La nave pirata
Excellent, dopo la
distruzione del Bellatrix, si diresse a tutta velocità verso
un sistema solare
posizionato verso l’interno della galassia.
Ci vollero alcuni
giorni di viaggio, che
sulla nave trascorsero senza troppi problemi.
La nave, giunta in
prossimità di un
sistema solare con tre soli, rallentò la velocità.
Si diresse verso il
sesto pianeta, un
pianeta con degli enormi anelli che lo circondavano sul piano
equatoriale,
fatti di massi ghiacciati
La nave
girò intorno al pianeta
parecchie volte, prima che un’altra nave apparisse nei suoi
radar.
“Sono
arrivati!” urlò uno degli addetti
ai pannelli di comando.
“Silenzio!”
urlò il comandante.
“Chiamateli e mandategli i codici di
identificazione.”
Uno degli addetti
inviò i segnali
codificati e la nave rispose.
Da una delle
telecamere che guardavano
vero l’esterno, tutti videro la nave avvicinarsi: la sorpresa
fu enorme.
Uguale era dire
poco. Simile non dava
l’esatta idea di quello che gli uomini della nave stavano
guardando.
Una gemella: quello
era decisamente la
parola esatta.
Il comandante non
capiva e non si dava
pace.
“Ho
ucciso di persona quel maledetto
progettista! Com’è possibile che ne esista
un’altra?” urlò il comandante
guardando il secondo.
Le due navi si
misero con il muso
dell’una contro l’altra. Era uno spettacolo
indescrivibile: gemelle fin nel più
piccolo particolare, con sullo sfondo il pianeta bianco luccicante con
gli
anelli che lo circondavano.
I messaggi che le
due navi continuavano
a scambiarsi divennero più frequenti.
Alla fine il
comandante fece portare la
prigioniera.
“Bene.
Caricatela sulla navetta.” Ordinò
La ragazza fu
portata a forza da ben
quattro pirati nella navetta preparata per lo scambio.
La dovettero
legare, tanta foga lei ci
metteva nel tentativo di scappare al suo destino.
Alla fine la
scialuppa fu sganciata e
guidata verso la nave gemella.
Nel contempo,
un’altra navetta si era
staccata dall’alta nave.
“Cosa
contiene?” disse il vice
comandante a un tecnico sul ponte di comando.
“Oro,
signore.”
Il comandante
lasciò il ponte di comando
e si indirizzo verso l’hangar della nave.
Quando vi giunse, i
marinai stavano
ormeggiando la navetta sul ponte degli hangar.
Ma, purtroppo per
il comandante,
l’apertura della navetta era a tempo.
L’altra
nave, appena ebbe caricato la
scialuppa con la prigioniera, se ne andò.
“Maledetti,
dovevamo pensarci anche
noi!” ringhiò il comandante
“E ci
abbiamo pensato!” disse un omino
piccolo, cicciotello. “Ho sistemato un sistema di rilevazione
a lunga distanza
sulla navetta. Se qualcosa non và la rintracceremo ovunque,
in questa
galassia.”
“Bene.”
Disse il comandante e si sedette
ad aspettare che la porta di quella maledetta navetta si aprisse.
Ci vollero ben
dodici ore galattiche
standard prima che la porta si aprisse. E quando la porta si
aprì, il
comandante vi ci si buttò a pesce, o qualcosa del genere: la
navetta era vuota.
Quello che successe
nei minuti che
seguirono fu peggio di una esplosione nucleare.
La navetta, anche
se fissata saldamente
al ponte, incominciò a dondolare pericolosamente,
trasmettendo il suo
ondeggiare a tutta la nave.
I pirati che erano
sul ponte caddero per
terra, compreso il vice comandante.
Dovettero sparare
al comandante più di
cinque frecce piene di sonnifero prima che si placasse la sua ira.
Quando, infine,
riuscirono a tirarlo
fuori dalla navetta, il comandante aveva una faccia stralunata e dalla
bocca
gli usciva della bava.
Il medico di bordo
lo guardò con aria
preoccupata.
Ci vollero altri
tre giorni prima che il
comandante riprendesse le sue normali attività.
Alla fine diede
l’ordine di inseguire
quella maledetta nave, ovunque fosse.
Il ritorno di
Invicible
Non ci vollero
dodici ore per far
scaldare i motori della nave.
Quando venne dato
l’ordine di sganciare
i fermi della nave, ormai la grotta era vuota e a terra erano rimasti
solo
alcuni macchinari inutilizzabili.
Il gorilla, nella
sala di comando, diede
l’ordine di partire.
La nave spaziale si
mosse dando scossoni
da tutte le parti.
Un fascio di luce
blu uscì dalla testa
dell’animale carnivoro posto a destra della sala comando.
La volta della
grotta esplose, cedendo e
aprendo un varco appena sufficiente per far passare la nave.
Con un
contraccolpo, la nave partì ed
uscì dalla grotta, dirigendosi verso lo spazio.
Dietro di
sé, Invincible lasciò che la
grotta crollasse, tutto d’un colpo, e al suo posto apparve un
vulcano, che
iniziò ad eruttare lava.
Invincible
solcò lo spazio verso la sua
destinazione, inosservato.
Sì,
quasi inosservato. Una navetta
spaziale Imperiale per rilievi dei venti solari era in zona e la vide.
***
Black e Giulia
stavano giocando a carte,
quando un forte rumore uscì dalla stanza posta
all’ultimo piano.
Black fece le scale
velocemente, mentre
Giulia riuniva le carte e sistema il tavolo, sotto gli occhi vigili
della tigre
e dell’orso.
“Qui
Invicible chiama Conte Black ..
rispondete”
“Qui
Conte Black .. avanti Invicible
.. ”
”Siamo in
zona. Quando volete, potete
raggiungerci.”
“Ricevuto.”
“Sono
arrivati?” Chiese Giulia.
“Sì.
Quando volete possiamo partire.”
Disse l’uomo.
La ragazza scese e
si diresse verso la
sua stanza, seguita dalla tigre che nel frattempo era salita dal piano
terra.
L’uomo
uscì dalla stanza, guardò in
basso e vide l’orso che guardava in su.
“Partiamo?”
chiese l’orso
“Partiamo.”
Gli rispose l’uomo “Punta i
timer degli esplosivi. Meglio far sparire tutto.”
“Come se
lo avessi già fatto.” Rispose
l’orso.
Ci vollero alcuni
minuti perché Giulia e
la tigre scendessero al piano terra: Giulia aveva indossato la tuta
bianca con
zaino incorporato che aveva quando era arrivata, per resistere al
freddo del
pianeta.
L’uomo
aveva indossato il pastrano con
cui Giulia lo aveva visto al prima volta.
“Bene. Da
questa parte.” Disse l’uomo, e
spostò un armadio della cucina, dietro a cui vi era un
passaggio
sufficientemente largo, scavato nella roccia.
Vi si
infilò, seguito dall’orso, dalla
tigre e per ultima Giulia, un po’ titubante.
Percorsero il
corridoio per alcuni
minuti in piano, poi incominciò a salire. Il freddo
incominciò a diventare
pungente.
Alla fine della
salita si ritrovarono in
una grotta, dove vi era una navetta spaziale. Giulia fece fatica a
vederla nel
buio, data la colorazione scura del mezzo.
Black schiaccio un
pulsante posto su una
specie di scatoletta nera che aveva in mano: la nave si
illuminò e una
passerella si staccò dal fondo della nave.
L’orso
con un balzo salì la passerella,
seguita dalla tigre: Black fece cenno a Giulia di salire e la
seguì sulla nave.
Non ci volle molto
ad accendere i
motori, farli scaldare e partire.
La navetta
uscì dalla grotta e si trovò
nell’aria fredda del pianeta.
Black la indirizzo
subito verso lo
spazio, mentre alcuni robot guardiani facevano fuoco cercando di
distruggere la
nave.
Alcuni secondi
dopo, una esplosione
squarciò la notte del pianeta e mezza montagna venne
distrutta.
“Toh..”
disse Giulia, accarezzando
l’orso “.. non hai più casa,
Ronson.”
“Non mi
serviva più.” rispose l’orso
Black diresse la
navetta spaziale verso
il sole.
Giulia vide il sole
che veniva incontro
alla nave. Lo superaro e all’improvviso gli si
presentò davanti una nave
spaziale enorme.
“Eccola!”
Esclamò Black.
La nave spaziale su
cui stavano
viaggiando sembrava quasi una pulce in confronto a Invicible.
Black
parlò con qualcuno della nave via
radio ed entrarono in uno degli hangar, da uno portello posto sotto la
nave,
verso i motori
Quando la navetta
spaziale fu agganciata
all’interno dell’hangar, i passeggeri scesero,
accolti dal gorilla e da alcuni
uomini dell’equipaggio.
“Chiedo
il permesso di salire a bordo.”
Disse il Conte Black al gorilla.
“Permesso
accordato.” disse il gorilla.
“Come
stai, Krain” disse Black.
“Bene.”
Disse il gorilla abbracciandolo,
quasi soffocando Black.
L’orso
scese dalla navetta e diede una
forte pacca sulla schiena del gorilla.
