Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: BloodyCandy    30/05/2016    2 recensioni
[Ereri, Jearmin (ship secondaria) | Reincarnation AU]
Eren Jaeger è cosciente di ciò che accadde più di mille anni fa. L'incubo dei titani, le urla disperate dei suoi compagni di squadra e il ricordo vivido della sua morte continuano a tormentarlo anche ora che la sua vita si può definire normale.
Un giorno, però, fa un incontro che non si aspettava di fare: Levi, l'uomo per cui provava qualcosa, è lì, davanti a lui. Levi sembra riconoscerlo, o forse no, forse sta cercando di nascondere qualcosa, o semplicemente non vuole che il suo passato influenzi il suo presente.
Fatto sta che quell'incontro, in un modo o nell'altro, sconvolgerà la vita di entrambi.
Cosa succederebbe se questa tempesta finisse? E se invece fosse solo iniziata?
Genere: Drammatico, Erotico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Armin, Arlart, Eren, Jaeger, Irvin, Smith, Jean, Kirshtein
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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 ...Forse


~ 30 Ottobre 2015 ~


Quel venerdì non era passato dal Teezeit Bäckerei come era solito fare e, appena era arrivato a casa dalla sua mezza giornata lavorativa – non proprio mezza perché, come sempre, era stato trattenuto in libreria più del dovuto –, si era fiondato nell'armadio a cercare qualcosa di elegante da mettere quella sera.
Il giorno prima Levi gli aveva riferito l'ora e il luogo in cui si sarebbero dovuti incontrare – alle sei e mezza del pomeriggio in una stazione della metro che non conosceva – e, anche se Eren aveva lottato tanto per farsi dare il suo numero di cellulare perché "si beh, non si sa mai, magari succede qualche imprevisto e sai com'è...", Levi, probabilmente intuendo i suoi secondi fini, non aveva ceduto, e aveva aggiunto che il non poterlo avvisare di eventuali imprevisti doveva essere un pretesto per starne lontano ed arrivare puntuale. Tipico di Levi.
Rovistò tra i vestiti puliti alla ricerca di una camicia che poteva spacciare per elegante e che era sicuro si stesse nascondendo in qualche angolo remoto del cassetto. Doveva esserci, diamine. Chi non ha una semplice camicia bianca senza disegni strani, magari regalata da qualche parente poco fantasioso, appallottolata nell'armadio e che sbuca fuori quando serve? E pensare che Armin si era proposto di prestargli qualcosa, nel caso gli servisse, ma lui era più che sicuro di avere quel che gli serviva nell'armadio. Almeno fino a quel momento.
A proposito di Armin, questa volta Eren non gli aveva nascosto nulla e, quando gli aveva rivelato che Levi lo aveva invitato ad uscire per cena, il biondo aveva fatto dei salti di gioia e gli aveva fatto promettere che l'avrebbe tenuto aggiornato sugli eventi. E in tutto questo sembrava essere più entusiasta di Eren stesso. Anzi, lo era sicuramente, almeno lui non aveva l'ansia di dover essere in quel posto che non conosceva, alle diciotto e trenta minuti in punto e con indosso "qualcosa di elegante" che non riusciva a trovare da nessuna parte.
In un impeto di rabbia sfilò il cassetto dall'armadio e ne rovesciò il contenuto sul letto, per poi pentirsene subito dopo. Se solo avesse avuto più tempo sarebbe andato a comprarsi qualcosa ma a quel punto doveva cavarsela con quello che aveva, ovvero più o meno nulla. Non poteva nemmeno contare sull'aiuto dell'amico che in quel momento stava lavorando e, in qualunque caso, vestiva almeno una taglia più piccola della sua.
Si lasciò cadere sul letto, dove i suoi vestiti giacevano tristemente, e si prese la testa tra le mani. Era davvero possibile che un mucchietto di stoffa gli avrebbe rovinato la giornata?
Se Levi gli avesse dato il suo numero a quest'ora si sarebbe inventato una scusa per posticipare l'appuntamento. Ah, no, Levi non voleva che lo chiamasse “appuntamento” anche se, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovargli un nome alternativo.
