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Autore: zippo    14/04/2009    2 recensioni
Sono passati diversi mesi dalla morte di Dark Threat, Rebecca sta per diventare un angelo bianco e al suo fianco c’è Gabriel. Ma non sempre le cose sono così semplici come appaiono. In un angolo, in un respiro, in una lacrima…il Male è continuamente presente. E se lui non fosse morto? E se ritornasse? Il potere, dopotutto, è piacevole…e per corrompere l’animo innocente di una ragazza bastano poche finte promesse.
Il sequel di: Angelus Dominus - Il Bene -
Il secondo capitolo della saga: ALONE IN THE DARK. 
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 12 - RAGGIO DI SOLE -

[Io posso amare
ma ho bisogno del suo cuore.
Io sono forte anche da sola
ma da lui non voglio mai separarmi.
È stato qui da sempre,
il mio angelo Gabriele.

Benedetto il giorno che, nascendo,
le ali degli angeli lo portarono da me.

Io posso volare
ma voglio le sue ali.
Io posso brillare anche nell’oscurità
ma invidio la luce che emana
il mio angelo Gabriele]

Lamb - Gabriel -



***



Quando Rebecca tornò a casa le si era chiuso lo stomaco. Dovette comunque mangiare qualcosa altrimenti chi l’avrebbe sentito Gabriel se fosse svenuta. Ma nonostante la fame e la sete, a tavola, non riusciva a trovare sollievo né nel pezzetto di pane né nel bicchiere pieno d’acqua. Il cibo faticava a scendere e si bloccava a metà, lasciando a Rebecca una spiacevole sensazione d’ansia. Finito di mangiare quel poco che si era presa si alzò da tavola spazzolandosi la maglietta larga. Si bloccò con le mani a mezzaria e avvampò. Era uscita nel bosco mezza nuda e neanche se n’era accorta. Presa com’era dalla fretta e dalla voglia di sapere cosa voleva suo fratello non si era neppure cambiata. Ecco perché quegli sguardi languidi da parte del fratellastro.

“Porco” disse fra sé e sé.

“Spero che tu non stia pensando a me” le disse Gabriel.

Era in piedi a metà scalinata, fermo e attento che la guardava.

Rebecca arrossì e abbassò lo sguardo. “Che fai, mi spii?”

“Mi assicuravo che mangiassi qualcosa”

“Ma se hai dormito un’ora! Dì la verità, ti sei addormentato quando me ne sono andata e ora ti senti in colpa per non essere rimasto sveglio”

Gabriel fece un sorriso splendente. “Oh, la mia ragazza che è rimasta la stessa di sempre: una rompi palle uguale”

“Devi andare in bagno?” gli chiese aggirando il tavolo e mettendo il bicchiere nel lavabo per lavarlo.

Non lo sentì arrivare. Sentì la sua bocca sul collo.

Come scottata, Rebecca, si spostò.

Lui sorrise. “Paura?”

Lei si voltò e lo guardò con aria saccente e per niente intimorita. “Certo, mi hai fatto prendere un colpo. Non montarti la testa, non sei tu che fai paura” gli disse e con un passo aggraziato lo superò. Gli occhi ardenti di Gabriel non smettevano un attimo di seguirla. “Un gattino col fiocco rosa in testa fa più paura di te” lo prese in giro.

Gabriel scoppiò a ridere. La rincorse, la prese tra le braccia alzandola da terra e la fece volteggiare. Rebecca gli ordinò di metterla giù immediatamente.

“No” disse lui, irremovibile.

Con una mano Rebecca cercava di abbassarsi la maglietta che continuava a salire e con l’altra stava aggrappata al collo di lui. Gabriel la buttò come un sacco di patate sul divano. Aspettò di vederla rimbalzare e cadere a terra prima di andare in bagno.

“Lo sapevo che andava in bagno” brontolò la ragazza alzandosi da terra. Aveva tutti i capelli arruffati.

“Sai che fine ha fatto la cuffietta gialla con la paperella?” urlò Rebecca da una stanza all’altra.

Non le giunse la risposta di Gabriel ma in compenso lo sentì ridere.

Lui uscì dal bagno.

“Perché me lo chiedi?” domandò con un sorriso luminoso che gli incorniciava il viso.

