pioggia continuava a scendere incessantemente ed il tempo passava senza che me ne rendessi conto. Il mio corpo giaceva sul divano ma la mia mente passeggiava sulle strade di Itaewon, inseguiva quel capo bianco ed aspettava il momento nel quale i nostri occhi si sarebbero incontrati. Nell'ultimo periodo, niente riusciva a darmi vita come quegli attimi.

Il mio cellulare squillò per l'ennesima volta in quella grigia mattina. Raccolsi le poche forze che avevo in corpo mi alzai dal divano per cercarlo. Era in un angolo della cucina, coperto da uno straccio sporco di marmellata. 1 nuovo messaggio da: ufficio “Jongkook-ah, dov...”.
Nella lunga lista di messaggi che si erano accodati sulla mia schermata, il mittente era quasi sempre lo stesso: il mondo che esigeva una mia reazione. Se scorrevo la lista di e mail non trovavo altro che sollecitazioni ed informazioni per attività alle quali non avrei partecipato e tra le chiamate perse, le uniche alle quali avevo risposto erano segnate sotto “Namjoon”.

Sul mio schermo, la foto di un paesaggio notturno scattata con il flash e la forma sfocata di Yoongi che camminava, come sempre, di spalle e qualche metro più in là.

Non hai ancora mangiato niente?” Namjoon appoggiò le chiavi di casa sul tavolo e si spogliò dai vestiti fradici. “No” ero ancora sul divano che guardavo i vetri sporcarsi di gocce che si schiantavano violentemente sulla superficie e per contrasto, scivolavano dolcemente verso terra. “Che ore sono?” gli chiesi, “Sono le sette di sera”. Le nuvole che coprivano il cielo si erano colorate di un leggero tono di rosa “Vuoi venire a fare un bagno caldo con me?” mi chiese mentre beveva dell'acqua. “”.

Il vapore che si alzava dalla vasca appannava vetri e piastrelle, una dolce essenza si diffondeva nell'aria insieme a della musica che non riuscivo a distinguere a pieno.
Fui il primo ad entrare nella vasca; il contatto della mia pelle con il tepore dell'acqua mi fece rabbrividire ed approfittando della momentanea solitudine, mi immersi per completo.
I rumori che faceva Namjoon alla ricerca di chissà quale cosa, penetravano attraverso il liquido ma sembravano molto distanti, quasi appartenessero ad un altro mondo. Quando riemersi, la sua figura si presentò nella stretta stanza, aveva due paperelle gialle di gomma tra le mani.
Lo guardai spogliarsi, disfarsi della larga maglietta bianca che indossava e dei boxer blu di cotone. Si specchiò ed aggrottò la fronte alla presenza di qualche piccolo foruncolo, aggiunse qualche lamentela e con calma si avvicinò alla vasca, “fammi spazio” mi sussurrò poggiando con dolcezza i due animali di plastica.

“Girati, ti lavo la schiena” gli dissi mentre allontanavo il mio corpo dal suo creando un solco tra la bianca schiuma che ci circondava. L'abitudine di rimanere abbracciati nel tepore di quella stanza, all'interno della vasca dove non c'erano barriere tra di noi, era l'unica a non essere cambiata nel tempo, ad essersi preservata nonostante tutto.
Andrai davvero questo fine settimana?” La vasca era stretta, le sue ginocchia spuntavano fuori dall'acqua. “Sì, andrò”, lasciai cadere la spugna che avevo in mano e lo strinsi appoggiando la mia fronte sulla sua schiena, sapevo di fargli del male.

Yoongi-ssi!” L'insegna della metropolitana si rifletteva sulla sua pallida pelle, i suoi piccoli occhi scuri erano persi nel nulla, come sempre. “Yoongi-ssi” mi avvicinai lentamente, le mani in tasca ed un vago sorriso dipinto sulle labbra. Potevo sentire la mia pelle tirarsi in una smorfia, come non lo faceva dallo scorso sabato o forse da ancora di più.
I piccoli stagni di acqua che si erano formati dall'incessante pioggia dei giorni precedenti, ricoprivano buona parte delle strade ed i passi della gente risuonavano al loro interno. L'aria umida di quella notte era fredda, appesantiva i tessuti e tutte le fibre del mio corpo.
I miei piedi raggiunsero i suoi e si rifletterono su uno di quei tanti piccoli specchi d'acqua. Mi diede la schiena e cominciò a camminare.
Il ritmo di quella sera sembrava stranamente lento e potevo seguirlo da più vicino. Osservavo le sue spalle strette, la sua statura contenuta ed il suo modo di camminare affaticato. Ogni tanto le sue spalle si scontravano con quelle di qualcun altro e solo allora potevo percepire il filo di voce che usava per lamentarsi o per chiedere scusa “Ah, mi scusi” la sua voce era profonda, un po' rocca.

Yoongi-ssi” mi avvicinai a passo svelto quando smise di camminare. Eravamo davanti al Rabbit Hole. L'insegna isterica e rosa lampeggiava. “Sono stanco, voglio andare a casa” disse.

