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Autore: SamuelCostaRica    30/05/2016    1 recensioni
Burocrati. Comandano loro o gli imperatori, re, duchi, baroni e conti nell'universo conosciuto? Sono così potenti da poter decidere quali dinastie possono regnare per secoli e chi no? E opporsi a ciò è possibile, per il bene di coloro che vivono nella galassia? E come opporsi a loro? Ma non fatevi ingannare: bisogna avere il coraggio di giocare sporco come loro per il bene di tutti.
Nota dell'autore: alcune similitudini con film o libri sono causali, essendo io un lettore incallito di libri e ho visto parecchi film dello genere, avendo iniziato a scrivere questo libro nell'estate del 1987.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo scambio

La nave pirata Excellent, dopo la distruzione del Bellatrix, si diresse a tutta velocità verso un sistema solare posizionato verso l’interno della galassia.

Ci vollero alcuni giorni di viaggio, che sulla nave trascorsero senza troppi problemi.

La nave, giunta in prossimità di un sistema solare con tre soli, rallentò la velocità.

Si diresse verso il sesto pianeta, un pianeta con degli enormi anelli che lo circondavano sul piano equatoriale, fatti di massi ghiacciati

La nave girò intorno al pianeta parecchie volte, prima che un’altra nave apparisse nei suoi radar.

“Sono arrivati!” urlò uno degli addetti ai pannelli di comando.

“Silenzio!” urlò il comandante. “Chiamateli e mandategli i codici di identificazione.”

Uno degli addetti inviò i segnali codificati e la nave rispose.

Da una delle telecamere che guardavano vero l’esterno, tutti videro la nave avvicinarsi: la sorpresa fu enorme.

Uguale era dire poco. Simile non dava l’esatta idea di quello che gli uomini della nave stavano guardando.

Una gemella: quello era decisamente la parola esatta.

Il comandante non capiva e non si dava pace.

“Ho ucciso di persona quel maledetto progettista! Com’è possibile che ne esista un’altra?” urlò il comandante guardando il secondo.

Le due navi si misero con il muso dell’una contro l’altra. Era uno spettacolo indescrivibile: gemelle fin nel più piccolo particolare, con sullo sfondo il pianeta bianco luccicante con gli anelli che lo circondavano.

I messaggi che le due navi continuavano a scambiarsi divennero più frequenti.

Alla fine il comandante fece portare la prigioniera.

“Bene. Caricatela sulla navetta.” Ordinò

La ragazza fu portata a forza da ben quattro pirati nella navetta preparata per lo scambio.

La dovettero legare, tanta foga lei ci metteva nel tentativo di scappare al suo destino.

Alla fine la scialuppa fu sganciata e guidata verso la nave gemella.

Nel contempo, un’altra navetta si era staccata dall’alta nave.

“Cosa contiene?” disse il vice comandante a un tecnico sul ponte di comando.

“Oro, signore.”

Il comandante lasciò il ponte di comando e si indirizzo verso l’hangar della nave.

Quando vi giunse, i marinai stavano ormeggiando la navetta sul ponte degli hangar.

Ma, purtroppo per il comandante, l’apertura della navetta era a tempo.

L’altra nave, appena ebbe caricato la scialuppa con la prigioniera, se ne andò.

“Maledetti, dovevamo pensarci anche noi!” ringhiò il comandante

“E ci abbiamo pensato!” disse un omino piccolo, cicciotello. “Ho sistemato un sistema di rilevazione a lunga distanza sulla navetta. Se qualcosa non và la rintracceremo ovunque, in questa galassia.”

“Bene.” Disse il comandante e si sedette ad aspettare che la porta di quella maledetta navetta si aprisse.

Ci vollero ben dodici ore galattiche standard prima che la porta si aprisse. E quando la porta si aprì, il comandante vi ci si buttò a pesce, o qualcosa del genere: la navetta era vuota.

Quello che successe nei minuti che seguirono fu peggio di una esplosione nucleare.

La navetta, anche se fissata saldamente al ponte, incominciò a dondolare pericolosamente, trasmettendo il suo ondeggiare a tutta la nave.

I pirati che erano sul ponte caddero per terra, compreso il vice comandante.

Dovettero sparare al comandante più di cinque frecce piene di sonnifero prima che si placasse la sua ira.

Quando, infine, riuscirono a tirarlo fuori dalla navetta, il comandante aveva una faccia stralunata e dalla bocca gli usciva della bava.

Il medico di bordo lo guardò con aria preoccupata.

Ci vollero altri tre giorni prima che il comandante riprendesse le sue normali attività.

Alla fine diede l’ordine di inseguire quella maledetta nave, ovunque fosse.

 

Il ritorno di Invicible

Non ci vollero dodici ore per far scaldare i motori della nave.

Quando venne dato l’ordine di sganciare i fermi della nave, ormai la grotta era vuota e a terra erano rimasti solo alcuni macchinari inutilizzabili.

Il gorilla, nella sala di comando, diede l’ordine di partire.

La nave spaziale si mosse dando scossoni da tutte le parti.

Un fascio di luce blu uscì dalla testa dell’animale carnivoro posto a destra della sala comando.

La volta della grotta esplose, cedendo e aprendo un varco appena sufficiente per far passare la nave.

Con un contraccolpo, la nave partì ed uscì dalla grotta, dirigendosi verso lo spazio.

Dietro di sé, Invincible lasciò che la grotta crollasse, tutto d’un colpo, e al suo posto apparve un vulcano, che iniziò ad eruttare lava.

Invincible solcò lo spazio verso la sua destinazione, inosservato.

Sì, quasi inosservato. Una navetta spaziale Imperiale per rilievi dei venti solari era in zona e la vide.

***

Black e Giulia stavano giocando a carte, quando un forte rumore uscì dalla stanza posta all’ultimo piano.

Black fece le scale velocemente, mentre Giulia riuniva le carte e sistema il tavolo, sotto gli occhi vigili della tigre e dell’orso.

“Qui Invicible chiama Conte Black .. rispondete”

“Qui Conte Black .. avanti Invicible .. ”

”Siamo in zona. Quando volete, potete raggiungerci.”

“Ricevuto.”

“Sono arrivati?” Chiese Giulia.

“Sì. Quando volete possiamo partire.” Disse l’uomo.

La ragazza scese e si diresse verso la sua stanza, seguita dalla tigre che nel frattempo era salita dal piano terra.

L’uomo uscì dalla stanza, guardò in basso e vide l’orso che guardava in su.

“Partiamo?” chiese l’orso

“Partiamo.” Gli rispose l’uomo “Punta i timer degli esplosivi. Meglio far sparire tutto.”

“Come se lo avessi già fatto.” Rispose l’orso.

Ci vollero alcuni minuti perché Giulia e la tigre scendessero al piano terra: Giulia aveva indossato la tuta bianca con zaino incorporato che aveva quando era arrivata, per resistere al freddo del pianeta.

L’uomo aveva indossato il pastrano con cui Giulia lo aveva visto al prima volta.

“Bene. Da questa parte.” Disse l’uomo, e spostò un armadio della cucina, dietro a cui vi era un passaggio sufficientemente largo, scavato nella roccia.

Vi si infilò, seguito dall’orso, dalla tigre e per ultima Giulia, un po’ titubante.

Percorsero il corridoio per alcuni minuti in piano, poi incominciò a salire. Il freddo incominciò a diventare pungente.

Alla fine della salita si ritrovarono in una grotta, dove vi era una navetta spaziale. Giulia fece fatica a vederla nel buio, data la colorazione scura del mezzo.

Black schiaccio un pulsante posto su una specie di scatoletta nera che aveva in mano: la nave si illuminò e una passerella si staccò dal fondo della nave.

L’orso con un balzo salì la passerella, seguita dalla tigre: Black fece cenno a Giulia di salire e la seguì sulla nave.

Non ci volle molto ad accendere i motori, farli scaldare e partire.

La navetta uscì dalla grotta e si trovò nell’aria fredda del pianeta.

Black la indirizzo subito verso lo spazio, mentre alcuni robot guardiani facevano fuoco cercando di distruggere la nave.

Alcuni secondi dopo, una esplosione squarciò la notte del pianeta e mezza montagna venne distrutta.

“Toh..” disse Giulia, accarezzando l’orso “.. non hai più casa, Ronson.”

“Non mi serviva più.” rispose l’orso

Black diresse la navetta spaziale verso il sole.

Giulia vide il sole che veniva incontro alla nave. Lo superaro e all’improvviso gli si presentò davanti una nave spaziale enorme.

“Eccola!” Esclamò Black.

La nave spaziale su cui stavano viaggiando sembrava quasi una pulce in confronto a Invicible.