Lei era ancora seduta per terra con la schiena appoggiata al divano. “Mi piaceva quando ti facevo lavorare in casa. Tu, con la tua cuffietta in testa, la traversa e la scopa in mano” scosse la testa al ricordo. “Un perfetto idiota”

“Attenta a come parli” l’avvisò avvicinandosi. “Potrei fartela pagare”

Rebecca fece una risata forzata. “Sì, certo, anche Dumbo volava…”

Lui aggrottò la fronte. “Chi è Dumbo, un tuo ex umano terrestre?”

Rebecca stava per scoppiargli a ridere in faccia. “Togli pure l’“ex”” gli disse.

Gabriel si fermò come paralizzato e la guardò allibito. Rebecca vide la sua faccia sbiancare. Ricadde a terra e rise rotolandosi sul tappeto fino a farsi venire il mal di pancia. “Oddio, dovevi vedere la tua faccia!” esclamò. Picchiò un pugno contro il tappeto. “Dumbo è un elefante dei cartoni animati” rise. “Un ex amante…” stava rischiando di morire soffocata.

Alzò la testa e vide che Gabriel non stava affatto ridendo. Era fermo in piedi e stringeva i pugni lungo i fianchi.

“Ridi! Fa ridere!” esclamò la ragazza con le lacrime agli occhi.

Nel momento in cui si sentì afferrare con forza il gomito e si alzò, tirata da quell’incredibile strattone, smise di ridere pure lei. Si ritrovò faccia a faccia con un Gabriel furioso.

“E ora che ho fatto di male?” sussurrò con un filo di voce.

“Pensi che mi sia piaciuto come scherzo?” la lasciò andare scuotendo la testa. “Sei tremenda” le disse.

Lei gli si avvicinò e gli posò le mani sul petto. Lo baciò sulle labbra e gli succhiò il labbro inferiore. Gabriel gemette contro la sua bocca.

“Era uno scherzo, credi davvero che ti tradirei con un elefante?”

Questa volta, più tranquillo, Gabriel sorrise. “Mi hai fatto prendere un colpo, non capisco mai quando sei seria o scherzi”

Lei si tirò più indietro e lo guardò come se fosse stupido. “Ma anche se fosse, credi davvero che verrei a dirti che ho l’amante?”

“Devi” grugnì.

“Oh, sì, certo…” si fece più vicina e lo baciò un’altra volta.

Quando si staccarono Gabriel le diede un bacio sulla fronte. “Lo sai che mia madre sta con Alan?” c’era irritazione nella sua voce.

Rebecca fece un bel sorriso. “Oh, sono felice per lei. Era ora che trovasse un uomo con il quale passare la sua vita solitaria. Forse ora che ha trovato l’amore smetterà di andare in giro per il pianeta”

Gabriel storse la bocca. “Ma perché proprio Alan?”

“Smettila, lo sappiamo tutti e due che adori Alan. Dì piuttosto che non ti va giù il fatto che Adele abbia un compagno. Questa si chiama gelosia del complesso edipico” gli disse con uno sguardo da sapientona.

“Mai sentito”

“Mai sentito Freud? Eppure sei venuto a scuola sulla Terra”

Lui scosse la testa e lei scrollò le spalle. “Beh, non ti sei perso niente”

Gabriel le strinse i fianchi e la fece arretrare fino al divano. “Lo immaginavo…” sospirò nell’incavo del suo collo.

La fece stendere sul divano e con un balzo si mise sopra di lei. I loro corpi aderivano alla perfezione. Rebecca incrociò le sue gambe attorno ai fianchi di Gabriel e sbuffò.

“Gabriel, intendi continuare così? Non possiamo farlo in continuazione…”

“Parla per te” borbottò lui con la bocca impegnata a baciare la sua pelle. “Devo ancora cominciare, ci sono andato piano con te” le sue mani non smettevano di cercare il suo corpo.

“Gabriel, è troppo? Mi stringi come sé…”

Lui la teneva così stretta che Rebecca faticava a respirare.

“Sì, è troppo” sussurrò.

Lei lo abbracciò ancora più forte, per fargli sentire che era lì con lui, viva. Lui temeva che scappasse ma gli fece capire che non se ne sarebbe andata da nessuna parte.

“Gabriel?”

Lui bevve il suo respiro. “Sì?”