Aaah, al diavolo! Quello era un appuntamento in piena regola! Altrimenti perché doveva sentirsi così in ansia?
Con un colpo di reni si tirò su e rimise il cassetto al suo posto; ai vestiti che aveva sparpagliato sul letto ci avrebbe pensato quando sarebbe tornato dalla cena.
Decise di archiviare per il momento la questione “camicia” che lo stava facendo letteralmente impazzire, quindi aprì l'anta dell'armadio e, rovistando tra le giacche, ne trovò una grigio scuro piuttosto elegante. Non aveva la benché minima idea di quando l'avesse comprata, sempre se l'aveva comprata lui, ma in quel momento l'unica cosa a cui riusciva a pensare era che bene o male, grazie a Dio, ora aveva qualcosa da mettere.
La ricerca dei pantaloni fu piuttosto facile, per le scarpe decise di indossare le sue fidate Converse e, quando aprì uno dei cassetti per munirsi di boxer e andare a fare una doccia, trovò la camicia che tanto aveva cercato, lì, accartocciata in un angolo a prendersi beffa di lui. ― Stronza ―, sussurrò tra i denti, andando a prendere contro voglia l'asse e il ferro da stiro. Forse era arrivato il momento di sistemare la roba nei cassetti e dargli un ordine logico...Sì, prima o poi l'avrebbe fatto, ma non oggi.
Armandosi di tanta pazienza, riuscì ad ottenere una camicia perfettamente stirata e, per evitare di dover lottare con altre pieghe, la appoggiò sullo schienale di una sedia.
Recuperò i boxer che aveva tirato fuori dal cassetto e andò a farsi una doccia veloce, giocò qualche minuto davanti allo specchio con i capelli bagnati e sperimentò qualche acconciatura, magari tirandoli indietro sarebbe sembrato una persona più seria. E invece no, sembrava solo uno psicopatico; quindi li asciugò come era solito fare ed uscì dal bagno.
Sorprendentemente si rese conto di essere in anticipo e si poté quindi permettere di oziare davanti alla televisione per qualche minuto, sdraiato tra i vestiti che si era ripromesso di sistemare più tardi e, quando arrivò l'ora, indossò i capi che aveva scelto – anzi, trovato – ed uscì di casa.
In una decina di minuti raggiunse la stazione della metropolitana più vicina, passò i tornelli e prese, finalmente, il treno.
Ad ogni fermata annunciata si sentiva sempre più agitato e ad un certo punto iniziò a sentire il suo cuore battere così forte contro lo sterno che per un attimo ebbe paura che potesse uscirgli dal petto e farsi una passeggiata per conto suo. Non aveva idea di cosa aspettarsi da quell'appuntamento, in fondo era la prima volta che uscivano insieme; senza avere paura di essere divorati da un momento all'altro da un gigante, si intende. E no, le volte in cui si erano incontrati di nascosto nelle stalle non si potevano considerare appuntamenti.
Mandò un messaggio ad Armin. Gli scrisse che alla fine aveva trovato qualcosa da mettere, che aveva preso la metropolitana e che c'era puzza di cane bagnato. Lo fece più per smorzare l'ansia che per altro. In fin dei conti era quasi sicuro che ad Armin non interessasse nulla di quello che aveva scritto, lui moriva dalla voglia di sapere cosa sarebbe successo con Levi. E a dirla tutta avrebbe tanto voluto saperlo anche lui. Quali erano le sue intenzioni? Era un tipo da sesso al primo appuntamento e aveva intenzione di farlo ubriacare per rendere le cose più facili? Non che ci fosse il bisogno di farlo ubriacare per portarselo a letto. O forse voleva davvero solo parlare? In ogni caso il fatto che si trovasse lì, con il cuore in gola, a contare le fermate che lo separavano da lui, voleva dire solo una cosa: aveva catturato la sua attenzione.
Questo però non lo aiutò a tranquillizzarsi e, come se non bastasse, l'ansia sfociò nella terribile sensazione di essersi dimenticato qualcosa di importante. Si controllò le tasche del cappotto, che non aveva abbottonato, più volte per accertarsi che avesse tutto ma, poiché sembrava non mancare nulla, provò a rilassarsi e a non pensarci più.