“Ronson.”
disse il gorilla ”Come stai
vecchia pellaccia.” Restituendo la pacca all’orso.
“Carini.”
Disse la tigre scendendo
davanti a Giulia.
“Krain,
ti presento Giulia e la sua
tigre Elsa.” Disse Black.
Il gorilla
guardò la tigre con fare
sospetto.
“Io a te
ti conosco.” Disse il gorilla
“Ma non riesco a metterti a fuoco. Dove ci siamo
già visti?”
“Forse ..
dal costruttore?” disse la
tigre, facendo una strana smorfia con il muso.
“No. Me
lo sarei ricordato.” Disse il
gorilla.
“Se avete
finito i convenevoli” disse
Giulia “vorrei un posto dove cambiarmi.”
“Si,
certo.” Disse Black.
Si diressero verso
una porta dall’altra
parte dell’hangar, passando davanti a degli enormi macchinari
coperti con
teloni e fissati con cavi di acciaio.
La ricerca
Louk e Rachel si
svegliarono al mattino
mentre fuori pioveva ancora.
Nessuno dei due
aveva voglia di uscire
dal letto.
Louk
guardò Rachel, sempre pensierosa.
“A cosa
pensi? Qualsiasi cosa sia a me
puoi dirla.” Disse Louk
“Qualsiasi?
Sei sicuro?” gli disse
Rachel, guardandolo fisso negli occhi.
“Sì,
certo.”
“L’Imperatrice
è preoccupata. Qualcuno
sta cercando di eliminare l’Imperatore e di prendere il suo
posto.” Disse Rachel
“Questo
lo so già.” Gli disse Louk “Ma
l’Imperatore non è preoccupato di questo. La tana
delle tigri veglia su di lui.
No, deve essere qualcosa d’altro che preoccupa
l’Imperatrice e il vostro club.
Qual’è, cara?” disse Louk in tono
sarcastico.
Rachel rimase
pensierosa.
“L’Imperatrice
ha paura che la leggenda
si avveri.” Disse infine Rachel
“Leggenda?
Quale leggenda?” chiese Louk
“La
leggenda delle due gemelle, quella
che viene raccontata nelle preghiere il primo giorno
dell’anno galattico.”
Disse Rachel, alzandosi dal letto e andando verso la sedia su cui era
riposta
la sua vestaglia.
“Ah,
quella leggenda. Ma chi vuoi che ci
creda. E’ anni che ormai nessuno ci fa più caso.
Pensa che il sommo sacerdote
la voleva togliere dalla preghiera su proposta
dell’Imperatore.” Disse Louk,
senza dare troppo peso alle parole dette dalla moglie.
Rachel aveva
indossato la vestaglia e si
sedette sulla poltrona, guardando il marito.
“Caro
mio, non era dello stesso avviso
Doc quando l’Imperatrice lo ha incontrato a Pokdfin sei mesi
fa. Dimmi, pensi
ancora ad uno scherzo?” disse Rachel.
Louk
guardò la moglie. Decise che di
certe cose a letto era meglio non parlarne e si alzò,
indossando la sua
vestaglia posta ai piedi del letto.
Si sedette sul
sofà posto davanti alla
poltrona dove si era seduta la moglie e la guardò, cercando
di capire se stava
mentendo o no.
“L’Imperatrice
ha incontrato Doc su
Pokdfin sei mesi fa? Interessante. Ma non capisco le paure
dell’Imperatrice per
quanto riguarda la leggenda. Non ci hanno creduto le sue amiche, ci
deve
credere lei. Per quale motivo?” chiese Louk
“La
leggenda dice:” disse Rachel “Due
ragazze simili ma non uguali
Due navi simili ma
non uguali
Due pianeti simili
ma non uguali
Due imperatrici
simili ma non uguali
Quando il tempo
verrà
Quando il tempo
sarà
Quando si
incontreranno
Niente
sarà come prima
Tutto
sarà come adesso
Cambiare
sarà necessario”
“E
allora?” chiese il marito.
“Qualcuno
ha costruito due navi uguali,
senza sapere dell’altra. L’università
spaziale ha trovato due pianeti uguali.
L’Imperatrice sa che esiste una sua sosia su questo pianeta.
E per finire la
sua figlia Noemi assomiglia alla figlia di suo cugino Strozzen su
Lokijn.”
Rispose la moglie.
“Coincidenze.“
Disse il marito “Nulla
che possa riferirsi alla leggenda. Solo coincidenze.”
”E perché Doc non ci crede alle
coincidenze?” gli domandò Rachel. “E,
visto che
sono solo coincidenze, come mai Freddy è qui?”
“Per
controllare che non siano
coincidenze!”
Freddy apparve
sulla soglia della porta
della stanza, con addosso una vestaglia un po’ troppo corta
per i gusti di
Rachel, che la squadrò.
“Come al
solito i tuoi vestiti lasciano
un po’ a desiderare.” La rimproverò
Rachel
“Vorrei
ben vedere.” Gli rispose
freddamente Freddy “E’ il modo migliore per tenere
lontane le mogli e sotto
controllo i mariti.”
“Smettetela
di litigare.” Disse Louk,
sorridendo alla battura di Freddy. “Fate le buone per una
volta tanto nella
vostra vita. Abbiamo altro da fare che discutere sui vestiti (a quel
punto
Rachel scosto la vestaglia e mostrò le sue gambe) o sulle ..
Oh. Smettila
Rachel e copriti!” Esclamò Louk “Sei
impossibile. Tu e l’Imperatrice sembra che
lo facciate apposta a mostrare le vostre grazie ogni volta che si parla
di
uomini con presenti delle ragazzine come Freddy.”
Freddy
guardò Louk in modo torvo e
Rachel mosse la vestaglia per coprire le gambe.
“Io non
sono una ragazzina.” Disse
Freddy “Come ti permetti?”
“Basta,
Freddy. Lo sai come la pensa
l’Imperatore di te. Adesso vediamo di capire bene cosa
succede. E siediti,
Freddy!” Concluse Louk.
Freddy si sedette
sulla poltrona rimasta
libera.
“La
storia della leggenda non ha senso.
”Continuò Louk “Doc mi ha sempre detto
che era una baggianata, costruita
apposta per tenere unita la famiglia Imperiale e per tenere sotto
controllo
tutti quei burocrati inutili e rompiscatole. Nessuno, dico e ripeto,
nessuno
crede che quelle quattro fasi messe insieme per caso o per errore
possano
modificare, cambiare o deformare le cose: l’Imperatore
è per discendenza
diretta, al momento, e se qualcuno volesse subentrare
all’Imperatore dovrebbe
fare una strage, un massacro, senza tenere conto che i burocrati
dovrebbero
essere d’accordo con lui. Ora, siccome i burocrati non hanno
nessuna intenzione
di cambiare Imperatore, e meno che meno trovarsi Makarre Imperatore
(qui Louk
fece una pausa guardando le espressioni del volto delle donne), mi
spiegate
cosa volete che l’Imperatrice trovi su questo pianeta, che
esiste solo per il
piacere del Barone Chijyu e non dell’Impero?”
finì Louk.
“E chi ha
detto che Makarre vuole fare
l’Imperatore?” incalzò Rachel.
“Perché
è l’unico che continua a
chiedere di sostituire il capo dei burocrati non per promozione, ma
tramite un
editto dell’Imperatore!” gli rispose Freddy.
“Peccato
che l’Imperatrice non la pensa
così. Lei pensa che in realtà Makarre non vuole
sostituire i burocrati, ma
vuole che alcuni burocrati che lui conosce bene arrivino nei punti
chiave
dell’Impero. Il problema è che alcuni dovranno
essere eliminati. E
l’Imperatrice crede che la cosa sia già iniziata.
Due burocrati sono già morti
in strane circostanze. E sono stati sostituiti con qualcuno che
preferisce
Makarre all’Imperatore. (Rachel emise un lungo sospiro) Come
vedete c’è da
preoccuparsi.” Concluse Rachel.
Rimasero tutti in
silenzio, pensierosi.
“E chi
sono stati uccisi fino ad ora?”
Chiese Freddy.
“Uno era
il capo della divisione
passaporti, l’altro dell’immigrazione.”
Rispose Rachel.
“Già.
È vero. Passaporti ed
immigrazione.” Disse Louk “Fai andare la gente dove
vuoi, con il passaporto che
vuoi. Chi lo controlla se è un militare, un civile
..”
“Una
spia, uno che porta bombe.
L’importante che i documenti lo coprano ..”
continuò Rachel
“O
meglio, che lo renda immune da un
controllo. Passaporti imperiali.” Disse infine Freddy.
Louk si
alzò e si diresse verso il
camino, dove ravvivò il fuoco buttando dentro un ceppo di
legno. La temperatura
dell’ambiente si alzò lentamente, in modo
gradevole.
Louk prese un
attizzatoio e si mise a
giocare col fuoco nel camino.
“Bel
disastro. Come faremo a fermare
tutto ciò?” chiese Rachel.
“Uccidendo
i burocrati!” disse Freddy
“Ci
penserà Doc. Ora è meglio se ce ne
andiamo.” Disse Louk.