Black parlò con qualcuno della nave via radio ed entrarono in uno degli hangar, da uno portello posto sotto la nave, verso i motori

Quando la navetta spaziale fu agganciata all’interno dell’hangar, i passeggeri scesero, accolti dal gorilla e da alcuni uomini dell’equipaggio.

“Chiedo il permesso di salire a bordo.” Disse il Conte Black al gorilla.

“Permesso accordato.” disse il gorilla.

“Come stai, Krain” disse Black.

“Bene.” Disse il gorilla abbracciandolo, quasi soffocando Black.

L’orso scese dalla navetta e diede una forte pacca sulla schiena del gorilla.

“Ronson.” disse il gorilla ”Come stai vecchia pellaccia.” Restituendo la pacca all’orso.

“Carini.” Disse la tigre scendendo davanti a Giulia.

“Krain, ti presento Giulia e la sua tigre Elsa.” Disse Black.

Il gorilla guardò la tigre con fare sospetto.

“Io a te ti conosco.” Disse il gorilla “Ma non riesco a metterti a fuoco. Dove ci siamo già visti?”

“Forse .. dal costruttore?” disse la tigre, facendo una strana smorfia con il muso.

“No. Me lo sarei ricordato.” Disse il gorilla.

“Se avete finito i convenevoli” disse Giulia “vorrei un posto dove cambiarmi.”

“Si, certo.” Disse Black.

Si diressero verso una porta dall’altra parte dell’hangar, passando davanti a degli enormi macchinari coperti con teloni e fissati con cavi di acciaio.

 

La ricerca

Louk e Rachel si svegliarono al mattino mentre fuori pioveva ancora.

Nessuno dei due aveva voglia di uscire dal letto.

Louk guardò Rachel, sempre pensierosa.

“A cosa pensi? Qualsiasi cosa sia a me puoi dirla.” Disse Louk

“Qualsiasi? Sei sicuro?” gli disse Rachel, guardandolo fisso negli occhi.

“Sì, certo.”

“L’Imperatrice è preoccupata. Qualcuno sta cercando di eliminare l’Imperatore e di prendere il suo posto.” Disse Rachel

“Questo lo so già.” Gli disse Louk “Ma l’Imperatore non è preoccupato di questo. La tana delle tigri veglia su di lui. No, deve essere qualcosa d’altro che preoccupa l’Imperatrice e il vostro club. Qual’è, cara?” disse Louk in tono sarcastico.

Rachel rimase pensierosa.

“L’Imperatrice ha paura che la leggenda si avveri.” Disse infine Rachel

“Leggenda? Quale leggenda?” chiese Louk

“La leggenda delle due gemelle, quella che viene raccontata nelle preghiere il primo giorno dell’anno galattico.” Disse Rachel, alzandosi dal letto e andando verso la sedia su cui era riposta la sua vestaglia.

“Ah, quella leggenda. Ma chi vuoi che ci creda. E’ anni che ormai nessuno ci fa più caso. Pensa che il sommo sacerdote la voleva togliere dalla preghiera su proposta dell’Imperatore.” Disse Louk, senza dare troppo peso alle parole dette dalla moglie.

Rachel aveva indossato la vestaglia e si sedette sulla poltrona, guardando il marito.

“Caro mio, non era dello stesso avviso Doc quando l’Imperatrice lo ha incontrato a Pokdfin sei mesi fa. Dimmi, pensi ancora ad uno scherzo?” disse Rachel.

Louk guardò la moglie. Decise che di certe cose a letto era meglio non parlarne e si alzò, indossando la sua vestaglia posta ai piedi del letto.

Si sedette sul sofà posto davanti alla poltrona dove si era seduta la moglie e la guardò, cercando di capire se stava mentendo o no.

“L’Imperatrice ha incontrato Doc su Pokdfin sei mesi fa? Interessante. Ma non capisco le paure dell’Imperatrice per quanto riguarda la leggenda. Non ci hanno creduto le sue amiche, ci deve credere lei. Per quale motivo?” chiese Louk

“La leggenda dice:” disse Rachel “Due ragazze simili ma non uguali

Due navi simili ma non uguali

Due pianeti simili ma non uguali

Due imperatrici simili ma non uguali

Quando il tempo verrà

Quando il tempo sarà

Quando si incontreranno

Niente sarà come prima

Tutto sarà come adesso

Cambiare sarà necessario

“E allora?” chiese il marito.

“Qualcuno ha costruito due navi uguali, senza sapere dell’altra. L’università spaziale ha trovato due pianeti uguali. L’Imperatrice sa che esiste una sua sosia su questo pianeta. E per finire la sua figlia Noemi assomiglia alla figlia di suo cugino Strozzen su Lokijn.” Rispose la moglie.

“Coincidenze.“ Disse il marito “Nulla che possa riferirsi alla leggenda. Solo coincidenze.”
”E perché Doc non ci crede alle coincidenze?” gli domandò Rachel. “E, visto che sono solo coincidenze, come mai Freddy è qui?”

“Per controllare che non siano coincidenze!”

Freddy apparve sulla soglia della porta della stanza, con addosso una vestaglia un po’ troppo corta per i gusti di Rachel, che la squadrò.

“Come al solito i tuoi vestiti lasciano un po’ a desiderare.” La rimproverò Rachel

“Vorrei ben vedere.” Gli rispose freddamente Freddy “E’ il modo migliore per tenere lontane le mogli e sotto controllo i mariti.”

“Smettetela di litigare.” Disse Louk, sorridendo alla battura di Freddy. “Fate le buone per una volta tanto nella vostra vita. Abbiamo altro da fare che discutere sui vestiti (a quel punto Rachel scosto la vestaglia e mostrò le sue gambe) o sulle .. Oh. Smettila Rachel e copriti!” Esclamò Louk “Sei impossibile. Tu e l’Imperatrice sembra che lo facciate apposta a mostrare le vostre grazie ogni volta che si parla di uomini con presenti delle ragazzine come Freddy.”

Freddy guardò Louk in modo torvo e Rachel mosse la vestaglia per coprire le gambe.

“Io non sono una ragazzina.” Disse Freddy “Come ti permetti?”

“Basta, Freddy. Lo sai come la pensa l’Imperatore di te. Adesso vediamo di capire bene cosa succede. E siediti, Freddy!” Concluse Louk.

Freddy si sedette sulla poltrona rimasta libera.

“La storia della leggenda non ha senso. ”Continuò Louk “Doc mi ha sempre detto che era una baggianata, costruita apposta per tenere unita la famiglia Imperiale e per tenere sotto controllo tutti quei burocrati inutili e rompiscatole. Nessuno, dico e ripeto, nessuno crede che quelle quattro fasi messe insieme per caso o per errore possano modificare, cambiare o deformare le cose: l’Imperatore è per discendenza diretta, al momento, e se qualcuno volesse subentrare all’Imperatore dovrebbe fare una strage, un massacro, senza tenere conto che i burocrati dovrebbero essere d’accordo con lui. Ora, siccome i burocrati non hanno nessuna intenzione di cambiare Imperatore, e meno che meno trovarsi Makarre Imperatore (qui Louk fece una pausa guardando le espressioni del volto delle donne), mi spiegate cosa volete che l’Imperatrice trovi su questo pianeta, che esiste solo per il piacere del Barone Chijyu e non dell’Impero?” finì Louk.

“E chi ha detto che Makarre vuole fare l’Imperatore?” incalzò Rachel.

“Perché è l’unico che continua a chiedere di sostituire il capo dei burocrati non per promozione, ma tramite un editto dell’Imperatore!” gli rispose Freddy.

“Peccato che l’Imperatrice non la pensa così. Lei pensa che in realtà Makarre non vuole sostituire i burocrati, ma vuole che alcuni burocrati che lui conosce bene arrivino nei punti chiave dell’Impero. Il problema è che alcuni dovranno essere eliminati. E l’Imperatrice crede che la cosa sia già iniziata. Due burocrati sono già morti in strane circostanze. E sono stati sostituiti con qualcuno che preferisce Makarre all’Imperatore. (Rachel emise un lungo sospiro) Come vedete c’è da preoccuparsi.” Concluse Rachel.

Rimasero tutti in silenzio, pensierosi.

“E chi sono stati uccisi fino ad ora?” Chiese Freddy.

“Uno era il capo della divisione passaporti, l’altro dell’immigrazione.” Rispose Rachel.

“Già. È vero. Passaporti ed immigrazione.” Disse Louk “Fai andare la gente dove vuoi, con il passaporto che vuoi. Chi lo controlla se è un militare, un civile ..”

“Una spia, uno che porta bombe. L’importante che i documenti lo coprano ..” continuò Rachel

“O meglio, che lo renda immune da un controllo. Passaporti imperiali.” Disse infine Freddy.