Ci volle parecchio tempo per raggiungere la stazione dove Levi gli aveva dato appuntamento, quasi un'ora per essere precisi, ma alla fine arrivò e riconobbe anche l'uscita che l'altro gli aveva detto di seguire. Lentamente salì le scale e ad ogni gradino sentiva il dubbio di non trovarci nessuno in cima – o perché l'ex Caporale l'aveva preso in giro o perché aveva sbagliato fermata – farsi sempre più forte. Entrambe le possibilità lo spaventavano da morire. Comunque la figura esile e scura che si materializzò gradualmente davanti a lui come un miraggio mandò via ogni preoccupazione, facendogli stirare le labbra in un sorriso rilassato.
Levi si accorse della presenza dell'altro solo quando gli fu praticamente davanti e, senza dire nulla, controllò il suo orologio da polso. Intorno a lui l'aria odorava di fumo ma ad Eren non diede particolarmente fastidio, anzi, trovava che si sposasse perfettamente con il suo profumo.
― Sono in orario? ― chiese infine, dopo aver studiato attentamente ogni particolare di Levi che nel suo completo nero era incredibilmente sexy. Anche se aveva preso a guardarlo torvo.
― Sì, ma non hai la cravatta, moccioso.
E in un secondo Eren sentì il mondo cadergli addosso e schiacciarlo sull'asfalto. Ecco cosa si era dimenticato. E si sentiva stupido, infinitamente stupido. Come diavolo aveva fatto a scordarsene?!
Levi gli rivolse l'ennesimo sguardo accigliato seguito da un lungo sospiro, che fece chiedere ad Eren cosa avesse sbagliato nella sua intera vita. Perché qualcosa l'aveva sbagliata per forza.
― Non ci faranno entrare se non hai la cravatta.
Se avesse avuto una pala a disposizione, il castano in quel momento si sarebbe scavato una buca profonda due metri e ci si sarebbe calato dentro.
Abbassò lo sguardo e si tirò un paio di cazzotti immaginari in piena faccia. Provò a scusarsi ma le parole gli si strozzarono in gola quando sentì la morsa della mano di Levi stringergli il polso e tirarlo verso la strada.
― Dai, muoviti, prima che la prenotazione che ho fatto vada a puttane e al posto della cena ci ritroviamo a fare colazione al McCafé.
Dal suo tono di voce non sembrava essere particolarmente arrabbiato e il fatto che avesse ugualmente intenzione di mandare avanti l'appuntamento, nonostante il suo accompagnatore fosse una totale testa di cazzo, fece sentire Eren un po' meno una merda.
Lo seguì silenziosamente sulle strisce pedonali e poi dall'altra parte della strada, tenendo lo sguardo fisso sulla mano che stringeva il suo polso. Arrossì lievemente e gli dispiacque parecchio avere le maniche lunghe e non riuscire a sentire direttamente sulla sua pelle il contatto di quella del Caporale che, tra l'altro, lo sentiva attraverso la stoffa, era gelata. Se solo non fossero stati poco più che degli sconosciuti gli avrebbe preso le mani e gliele avrebbe scaldate tra le sue.
Per un istante quell'immagine gli trapassò la mente come un proiettile vagante. Aveva già tenuto le mani di Levi strette tra le sue in passato, e in quell'occasione erano più fredde di quanto non fossero in quel momento. Fredde come un cadavere, pensò senza volerlo. Provò a sopprimere quel ricordo che si stava facendo strada nella sua mente cercando di focalizzare la sua attenzione su quello che lo circondava ma, prima ancora di accorgersene, la città intorno a lui sparì, per fare spazio ad uno sfondo fatto di alberi giganti e un tramonto rosso come non l'aveva mai visto. Sentì un profondo senso di tristezza premergli sul petto, la puzza di smog sostituirsi a quella stucchevole del sangue mescolato a quello della foresta. Si sentì cadere a terra, l'erba umidiccia bagnargli le ginocchia attraverso i pantaloni, il sapore delle lacrime invadergli la gola e la bocca, poi il viso pallido di Levi e le sue mani gelate e insanguinate tra le sue.
Inspirò rumorosamente e ritrasse il braccio che l'altro gli stava stringendo, come se la mano stretta attorno al suo polso avesse preso improvvisamente a scottare.