“E
all’Imperatore (disse Freddy
guardando Louk) e all’Imperatrice (e guardò
Rachel) chi glielo spiega?”
“Per il
momento, meno sanno meglio é.
Qualcuno potrebbe parlare a sproposito e riferire a chissà
chi. Ci penserà Doc.
Facciamo le valigie.” Concluse Louk.
“La
colazione è pronta.” Urlò la vecchia
dal piano inferiore.
“Spero
che la porta fosse chiusa.” Disse
Louk, giocando ancora col fuoco nel camino.
“E’
fidata!” disse Freddy
Louk la
guardò. Freddy capì.
“Non
farai sul serio?” Chiese Rachel.
Lo sguardo di Louk
non ammetteva
repliche.
La tana delle tigri
I pianeti
posizionati ai bordi della
galassia erano veramente strani. Non erano di dimensioni elevate, i
soli
facevano fatica a scaldarli, la gente che li abitava pensava che tutto
fosse
contro di loro. La stessa natura aveva lasciato che su quei pianeti
nascesse il
peggio che un pianeta vorrebbe voluto avere addosso: animali tra i
più
carnivori, piante che crescevano lasciando tra loro lo spazio per
infilare una
mano (ammesso che uno fosse tanto sconsiderato per farlo).
L’astronave
che stava portando Evane
lontano da casa era diretta su uno di quei pianeti, posto nel quadrante
D3
della galassia.
Il comandante
entrò nella cabina di
Evane, per avvisarla che erano arrivati.
“C’è
un messaggio di Doc. Dice che i
tempi sono cambiati” disse l’uomo
“Che ne
sapete voi di Doc?” Chiese
Evane, spaventata.
”Non
siete mica l’unica ad vere un
appuntamento qui.” Disse l’uomo e se ne
andò.
Evane rimase
pensierosa, mentre
preparava i suoi bagagli, buttando nell’inceneritore i
vestiti usati per
camuffarsi.
Il pianeta su cui
Evane era diretta più
che un nome aveva un numero di identificazione: PY253YU.
Il nome era
difficile da ricordare e il
pianeta era inutile al sistema in cui era situato, dato che il pianeta
era il
terzo su cinque esistenti (gli altri erano giganti gassosi) e girava
intorno ad
una stella gialla, che incrociava la sua orbita con un sole blu.
Il pianeta era
piuttosto buio, una
spessa coltre di nubi nere lo ricopriva per la maggior parte del tempo.
Gli
animali erano del tipo notturno e le piante, parecchie di piccole
dimensioni,
non avevano un color diverso dal verde scuro e le loro inflorescenze
erano
quasi inesistenti.
Un pianeta
abitabile solo da matti o,
meglio, un pianeta ideale per nascondere la sede di una delle
società segrete
più famosa e impenetrabile della galassia.
I suoi accoliti
avevano fatto di tutto
perché nei secoli nessuno sapesse cosa facevano, chi
aiutavano, a chi avrebbero
permesso di comandare.
Sì,
serto, di altre società segrete la
galassia ne era piena: gente che si riuniva per decidere cosa era
meglio o
peggio per questo o quel pianeta, ma la tana delle tigri era quella che
era
riuscita a raccogliere le persone più importanti e influenti
della galassia,
insospettabili a tutti, mogli, amanti, concubine comprese.
Evane non ne faceva
parte da molto.
Era stata iniziata,
se così si può dire,
quando era all’università Imperiale su Pokdifin da
un suo amico, un certo Blak
Stefan, un tipo strano e pericoloso: aveva troppe idee e troppa gente
che gli
dava ascolto.
Di certo quando
Evane decise di seguirlo
in questa sua avventura, tutto avrebbe creduto ma non di trovarsi in
quella
situazione.
Black era figlio di
un alto funzionario
di corte a cui l’Imperatore Federickson I aveva affidato un
sistema solare da
governare per avergli salvato la vita durante una scaramuccia con
l’Imperatore
di una galassia vicina.
L’alto
funzionario in questione era
Black Corson, generale di carriera, chiamato da tutti Invicible, per il
fatto
che sotto un bombardamento di bombe atomiche a effetto limitato, lui
rimase in
piedi, ritto di fronte al nemico, mentre le bombe esplodevano intorno a
lui,
guidando la carica dei suoi uomini fin dentro una roccaforte
avversaria,
espugnandola e catturando alcune persone vicine
all’Imperatore avversario.
Di certo questi e
altri episodi lo
resero ben voluto dalle truppe, un po’ meno dai burocrati e
l’Imperatore fu
costretto a salvarlo dandogli da controllare un sistema solare ai
confini
dell’Impero e lontano dai burocrati imperiali.
In quel sistema
solare era nato Stefan,
che aveva avuto una istruzione militare, contro la sua
volontà. Lui preferiva
le poesie ai fucili, o almeno così diceva.
Certo, quando Evane
lo conobbe
all’università Imperiale, dopo l’ascesa
del nuovo Imperatore, Stefan era tutto
tranne un poeta.
Spesso le proteste
degli universitari
verso l’Imperatore erano guidate da lui.
Ma come sempre
succede, una volta
qualcosa andò storto.
Durante una
manifestazione,
l’Imperatore, ormai esausto di doversela vedere con gli
universitari (e i
burocrati), fece sparare ad altezza uomo contro i manifestanti.
I feriti e i morti
furono parecchi e,
dopo che le manifestazioni di piazza furono interrotte, Stefan si
calmò e fu
allora che Evane lo conobbe.
Si conobbero alcuni
giorni dopo gli
scontri, Stefan con alcun ferite fisiche poco evidenti ed Evane
sconvolta per
quello che era successo.
Si incontrarono, o
meglio, scontrarono
in una delle numerose biblioteche dell’università
Imperiale.
Evane stava
cercando un libro a cui era
interessato anche Stefan: quando lo videro nessuno si accorse
dell’altro e
fecero una corsa per prenderlo dallo scaffale: lo scontro fu
inevitabile, con
libri e appunti che volavano da tutte le parti, i ragazzi e le ragazze
presenti
che si misero a ridere, la bibliotecaria che urlava di far silenzio, ed
Evane
sotto Stefan.
Scena edificante
per Stefan, meno per
Evane che divenne rossa e si scrollo d’addosso Stefan
assestandogli un colpo
con un ginocchio al linguine.
Stefan cadette per
terra senza fiato,
mentre Evane gli chiese scusa.
Ci volle un
pò perché Stefan si
riavesse.
Ognuno raccolse le
sue cose, il libro
rimase dov’era, dimenticato, ed Evane e Stefan fecero
amicizia.
Il come e il
perché Stefan parlò della
tana delle tigri a Evane neanche lei se lo ricorda, o perché
andarono sul
pianeta a incontrare Doc e parlare della necessita della salvaguardia
dell’attuale Imperatore: dopo tutto Federickson II era solo
suo fratello
maggiore, che diamine.
La nave spaziale,
quando venne a
contatto con l’atmosfera del pianeta, diede parecchi
scossoni, risvegliando
Evane dal torpore dei suoi ricordi e riportandola alla
realtà.
La nave si diresse
verso un punto del
pianeta ove vi erano parecchie montagne.
Evane riconobbe la
zona: ora avrebbero
passato un picco, sceso in una valle stretta ed avrebbero atterrato in
un
astraporto della tana delle tigri.
Quando la nave fu
atterrata e i motori
furono spenti, Evane uscì dalla sua stanza e scese al piano
inferiore.
L’uomo e
la donna la stavano aspettando.
“Doc ci
riceverà subito.” Disse la
donna.
“Capisco.
Ma voi come conoscete la tana
delle tigri? Io non vi conosco.” Disse Evane.
La donna
accennò ad un sorriso senza
rispondere, ed insieme all’uomo scese
dall’astronave.
Evane, sconcertata,
gli seguì.
L’astroporto
non era molto grande: altre
tre o forse quattro navi come quelle con cui era arrivata e
l’astroporto
sarebbe stato pieno.
In fondo vi era un
gruppo di persone che
li aspettava. Avevano tutte un mantello nero, con bordi
d’orati. Un uomo era di
schiena e si vedeva distintamente la testa di una tigre in color oro
disegnata
nell’angolo alto a sinistra del mantello.
Evane e gli altri
andarono verso il
gruppo: l’uomo di spalle si giro e li saluto amichevolmente.
“Samuel..
Angel.. che piacere vedervi.”
Così dicendo l’uomo abbracciò
affettuosamente l’uomo e la donna che aveva
accompagnato Evane.
“Come
stai Doc?” chiese la donna.
“Bene,
bene.. oh, Evane, vedo che ci sei
anche tu. Come stai?” le chiese l’uomo
abbracciandola.
“Bene,
Doc. Ma come fai a conoscere
queste persone?” Chiese Evane sorpresa.
“Non ti
preoccupare. Sono amici. Vedrai,
tutto si sistemerà. Bene, andiamo, non mi sembra il caso di
parlare di certe
cose qui.” Così dicendo l’uomo
invitò tutti verso una portone in fondo
all’astroporto.