Louk si alzò e si diresse verso il camino, dove ravvivò il fuoco buttando dentro un ceppo di legno. La temperatura dell’ambiente si alzò lentamente, in modo gradevole.

Louk prese un attizzatoio e si mise a giocare col fuoco nel camino.

“Bel disastro. Come faremo a fermare tutto ciò?” chiese Rachel.

“Uccidendo i burocrati!” disse Freddy

“Ci penserà Doc. Ora è meglio se ce ne andiamo.” Disse Louk.

“E all’Imperatore (disse Freddy guardando Louk) e all’Imperatrice (e guardò Rachel) chi glielo spiega?”

“Per il momento, meno sanno meglio é. Qualcuno potrebbe parlare a sproposito e riferire a chissà chi. Ci penserà Doc. Facciamo le valigie.” Concluse Louk.

“La colazione è pronta.” Urlò la vecchia dal piano inferiore.

“Spero che la porta fosse chiusa.” Disse Louk, giocando ancora col fuoco nel camino.

“E’ fidata!” disse Freddy

Louk la guardò. Freddy capì.

“Non farai sul serio?” Chiese Rachel.

Lo sguardo di Louk non ammetteva repliche.

 

La tana delle tigri

I pianeti posizionati ai bordi della galassia erano veramente strani. Non erano di dimensioni elevate, i soli facevano fatica a scaldarli, la gente che li abitava pensava che tutto fosse contro di loro. La stessa natura aveva lasciato che su quei pianeti nascesse il peggio che un pianeta vorrebbe voluto avere addosso: animali tra i più carnivori, piante che crescevano lasciando tra loro lo spazio per infilare una mano (ammesso che uno fosse tanto sconsiderato per farlo).

L’astronave che stava portando Evane lontano da casa era diretta su uno di quei pianeti, posto nel quadrante D3 della galassia.

Il comandante entrò nella cabina di Evane, per avvisarla che erano arrivati.

“C’è un messaggio di Doc. Dice che i tempi sono cambiati” disse l’uomo

“Che ne sapete voi di Doc?” Chiese Evane, spaventata.

”Non siete mica l’unica ad vere un appuntamento qui.” Disse l’uomo e se ne andò.

Evane rimase pensierosa, mentre preparava i suoi bagagli, buttando nell’inceneritore i vestiti usati per camuffarsi.

Il pianeta su cui Evane era diretta più che un nome aveva un numero di identificazione: PY253YU.

Il nome era difficile da ricordare e il pianeta era inutile al sistema in cui era situato, dato che il pianeta era il terzo su cinque esistenti (gli altri erano giganti gassosi) e girava intorno ad una stella gialla, che incrociava la sua orbita con un sole blu.

Il pianeta era piuttosto buio, una spessa coltre di nubi nere lo ricopriva per la maggior parte del tempo. Gli animali erano del tipo notturno e le piante, parecchie di piccole dimensioni, non avevano un color diverso dal verde scuro e le loro inflorescenze erano quasi inesistenti.

Un pianeta abitabile solo da matti o, meglio, un pianeta ideale per nascondere la sede di una delle società segrete più famosa e impenetrabile della galassia.

I suoi accoliti avevano fatto di tutto perché nei secoli nessuno sapesse cosa facevano, chi aiutavano, a chi avrebbero permesso di comandare.

Sì, serto, di altre società segrete la galassia ne era piena: gente che si riuniva per decidere cosa era meglio o peggio per questo o quel pianeta, ma la tana delle tigri era quella che era riuscita a raccogliere le persone più importanti e influenti della galassia, insospettabili a tutti, mogli, amanti, concubine comprese.

Evane non ne faceva parte da molto.

Era stata iniziata, se così si può dire, quando era all’università Imperiale su Pokdifin da un suo amico, un certo Blak Stefan, un tipo strano e pericoloso: aveva troppe idee e troppa gente che gli dava ascolto.

Di certo quando Evane decise di seguirlo in questa sua avventura, tutto avrebbe creduto ma non di trovarsi in quella situazione.

Black era figlio di un alto funzionario di corte a cui l’Imperatore Federickson I aveva affidato un sistema solare da governare per avergli salvato la vita durante una scaramuccia con l’Imperatore di una galassia  vicina.

L’alto funzionario in questione era Black Corson, generale di carriera, chiamato da tutti Invicible, per il fatto che sotto un bombardamento di bombe atomiche a effetto limitato, lui rimase in piedi, ritto di fronte al nemico, mentre le bombe esplodevano intorno a lui, guidando la carica dei suoi uomini fin dentro una roccaforte avversaria, espugnandola e catturando alcune persone vicine all’Imperatore avversario.

Di certo questi e altri episodi lo resero ben voluto dalle truppe, un po’ meno dai burocrati e l’Imperatore fu costretto a salvarlo dandogli da controllare un sistema solare ai confini dell’Impero e lontano dai burocrati imperiali.

In quel sistema solare era nato Stefan, che aveva avuto una istruzione militare, contro la sua volontà. Lui preferiva le poesie ai fucili, o almeno così diceva.

Certo, quando Evane lo conobbe all’università Imperiale, dopo l’ascesa del nuovo Imperatore, Stefan era tutto tranne un poeta.

Spesso le proteste degli universitari verso l’Imperatore erano guidate da lui.

Ma come sempre succede, una volta qualcosa andò storto.

Durante una manifestazione, l’Imperatore, ormai esausto di doversela vedere con gli universitari (e i burocrati), fece sparare ad altezza uomo contro i manifestanti.

I feriti e i morti furono parecchi e, dopo che le manifestazioni di piazza furono interrotte, Stefan si calmò e fu allora che Evane lo conobbe.

Si conobbero alcuni giorni dopo gli scontri, Stefan con alcun ferite fisiche poco evidenti ed Evane sconvolta per quello che era successo.

Si incontrarono, o meglio, scontrarono in una delle numerose biblioteche dell’università Imperiale.

Evane stava cercando un libro a cui era interessato anche Stefan: quando lo videro nessuno si accorse dell’altro e fecero una corsa per prenderlo dallo scaffale: lo scontro fu inevitabile, con libri e appunti che volavano da tutte le parti, i ragazzi e le ragazze presenti che si misero a ridere, la bibliotecaria che urlava di far silenzio, ed Evane sotto Stefan.

Scena edificante per Stefan, meno per Evane che divenne rossa e si scrollo d’addosso Stefan assestandogli un colpo con un ginocchio al linguine.

Stefan cadette per terra senza fiato, mentre Evane gli chiese scusa.

Ci volle un pò perché Stefan si riavesse.

Ognuno raccolse le sue cose, il libro rimase dov’era, dimenticato, ed Evane e Stefan fecero amicizia.

Il come e il perché Stefan parlò della tana delle tigri a Evane neanche lei se lo ricorda, o perché andarono sul pianeta a incontrare Doc e parlare della necessita della salvaguardia dell’attuale Imperatore: dopo tutto Federickson II era solo suo fratello maggiore, che diamine.

La nave spaziale, quando venne a contatto con l’atmosfera del pianeta, diede parecchi scossoni, risvegliando Evane dal torpore dei suoi ricordi e riportandola alla realtà.

La nave si diresse verso un punto del pianeta ove vi erano parecchie montagne.

Evane riconobbe la zona: ora avrebbero passato un picco, sceso in una valle stretta ed avrebbero atterrato in un astraporto della tana delle tigri.

Quando la nave fu atterrata e i motori furono spenti, Evane uscì dalla sua stanza e scese al piano inferiore.

L’uomo e la donna la stavano aspettando.

“Doc ci riceverà subito.” Disse la donna.

“Capisco. Ma voi come conoscete la tana delle tigri? Io non vi conosco.” Disse Evane.

La donna accennò ad un sorriso senza rispondere, ed insieme all’uomo scese dall’astronave.

Evane, sconcertata, gli seguì.

L’astroporto non era molto grande: altre tre o forse quattro navi come quelle con cui era arrivata e l’astroporto sarebbe stato pieno.

In fondo vi era un gruppo di persone che li aspettava. Avevano tutte un mantello nero, con bordi d’orati. Un uomo era di schiena e si vedeva distintamente la testa di una tigre in color oro disegnata nell’angolo alto a sinistra del mantello.

Evane e gli altri andarono verso il gruppo: l’uomo di spalle si giro e li saluto amichevolmente.

“Samuel.. Angel.. che piacere vedervi.” Così dicendo l’uomo abbracciò affettuosamente l’uomo e la donna che aveva accompagnato Evane.

“Come stai Doc?” chiese la donna.