“Ti amo e…smettila di cercarmi, sono qui”



***



La mattina seguente Gabriel uscì all’alba per prendere un po’ d’aria. Lasciò Rebecca nel divano, stesa a pancia in giù, che dormiva beata. La coprì lasciandole scoperta un po’ della schiena nuda e le baciò le scapole. Indossò i pantaloni che erano finiti per terra e rimase a petto nudo, si avvolse attorno alle spalle una lunga coperta blu di lana. Non appena aprì la porta inspirò quell’aria mattutina che sapeva di fresco e di acqua piovana, tipica delle mattine uggiose d’estate. C’era il sole che stava sorgendo oltre il monte, era ancora troppo presto perché fosse caldo.

Era soltanto l’alba, dopotutto.

Chiuse dietro di sé la porta e si sedette sul primo scalino in sasso grigio. Gli venne da ridere, pensò che quello era proprio un momento perfetto per fumare una sigaretta. Ma naturalmente a Chenzo non se ne trovavano di pacchetti di sigarette.

Guardò con aria assente il vialetto di casa e l’inizio della foresta. Non seppe quanto rimase così: a fissare il vuoto e a pensare, seppe solo che ad un certo punto sentì un forte tonfo provenire da dentro casa.

Corse dentro col fiato sospeso e molto preoccupato ma poi le sue labbra si incurvarono in un sorriso stupito. Rebecca nel divano doveva essersi girata dalla parte sbagliata perché era finita per terra. Le coperte erano arrotolate attorno al suo corpo e lei continuava a dormire sul tappeto morbido con un sorrisino appagato in volto. Non voleva svegliarla, per quanto gli sarebbe piaciuto rimanere a contemplarla, uscì senza far rumore.

Più tardi vide arrivare Denali con sua sorella. I due ragazzi aprirono leggermente la bocca, stupiti, nel vederlo fuori sulle scale. Si avvicinarono e Gabriel non diede loro il tempo di parlare.

“Si è svegliata” disse con un enorme e splendente sorriso.

Rosalie si sciolse dalla felicità con moderazione e Denali buttò fuori un enorme quantità di aria dai polmoni.

“Dov’è?” volle sapere Rosalie.

Gabriel indicò con la testa. “È dentro, sta dormendo”

“Possiamo vederla?”

Il ragazzo aggrottò la fronte, contrariato. “No” disse in tono deciso.

Cadendo Rebecca si era fatta scendere le coperte e sebbene dormiva ancora in posizione prona aveva completamente la schiena scoperta.

Gabriel guardò Denali squadrandolo.

Non voleva certo che il suo amico la vedesse conciata in quel modo. Neanche sua sorella. Lei era sua e solo lui poteva vederla così.

Rosalie parve delusa. “Oh, come mai?”

Gabriel arricciò le labbra in un modo squisito. “Non è nelle condizioni di essere ricevuta, fidati che non vorresti vederla”

La ragazza arrossì furiosamente e gli tirò un pugno sul braccio. “Sei un maiale, Gabriel! Possibile che debba avere un fratello pervertito che pensa solo al sesso? Oh, povera ragazza, non ha mangiato per settimane e tu l’unica cosa che le dai appena si riprende è…” non riuscì a terminare la frase.

Gabriel le andò vicino col viso. “Finisci la frase” la intimò.

Rosalie avvampò. “Piantala! Hai capito cosa voglio dire! Ma da chi hai preso in famiglia?” esclamò, completamente imbarazzata.

Gabriel rise forte e diede un pacca amichevole all’amico. “Come mai siete passati? È un po’ presto, o no?”      

“È mattina” grugnì la sorella. “Non è mica l’alba”

Gabriel la guardò ma poi lasciò perdere. Si risparmiò dal chiederle se era normale. Erano le sette, porca miseria!

“Bastian ha chiesto di Rebecca” gli disse Denali seriamente.

“No…” a Gabriel si mozzò il fiato in gola.

“Sì, penso che abbia una missione da darle”

“È stata male, ha rischiato di morire, è venuta a trovarla sì e no due volte. Non abbiamo mai avuto notizie di lui, è stato di un disinteresse schifosamente odioso e ora manda voi due a dirmi che Rebecca va in missione? Non poteva venire lui di persona, troppo difficile?” era arrabbiato, lo si vedeva benissimo.

Rosalie abbassò lo sguardo, dispiaciuta per il fratello. “Mi dispiace Gabriel, ma è così che funziona, è il suo compito fare queste cose. Ok che è stata male ma ora sta bene e dovrebbe incontrare Bastian prima di oggi pomeriggio, così che lui le spieghi il piano”

Gabriel avrebbe voluto urlare. “No! Lei non lascerà questo villaggio!”