Samuel si
girò e fece un cenno con la
mano agli uomini che erano rimasti sulla nave spaziale. Tutte le luci
della
nave furono spente, le pedane ritirate e la nave parve morta.
Il gruppo di
persone attraversò il
portone che si richiuse rumorosamente alle loro spalle.
Il corridoio che
presero fu illuminato
improvvisamente con luci artificiali.
Camminarono per un
bel po’, senza
parlare. Alla fine del corridoio entrarono in una enorme grotta a forma
di
cupola. In alto, in cima alla grotta, faceva bella mostra di
sé una testa di
tigre come quella che era disegnata sulla spalle del mantello degli
uomini:
doveva essere enorme per essere così visibile dal basso.
Tutto intorno alla
grotta vie erano
delle specie di balconate, che avevano alle loro spalle delle porte. Da
alcune
di esse apparvero strane persone, che Evane riconobbe come alcuni degli
abitanti dei vari mondi facenti parte della galassia. Altri per lei
furono una
rivelazione: non erano di quella galassia, o almeno non li aveva mai
visti in
quella galassia.
Samuel ed Angel
andarono incontro ad
alcuni di loro.
“Doc..”
disse Evane “non mi hai detto
tutto.. chi sono quelli.. non sono della nostra galassia..”
Doc era anziano,
capelli bianchi, lisci,
lunghi fino alle spalle, viso quadrato, di un colore rosso scuro,
labbra
grosse, occhi piccoli e di color nero, statura normale.
“Cosa
credevi, Evane? Se una galassia è
in pericolo, anche le altre ne risentono. Se una galassia muore, le
altre di
certo non sono felici. Non puoi pretendere che l’intero
universo non ne risenta
di quello che avviane qui. Se un singolo neutrone smette di ruotare,
pensi che
l’atomo resti lì, fermo, instabile, senza
risentirne?” le rispose Doc.
Evane
guardò Doc come persa, come se il
futuro della galassia non dipendesse dalla singola decisione di uno, ma
dalla
decisione presa da tutti su un argomento in modo diverso.
Doc la
guardò dolcemente, sorridendole,
la abbraccio alla vita e la accompagnò verso gli altri,
facendole coraggio:
dopotutto era in ballo e come diceva sempre Doc
“finchè la musica non si ferma
si balla, mia cara.” Doc ballava malissimo, si
ricordò Evane, e sorrise,
cercando di dimenticare.
Il Barone Makarre
Se la vita nel
palazzo Imperiale era il
massimo della vita, per qualsiasi persona che abitava la galassia, la
vita nel
palazzo del Barone Makarre era la cosa più spregevole che
poteva capitargli.
Il Barone Philips
Mortorious Makarre
aveva il governo di alcuni sistemi solari posizionati nel quadrante C3
della
galassia, nella zona di confine, e viveva sul pianeta Klack.
Ovviamente il
Barone aveva fatto di
tutto perché il suo pianeta fosse bello, splendente,
radioso, vivibile: il
terreno era stato per la maggior parte reso coltivabile,
l’acqua era stata
portata in tutto il pianeta con l’uso di canali e deviando il
corso dei fiumi
principali. Alcune montagne erano state modificate, in modo da
permettere al
vento fresco del nord di lambire lande desertiche per renderle fertili.
Le città
erano state modificate, rese
più a misura degli abitanti: alcune erano state addirittura
costruite su
cascate, su montagne innevate perennemente, in mezzo a terreni
verdeggianti,
collegate da un fitto sistema di trasporti, sia su terra, sotto terra o
per
aria.
Un pianeta
sorridente. Almeno.
Il sorriso Makarre
lo tolse al suo bel
pianeta quando decise di farla finita con suo cugino, che nel frattempo
era
diventato Imperatore.
Di certo il Barone
non fece nulla perché
fosse modificato morfologicamente il pianeta: così come lo
aveva sistemato era
quasi perfetto.
No.
Modificò la gente, le persone, i
suoi abitanti e gli abitanti degli altri sistemi solari che governava,
o
meglio, comandava con pugno di ferro.
Un pugno di ferro
che all’inizio aveva
provocato morti, molti morti, affinché tutti la pensassero
come lui.
L’Imperatore
aveva cercato in tutti i
modi di calmarlo, ma la guerra contro la galassia vicina ai tempi di
suo padre
lo aveva costretto a non infastidire un uomo che aveva dovuto
combattere in
prima linea contro il nemico, che gli era piombato letteralmente in
casa
all’improvviso, che aveva fatto strage dei suoi cari e degli
abitanti dei
pianeti, che aveva dovuto subire le angherie prima del nemico e poi
degli
amici, che lo aveva considerato un vigliacco perché non
aveva difeso il confine
della galassia morendo in battaglia.
Di certo il padre
di Makarre di morire
non ne aveva voglia: era sceso a compromessi con il nemico pur di
salvare la
sua vita, ma non poté salvare quella dei parenti, di alcune
mogli, concubine,
figli.
Quando poi il
nemico fu sconfitto, al
padre di Makarre venne ordinato di non inseguirlo, di non accanirsi
verso un nemico
vinto e non più in grado di nuocere, che la sua vendetta
doveva aspettare,
morire con lui: e così avvenne.
Ora non ne poteva
più. Quando aveva
combattuto con suo padre ne aveva poco più di
vent’anni, ora ne aveva quaranta
e la sua voglia di vendetta, più il tempo passava,
più aumentava.
Nel suo palazzo,
costruito sopra una
cascata di alcune centinaia di metri, con ai suoi piedi la capitale del
pianeta, Amihsorih, attendeva notizie sugli ultimi eventi.
Makarre era un uomo
di media statura,
ingrassato, con un viso tondo, occhi sporgenti di un blu cobalto.
Portava una
vestaglia dai colori sgargianti e uno strano copricato, formato da una
striscia
di stoffa dello stesso colore della vestaglia avvolta intorno alla
testa.
Al collo aveva un
ciondolo di color
verde smeraldo con una catena di platino e alle dita della mani aveva
anelli
dalle forme e grandezze più diverse.
Faceva su e
giù nella stanza enorme, con
vetrate che davano sulla cascata e da cui si vedeva in lontananza la
città.
Divani e poltrone
di varia dimensione,
forma e colore riempivano la stanza. Alle pareti vi erano quadri
immensi.
Diversi lampadari illuminavano la stanza di notte.
Makarre ad un certo
punto di fermò
davanti ad uno delle enormi finestre e guardò una nave
spaziale che stava
atterrando in uno degli astroporti della capitale.
Emise un leggero
sospiro.
“Perché
sospiri così, mio signore?”
La voce femminile
alle sue spalle lo
prese di sorpresa, ma lui non lo diede a vedere. Si girò: di
fronte a lui c’era
una ragazza giovane, alta, snella, con un viso ovale, occhi grandi e
verdi,
ciglia lunghe, labbra piccole e quel nasino con la punta in su che lo
faceva
impazzire, come i vestiti che Gloria indossava. Quel mattino Gloria
indossava
una tuta aderentissima, in pelle, di color rosso e un cappellino
intonato alla
tuta. Aveva inoltre un mantello, stessa stoffa e colore del vestito.
“Mia
cara” disse Makarre ”ogni volta che
ti vedo mi riempi di gioia il mio cuore!”
“E
sicuramente qualcosa d’altro, mio
signore.”
“Mia
cara, sei sempre la solita. Ti vesti
così e mi prendi in giro. Sei la mia peggiore concubina. In
tutti i sensi.”
Disse Makarre avvicinandosi a lei.
“Fermo
lì, mio signore!” disse Gloria,
tenendolo a distanza con un nerbo di tendine di rouk, un quadrupede
selvaggio
del pianeta. “I nostri accordi sono chiari. Niente sesso e
solo potere, fino a
che non diventerete Imperatore:”
Makarre rise sotto
i bassi, che spesso
lisciava con le dita delle mani.
“Certo,
cara.” Disse in tono sarcastico
“Ma lo sai che la mia pazienza ha un limite piccolo
piccolo.”
“E la mia
voglia di potere è così
grande!” replicò Gloria.
“Lei…
dov’è?” Chiese il barone
“E’
giunta a destinazione. Tutto và come
abbiamo previsto, mio signore.” Così dicendo
Gloria si avvicinò a Makarre e gli
sfiorò il grosso mento con la mano destra.
“E quegli
idioti di generali, cosa
fanno?” chiese Makarre
“Sono
pronti a fare un disastro, loro e
tutti i nostri amici.” Replicò Gloria, andandosi a
sedere su un divano in pelle
nere, sdraiandosi sopra.
In qualsiasi
posizione, il corpo di
Gloria era una cosa fantastica e il Barone avrebbe venduto
l’anima, il potere,
l’Impero per lei e lei ne avrebbe di certo approfittato: ma
Makarre sapeva che
Gloria gli sarebbe stata fedele fino al trono dell’Impero. Ma
dopo, fino a che
punto la sua spregiudicatezza sarebbe giunta? Dopo tutto era
così giovane e
così bella? Un vero peccato sprecare una tale bellezza.