“Bene, bene.. oh, Evane, vedo che ci sei anche tu. Come stai?” le chiese l’uomo abbracciandola.

“Bene, Doc. Ma come fai a conoscere queste persone?” Chiese Evane sorpresa.

“Non ti preoccupare. Sono amici. Vedrai, tutto si sistemerà. Bene, andiamo, non mi sembra il caso di parlare di certe cose qui.” Così dicendo l’uomo invitò tutti verso una portone in fondo all’astroporto.

Samuel si girò e fece un cenno con la mano agli uomini che erano rimasti sulla nave spaziale. Tutte le luci della nave furono spente, le pedane ritirate e la nave parve morta.

Il gruppo di persone attraversò il portone che si richiuse rumorosamente alle loro spalle.

Il corridoio che presero fu illuminato improvvisamente con luci artificiali.

Camminarono per un bel po’, senza parlare. Alla fine del corridoio entrarono in una enorme grotta a forma di cupola. In alto, in cima alla grotta, faceva bella mostra di sé una testa di tigre come quella che era disegnata sulla spalle del mantello degli uomini: doveva essere enorme per essere così visibile dal basso.

Tutto intorno alla grotta vie erano delle specie di balconate, che avevano alle loro spalle delle porte. Da alcune di esse apparvero strane persone, che Evane riconobbe come alcuni degli abitanti dei vari mondi facenti parte della galassia. Altri per lei furono una rivelazione: non erano di quella galassia, o almeno non li aveva mai visti in quella galassia.

Samuel ed Angel andarono incontro ad alcuni di loro.

“Doc..” disse Evane “non mi hai detto tutto.. chi sono quelli.. non sono della nostra galassia..”

Doc era anziano, capelli bianchi, lisci, lunghi fino alle spalle, viso quadrato, di un colore rosso scuro, labbra grosse, occhi piccoli e di color nero, statura normale.

“Cosa credevi, Evane? Se una galassia è in pericolo, anche le altre ne risentono. Se una galassia muore, le altre di certo non sono felici. Non puoi pretendere che l’intero universo non ne risenta di quello che avviane qui. Se un singolo neutrone smette di ruotare, pensi che l’atomo resti lì, fermo, instabile, senza risentirne?” le rispose Doc.

Evane guardò Doc come persa, come se il futuro della galassia non dipendesse dalla singola decisione di uno, ma dalla decisione presa da tutti su un argomento in modo diverso.

Doc la guardò dolcemente, sorridendole, la abbraccio alla vita e la accompagnò verso gli altri, facendole coraggio: dopotutto era in ballo e come diceva sempre Doc “finchè la musica non si ferma si balla, mia cara.” Doc ballava malissimo, si ricordò Evane, e sorrise, cercando di dimenticare.

 

Il Barone Makarre

Se la vita nel palazzo Imperiale era il massimo della vita, per qualsiasi persona che abitava la galassia, la vita nel palazzo del Barone Makarre era la cosa più spregevole che poteva capitargli.

Il Barone Philips Mortorious Makarre aveva il governo di alcuni sistemi solari posizionati nel quadrante C3 della galassia, nella zona di confine, e viveva sul pianeta Klack.

Ovviamente il Barone aveva fatto di tutto perché il suo pianeta fosse bello, splendente, radioso, vivibile: il terreno era stato per la maggior parte reso coltivabile, l’acqua era stata portata in tutto il pianeta con l’uso di canali e deviando il corso dei fiumi principali. Alcune montagne erano state modificate, in modo da permettere al vento fresco del nord di lambire lande desertiche per renderle fertili.

Le città erano state modificate, rese più a misura degli abitanti: alcune erano state addirittura costruite su cascate, su montagne innevate perennemente, in mezzo a terreni verdeggianti, collegate da un fitto sistema di trasporti, sia su terra, sotto terra o per aria.

Un pianeta sorridente. Almeno.

Il sorriso Makarre lo tolse al suo bel pianeta quando decise di farla finita con suo cugino, che nel frattempo era diventato Imperatore.

Di certo il Barone non fece nulla perché fosse modificato morfologicamente il pianeta: così come lo aveva sistemato era quasi perfetto.

No. Modificò la gente, le persone, i suoi abitanti e gli abitanti degli altri sistemi solari che governava, o meglio, comandava con pugno di ferro.

Un pugno di ferro che all’inizio aveva provocato morti, molti morti, affinché tutti la pensassero come lui.

L’Imperatore aveva cercato in tutti i modi di calmarlo, ma la guerra contro la galassia vicina ai tempi di suo padre lo aveva costretto a non infastidire un uomo che aveva dovuto combattere in prima linea contro il nemico, che gli era piombato letteralmente in casa all’improvviso, che aveva fatto strage dei suoi cari e degli abitanti dei pianeti, che aveva dovuto subire le angherie prima del nemico e poi degli amici, che lo aveva considerato un vigliacco perché non aveva difeso il confine della galassia morendo in battaglia.

Di certo il padre di Makarre di morire non ne aveva voglia: era sceso a compromessi con il nemico pur di salvare la sua vita, ma non poté salvare quella dei parenti, di alcune mogli, concubine, figli.

Quando poi il nemico fu sconfitto, al padre di Makarre venne ordinato di non inseguirlo, di non accanirsi verso un nemico vinto e non più in grado di nuocere, che la sua vendetta doveva aspettare, morire con lui: e così avvenne.

Ora non ne poteva più. Quando aveva combattuto con suo padre ne aveva poco più di vent’anni, ora ne aveva quaranta e la sua voglia di vendetta, più il tempo passava, più aumentava.

Nel suo palazzo, costruito sopra una cascata di alcune centinaia di metri, con ai suoi piedi la capitale del pianeta, Amihsorih, attendeva notizie sugli ultimi eventi.

Makarre era un uomo di media statura, ingrassato, con un viso tondo, occhi sporgenti di un blu cobalto. Portava una vestaglia dai colori sgargianti e uno strano copricato, formato da una striscia di stoffa dello stesso colore della vestaglia avvolta intorno alla testa.

Al collo aveva un ciondolo di color verde smeraldo con una catena di platino e alle dita della mani aveva anelli dalle forme e grandezze più diverse.

Faceva su e giù nella stanza enorme, con vetrate che davano sulla cascata e da cui si vedeva in lontananza la città.

Divani e poltrone di varia dimensione, forma e colore riempivano la stanza. Alle pareti vi erano quadri immensi. Diversi lampadari illuminavano la stanza di notte.

Makarre ad un certo punto di fermò davanti ad uno delle enormi finestre e guardò una nave spaziale che stava atterrando in uno degli astroporti della capitale.

Emise un leggero sospiro.

“Perché sospiri così, mio signore?”

La voce femminile alle sue spalle lo prese di sorpresa, ma lui non lo diede a vedere. Si girò: di fronte a lui c’era una ragazza giovane, alta, snella, con un viso ovale, occhi grandi e verdi, ciglia lunghe, labbra piccole e quel nasino con la punta in su che lo faceva impazzire, come i vestiti che Gloria indossava. Quel mattino Gloria indossava una tuta aderentissima, in pelle, di color rosso e un cappellino intonato alla tuta. Aveva inoltre un mantello, stessa stoffa e colore del vestito.

“Mia cara” disse Makarre ”ogni volta che ti vedo mi riempi di gioia il mio cuore!”

“E sicuramente qualcosa d’altro, mio signore.”

“Mia cara, sei sempre la solita. Ti vesti così e mi prendi in giro. Sei la mia peggiore concubina. In tutti i sensi.” Disse Makarre avvicinandosi a lei.

“Fermo lì, mio signore!” disse Gloria, tenendolo a distanza con un nerbo di tendine di rouk, un quadrupede selvaggio del pianeta. “I nostri accordi sono chiari. Niente sesso e solo potere, fino a che non diventerete Imperatore:”

Makarre rise sotto i bassi, che spesso lisciava con le dita delle mani.

“Certo, cara.” Disse in tono sarcastico “Ma lo sai che la mia pazienza ha un limite piccolo piccolo.”

“E la mia voglia di potere è così grande!” replicò Gloria.

“Lei… dov’è?” Chiese il barone

“E’ giunta a destinazione. Tutto và come abbiamo previsto, mio signore.” Così dicendo Gloria si avvicinò a Makarre e gli sfiorò il grosso mento con la mano destra.

“E quegli idioti di generali, cosa fanno?” chiese Makarre

“Sono pronti a fare un disastro, loro e tutti i nostri amici.” Replicò Gloria, andandosi a sedere su un divano in pelle nere, sdraiandosi sopra.