Come era sparito, il grigiore della città, con i suoi rumori e odori, era tornato a circondarlo, ed Eren non fu mai così felice di avere i polmoni pieni di inquinamento.
Quel flash era durato pochi secondi, ma erano stati abbastanza perché le vene sulle sue tempie iniziassero a pulsare e la sua testa a girare, tanto che dovette appoggiarsi alla vetrina del negozio davanti alla quale Levi si era fermato, prima di poter anche solo immaginare di fare qualche altro passo.
― Stai bene? Sei pallido. ― La voce di Levi gli arrivò alle orecchie leggermente ovattata, ma fluida come il miele e condita da una leggera nota preoccupata che fece colorare delicatamente le guance al più alto.
― È solo un calo di pressione. Ma sto già meglio ― mentì, leggermente affannato. Provò a tornare a stare in equilibrio sulle sue gambe ma si accorse di star tremando. Maledetti, maledetti ricordi che tornavano a galla nei momenti meno opportuni. Respirò a fondo e gli sembrò di essere stato in apnea per troppo tempo.
― È colpa della droga ― lo canzonò l'altro, forse in un goffo tentativo di far riprendere l'altro, che aggrottò le sopracciglia e si mise subito sulla difensiva.
― Io non mi drogo! ― esclamò, non capendo da dove diavolo avesse tirato fuori quell'affermazione.
No, ok, pensandoci meglio poteva immaginarlo.
― Hai bisogno di un po' d'acqua, comunque?
Scosse la testa. ― No. No, te l'ho detto, sto bene. ― Sorrise. Effettivamente si sentiva meglio. Era ancora leggermente scombussolato, ma perlomeno aveva smesso di tremare e questo gli avrebbe consentito di camminare senza aver paura di ritrovarsi magicamente a terra. ― Andiamo?
Levi annuì ed entrò nel negozio davanti alla quale si erano fermati, ed Eren non ebbe altra scelta che seguirlo, sebbene leggermente confuso.
Ma appena mise piede dentro non gli ci volle molto per capire cosa erano entrati a fare, data la quantità spropositata di cravatte sistemate ordinatamente negli appositi scomparti.
Il pavimento di marmo e gli eleganti scaffali in legno di mogano lo fecero sentire leggermente a disagio, non era abituato a tutto quel lusso e, nonostante gli abiti che indossava si accordassero all'ambiente, si sentiva assolutamente fuori luogo.
Accorciò le distanze con Levi, come se in quel posto ci fosse qualcosa da cui solo il Caporale potesse difenderlo, e la sensazione di inadeguatezza quasi svanì.
― Quale ti piace?
Eren sobbalzò quando sentì la voce del Caporale, come se la barriera che si era costruito attorno fosse scoppiata come una bolla di sapone.
― Oh, ehm...forse... ― rispose biascicando le parole e prendendo in mano quella più vicina. Non perché fosse quella che più gli aggradava, semplicemente perché era la più vicina. In fondo lui non ci capiva nulla di cravatte.
Levi sospirò avvilito, ed Eren riuscì a sentire il suono del suo cuore spezzarsi per l'ennesima volta. Cosa aveva sbagliato ancora?
―Quella è da giorno ― lo informò l'altro, cercandone una che andasse bene, per poi estrarre dal suo scomparto una cravatta scura decorata da delle sottili righe oblique verdi e turchesi. ― Questa penso ti stia bene ― disse, avvicinandola al collo del castano.
Eren annuì a testa bassa. Doveva ammettere di essere una frana, più provava a non fare casini e più ne faceva. E ancora non si era scusato per il disagio che aveva creato.
― Scusami, Levi.
― Non importa ― rispose il Caporale, dirigendosi verso la cassa e facendo segno all'altro di seguirlo. ― Non hai fatto nulla a cui non si potesse trovare rimedio.