“Come al
solito sogni l’impossibile,
Makarre!” un’altra voce di donna si udì
alle spalle del Barone: Gloria di
sedette subito sul divano, coprendosi con il mantello e
l’uomo capì.
“Cara
moglie, come stai stamattina? Hai
dormito bene?” domandò Makarre, voltandosi in modo
leggiadro verso la donna, di
statura bassa, grassa, con addosso un vestito che risaltava ancora di
più la
sue rotondità.
Fiola, questo era
il suo nome, fu
sposata da Makarre per una questione di stato, più che per
amore. E il
risultato era stato che Makarre aveva una moglie, cento concubine,
innumerevoli
amanti e un numero imprecisato di figli: nessuno da Fiona.
E questo a Fiola
pesava, parecchio. E di
certo l’ultima arrivata, Gloria, non faceva niente per
passare inosservata agli
occhi del Barone.
Ma ormai Fiona si
era abituata a tutto
ciò: al fatto che Makarre avesse tutte quelle donne, che con
lei non dormiva
più, ma per questo ultimamente neanche con le altre, che
Gloria aveva vestiti
così sconci che spesso un mantello non bastava a ricoprirla.
E poi quei strani
viaggi quasi
giornalieri in una zona del vicino deserto, dove vi era la sede dei
servizi
segreti del Barone: Makarre non si era mai molto interessato di quelle
cose,
visto che lui, da giovane, preferiva combattere il nemico guardandolo
negli
occhi.
Di certo stava
succedendo qualcosa e
quel continuo chiacchericcio nel club delle amiche non le piaceva.
Fiona si
avvicinò al marito, baciandolo
sulla guancia.
“Ho
dormito bene, grazie caro. Vedo che
sei in dolce compagnia, stamattina. Cara Gloria, come stai? Non pensavi
di
vedervi stamane?” disse Fiona
“Oh, no,
mia cara. Era solo passata a
vedere il Barone Makarre e per sapere se aveva bisogno di
me.” Rispose Gloria.
Fiona la guardo
torva, sapendo benissimo
che ormai da alcuni mesi Makarre e Gloria facevano coppia fissa fuori
dal
palazzo.
“Bene.
Allora vado ai miei impegni
giornalieri.” Così dicendo Fiona si
girò e si allontanò dal marito. “Ah..
dimenticavo, caro..” riprese Fiona, girandosi a
metà verso il marito “mi
continuano ad arrivare lamentele dai sindaci per strani
avvenimenti… sai..
gente che sparisce… ragazzi che partono per la zona
Imperiale senza dare
notizie di sé… cose così. Ne sai
niente?” concluse
“No di
certo, cara. Ti pare che mandi
ragazzi nella zona Imperiale per cosa poi?” rispose Makarre.
“Già.
Per cosa?!” disse Fiona, girandosi
e andandosene.
“Sa
qualcosa!” disse Gloria appena la
donna si fu allontanata. Si alzò dal divano, buttandosi
indietro il mantello e
mostrando il suo corpo al Barone.
“Smettila!
Lo so benissimo cosa ha in
testa. Quella rompiscatole dell’Imperatrice continua a
chiamarla. Dovrebbe
partire tra alcuni giorni per il palazzo Imperiale per un incontro tra
loro.
Queste rompiscatole!” si girò guardando Gloria
“Meno male che tu sei solo un
concubina. Un problema di meno.”
Così
dicendo prese Gloria alla vita e la
strinse a sé.
“Makarre…
Barone… ma cosa fate… la
promessa…” si mise a urlare Gloria mentre lui
tentava di baciarla.
Alla fine Gloria
riuscì a sgusciare
dalla presa di Makarre e si mise ad una distanza di sicurezza,
sguainando il
nerbo, pronta a colpire.
“Sì.
Adesso hai vinto tu, ma guardati le
spalle. Uno in più o meno in quella maledetta prigione a me
non fa né caldo né
freddo. Ci farò finire tutti i miei nemici, tutti quelli che
si metteranno tra
me e l’Impero, Fiona compresa. Dopo tutto, di lei non ho
più bisogno.” Disse il
Barone, sconvolto in volto, con il fiatone, sedendosi su di un divano a
tentoni.
Gloria lo
guardò spaventata: non lo
aveva mai visto così. Di certo i tempi per il colpo di mano
a sfavore
dell’Imperatore erano maturi, ma un uomo simile si sarebbe
controllato nel bel
mezzo di una battaglia, con davanti i suoi denigratori o avrebbe fatto
la cosa
più empia che un uomo potesse fare: massacrare tutti.
L’uomo si
sdraiò sul divano, cercando si
calmarsi.
Gloria si
allontanò, senza voltargli le
spalle. I burocrati avevano ragione: non era un buon Imperatore, ma
serviva di
certo a modificare le cose, a renderle più malleabili per
loro. Gloria uscì
dalla stanza e corse via. Era tempo che i suoi contatti a palazzo
Imperiale gli
dicessero cosa fare. Se i tempi erano maturi, era il momento di
intervenire.
Ora.
Lo scontro
“Che
tempo inclemente.”
“Già.
Più che inclemente. E’ così da
giorni.”
“Pensate
che cambierà?”
“Se fossi
sicuro che cambiasse ci
scommetterei… Quando arriveranno?”
“Tra
poco. E’ già tutto pronto. Ha altri
ordini?”
“No. Che
l’ospite sia accompagnato
immediatamente nei alloggi che abbiamo preparato. Che nessuno lo tocchi
o
guardi.”
“Sarà
fatto come voi volete, generale:”
Un enorme vetrata
si apriva davanti ai
due uomini che stavano parlando.
La vetrata dava la
vista ad una enorme
distesa di sabbia rossa.
La stanza dove
erano gli uomini era
all’interno di una montagna che si ergeva, improvvisa, nella
pianura che
stavano guardando.
“Spero
che il Rosso abbia eseguito tutto
alla lettera?” chiese il generale.
“Sì,
signore. Anche se ha paura che i
pirati abbiano fatto lo stesso con lui. Continuano ad avere uno strano
segnale
a frequenza variabile che parte dalla nave, ma non sanno da
dove.” rispose
l’altro uomo.
“Da
dove?!” disse il generale “Il Rosso
sta invecchiando. Da dove vuoi che parte, Stoinker, se non dalla
navetta di
salvataggio che i pirati gli hanno mandato con la ragazza.”
“Lo devo
avvisare, generale?” chiese
l’uomo
“No. Mi
piacciono le sorprese. Specialmente
di quel tipo… Fate approntare tutte le misure di sicurezza e
che i Centurion
siano pronti all’intervento. Di sicuro i pirati non
lasceranno niente di
intentato pur di avere quello che vogliono. Ma anche noi vogliamo
qualcosa.
Quella nave... Bene, Stoinker, puoi andare.”
ordinò alla fine il generale.
Stoinker si
allontanò dalla vetrata e
percorse la stanza piena di consolle e militari che vi lavoravano.
Erano passati
alcuni giorni dal
rapimento della principessa,
ed era
strano che l’Imperatore non avesse fatto di tutto per
trovarla. O almeno, così
pareva al generale Poissoun, uomo di navigata esperienza, anche se
età giovane:
aveva circa trentacinque anni galattici standard, ma di guerre ne aveva
fatte
parecchie.
Aveva seguito il
Barone Makarre in alcune
scorribande contro la galassia nemica, di cui l’Imperatore
non sapeva niente,
riportando successi che purtroppo nessun libro di memorie galattiche
avrebbe
mai descritto.
Il generale era un
tipo alto, forse un
po’ troppo, naso aquilino, occhi infossati, atletico.
Il suo aiutante, il
tenete Stoinker, era
invece di statura normale, un tipo qualunque, se non fosse per il fatto
che
sulle mostrine della giacca militare vi era una strana onorificenza: un
aquila
o qualcosa del genere che teneva tra le gambe dei fulmini. Il generale
sapeva
che quell’onorificenza era dell’Imperatore, per
qualche operazione segreta ben
riuscita, o forse mai fatta: già, pensò il
generale girandosi a guardare la
stanza con tutta quella attività febbrile,
l’Imperatore dava onorificenze anche
per non aver fatto niente. Ma Stoinker doveva aver fatto qualcosa, una
tale
onorificenza non si mostrava senza aver combinato qualcosa; ma cosa?
Stoinker era la
spada di Damocle sopra
la testa del generale: riferiva la Barone o all’Imperatore o
a nessuno dei due?
o a quella maledetta setta, la tana della tigre? Poissoun sapeva che
non doveva
fidarsi di Stoinker, ma era il suo aiutante, lo aveva scelto tra
centinaia di
ufficiali che aveva servito sotto il suo comando, e lui lo tradiva.
Poissoun
scollò il capo per mandare via
i cattivi pensieri: ormai era deciso, il Barone sarebbe diventato
Imperatore e
nulla e nessuno poteva fermarli: lui sarebbe diventato capo dello stato
maggiore, un bel salto di grado, e questo a lui bastava.
“Qui
Erstalm… qui Erstalm… chiediamo il
permesso di atterrare…” la voce usciva dagli
altoparlanti posti nella sala.