In qualsiasi posizione, il corpo di Gloria era una cosa fantastica e il Barone avrebbe venduto l’anima, il potere, l’Impero per lei e lei ne avrebbe di certo approfittato: ma Makarre sapeva che Gloria gli sarebbe stata fedele fino al trono dell’Impero. Ma dopo, fino a che punto la sua spregiudicatezza sarebbe giunta? Dopo tutto era così giovane e così bella? Un vero peccato sprecare una tale bellezza.

“Come al solito sogni l’impossibile, Makarre!” un’altra voce di donna si udì alle spalle del Barone: Gloria di sedette subito sul divano, coprendosi con il mantello e l’uomo capì.

“Cara moglie, come stai stamattina? Hai dormito bene?” domandò Makarre, voltandosi in modo leggiadro verso la donna, di statura bassa, grassa, con addosso un vestito che risaltava ancora di più la sue rotondità.

Fiola, questo era il suo nome, fu sposata da Makarre per una questione di stato, più che per amore. E il risultato era stato che Makarre aveva una moglie, cento concubine, innumerevoli amanti e un numero imprecisato di figli: nessuno da Fiona.

E questo a Fiola pesava, parecchio. E di certo l’ultima arrivata, Gloria, non faceva niente per passare inosservata agli occhi del Barone.

Ma ormai Fiona si era abituata a tutto ciò: al fatto che Makarre avesse tutte quelle donne, che con lei non dormiva più, ma per questo ultimamente neanche con le altre, che Gloria aveva vestiti così sconci che spesso un mantello non bastava a ricoprirla.

E poi quei strani viaggi quasi giornalieri in una zona del vicino deserto, dove vi era la sede dei servizi segreti del Barone: Makarre non si era mai molto interessato di quelle cose, visto che lui, da giovane, preferiva combattere il nemico guardandolo negli occhi.

Di certo stava succedendo qualcosa e quel continuo chiacchericcio nel club delle amiche non le piaceva.

Fiona si avvicinò al marito, baciandolo sulla guancia.

“Ho dormito bene, grazie caro. Vedo che sei in dolce compagnia, stamattina. Cara Gloria, come stai? Non pensavi di vedervi stamane?” disse Fiona

“Oh, no, mia cara. Era solo passata a vedere il Barone Makarre e per sapere se aveva bisogno di me.” Rispose Gloria.

Fiona la guardo torva, sapendo benissimo che ormai da alcuni mesi Makarre e Gloria facevano coppia fissa fuori dal palazzo.

“Bene. Allora vado ai miei impegni giornalieri.” Così dicendo Fiona si girò e si allontanò dal marito. “Ah.. dimenticavo, caro..” riprese Fiona, girandosi a metà verso il marito “mi continuano ad arrivare lamentele dai sindaci per strani avvenimenti… sai.. gente che sparisce… ragazzi che partono per la zona Imperiale senza dare notizie di sé… cose così. Ne sai niente?” concluse

“No di certo, cara. Ti pare che mandi ragazzi nella zona Imperiale per cosa poi?” rispose Makarre.

“Già. Per cosa?!” disse Fiona, girandosi e andandosene.

“Sa qualcosa!” disse Gloria appena la donna si fu allontanata. Si alzò dal divano, buttandosi indietro il mantello e mostrando il suo corpo al Barone.

“Smettila! Lo so benissimo cosa ha in testa. Quella rompiscatole dell’Imperatrice continua a chiamarla. Dovrebbe partire tra alcuni giorni per il palazzo Imperiale per un incontro tra loro. Queste rompiscatole!” si girò guardando Gloria “Meno male che tu sei solo un concubina. Un problema di meno.”

Così dicendo prese Gloria alla vita e la strinse a sé.

“Makarre… Barone… ma cosa fate… la promessa…” si mise a urlare Gloria mentre lui tentava di baciarla.

Alla fine Gloria riuscì a sgusciare dalla presa di Makarre e si mise ad una distanza di sicurezza, sguainando il nerbo, pronta a colpire.

“Sì. Adesso hai vinto tu, ma guardati le spalle. Uno in più o meno in quella maledetta prigione a me non fa né caldo né freddo. Ci farò finire tutti i miei nemici, tutti quelli che si metteranno tra me e l’Impero, Fiona compresa. Dopo tutto, di lei non ho più bisogno.” Disse il Barone, sconvolto in volto, con il fiatone, sedendosi su di un divano a tentoni.

Gloria lo guardò spaventata: non lo aveva mai visto così. Di certo i tempi per il colpo di mano a sfavore dell’Imperatore erano maturi, ma un uomo simile si sarebbe controllato nel bel mezzo di una battaglia, con davanti i suoi denigratori o avrebbe fatto la cosa più empia che un uomo potesse fare: massacrare tutti.

L’uomo si sdraiò sul divano, cercando si calmarsi.

Gloria si allontanò, senza voltargli le spalle. I burocrati avevano ragione: non era un buon Imperatore, ma serviva di certo a modificare le cose, a renderle più malleabili per loro. Gloria uscì dalla stanza e corse via. Era tempo che i suoi contatti a palazzo Imperiale gli dicessero cosa fare. Se i tempi erano maturi, era il momento di intervenire. Ora.

 

Lo scontro

“Che tempo inclemente.”

“Già. Più che inclemente. E’ così da giorni.”

“Pensate che cambierà?”

“Se fossi sicuro che cambiasse ci scommetterei… Quando arriveranno?”

“Tra poco. E’ già tutto pronto. Ha altri ordini?”

“No. Che l’ospite sia accompagnato immediatamente nei alloggi che abbiamo preparato. Che nessuno lo tocchi o guardi.”

“Sarà fatto come voi volete, generale:”

Un enorme vetrata si apriva davanti ai due uomini che stavano parlando.

La vetrata dava la vista ad una enorme distesa di sabbia rossa.

La stanza dove erano gli uomini era all’interno di una montagna che si ergeva, improvvisa, nella pianura che stavano guardando.

“Spero che il Rosso abbia eseguito tutto alla lettera?” chiese il generale.

“Sì, signore. Anche se ha paura che i pirati abbiano fatto lo stesso con lui. Continuano ad avere uno strano segnale a frequenza variabile che parte dalla nave, ma non sanno da dove.” rispose l’altro uomo.

“Da dove?!” disse il generale “Il Rosso sta invecchiando. Da dove vuoi che parte, Stoinker, se non dalla navetta di salvataggio che i pirati gli hanno mandato con la ragazza.”

“Lo devo avvisare, generale?” chiese l’uomo

“No. Mi piacciono le sorprese. Specialmente di quel tipo… Fate approntare tutte le misure di sicurezza e che i Centurion siano pronti all’intervento. Di sicuro i pirati non lasceranno niente di intentato pur di avere quello che vogliono. Ma anche noi vogliamo qualcosa. Quella nave... Bene, Stoinker, puoi andare.” ordinò alla fine il generale.

Stoinker si allontanò dalla vetrata e percorse la stanza piena di consolle e militari che vi lavoravano.

Erano passati alcuni giorni dal rapimento della  principessa, ed era strano che l’Imperatore non avesse fatto di tutto per trovarla. O almeno, così pareva al generale Poissoun, uomo di navigata esperienza, anche se età giovane: aveva circa trentacinque anni galattici standard, ma di guerre ne aveva fatte parecchie.

Aveva seguito il Barone Makarre in alcune scorribande contro la galassia nemica, di cui l’Imperatore non sapeva niente, riportando successi che purtroppo nessun libro di memorie galattiche avrebbe mai descritto.

Il generale era un tipo alto, forse un po’ troppo, naso aquilino, occhi infossati, atletico.

Il suo aiutante, il tenete Stoinker, era invece di statura normale, un tipo qualunque, se non fosse per il fatto che sulle mostrine della giacca militare vi era una strana onorificenza: un aquila o qualcosa del genere che teneva tra le gambe dei fulmini. Il generale sapeva che quell’onorificenza era dell’Imperatore, per qualche operazione segreta ben riuscita, o forse mai fatta: già, pensò il generale girandosi a guardare la stanza con tutta quella attività febbrile, l’Imperatore dava onorificenze anche per non aver fatto niente. Ma Stoinker doveva aver fatto qualcosa, una tale onorificenza non si mostrava senza aver combinato qualcosa; ma cosa?

Stoinker era la spada di Damocle sopra la testa del generale: riferiva la Barone o all’Imperatore o a nessuno dei due? o a quella maledetta setta, la tana della tigre? Poissoun sapeva che non doveva fidarsi di Stoinker, ma era il suo aiutante, lo aveva scelto tra centinaia di ufficiali che aveva servito sotto il suo comando, e lui lo tradiva.