Il cassiere batté lo scontrino ed Eren rimase impietrito e con gli occhi sbarrati quando vide un numero a tre cifre comparire sullo schermo. Con quella cifra faceva la spesa per due settimane se non di più. Rinvenne solo quando vide Levi pagare con la sua carta di credito, probabilmente timoroso di perdere dell'altro tempo nell'aspettare Eren, che ogni volta che provava a tirare fuori i soldi dal portafogli li faceva puntualmente cadere a terra. Salutarono educatamente il ragazzo alla cassa ed uscirono dal negozio per fermarsi qualche passo più avanti.
― Appena possibile ti restituirò i soldi.
― Figurati. È un regalo ― intervenne immediatamente Levi, passando la cravatta al castano senza lasciargli la possibilità di ribattere. ― Avanti, mettila.
Quand'era stata l'ultima volta che ne aveva indossata una? Sicuramente un sacco di tempo fa, perché si ricordava solo vagamente come annodarla e, una volta dimostrate le sue scarse capacità in materia, il Caporale non poté non notarlo.
― Un nodo così brutto non lo fa nemmeno mio nonno cieco col parkinson ― sentenziò, slegando l'obbrobrio che Eren aveva creato e riannodando la cravatta in un elegante nodo a dir poco perfetto, aggiungendo poi quasi tra sé e sé: ― Non sei abituato a queste cose, eh?
― Tu invece mi sembri piuttosto a tuo agio ― disse il più alto, prima ancora di accorgersi che la sua lingua si era messa in funzione e aveva esposto quello che stava pensando. Tutta colpa della pericolosa vicinanza con Levi che non faceva altro che sfiorargli il petto con le sue dita sottili, intento a fare quel maledetto nodo che Eren sapeva non sarebbe mai riuscito a replicare. Comunque ormai era tardi per tornare indietro, e le parole uscirono dalla sua bocca praticamente da sole. ― Mi chiedo come sei finito a lavorare in un bar modesto come quello.
In risposta Levi strinse bruscamente il nodo attorno al collo di Eren, strappandogli un debole sussulto sorpreso.
― Non sono affari tuoi ― sibilò, gli occhi ridotti a due fessure puntati sull'interlocutore che si ritrovò a deglutire a vuoto. Fortunatamente quello sguardo intimidatorio si addolcì pochi istanti dopo, proprio come la cravatta attorno alla gola del più alto che Levi allentò con calma, come a scusarsi per la reazione forse troppo esagerata che aveva avuto. ― Si è fatto tardi. Muoviamoci ― disse, prima di voltarsi e incamminarsi verso la loro meta. E ad Eren non restò che tornare a seguirlo.

Il ristorante in cui Levi lo portò era come quelli lussuosi che si vedono nei film, con la luce soffusa, i clienti vestiti elegantemente e una decina di posate apparentemente tutte uguali sistemate ordinatamente sul tavolo. Non poté fare a meno di guardarsi intorno e chiedersi cosa diavolo fosse passato per la mente del Caporale quando aveva deciso di portarlo lì.
Il cameriere che li accolse li accompagnò al loro posto, consegnandogli la lista dei piatti e congedandosi farfugliando qualcosa in francese che Eren capì a malapena, non conoscendo la lingua. Sentì lo stesso senso di inadeguatezza e disagio che aveva provato nel negozio tornare a tormentarlo, e focalizzare la sua attenzione sui nomi assurdi dei piatti elencati nel menù, per tentare di scacciare la sensazione di avere lo sguardo di tutti puntato addosso, non servì a molto.
Probabilmente rimase con la testa dentro il menù per parecchi minuti, perché l'ex Caporale gli chiese se aveva scelto cosa prendere con lo stesso tono di qualcuno che aspetta solo l'altro per ordinare. E la risposta di Eren fu un “No” secco, seguito da una risata nervosa. ― Sono davvero alti i prezzi, e la maggior parte delle cose non so cosa siano.
A questo punto si sarebbe aspettato l'ennesimo sospiro esasperato di Levi, ormai si era abituato a sentirli, quasi iniziavano a piacergli. Invece quello che sentì fu un comprensivo: ― Non preoccuparti dei prezzi, offro io. Se non sai cosa prendere posso ordinare qualcosa al tuo posto.