“Date
loro il permesso… fateli atterrare
sullo spiazzo 21… “ordinò il generale,
guardando fisso negli occhi Stoinker,
che rispose alla chiamata radio della nave.
L’Erstalm
era la copia esatta della nave
dei pirati Excellent.
E copia era un
eufemismo.
Identica, in tutto
e per tutto alla nave
pirata.
Il generale credeva
che il Rosso fosse
impazzito quando gliela aveva comunicato via video conferenza dopo lo
scambio.
Ma capì che qualcosa era successo,
l’imprevedibile, la possibilità che la
leggenda, come la conosceva lui, potesse avverarsi. Il Barone non era
dello
stesso avviso, lui preferiva non pensare a quella leggenda, ma se era
vero,
bisognava impossessarsene, possederla, averla.
L’Erstalm
iniziò la manovra di
avvicinamento all’astroporto militare, provenendo da nord
vero sud, dietro alla
montagna ove vi era il comando: la montagna si aprì,
lasciando uno spiraglio
necessario per il passaggio della nave, poi si richiuse. La nave era
entrata in
una grotta enorme, da cui partivano varie gallerie: si
infilò nella prima
galleria di destra, con cautela.
In fondo alla
galleria la nave trovò lo
spiazzo 21 dove atterrò.
Subito la nave fu
circondata da robot
che la fissarono a terra, mente alcune passerelle veniva calate dalla
nave.
Il generale arrivo
sul posto con il suo
luogotenente utilizzando un ascensore.
Per primo dalla
nave scese un tipo
piccolo, tarchiato, con una chioma di capelli rossi come il fuoco.
“Rosso!”
urlò il generale “Ben
arrivato!” e si abbracciarono.
“Come
stai, Bell! Tutto a posto?” chiese
il Rosso
“Come
sempre. Hai portato tutto?” chiese
il generale
“Sì.
Ma a me non piace rapire
ragazzine.. “così dicendo il Rosso
indicò la ragazza che veniva trascinata giù
dalla nave.
“Non ti
preoccupare. E’ solo un’esca…”
“Come no!
Ma per chi mi hai preso, Bell,
per un.. coso… pesce? L’Imperatore non ha dato
ordini in merito, nessuno la
cerca. Mi è stato più attaccato al sedere quel
maledetto pirata che tutti i militari
dell’Imperatore.” Disse il Rosso
“E i
servizi segreti?” chiese il
generale
“Non sono
stati ancora attivati,
generale!” disse Stoinker
Il generale e il
Rosso lo guardarono.
“Il non
essere ancora attivati non vuol
dire che non funzionino, caro Stoinker!” lo
richiamò il generale
Stoinker
insistette, facendo sbuffare il
generale. “Il non essere ancora attivati è
perché qualcuno sa, qualcuno ha
visto, qualcuno si sta movendo più in fretta di quanto lei
non creda, generale.
Lo sa che tutti stanno cercando un pezzo della leggenda, per vedere se
è vera.”
“Questa
è buona!” urlò il Rosso
“Ancora
quella stupida, insignificante, inutile leggenda. Bell, ma chi vuoi che
ci
creda?”
“Il club
delle amiche .” disse il
generale, guardando torvo il Rosso.
“Le
sceme?” chiese il Rosso, con aria
sorpresa.
“Sì,
signore.” disse Stoinker, girandosi
e dando ordini per portare la prigioniera nel luogo preparato per lei.
Il Rosso
guardò Bell, che fece una stana
faccia.
“Mi mandi
così, alla cieca, e le sceme
cercano… cosa… dove… ma sei impazzito?
Se quelle vengono a sapere di noi siamo
nei guai… lo sai che l’Imperatrice non
perdona… e adesso?” chiese il Rosso.
“Calmati.
Sappiamo cosa sta combinando
l’Imperatrice.” Disse il generale e si
girò seguendo la scorta della ragazza “E
comunque ormai è tardi, non si torna indietro. Se succede
qualcosa, lo sapremo.
Il Barone ha fatto si che qualcuno controlli l’Imperatrice.
Lui sa cosa fare.”
Tagliò corto il generale, mentre il Rosso lo seguiva quasi
correndo.
Mentre
accompagnavano la prigioniera,
successe il disastro.
“Generale,
siamo attaccati!” urlò una
voce negli altoparlanti della base militare.
“Non si
sono fatti attendere troppo quei
miserabili!” disse il generale e così dicendo
corse nella sala comando.
***
“Allora,
dove sono?” chiese il
comandante dell’Excellent.
“Su quel
pianeta, signore. Quello tutto
rosso.”
“Inferno.
Bel posticino che si sono
trovati:” disse il secondo, leggendo una carta di navigazione
alle spalle di
uno degli uomini addetti alle consolle.
“E va
bene. Se la sono cercata. E chi
cerca, trova.” Il comandante era ritto sul ponte di comando e
stava parlando
con voce calma, pensando a quello che era meglio fare.
“Secondo, dia ordine
agli uomini di prendere i Platoon e di attaccare da nord. Noi, con la
nave,
attaccheremo da sud. A est ed ovest le due navi ausiliarie. Che sparino
a zero
su tutto ciò che si muove. Nessuna pietà. Non ci
si comporta così negli
affari.”
“Bene,
signore. Date ordine agli uomini
dei Platoon di muovere da nord. Svelti.”
I Platoon era dei
robot di notevole
stazza, di solito guidati da un solo pilota, con una forza
straordinaria e armi
di notevole potenza di fuoco, con una velocità ciclica
però lenta. Volavano di
solito a pochi metri dal suolo, ma potevano correre e camminare.
L’Excellent ne
aveva dodici, uno dei quali era pilotato personalmente dal vice
comandante, che
per renderlo più cattivo lo aveva fatto colorare di nero,
mentre gli altri
erano colorati con colori sgargianti, di solito rossi o bianchi.
La nave entro
nell’atmosfera del pianeta
e a circa un chilometro di altezza dal suolo
fece uscire i robor, che si avviarono a prendere posizione
a nord della
distesa di sabbia. La nave andò a sud, mentre due navette di
appoggio si
diressero a ovest e a est.
L’attacco
dei pirati fu improvviso e
potente. Il fuoco dei cannoni dei robot e della nave Excellent
colpì in pieno
la montagna ove era entrata la nave Erstalm, facendo breccia nella
apertura
della grotta.
Ma
l’attacco dei pirati non ebbe molto
successo.
All’improvviso
dal nulla comparvero
altri robot, classe Centurion, della stessa classe dei Platoon, solo
più
veloci, e decisamente in numero superiore a quelli dei pirati: il vice
comandante dei pirati ne contò almeno cinquanta.
“Ci hanno
fregato!” disse il comandante,
che dalla sua nave cercava di entrare nella grotta, bombardandola con
cannonata
al laser e centrando le crepe apertesi sulla montagna.
All’improvviso,
almeno quattro navi da
guerra apparvero sopra l’Excellent, costringendola a cessare
il fuoco e ad
arrendersi, entrando nella grotta che tanto impunemente aveva cercato
di
sfondarla.
I Platoon furono
costretti ad entrare
subito dopo la nave, mentre le due navette ausiliare furono distrutte
da un
fuoco incrociato di cannoni laser nascosti tra gli anfratti della
montagna.
La nave pirata fu
fatta atterrare nella
piazzola di fianco alla sua gemella.
Il generale e il
Rosso le ammirarono.
“Identiche!”
disse il generale, mentre
il Rosso annuiva.
I pirati furono
fatti scendere, o
almeno, ci fu una vera e propria rissa per farli scendere.
Il comandante dei
pirati stava
maltrattando tutti quelli presenti sul ponte di comando quando gli
uomini del
generale salirono e ci volle parecchio a mettere a tacere
l’omino, infuriato,
che brandendo il suo bastone come un’arma, dava botte a tutti
quelli che gli capitavano
sotto tiro. Dovettero sparargli un tranquillante con un fucile ad aria
per
calmarlo.
“Maledetti!”
gridava, disperato “Mi
avete tradito!”
“Bene!”
disse il generale, tutto
contento di sé “Il Barone sarà
contento! Le due ragazze, le due navi.. ”
“Calmati.”
Gli disse il Rosso “Non stai
mica mettendo insieme uno zoo. È solo una leggenda.
Ricordatelo prima di finire
male.”
Il Rosso gli
voltò le spalle e se ne
andò, lasciando il generale a rimirare il suo successo
personale. Ma dopotutto,
penso il Rosso, se avesse ragione… forse… no,
meglio di no. Le guerre
fratricide servono ai nemici.
La notte scese su
quella parte del
pianeta, mentre un vento sollevava la sabbia rossa intono alla montagna
e una
strana coppia di personaggi, di lontano, scrutava con dei binocoli la
montagna.
La rabbia
dell’Imperatore
“Allora,
qual’è la situazione?”
“La
principessa Noemi è in mano al
Generale Poissuon, fedele al Barone Makarre.”
“La
principessa Evane è alla tana delle
tigri.”
“La
principessa Gloria è in viaggio con
il Conte Black.”