Poissoun scollò il capo per mandare via i cattivi pensieri: ormai era deciso, il Barone sarebbe diventato Imperatore e nulla e nessuno poteva fermarli: lui sarebbe diventato capo dello stato maggiore, un bel salto di grado, e questo a lui bastava.

“Qui Erstalm… qui Erstalm… chiediamo il permesso di atterrare…” la voce usciva dagli altoparlanti posti nella sala.

“Date loro il permesso… fateli atterrare sullo spiazzo 21… “ordinò il generale, guardando fisso negli occhi Stoinker, che rispose alla chiamata radio della nave.

L’Erstalm era la copia esatta della nave dei pirati Excellent.

E copia era un eufemismo.

Identica, in tutto e per tutto alla nave pirata.

Il generale credeva che il Rosso fosse impazzito quando gliela aveva comunicato via video conferenza dopo lo scambio. Ma capì che qualcosa era successo, l’imprevedibile, la possibilità che la leggenda, come la conosceva lui, potesse avverarsi. Il Barone non era dello stesso avviso, lui preferiva non pensare a quella leggenda, ma se era vero, bisognava impossessarsene, possederla, averla.

L’Erstalm iniziò la manovra di avvicinamento all’astroporto militare, provenendo da nord vero sud, dietro alla montagna ove vi era il comando: la montagna si aprì, lasciando uno spiraglio necessario per il passaggio della nave, poi si richiuse. La nave era entrata in una grotta enorme, da cui partivano varie gallerie: si infilò nella prima galleria di destra, con cautela.

In fondo alla galleria la nave trovò lo spiazzo 21 dove atterrò.

Subito la nave fu circondata da robot che la fissarono a terra, mente alcune passerelle veniva calate dalla nave.

Il generale arrivo sul posto con il suo luogotenente utilizzando un ascensore.

Per primo dalla nave scese un tipo piccolo, tarchiato, con una chioma di capelli rossi come il fuoco.

“Rosso!” urlò il generale “Ben arrivato!” e si abbracciarono.

“Come stai, Bell! Tutto a posto?” chiese il Rosso

“Come sempre. Hai portato tutto?” chiese il generale

“Sì. Ma a me non piace rapire ragazzine.. “così dicendo il Rosso indicò la ragazza che veniva trascinata giù dalla nave.

“Non ti preoccupare. E’ solo un’esca…”

“Come no! Ma per chi mi hai preso, Bell, per un.. coso… pesce? L’Imperatore non ha dato ordini in merito, nessuno la cerca. Mi è stato più attaccato al sedere quel maledetto pirata che tutti i militari dell’Imperatore.” Disse il Rosso

“E i servizi segreti?” chiese il generale

“Non sono stati ancora attivati, generale!” disse Stoinker

Il generale e il Rosso lo guardarono.

“Il non essere ancora attivati non vuol dire che non funzionino, caro Stoinker!” lo richiamò il generale

Stoinker insistette, facendo sbuffare il generale. “Il non essere ancora attivati è perché qualcuno sa, qualcuno ha visto, qualcuno si sta movendo più in fretta di quanto lei non creda, generale. Lo sa che tutti stanno cercando un pezzo della leggenda, per vedere se è vera.”

“Questa è buona!” urlò il Rosso “Ancora quella stupida, insignificante, inutile leggenda. Bell, ma chi vuoi che ci creda?”

“Il club delle amiche .” disse il generale, guardando torvo il Rosso.

“Le sceme?” chiese il Rosso, con aria sorpresa.

“Sì, signore.” disse Stoinker, girandosi e dando ordini per portare la prigioniera nel luogo preparato per lei.

Il Rosso guardò Bell, che fece una stana faccia.

“Mi mandi così, alla cieca, e le sceme cercano… cosa… dove… ma sei impazzito? Se quelle vengono a sapere di noi siamo nei guai… lo sai che l’Imperatrice non perdona… e adesso?” chiese il Rosso.

“Calmati. Sappiamo cosa sta combinando l’Imperatrice.” Disse il generale e si girò seguendo la scorta della ragazza “E comunque ormai è tardi, non si torna indietro. Se succede qualcosa, lo sapremo. Il Barone ha fatto si che qualcuno controlli l’Imperatrice. Lui sa cosa fare.” Tagliò corto il generale, mentre il Rosso lo seguiva quasi correndo.

Mentre accompagnavano la prigioniera, successe il disastro.

“Generale, siamo attaccati!” urlò una voce negli altoparlanti della base militare.

“Non si sono fatti attendere troppo quei miserabili!” disse il generale e così dicendo corse nella sala comando.

***

“Allora, dove sono?” chiese il comandante dell’Excellent.

“Su quel pianeta, signore. Quello tutto rosso.”

“Inferno. Bel posticino che si sono trovati:” disse il secondo, leggendo una carta di navigazione alle spalle di uno degli uomini addetti alle consolle.

“E va bene. Se la sono cercata. E chi cerca, trova.” Il comandante era ritto sul ponte di comando e stava parlando con voce calma, pensando a quello che era meglio fare. “Secondo, dia ordine agli uomini di prendere i Platoon e di attaccare da nord. Noi, con la nave, attaccheremo da sud. A est ed ovest le due navi ausiliarie. Che sparino a zero su tutto ciò che si muove. Nessuna pietà. Non ci si comporta così negli affari.”

“Bene, signore. Date ordine agli uomini dei Platoon di muovere da nord. Svelti.”

I Platoon era dei robot di notevole stazza, di solito guidati da un solo pilota, con una forza straordinaria e armi di notevole potenza di fuoco, con una velocità ciclica però lenta. Volavano di solito a pochi metri dal suolo, ma potevano correre e camminare. L’Excellent ne aveva dodici, uno dei quali era pilotato personalmente dal vice comandante, che per renderlo più cattivo lo aveva fatto colorare di nero, mentre gli altri erano colorati con colori sgargianti, di solito rossi o bianchi.

La nave entro nell’atmosfera del pianeta e a circa un chilometro di altezza dal suolo  fece uscire i robor, che si avviarono a prendere posizione a nord della distesa di sabbia. La nave andò a sud, mentre due navette di appoggio si diressero a ovest e a est.

L’attacco dei pirati fu improvviso e potente. Il fuoco dei cannoni dei robot e della nave Excellent colpì in pieno la montagna ove era entrata la nave Erstalm, facendo breccia nella apertura della grotta.

Ma l’attacco dei pirati non ebbe molto successo.

All’improvviso dal nulla comparvero altri robot, classe Centurion, della stessa classe dei Platoon, solo più veloci, e decisamente in numero superiore a quelli dei pirati: il vice comandante dei pirati ne contò almeno cinquanta.

“Ci hanno fregato!” disse il comandante, che dalla sua nave cercava di entrare nella grotta, bombardandola con cannonata al laser e centrando le crepe apertesi sulla montagna.

All’improvviso, almeno quattro navi da guerra apparvero sopra l’Excellent, costringendola a cessare il fuoco e ad arrendersi, entrando nella grotta che tanto impunemente aveva cercato di sfondarla.

I Platoon furono costretti ad entrare subito dopo la nave, mentre le due navette ausiliare furono distrutte da un fuoco incrociato di cannoni laser nascosti tra gli anfratti della montagna.

La nave pirata fu fatta atterrare nella piazzola di fianco alla sua gemella.

Il generale e il Rosso le ammirarono.

“Identiche!” disse il generale, mentre il Rosso annuiva.

I pirati furono fatti scendere, o almeno, ci fu una vera e propria rissa per farli scendere.

Il comandante dei pirati stava maltrattando tutti quelli presenti sul ponte di comando quando gli uomini del generale salirono e ci volle parecchio a mettere a tacere l’omino, infuriato, che brandendo il suo bastone come un’arma, dava botte a tutti quelli che gli capitavano sotto tiro. Dovettero sparargli un tranquillante con un fucile ad aria per calmarlo.

“Maledetti!” gridava, disperato “Mi avete tradito!”

“Bene!” disse il generale, tutto contento di sé “Il Barone sarà contento! Le due ragazze, le due navi.. ”

“Calmati.” Gli disse il Rosso “Non stai mica mettendo insieme uno zoo. È solo una leggenda. Ricordatelo prima di finire male.”

Il Rosso gli voltò le spalle e se ne andò, lasciando il generale a rimirare il suo successo personale. Ma dopotutto, penso il Rosso, se avesse ragione… forse… no, meglio di no. Le guerre fratricide servono ai nemici.

La notte scese su quella parte del pianeta, mentre un vento sollevava la sabbia rossa intono alla montagna e una strana coppia di personaggi, di lontano, scrutava con dei binocoli la montagna.

 

La rabbia dell’Imperatore

“Allora, qual’è la situazione?”

“La principessa Noemi è in mano al Generale Poissuon, fedele al Barone Makarre.”