Denali gli fece cenno di abbassare la voce. Gabriel si morse la lingua ma non si calmò. Respirava con affanno.    

La sorella lo accarezzò con gli occhi. “Ehi, lei è forte, apparte sé stessa non c’è nessuno che possa farle del male. Bastian ha ragione, Gabriel, sei cieco quando si tratta di lei. Se fossi rimasto solamente il suo maestro concorderesti con lui a farle fare più missioni possibili ma il fatto che tu sia ora innamorato di lei…” scosse la testa. “Vorresti tenerla in casa lontana da tutti per proteggerla ma lei è nata per combattere per noi, non puoi lasciarla dentro una campana di cristallo per sempre. Lei deve andare, è il suo lavoro, la sua responsabilità”

“Lei non ha mai chiesto niente del genere” ribattè aspramente Gabriel.

“Come non hai chiesto tu di nascere un angelo. Voi due siete nati con un dono ma avete anche il dovere di sfruttare questo vostro dono”

“È un dono e una maledizione, semmai. Oh, sono così stufo! Esiste la pace? Se esiste perché io non posso averla? Sono stanco di dover sempre lottare ”

“Lo sappiamo Gabriel, ma devi tenere duro. Questi giorni e questa vita passeranno. Hai l’immortalità che ti aspetta, hai davanti a te una vita infinita da vivere con Rebecca. Cosa vuoi che siano un paio di mesi?”

Gabriel la guardò come se fosse impazzita. “Può morire, Rose!” disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Non morirà: è invincibile” rispose sorridendogli.

Gabriel non sembrava così convinto ma almeno si era calmato dalle parole confortanti della sorella. Anche lui credeva che Rebecca fosse diventata talmente tanto forte da risultare imbattibile. Forse la sua potenza l’avrebbe salvata. Forse non era così sprovveduta come pensava lui.

Forse non ha così bisogno di me come penso io.

“Siete passati solo per questo?” chiese, rivolto più a Denali che era rimasto in un silenzio sacrale per tutto il tempo.

Il ragazzo annuì e fece un sorriso tirato, poi ritornò serio. “Lei sta bene?”

Gabriel lo guardò con il cipiglio innalzato.

Alludi forse a qualcos’altro, Denali?

C’è dell’altro che dovrei sapere riguardo la sua salute?

“Sì, ha mangiato, ha bevuto, ora sta molto meglio”

Denali lo guardò e Gabriel ricambiò l’intensità del suo sguardo. Poi guardò la sorella e la vide dispiaciuta.

“Cosa c’è?” le chiese un po’ sgarbatamente.

Rosalie sorvolò sul tono villano del fratello. “Volevo vederla”

“Oh, ma che impiastro che sei! Vieni a trovarla oggi pomeriggio se vuoi vederla, ora dorme ed è…”

Rosalie gli fece segno con le mani di fermarsi e si tappò le orecchie. “Ah! Non voglio sentirti!”

Gabriel si voltò scioccato verso Denali. “Ma fa sempre così?”

Denali parve trattenere una risata. “In che senso?”

“Beh” si accigliò il ragazzo. “Si scandalizza sempre quando parlo di sesso, mi fa venire dei dubbi in proposito”

“Che genere?” domandò, visibilmente incuriosito.

“Conosco mia sorella da quando sono nato ed è proprio perché sono suo fratello che non posso parlare ma, se fossi un ragazzo qualsiasi, la giudicherei una bomba del sesso”

Rosalie strabuzzò gli occhi che divennero due palline da golf. Denali emise un ghigno, probabilmente si ritrovò d’accordo con Gabriel.

“Che cosa hai detto? Che cosa sono io? Una bomba de che…?”

“Oh andiamo Rose, quando eri più giovane mi ricordo com’eri, sai? Mi ricordo delle orde di giovanotti che ti venivano a trovare e con i quali uscivi insieme la sera. Non sei mai stata una brava ragazza di casa pudica e innocente”   

“Ma guarda te cosa mi tocca sentire”

“Quindi evita di farmi la predica quando faccio l’amore con la mia ragazza, tu eri uguale a me” le disse, e poi aggiunse con un sorrisetto provocante: “Se non peggio”

Lei prese Denali per la manica della giacca e s’incamminò tirandoselo dietro come un animale. Era furiosa, camminava spedita e sembrava un carro armato in azione.

Denali cercò di liberarsi dalla sua morsa fatale. “Ma che fai? Lasciami!”