“Il
Barone Makarre e la sua concubina
Giulia stanno ancora convincendo alcuni burocrati a tradirvi.”
L’Imperatore
ascoltava attentamente il
resoconto dai suoi uomini dei servizi segreti, riuniti in una sala in
una zona
sotterranea del palazzo Imperiale, con la centro un tavolo di forma
ovale
allungata.
Oltre
all’Imperatore vi era il capo dei
servizi segreti militari, il Generale Koisuom, il capo dei servizi
segreti
civili, un certo Houiol, ed alcuni funzionari con ruoli minori nei
servizi segreti,
negli apparati militari e civili dell’Impero.
“Sì,
ho capito. E le sceme?” chiese
l’Imperatore
“Il club
della amiche ha spedito… “disse
un uomo in fondo al tavolo.
“Lo so
cosa hanno fatto. Gli ho dovuto
mandare dietro quell’idiota nullafacente del marito a
controllarla. Ma non
hanno ancora combinato niente. Non trovano niente. Cosa sa
più di noi il
Barone?” chiese l’Imperatore, infuriato per non
avere risposte convincenti.
Il Generale
Koisuom, grosso, impettito
nella sua divisa piena di decorazione, non sembrava molto contento di
dover
dare la notizia.
“Sa chi
sono le due ragazze, le due navi
e le due imperatrici.”
“Ancora
quella maledetta leggenda. Ora
basta.” Tuonò l’Imperatore alzandosi di
colpo dalla sedia, facendola cadere.
”E’ una balla, una storia per i bambini, finita non
so come in quella stupida
cerimonia di fine anno. Basta. Bisogna a tutti i modi che qualcuno
metta fine a
questa storia. Se non riuscite a fermare il Barone con le buone, fatelo
con le
cattive. Non è più un eroe, e solo un malato di
potere, più di quello che gli è
stato concesso. Ponete fine alle sue voglie o ci penserò
io!” L’ultima frase
dell’Imperatore suonò ai presenti come una
minaccia non solo per il Barone, ma
anche per loro.
Era da tempo che
l’Imperatore voleva
mettere fine a quei burocrati che facevano di tutto per mettergli i
bastoni tra
le ruote: l’Imperatore voleva in quel modo migliorare la vita
anche a quei
sistemi solari troppo lontani dall’influenza benevola della
zona Imperiale,
dove burocrati egoisti e cattivi vassalli costringevano la gente a
vivere in
modo quasi disumano, pur di presentarsi davanti al loro Imperatore come
gente
disposta a far qualcosa, ma non aiutati dalla popolazione, a loro
avversa.
L’Imperatore,
da diverso tempo, sapeva
che molti burocrati finanziavano terroristi contrari
all’Impero, e che i suoi
vassalli la prendevano come scusa per schiacciare la popolazione con un
giogo
mortale.
L’Imperatore
lasciò la riunione, seguito
dal suo aiutante.
Gli uomini presenti
alla riunione
guardarono il Generale e l’uomo seduto di fronte a lui.
“Credi di
faccia sul serio?” chiese
l’uomo.
“La tana
delle tigri è in fermento. Il
Conte Black ha quella nuova nave… Sì
“disse il generale pensieroso “penso che
faccia sul serio. Se Doc dovesse decidere di appoggiarlo
definitivamente,
potrebbe fare sul serio. Non possiamo intervenire. Conviene metterci al
sicuro.
Che ognuno di voi avvisi i suoi contatti. L’Imperatore di
persona controllerà
questa crisi. Ditegli di inviarmi relazioni giornaliere su tutto quello
che succede,
specialmente sul pianeta del Barone. E ditegli di tenersi pronti.
Sicuramente
dovranno sostituire quei burocrati che l’Imperatore non
ritiene più
indispensabili.”
“E se
qualcuno scappa, per errore?”
chiese una voce a metà tavolo.
L’uomo di
fronte il generale non ebbe
esitazione “Niente e nessuno deve scappare all’ira
dell’Imperatore. Vivo o
morto.”
Il Generale lo
guardò fisso negli occhi
“Meglio per lui morto che vivo.” Disse, con un filo
di voce.
“Meglio
per lui morto, certo. Non
vogliamo che l’Imperatore sappia più del
necessario.” Disse l’uomo, che si alzò
e se ne andò dalla parte opposta da cui era uscito
l’Imperatore, seguito da
alcune persone che aveva assistito alla riunione.
“Generale.
Non credo che ci si possa
fidare…”
“Taci!”
disse il generale al suo giovane
interlocutore “Ci sono microfoni in questa stanza.”
Il Generale
seguì con lo sguardo l’uomo
che si allontana. Sapeva che era una delle pedine del Barone.
Ucciderlo… buona
idea… ma non avrebbe fermato il Barone. No, meglio vivo, che
dicesse al Barone
quello che voleva. Utile, dire al nemico tutto. Tutto quello che non
deve
sapere.
L’Imperatore,
da una stanza vicina,
aveva sentito tutto. Sapeva di chi fidarsi, non fino a che punto. Ma il
Generale non era un pericolo. L’uomo sì.
Burocrati, pensò. Dietro a lui la
moglie lo chiamò.
“Caro…”
gli disse con tono amorevole.
L’Imperatore
si girò. Ogni tanto
l’Imperatrice lo meravigliava.
“Arrivo.”
Disse l’Imperatore.
Lasciando la stanza
sotto braccio al
marito, l’Imperatrice pensò alle figlie in giro
per la galassia, sicuramente
non in pericolo. L’Imperatore non lo avrebbe permesso.
Il viaggio continua
“Ma tu
guarda dove dovevamo finire…
togliti… “
“Stai
calma, non ci vorrà molto…”
“Come
no… siamo in viaggio da così tanto
tempo che non mi sento più i piedi… mi
dolgono…”
“Ho
trovato un mezzo comodo… di cosa ti
lamenti…”
“Comoda?…
ma ti sei guardata in giro…
Comoda!… sei matta…”
“Non
potevano fare diversamente…non
devono sapere…”
“Ormai
non lo sa nessuno dove siamo…
figurati… quando arriveremo ti pianto… me ne vado
da solo…”
“E dove
vuoi andare senza di me… per noi
non c’è futuro…
ricordatelo…”
“Certo…
prima mi devono prendere… poi ne
parliamo”
“Adesso
basta… io dormo… tu fai la
guardia…”
“Ma chi
vuoi che ci venga a disturbare
qui?”
“Tu fai
la guardai e chiamami tra
quattro ore…”
“Va
bene… fai la guardia… qui…”
Trovato!
Dopo colazione,
Louk e Freddy uscirono
insieme, prendendo la scusa di andare a cercare un mezzo per andarsene
dal
pianeta.
Rachel rimase solo
nella casa, guardando
fuori da una finestra del soggiorno la pioggia che continuava a
scendere
copiosa, con la domestica che stava sparecchiando la tavola e
sistemando le
stanza da letto al piano superiore.
All’improvviso
qualcuno busso alla
porta.
Con un tempo del
genere, pensò Rachel,
chi vuoi che venga qui.
Aprì la
porta e si trovò davanti Haras.
“Fammi
entrare!” disse Haras “Diluvia
ancora su questo maledetto pianeta.”
Haras aveva un
mantello con cappuccio
che la ricopriva completamente fino ai piedi.
Entrando se lo
tolse, bagnando
l’ingresso, e porgendolo a Rachel.
Sotto aveva un
vestito scuro, lungo.
“Non
guardarmi così. Non ho cambiato
idea.” Haras lasciò la stupefatta Rachel in
corridoio e entrò in soggiorno.
Rachel appese il
mantello bagnato ad un
attaccapanni dell’ingresso e seguì Haras.
“So cosa
vuole l’Imperatrice.” Proseguì
Haras, avvicinandosi alla finestra e guardando la pioggia che
continuava a
scendere “Ma lei mi deve permettere di andare via da qui.
Devo lasciare Rodolfo
in qualche maniera. Sono stufa di questo tempo, di un marito stupido,
di non
avere niente da fare tutto il giorno, se non controllare chi mi vuole
morta.
Voglio viaggiare per l’Impero, capisci?” e
così dicendo si girò verso Rachel.
“Ma
prego, Haras, siediti!” gli rispose
Rachel, un po’ preoccupata.
Haras si sedette
sul divano, mentre
Rachel si accomodò su una poltrona.
Ci fu un lungo
silenzio, interrotto dal
ticchettio di un strano segnatempo posto a muro, che ogni tanto
emetteva uno
strano cu-cu. Gli oggetti bizzarri erano il passatempo di Louk, ma
quello…
“Vedi,
cara… “ comincio Haras “ lo so
che l’Imperatrice ha tanto da fare, che il club delle amiche
non può… o non
vuole essere coinvolto in certe faccende… ma se vieni qui e
mi chiedi aiuto,
qualcosa in cambio me lo devi pur dare. Oh, Rachel, non sai che fatica
vivere
su questo pianeta! Rodolfo è impossibile!” cosi
dicendo Haras incomincio a
piangere, asciugandosi gli occhi un fazzoletto molto lavorato, che
aveva nella
manica destra del vestito.