“La principessa Evane è alla tana delle tigri.”

“La principessa Gloria è in viaggio con il Conte Black.”

“Il Barone Makarre e la sua concubina Giulia stanno ancora convincendo alcuni burocrati a tradirvi.”

L’Imperatore ascoltava attentamente il resoconto dai suoi uomini dei servizi segreti, riuniti in una sala in una zona sotterranea del palazzo Imperiale, con la centro un tavolo di forma ovale allungata.

Oltre all’Imperatore vi era il capo dei servizi segreti militari, il Generale Koisuom, il capo dei servizi segreti civili, un certo Houiol, ed alcuni funzionari con ruoli minori nei servizi segreti, negli apparati militari e civili dell’Impero.

“Sì, ho capito. E le sceme?” chiese l’Imperatore

“Il club della amiche ha spedito… “disse un uomo in fondo al tavolo.

“Lo so cosa hanno fatto. Gli ho dovuto mandare dietro quell’idiota nullafacente del marito a controllarla. Ma non hanno ancora combinato niente. Non trovano niente. Cosa sa più di noi il Barone?” chiese l’Imperatore, infuriato per non avere risposte convincenti.

Il Generale Koisuom, grosso, impettito nella sua divisa piena di decorazione, non sembrava molto contento di dover dare la notizia.

“Sa chi sono le due ragazze, le due navi e le due imperatrici.”

“Ancora quella maledetta leggenda. Ora basta.” Tuonò l’Imperatore alzandosi di colpo dalla sedia, facendola cadere. ”E’ una balla, una storia per i bambini, finita non so come in quella stupida cerimonia di fine anno. Basta. Bisogna a tutti i modi che qualcuno metta fine a questa storia. Se non riuscite a fermare il Barone con le buone, fatelo con le cattive. Non è più un eroe, e solo un malato di potere, più di quello che gli è stato concesso. Ponete fine alle sue voglie o ci penserò io!” L’ultima frase dell’Imperatore suonò ai presenti come una minaccia non solo per il Barone, ma anche per loro.

Era da tempo che l’Imperatore voleva mettere fine a quei burocrati che facevano di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote: l’Imperatore voleva in quel modo migliorare la vita anche a quei sistemi solari troppo lontani dall’influenza benevola della zona Imperiale, dove burocrati egoisti e cattivi vassalli costringevano la gente a vivere in modo quasi disumano, pur di presentarsi davanti al loro Imperatore come gente disposta a far qualcosa, ma non aiutati dalla popolazione, a loro avversa.

L’Imperatore, da diverso tempo, sapeva che molti burocrati finanziavano terroristi contrari all’Impero, e che i suoi vassalli la prendevano come scusa per schiacciare la popolazione con un giogo mortale.

L’Imperatore lasciò la riunione, seguito dal suo aiutante.

Gli uomini presenti alla riunione guardarono il Generale e l’uomo seduto di fronte a lui.

“Credi di faccia sul serio?” chiese l’uomo.

“La tana delle tigri è in fermento. Il Conte Black ha quella nuova nave… Sì “disse il generale pensieroso “penso che faccia sul serio. Se Doc dovesse decidere di appoggiarlo definitivamente, potrebbe fare sul serio. Non possiamo intervenire. Conviene metterci al sicuro. Che ognuno di voi avvisi i suoi contatti. L’Imperatore di persona controllerà questa crisi. Ditegli di inviarmi relazioni giornaliere su tutto quello che succede, specialmente sul pianeta del Barone. E ditegli di tenersi pronti. Sicuramente dovranno sostituire quei burocrati che l’Imperatore non ritiene più indispensabili.”

“E se qualcuno scappa, per errore?” chiese una voce a metà tavolo.

L’uomo di fronte il generale non ebbe esitazione “Niente e nessuno deve scappare all’ira dell’Imperatore. Vivo o morto.”

Il Generale lo guardò fisso negli occhi “Meglio per lui morto che vivo.” Disse, con un filo di voce.

“Meglio per lui morto, certo. Non vogliamo che l’Imperatore sappia più del necessario.” Disse l’uomo, che si alzò e se ne andò dalla parte opposta da cui era uscito l’Imperatore, seguito da alcune persone che aveva assistito alla riunione.

“Generale. Non credo che ci si possa fidare…”

“Taci!” disse il generale al suo giovane interlocutore “Ci sono microfoni in questa stanza.”

Il Generale seguì con lo sguardo l’uomo che si allontana. Sapeva che era una delle pedine del Barone. Ucciderlo… buona idea… ma non avrebbe fermato il Barone. No, meglio vivo, che dicesse al Barone quello che voleva. Utile, dire al nemico tutto. Tutto quello che non deve sapere.

L’Imperatore, da una stanza vicina, aveva sentito tutto. Sapeva di chi fidarsi, non fino a che punto. Ma il Generale non era un pericolo. L’uomo sì. Burocrati, pensò. Dietro a lui la moglie lo chiamò.

“Caro…” gli disse con tono amorevole.

L’Imperatore si girò. Ogni tanto l’Imperatrice lo meravigliava.

“Arrivo.” Disse l’Imperatore.

Lasciando la stanza sotto braccio al marito, l’Imperatrice pensò alle figlie in giro per la galassia, sicuramente non in pericolo. L’Imperatore non lo avrebbe permesso.

 

Il viaggio continua

“Ma tu guarda dove dovevamo finire… togliti… “

“Stai calma, non ci vorrà molto…”

“Come no… siamo in viaggio da così tanto tempo che non mi sento più i piedi… mi dolgono…”

“Ho trovato un mezzo comodo… di cosa ti lamenti…”

“Comoda?… ma ti sei guardata in giro… Comoda!… sei matta…”

“Non potevano fare diversamente…non devono sapere…”

“Ormai non lo sa nessuno dove siamo… figurati… quando arriveremo ti pianto… me ne vado da solo…”

“E dove vuoi andare senza di me… per noi non c’è futuro… ricordatelo…”

“Certo… prima mi devono prendere… poi ne parliamo”

“Adesso basta… io dormo… tu fai la guardia…”

“Ma chi vuoi che ci venga a disturbare qui?”

“Tu fai la guardai e chiamami tra quattro ore…”

“Va bene… fai la guardia… qui…”

 

Trovato!

Dopo colazione, Louk e Freddy uscirono insieme, prendendo la scusa di andare a cercare un mezzo per andarsene dal pianeta.

Rachel rimase solo nella casa, guardando fuori da una finestra del soggiorno la pioggia che continuava a scendere copiosa, con la domestica che stava sparecchiando la tavola e sistemando le stanza da letto al piano superiore.

All’improvviso qualcuno busso alla porta.

Con un tempo del genere, pensò Rachel, chi vuoi che venga qui.

Aprì la porta e si trovò davanti Haras.

“Fammi entrare!” disse Haras “Diluvia ancora su questo maledetto pianeta.”

Haras aveva un mantello con cappuccio che la ricopriva completamente fino ai piedi.

Entrando se lo tolse, bagnando l’ingresso, e porgendolo a Rachel.

Sotto aveva un vestito scuro, lungo.

“Non guardarmi così. Non ho cambiato idea.” Haras lasciò la stupefatta Rachel in corridoio e entrò in soggiorno.

Rachel appese il mantello bagnato ad un attaccapanni dell’ingresso e seguì Haras.

“So cosa vuole l’Imperatrice.” Proseguì Haras, avvicinandosi alla finestra e guardando la pioggia che continuava a scendere “Ma lei mi deve permettere di andare via da qui. Devo lasciare Rodolfo in qualche maniera. Sono stufa di questo tempo, di un marito stupido, di non avere niente da fare tutto il giorno, se non controllare chi mi vuole morta. Voglio viaggiare per l’Impero, capisci?” e così dicendo si girò verso Rachel.

“Ma prego, Haras, siediti!” gli rispose Rachel, un po’ preoccupata.

Haras si sedette sul divano, mentre Rachel si accomodò su una poltrona.

Ci fu un lungo silenzio, interrotto dal ticchettio di un strano segnatempo posto a muro, che ogni tanto emetteva uno strano cu-cu. Gli oggetti bizzarri erano il passatempo di Louk, ma quello…

“Vedi, cara… “ comincio Haras “ lo so che l’Imperatrice ha tanto da fare, che il club delle amiche non può… o non vuole essere coinvolto in certe faccende… ma se vieni qui e mi chiedi aiuto, qualcosa in cambio me lo devi pur dare. Oh, Rachel, non sai che fatica vivere su questo pianeta! Rodolfo è impossibile!” cosi dicendo Haras incomincio a piangere, asciugandosi gli occhi un fazzoletto molto lavorato, che aveva nella manica destra del vestito.