Pensare di far spendere tutti quei soldi a Levi, un quasi perfetto sconosciuto, che lavorava in un bar da quattro soldi e che non era sicuro avesse davvero tutti quei soldi da spendere per una cena – senza contare la cravatta di prima – lo mise a disagio. Quello che però lo fece cedere fu lo sguardo minaccioso che gli stava rivolgendo e che diceva chiaramente: “Offro io, moccioso, non provare a dire di no”.
― Va bene, va bene! ― rispose, mettendo le mani avanti come a supplicare di non fargli del male. ― Ma prima o poi ti offrirò io qualcosa.
Il Caporale rispose con un mezzo sorriso, che somigliava più ad un ghigno, e con un cenno chiamò il cameriere che arrivò davanti al loro tavolo con un taccuino in una mano e una penna nell'altra, pronto a prendere appunti. Eren non ebbe idea di che cosa Levi ordinò, dato i nomi delle pietanze pronunciati con un accento francese perfetto che non lasciavano intendere nemmeno per sbaglio a cosa si riferissero. Comunque decise di fidarsi di lui, infondo avrebbe mangiato qualunque cosa gli sarebbe capitata davanti.
― Parli bene il francese ― osservò Eren, non appena il cameriere si allontanò lasciando i due nuovamente soli. ― Magari suoni anche il pianoforte e degusti vini raffinati in bicchieri di cristallo ― continuò, prendendo tra le mani il calice a pochi centimetri da lui e muovendolo come se contenesse del prezioso liquido rosso. Era una figura così stereotipata che gli venne spontaneo ridacchiare sotto i baffi.
In risposta gli arrivò l'eco della sua stessa risata, solo condita da una buona dose di ironia. ― Sì, lo faccio. Sono felice che la cosa ti diverta.
Il viso di Eren a quel punto prese fuoco, o almeno, fu quella la sensazione che il ragazzo avvertì, e senza quasi nemmeno accorgersene, iniziò a parlare a raffica, come se la valanga di scuse che stava vomitando potesse coprire quello che aveva detto.
― Eren, ― sospirò Levi, fermando il suo accompagnatore che non accennava a tornare del suo colore naturale. ― vuoi sentire un paio di parolacce in francese?
― N-non mi sembra il caso ― rispose titubante Eren, non riuscendo a capire, dallo sguardo gelido dell'altro, se stesse scherzando o no.
A quel punto Levi si sporse leggermente in avanti ed Eren pensò di sciogliersi, tanto era il caldo che aveva iniziato a sentire in tutto il corpo. Poi sibilò seccato: ― Allora smettila di parlare a vanvera.
Quasi magicamente in mezzo al tavolo comparve una bottiglia d'acqua che fece immediatamente rinfrescare l'atmosfera infuocata – se per la vergogna o per l'eccitazione era ancora da decidere – che si era creata. Eren ringraziò il cameriere, forse più per aver interrotto quella situazione che per altro, e si riempì il bicchiere fino all'orlo. Aveva la gola secca e un disperato bisogno di reidratarsi.
― Ho vissuto una decina di anni in Francia ― spiegò Levi, prima che il silenzio che si era posto tra loro diventasse imbarazzante. ― È per questo che lo parlo bene.
Ad Eren quella confessione non fece altro che piacere, la interpretò come un'iniziativa da parte del Caporale di farsi conoscere, di rivelargli frammenti della sua vita che magari non aveva svelato ancora a nessuno. ― È bella la Francia? ― gli venne spontaneo chiedere, con le labbra piegate in un dolce sorriso.
Levi scrollò le spalle. ― Non me la ricordo ― disse, aggiungendo velocemente, senza lasciare il tempo ad Eren di fargli altre domande: ― Allora, dimmi. Dove ci siamo già incontrati?
― Ehm...al bar? ― rispose titubante l'altro, sostituendo il sorriso con un'espressione confusa.
A quell'affermazione il viso di Levi si incupì e ad Eren bastò guardarlo per capire ed iniziare a sudare freddo. ― Prima, moccioso.
― In metro ― si corresse, provando inutilmente a depistarlo.
Ed eccolo, l'ennesimo sospiro del Caporale. ― Prima. Non sono stupido, Eren.
― N-non ti seguo ― ammise, ed in parte era vero.
― Io il tuo nome l'ho letto sulla carta d'identità. Tu, il mio?