“Certo!
Ma se non eri qui, che cosa
sarebbe stata la tua vita?” le chiese Rachel
“Dopotutto, non sei di famiglia
nobile e qualcuno doveva controllare Rodolfo in questo
posto…”
“Ah,
bene, ora mi rinfacci anche la mia
condizione…”
“No,
Haras. Ti ricordo cos’eri prima che
l’Imperatrice ti facesse sposare Rodolfo. Non lo voleva
nessuno, e un uomo solo
pensa troppo a certe cose…”
“Cosa
vuoi che pensi, quello? Lo sai che
gli piacciono gli uomini? Già. Non lo dire a me. Ormai
è cinque anni che non mi
guarda. E non inventarti scuse sulla mie dimensioni: sono diventata
così per
colpa sua. Non lo vedi: le ragazze nella mia piscina sono nude e lui,
quando
viene a trovarmi, quelle poche volte, non le guarda. Anzi, alle volte
volge lo
sguardo altrove. Non parliamo poi del suo aiutante: sembra una donna.
Mi devi
aiutare Rachel, devo andare via!” insistette Haras.
“Come se
fosse così facile!” gli replicò
Rachel, alzandosi dalla poltrona e sedendosi vicino a lei sul divano.
“Qual
è il problema?” chiese Haras,
preoccupata.
“L’Imperatore
vuole che Rodolfo rimanga.
Gli è fedele. E in questa zona della galassia non vuole
venire nessuno a
comandarla. Troppi problemi con la popolazione, troppo diversa. E non
c’è
nessun di questa regione nel consiglio. Solo nelle delegazioni.
Purtroppo ,
senza Rodolfo, questa zona sarebbe alla sbando, e sai come
l’Imperatore Touk
continui a pungolare Rodolfo per farlo passare dalla sua
parte.”
“Ma Touk
è dell’altra galassia! No, il
problema non è Touk. Il problema è Makarre. Non
so cosa gli sia preso. Continua
a chiamare Rodolfo, a fargli domande su una cosa strana…
aspetta… ah, sì… la
giara della verità… ultimamente continua a
chiamarlo per sapere chi la deve
aprire e quando. Non so il perché, ma continua a chiederlo
in maniera insistente.
Tu sai cos’è?” chiese alla fine Haras.
Rachel la
guardò preoccupata. Si alzo
dal divano e cominciò a passeggiare avanti e indietro per la
stanza. Haras
cercò più di una volta di fermarla, con un cenno,
per capire, ma Rachel era
immersa nei suoi pensieri.
“Hai
detto che gli chiede della giara
della verità. Ma che ne sa Rodolfo della
giara?…” Rachel si era fermata nel
mezzo della stanza, con fare preoccupato.
“E’
quello che dico anch’io. Non ho mai
sentito parlarne di…”
“Tu non
devi neanche sapere che esiste.
Solo l’Imperatore e i suoi diretti successori sanno della
giara. Ascolta..
“disse Rachel, sedendosi ancora sul divano di fianco a Haras
“devi
assolutamente sapere tutto quello che tuo marito o il Barone Makarre
sanno
della giara. Forse non è la leggenda che Makarre vuole, ma
la giara.”
“Sì.
D’accordo. Ma io… non voglio
più…”
Rachel interruppe
la donna, ponendogli
il dito indice della mano destra sulle labbra.
“Tu
preoccupati di farci avere notizie,
e io mi preoccuperò affinché
l’Imperatrice pensi a te. Adesso vai.”
Così
dicendo, Rachel l’aiutò ad alzarsi dal divano e la
sospinse verso l’uscita. “Ti
farò sapere io.”
Rachel porse il
mantello ad Haras, che
incredula, se lo indossò ed uscì sotto la pioggia.
Mentre la pioggia
scemava e un pallido
sole, ormai al tramonto, faceva capolino tra le nuvole, Louk e Freddy
rientrarono a casa.
“Trovato!” Disse Louk entrando in
casa, seguito da
Freddy che irruppe in casa sospingendo Louk. I due si misero a ridere,
mentre
Rachel, scendendo le scale, gli andò incontro.
“Trovato
cosa?” chiese Rachel mentre si
aggiustava la camicetta.
“Hai
visto!” Disse Freddy “Noi a
lavorare e lei a dormire.”
“Trovato
cosa?” richiese Rachel,
stizzita.
“Makarre
è in combutta con l’Imperatore
Touk della vicina galassia. Vogliono detronizzare
l’Imperatore ed ampliare il
controllo di…” Louk si fermò.
Guardò la moglie stupito: sembrava che non lo
ascoltasse, continuando a sistemarsi la camicetta.
Feddy si era
già tolta il mantello e lo
aveva deposto sulla sedia, all’ingresso, ed era entrata nel
soggiorno. Si girò
a guardare Louk che si era fermato a metà del discorso, con
in mano il laccio
del mantello mezzo slacciato.
Tornò
indietro e vide Rachel che si
stava ancora sistemando la camicetta.
“Cosa sai
che io non so?” chiese Louk,
guardando la moglie con fare sospettoso ed interrogatorio.
“Niente,
caro.” Disse lei, finendo di
allacciare l’ultimo bottone e dirigendosi in soggiorno.
Freddy se la vide
passare di fianco
mentre dalle labbra di Rachel usciva un sorrisetto ironico e Louk la
seguiva
con lo sguardo , impietrito all’ingresso.
“Chi ti
è venuto a trovare?” chiese
Freddy.
“Haras.”
Rispose Rachel
Louk
finì di slacciare il laccio del
matello, che lasciò cadere per terra, e di diresse verso la
moglie, mentre sul
volto di Freddy la meraviglia era molto evidente.
“Haras,
qui?” chiese Louk
“Perchè?”
gli fece eco Freddy
“Sapete
com’é. E’ stanca del marito, di
questo posto… la noia… i
tradimenti…” disse Rachel con fare superiore.
“Non
è possibile. Cosa gli hai promesso,
o meglio, cosa gli ha promesso il club della amiche?” chiese
Louk, mentre
Freddy gli si avvicinò alle spalle e squadrò
Rachel, che si stava versando da
bere in un bicchiere nero da una caraffa piena di un liquido rosso.
Rachel prese il
bicchiere, lo guardo
come se cercasse qualcosa nel bicchiere, sorseggiò il
contenuto e, con una luce
negli occhi decisamente di una che l’aveva combinata
furbescamente grossa,
disse: “Niente. All’Imperatrice di Haras non gli
importa niente. Al club delle
amiche meno che meno. Non sa stare al suo posto, fa quello che vuole,
sempre…
No, miei cari, Haras sa che qui dovrà vivere e morire, ma ci
prova… e ci
proverà finché avrà vita. Ma sapete
com’è l’Imperatrice: una volta tradita
la
sua fiducia, niente e nessuno può fargli cambiare
idea.” Sorseggiò ancora dal
bicchiere e si diresse ad una poltrona, dove si sedette con eleganza,
facendo
volteggiare la sua lunga e larga gonna nera con ricami rossi.
“Haras spera che
l’Imperatrice la perdoni, ma ormai è passato tanto
di quel tempo che
l’Imperatrice non sa neanche più che esiste. No,
non gli ho promesso niente, ma
lei spera… Comunque (continuò Rachel dopo un
sospiro) la vera notizia è che
qualcuno sa della giara della verità e potrebbe
impossessarsene. Avete trovato
un mezzo per andare via?” chiese infine Rachel.
Freddy si
avvicinò al tavolo, si verso
anche lei in un bicchiere nero il liquido della caraffa e lo
trangugiò d’un
fiato.
“Tutta
fatica sprecata.” Disse dopo
essersi asciugata la bocca con la maniche del suo vestito.
Louk la
guardò mentre compiva quel gesto
così sconsiderato, almeno per le donne di corte, e Freddy
ricambio con un cenno
scontroso del capo.
“Si.
Abbiamo trovato un mezzo.” Disse
Louk, emettendo un sospiro e guardando la moglie, che se la stava
tranquillamente ridendo, con quel sorrisetto beffardo che non si era
mai tolta
dal viso. “Domani partiamo. Prepariamo i bagagli.”
Così dicendo Louk si girò
per andare al piano superiore. “Oh cara..” disse
voltandosi verso la moglie “..
non ti dispiace se Freddy viene con noi, vero?”
“Figurati,
caro.” Disse beffardamente la
donna “Come posso rifiutare un passaggio a sua
signoria.”
“E’
pronto da mangiare.” La vecchia
domestica apparve dal nulla.
Louk
trasalì.
“Va bene.
Adesso arriviamo.” Rispose
Freddy.
La notte stava
giungendo su quel pianeta
dimenticato da tutti.
Freddy, Louk e
Rachel si accomodarono
nel soggiorno a cenare.
Nel palazzo la vita
scorreva come al
solito, tra le mollezze e le agiatezze che solo le persone ricche sono
abituate
a sopportare.
La popolazione del
pianeta da una parte
trascorse le serate come al solito, dall’altra si preparava
ad un nuovo giorno.
Ma qualcuno, nello
spazio, controllava e
voleva sapere.