“Certo! Ma se non eri qui, che cosa sarebbe stata la tua vita?” le chiese Rachel “Dopotutto, non sei di famiglia nobile e qualcuno doveva controllare Rodolfo in questo posto…”

“Ah, bene, ora mi rinfacci anche la mia condizione…”

“No, Haras. Ti ricordo cos’eri prima che l’Imperatrice ti facesse sposare Rodolfo. Non lo voleva nessuno, e un uomo solo pensa troppo a certe cose…”

“Cosa vuoi che pensi, quello? Lo sai che gli piacciono gli uomini? Già. Non lo dire a me. Ormai è cinque anni che non mi guarda. E non inventarti scuse sulla mie dimensioni: sono diventata così per colpa sua. Non lo vedi: le ragazze nella mia piscina sono nude e lui, quando viene a trovarmi, quelle poche volte, non le guarda. Anzi, alle volte volge lo sguardo altrove. Non parliamo poi del suo aiutante: sembra una donna. Mi devi aiutare Rachel, devo andare via!” insistette Haras.

“Come se fosse così facile!” gli replicò Rachel, alzandosi dalla poltrona e sedendosi vicino a lei sul divano.

“Qual è il problema?” chiese Haras, preoccupata.

“L’Imperatore vuole che Rodolfo rimanga. Gli è fedele. E in questa zona della galassia non vuole venire nessuno a comandarla. Troppi problemi con la popolazione, troppo diversa. E non c’è nessun di questa regione nel consiglio. Solo nelle delegazioni. Purtroppo , senza Rodolfo, questa zona sarebbe alla sbando, e sai come l’Imperatore Touk continui a pungolare Rodolfo per farlo passare dalla sua parte.”

“Ma Touk è dell’altra galassia! No, il problema non è Touk. Il problema è Makarre. Non so cosa gli sia preso. Continua a chiamare Rodolfo, a fargli domande su una cosa strana… aspetta… ah, sì… la giara della verità… ultimamente continua a chiamarlo per sapere chi la deve aprire e quando. Non so il perché, ma continua a chiederlo in maniera insistente. Tu sai cos’è?” chiese alla fine Haras.

Rachel la guardò preoccupata. Si alzo dal divano e cominciò a passeggiare avanti e indietro per la stanza. Haras cercò più di una volta di fermarla, con un cenno, per capire, ma Rachel era immersa nei suoi pensieri.

“Hai detto che gli chiede della giara della verità. Ma che ne sa Rodolfo della giara?…” Rachel si era fermata nel mezzo della stanza, con fare preoccupato.

“E’ quello che dico anch’io. Non ho mai sentito parlarne di…”

“Tu non devi neanche sapere che esiste. Solo l’Imperatore e i suoi diretti successori sanno della giara. Ascolta.. “disse Rachel, sedendosi ancora sul divano di fianco a Haras “devi assolutamente sapere tutto quello che tuo marito o il Barone Makarre sanno della giara. Forse non è la leggenda che Makarre vuole, ma la giara.”

“Sì. D’accordo. Ma io… non voglio più…”

Rachel interruppe la donna, ponendogli il dito indice della mano destra sulle labbra.

“Tu preoccupati di farci avere notizie, e io mi preoccuperò affinché l’Imperatrice pensi a te. Adesso vai.” Così dicendo, Rachel l’aiutò ad alzarsi dal divano e la sospinse verso l’uscita. “Ti farò sapere io.”

Rachel porse il mantello ad Haras, che incredula, se lo indossò ed uscì sotto la pioggia.

Mentre la pioggia scemava e un pallido sole, ormai al tramonto, faceva capolino tra le nuvole, Louk e Freddy rientrarono a casa.

“Trovato!”  Disse Louk entrando in casa, seguito da Freddy che irruppe in casa sospingendo Louk. I due si misero a ridere, mentre Rachel, scendendo le scale, gli andò incontro.

“Trovato cosa?” chiese Rachel mentre si aggiustava la camicetta.

“Hai visto!” Disse Freddy “Noi a lavorare e lei a dormire.”

“Trovato cosa?” richiese Rachel, stizzita.

“Makarre è in combutta con l’Imperatore Touk della vicina galassia. Vogliono detronizzare l’Imperatore ed ampliare il controllo di…” Louk si fermò. Guardò la moglie stupito: sembrava che non lo ascoltasse, continuando a sistemarsi la camicetta.

Feddy si era già tolta il mantello e lo aveva deposto sulla sedia, all’ingresso, ed era entrata nel soggiorno. Si girò a guardare Louk che si era fermato a metà del discorso, con in mano il laccio del mantello mezzo slacciato.

Tornò indietro e vide Rachel che si stava ancora sistemando la camicetta.

“Cosa sai che io non so?” chiese Louk, guardando la moglie con fare sospettoso ed interrogatorio.

“Niente, caro.” Disse lei, finendo di allacciare l’ultimo bottone e dirigendosi in soggiorno.

Freddy se la vide passare di fianco mentre dalle labbra di Rachel usciva un sorrisetto ironico e Louk la seguiva con lo sguardo , impietrito all’ingresso.

“Chi ti è venuto a trovare?” chiese Freddy.

“Haras.” Rispose Rachel

Louk finì di slacciare il laccio del matello, che lasciò cadere per terra, e di diresse verso la moglie, mentre sul volto di Freddy la meraviglia era molto evidente.

“Haras, qui?” chiese Louk

“Perchè?” gli fece eco Freddy

“Sapete com’é. E’ stanca del marito, di questo posto… la noia… i tradimenti…” disse Rachel con fare superiore.

“Non è possibile. Cosa gli hai promesso, o meglio, cosa gli ha promesso il club della amiche?” chiese Louk, mentre Freddy gli si avvicinò alle spalle e squadrò Rachel, che si stava versando da bere in un bicchiere nero da una caraffa piena di un liquido rosso.

Rachel prese il bicchiere, lo guardo come se cercasse qualcosa nel bicchiere, sorseggiò il contenuto e, con una luce negli occhi decisamente di una che l’aveva combinata furbescamente grossa, disse: “Niente. All’Imperatrice di Haras non gli importa niente. Al club delle amiche meno che meno. Non sa stare al suo posto, fa quello che vuole, sempre… No, miei cari, Haras sa che qui dovrà vivere e morire, ma ci prova… e ci proverà finché avrà vita. Ma sapete com’è l’Imperatrice: una volta tradita la sua fiducia, niente e nessuno può fargli cambiare idea.” Sorseggiò ancora dal bicchiere e si diresse ad una poltrona, dove si sedette con eleganza, facendo volteggiare la sua lunga e larga gonna nera con ricami rossi. “Haras spera che l’Imperatrice la perdoni, ma ormai è passato tanto di quel tempo che l’Imperatrice non sa neanche più che esiste. No, non gli ho promesso niente, ma lei spera… Comunque (continuò Rachel dopo un sospiro) la vera notizia è che qualcuno sa della giara della verità e potrebbe impossessarsene. Avete trovato un mezzo per andare via?” chiese infine Rachel.

Freddy si avvicinò al tavolo, si verso anche lei in un bicchiere nero il liquido della caraffa e lo trangugiò d’un fiato.

“Tutta fatica sprecata.” Disse dopo essersi asciugata la bocca con la maniche del suo vestito.

Louk la guardò mentre compiva quel gesto così sconsiderato, almeno per le donne di corte, e Freddy ricambio con un cenno scontroso del capo.

“Si. Abbiamo trovato un mezzo.” Disse Louk, emettendo un sospiro e guardando la moglie, che se la stava tranquillamente ridendo, con quel sorrisetto beffardo che non si era mai tolta dal viso. “Domani partiamo. Prepariamo i bagagli.” Così dicendo Louk si girò per andare al piano superiore. “Oh cara..” disse voltandosi verso la moglie “.. non ti dispiace se Freddy viene con noi, vero?”

“Figurati, caro.” Disse beffardamente la donna “Come posso rifiutare un passaggio a sua signoria.”

“E’ pronto da mangiare.” La vecchia domestica apparve dal nulla.

Louk trasalì.

“Va bene. Adesso arriviamo.” Rispose Freddy.

La notte stava giungendo su quel pianeta dimenticato da tutti.

Freddy, Louk e Rachel si accomodarono nel soggiorno a cenare.

Nel palazzo la vita scorreva come al solito, tra le mollezze e le agiatezze che solo le persone ricche sono abituate a sopportare.

La popolazione del pianeta da una parte trascorse le serate come al solito, dall’altra si preparava ad un nuovo giorno.

Ma qualcuno, nello spazio, controllava e voleva sapere.

   
 
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