Vuoi qualcosa da bere?” la mia giacca volò sul divano mentre mi addentravo nel buio dell'appartamento. Le luci della strada illuminavano leggermente l'ambiente riempendolo di ombre rigide e spigolose. Yoongi se ne stava fermo sull'atrio, a testa bassa. “Forse dovrei accendere le luci”. Ero abituato a tornare la notte e non accendere le luci per non svegliare Namjoon, ma Yoongi non era mai entrato in questo appartamento e non conosceva la sua struttura, i suoi vicoli e scalini. Accesi la luce della cucina “adesso dovrebbe andare meglio, scusami”. Yoongi alzò lo sguardo e cominciò a spostarlo da una parte all'altra della stanza, si fermò solo quando incontrò la sagoma del divano. Si tolse le scarpe, la giacca ed il cardigan. Portava una maglia grigia, dalle maniche lunghe, larga, che lo copriva fin quasi alle ginocchia, i pantaloni neri con dei tagli sparsi qua e là e dei calzini spaiati umidi.

Puoi andare via quando vuoi” parlavo a voce bassa mentre raccoglievo qualche lattina di birra da terra. Non sono sicuro di quanto tempo avessimo speso seduti per terra a bere in silenzio. La sola presenza del suo corpo all'interno di quella vuota notte mi era stata sufficiente, non sentivo bisogno di altro. Il mio corpo non aveva cercato il suo che giaceva così vicino, i miei occhi guardavano il nulla e tutto nella mia mente era sfuocato, colpa dell'alcol o colpa di quella strana sensazione di essere in presenza di qualcosa di quasi immacolato che al solo sguardo, al minimo tocco, si sarebbe potuto sporcare, distruggere, scomparire.

I rumori che provenivano da fuori le finestre si espandevano nell'aria e rimbalzavano sulle alte pareti. Yoongi era ancora seduto dove lo avevo lasciato, testa appoggiata al divano, gambe distese ed una strana espressione sul suo viso. Non era tranquillità e nemmeno beatitudine, i suoi occhi chiusi mantenevano un certo cruccio e le sue labbra erano arricciate in una smorfia. Non ero sicuro se stesse dormendo o stesse solo riposando ma a guardarlo non potevo lasciarlo nella posizione in cui era. Mi avvicinai con una coperta leggera in mano e gli sfiorai appena la spalla; le mie dita entrarono in contatto con la soffice stoffa della sua maglia grigia e per un solo secondo potei sentire il tepore del suo corpo. Min Yoongi era vivo. Per la prima volta da quando lo avevo incontrato, pensai che lo fosse: non era una presenza immacolata e non sarebbe sparito. Il suo aspetto parlava e mi contraddiceva, ma avevo appena avuto la conferma che Min Yoongi era vivo e cosa che mi scosse da capo a piedi: Min Yoongi era reale.

Dove vai?” dopo averlo convinto a spostarsi sul divano, mi apprestavo in camera, volevo cambiarmi. Le sue dita sottili si strinsero con inconsueta forza attorno ad un lembo dei miei jeans e non lo lasciò andare. Mi girai lentamente e per un momento esitai nel toccare le sue dita che nel buio di quella stanza e alle luci neon della strada, sembravano fatte di porcellana. Lo guardai, aveva un braccio sugli occhi, come non volesse vedere ciò che stava facendo, quasi non volesse essere partecipe a quello che il suo corpo decideva. “Voglio cambiarmi” gli risposi “ho i vestiti ancora umidi” la mia vaga spiegazione sembrò essere sufficiente. Yoongi non faceva mai domande, l'unica cosa che faceva era camminare.

Andai in bagno e mi tolsi i vestiti, li poggiai sul cesto dei panni sporchi e sempre da là, presi alla cieca una maglietta ed un paio di pantaloni che al tatto, sembrava fossero di felpa. Nonostante la porta della camera di Namjoon fosse chiusa, non accesi nessuna luce e quando uscì sul corridoio, mi trovai di fronte ad un Yoongi traballante. Non disse nulla, ma fece un visibile sforzo e concentrò il suo sguardo sui miei abiti appena cambiati “ne vuoi un paio asciutti anche tu?”, il suo capo si chinò in avanti e prima che riuscisse a risollevarlo, il suo esile corpo si sbilanciò e quasi cadette rischiando di schiantare la schiena contro il muro. Lo presi per il polso e lo tirai velocemente verso di me, nel tentativo di evitare che cadesse ma soprattutto, nel fallito tentativo di non fare rumore.

La figura di Namjoon era immersa per metà nel buio, ma potevo distinguere i suoi occhi, piazzati come due frecce su Yoongi che giaceva riverso a terra, metà del corpo sul suolo, metà sui miei pantaloni. Non disse niente ma si limitò a tirare su il peso morto di quel pallido e fragile corpo per trascinarlo in salotto. Accese le luci, una ad una.
Il silenzio della notte si fece improvvisamente vivace: il rumore inconfondibile della macchina del caffè riempiva ogni spazio, interrotta solo ogni tanto da qualche lamento vago.

Ero seduto sul divano, con le mie gambe facevo da cuscino alla pesante testa di Yoongi. Tenevo gli occhi fissi sulla figura di Namjoon che si spostava con andare vago da una parte all'altra della cucina, ora spostando lattine di birra, ora controllando il caffè. Il rumore dei suoi passi strisciati lasciava in me uno strano sentimento, una pesantezza quasi insopportabile, uno strano senso di colpa.

Ho lasciato dei vestiti puliti in bagno, puoi prenderli” Namjoon aveva lo sguardo perso, le occhiaie marcate ed i capelli azzurri arruffati. Prese la sua bianca ed alta tazza di caffè e si inoltrò nella camera da letto senza aggiungere nient'altro. Il suo atteggiamento sembrava voler esprimere una certa indifferenza all'accaduto, ma i suoi occhi riflettevano una reale, immensa, tristezza.
Lo avevo fatto di nuovo, lo avevo fatto soffrire.

  
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