Eren fece due più due ed intuì con profonda vergogna che era stato così stupido da averlo chiamato per nome senza che Levi gli avesse detto come si chiamava. Avrebbe tanto voluto nascondersi sotto il tavolo e far finta di non esistere ma, non essendo possibile – insomma, che figura ci avrebbe fatto? –, rispose quello che gli sembrò più logico rispondere: ― S-sul cartellino della divisa.
― Non c'è nessun cartellino sulla mia divisa ― ribatté il più basso, con l'espressione più impassibile che Eren avesse mai visto.
― Beh, allora me l'hai detto tu. ― Insomma, da qualche parte doveva pur essere uscito questo maledetto nome. Non era possibile che si fossero incontrati più di mille anni fa quando i giganti gironzolavano felici per la città divorando persone innocenti e, dopo essere stati ammazzati nei peggiori dei modi, si erano reincarnati in delle persone identiche ai loro vecchi io e, guarda caso, avevano anche lo stesso nome. Assolutamente.
― Non credo proprio. Ti assicuro che me lo ricorderei.
Con grande sollievo di Eren, il cameriere tornò portando le ordinazioni ed interrompendo una conversazione dalla quale senza il suo aiuto, probabilmente, il castano non sarebbe riuscito ad uscire. Trattenne l'istinto di saltare tra le braccia del cameriere e si concentrò nel tentare di decifrare cosa diavolo ci fosse nel suo piatto.
― Boeuf bourguignon ― gli suggerì Levi. ― Spero ti piaccia.
Eren titubante assaggiò quella che sembrava essere carne mista a verdure e, con suo grande stupore, scoprì che non era niente male.
I due iniziarono a mangiare, avvolti dallo stesso silenzio imbarazzante che, qualche minuto prima, aveva minacciato di avvolgerli in un freddo abbraccio. Questa volta, però, ad Eren non dispiacque: non era preparato ad affrontare quel discorso e, ora come ora, non aveva nessuna intenzione di raccontargli come si erano incontrati. Non c'era nessun motivo per cui avrebbe dovuto farlo e i contro erano più dei pro. Anzi, se doveva essere sincero non gli sarebbe dispiaciuto rimanere così per sempre, con il Caporale che non gli poneva nessuna domanda a cui non avrebbe voluto rispondere, e lui che si godeva la sensazione di essersi ricongiunto all'uomo che aveva amato.
Ma a Levi importava ben poco cosa volesse Eren e, appena finì quello che aveva nel piatto, distrusse il vetro di silenzio che si era posto tra loro.
― Forse ho capito dove ci siamo già visti. Andavamo nello stesso liceo, vero? Eri nella classe vicino alle scale per il bar, mi fissavi sempre durante l'ora di educazione fisica.
Al castano, inizialmente, si era gelato il sangue nelle vene e per poco un boccone non gli finì di traverso ma, dopo aver sentito il resto della frase, sentì ogni suo muscolo distendersi e rilassarsi. A quel punto non gli rimaneva altro da fare se non sfoderare tutte le sue abilità di attore e recitare la parte che Levi gli aveva assegnato.
― Ah, cavolo! Mi hai scoperto... ― disse, cercando di sembrare più naturale possibile. ― E io che pensavo non mi avessi notato
― Come potevo non notarti, con gli occhi che ti ritrovi? ― rispose l'altro impassibile, facendo inevitabilmente arrossire il suo interlocutore che accennò a tornare di un colorito vagamente umano solo quando il Caporale estraesse da una tasca interna della sua giacca un blocchetto da disegno e glielo porse aggiungendo: ― Guarda questi.
Eren, incuriosito ma al tempo stesso titubante, prese dalle mani dell'altro l'oggetto e, dopo aver studiato rapidamente l'espressione di Levi – che non faceva maledettamente trapelare nulla – ci diede un'occhiata dentro. Rimase di stucco, quasi inquietato, quando vide la moltitudine di disegni che lo ritraevano. Di profilo, a tre quarti, primi piani dei suoi occhi in cui riusciva a scorgere una ricerca quasi ossessiva della giusta sfumatura di colore, piccoli particolari come la curva delicata della mandibola, i nei che aveva sul collo vicino all'orecchio destro, l'arco di cupido, le ciglia lunghe...
― Wow, devi avermi guardato bene in questi giorni ― diede voce ai suoi pensieri, restituendogli il blocchetto. Effettivamente per scorgere quei dettagli, a cui lui stesso non aveva mai prestato troppa attenzione, doveva avergli tenuto gli occhi addosso per molto tempo. Arrossì lievemente al solo pensiero di avere lo sguardo scrutatore di Levi puntato su ogni suo più piccolo particolare. ― Sei molto bravo a disegnare.
Il più basso non rispose al complimento, ripose nella tasca interna della giacca l'oggetto e, prima di proferire parola fece passare un'abbondante manciata di secondi, abbastanza per far prendere ancora alcuni bocconi di boeuf bourguignon all'altro.
― Sai Eren, oltre ad essere un moccioso tremendamente impacciato fai anche schifo a mentire.
Un pezzo di carne scivolò dalla forchetta del castano, rifinendo nel piatto e schizzando gocce di sugo sulla tovaglia, fortunatamente senza sporcargli i vestiti. Eren rimase a guardare l'altro con le labbra leggermente socchiuse e le sopracciglia aggrottate, in un'espressione confusa e delusa al tempo stesso.
― P-perché? Penso davvero che tu sia bravo, mi somigliano davvero! ― trovò il coraggio di dire, in sua difesa. Non riusciva a capire il perché di quelle parole che erano state dette col solo scopo di ferirlo.
― Smettila di fare il finto tonto, moccioso. ― Lo sguardo di Levi si incupì al punto che Eren iniziò ad avere paura. Sembrava avesse davvero perso la pazienza. ― Potrei metterti in difficoltà e ascoltarti balbettare cose senza senso ma, senza troppi giri di parole, ti dico che ho studiato da privatista sia alle medie che alle superiori. Dimmi dove diavolo ci siamo incontrati, prima che decida di fare qualche cazzata.
È davvero Levi?, si ritrovò a pensare Eren. Era questo il motivo per cui l'aveva invitato ad uscire? Il suo unico scopo era scoprire come facesse a conoscere il suo nome, anche a costo di fargli del male? Si sentiva così stupido ad aver pensato di interessargli.
― I-io, Levi... ― Si accorse di aver iniziato a sentire caldo e la sensazione di essere fissato da tutti gli ospiti del ristorante era diventata insopportabile. Voleva andarsene. Doveva andarsene. ― Scusami ― fu l'unica cosa che riuscì a dire, prima di alzarsi e dirigersi velocemente verso l'uscita, tenendo lo sguardo fisso sulla moquette, attento a non incrociare lo sguardo di nessuno.

 

 

Note dell'autrice:

Eeeeeeeeeeh, olleeeeeeè! No, ragazze non sono morta! Sono solo così incasinata che non ho tempo per scrivere, yahooo!
Mi dispiace, davvero, davvero, davvero tanto di avervi fatto aspettare per tutto questo tempo T-T ma ultimamente passo più giorni fuori casa che dentro e...capitemi, vi prego .-. Sono stanca. Mi rendo conto di aver scelto un brutto periodo per mettermi a scrivere ma vi prometto che finirò questa storiaccia, anche a costo di trascinarla per altri cinque anni. Spero possiate perdonarmi.
Comunque, chiedo scusa per la scena dei disegni, che è così mainstream che mi vergogno di averla scritta D: ma oh, la storia l'avevo pensata così, prima di scoprire che i disegni, nelle reincarnation au, sono onnipresenti, e così rimane .__. Chiedo venia anche per eventuali errori e frasi senza senso che probabilmente avrò scritto, non vi nascondo che ho riletto il capitolo superficialmente, quindi è molto probabile che ci sia qualcosa che non va.
Ultima cosa, vi lascio qui il link di un video ereri bellissimo che adoro e che mi ha dato l'imput per scrivere; inoltre la canzone, “What if the storm ends?” è anche un po' la colonna sonora di questa storia *^* Boh, a me piace un sacco.
Ciao, al prossimo capitolo u.u che calcolando la frequenza con cui li pubblico probabilmente arriverà l'anno prossimo (Y).

   
 
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