“Ce ne torniamo a casa, Denali!” sbraitò la ragazza. “E guai a te se solo ti azzardi a fiatare!”

Gabriel si piegò in due dal gran ridere mentre guardava la faccia spaventata e rassegnata di Denali che seguiva come un cagnolino una Rosalie bordeaux in volto e a dir poco adirata. Era sempre stata molto permalosa, una sorta di dea in collera quando si toccava la sua bellezza o la sua persona.

Quando Denali raggiunse il cancelletto, infondo al viale di casa, si voltò per salutare Gabriel con una mano alzata. Lui ricambiò il gesto con uno sguardo che sembrava dire: “sei fottuto, amico mio”.

Rosalie abbaiò come un cane. “Muoviti, non bighellonare!”

Quando i due ragazzi furono in strada Gabriel sentì Denali che chiedeva sottovoce a Rosalie: “Veramente avevi un branco di ragazzi che ti venivano a trovare?”

Lei gli gridò di starsene zitto e a cuccia.



***



Aveva sentito delle voci provenire dai gradini fuori casa. Subito non ci fece caso, era troppo assonnata e stanca per prestare attenzione a dei semplici chiacchierii. Si teneva raggomitolata su di un fianco e stringeva a sé le coperte per trarne ogni più piccolo spicchio di calore. La coperta di lana le prudeva la pelle nuda ma la faceva sentire riparata e protetta. Aprì un occhio e sbirciò con sguardo divertito il vano della porta. Dalla finestra capì che era mattina presto, il sole era lontano, doveva ancora brillare nel cielo. Uno strano odore che sapeva di polvere, tappeto e lana la fece starnutire.

Sentì la voce di Gabriel che parlava con qualcuno. Tese le orecchie e proiettò i suoi occhi oltre la soglia, trapassarono la porta e misero a fuoco la scena esterna. Vedeva ogni cosa, come se fosse lì con loro. C’erano Denali, Rosalie e Gabriel.

Gabriel rideva, non capì perché. Rosalie sembrava indispettita mentre Denali assecondava Gabriel prendendo in giro la ragazza. Dato che la conversazione non le interessava particolarmente ritirò la propria mente e la riportò nel salotto con lei. Si mise seduta e con una manata si lisciò i capelli arruffati e spettinati. Con un tocco della mano trasformò la coperta in un mantello in modo da non aver la fretta di mettersi qualcosa addosso, poteva restarsene tranquillamente così.

Era felice, quasi poteva sentire la felicità correrle dentro tutto il corpo. Ogni particella, ogni cellula del suo essere sprizzava gioia. Stava per mettersi a cantare quando, per lavarsi le mani, notò il colore della sua pelle. Ebbe un tale spavento che per poco non urlò dalla paura. Il cuore smise di battere e le salì in gola con prepotenza. Cominciò a tremare convulsamente. Si avvicinò agli occhi una mano tremante. Non poteva essere vero, non ci credeva. La sua mano era nera, sembrava ad una sfera trasparente contenente dell’acqua scura. Un liquido nero e denso scorreva, scivolava e fluttuava dentro il suo corpo donandole un colore scuro e intenso. Le pareva di essere macchiata, sporcata da un inchiostro liquido che colava sulla pelle.

Era malata. Quello era il segno di una brutta malattia.

Con affanno si ricordò della notte precedente. Atreius le aveva fatto intendere che soltanto chi possiede due occhi maligni, demoniaci e oscuri poteva vedere il mutamento a carico del veleno su di un corpo. Ed ecco perché solo Rebecca e Atreius vedevano la sua trasformazione.

Ora lei stava guardando con occhi sconvolti la presenza del veleno nel proprio corpo. Era ovunque. Suo fratello le aveva detto che il veleno, per il momento, l’aveva infettata per metà. Ed era vero. Era nelle gambe, nelle braccia, nella pancia, nella schiena e nella parte alta del petto. Con orrore vide che solamente il cuore e la testa erano ancora candidi e puri.

Cos’è che le aveva detto ancora Atreius?

Ah si.

Per completare la trasformazione di angelo nero serviva una delusione per il cuore e una sconfitta per la mente. Se il suo cuore si fosse spezzato per il dolore e la sua mente si fosse arresa sarebbe stata la fine.

È l’ultimo passo per la dannazione eterna: la corruzione dei due organi più importanti.

Le venne in mente subito Gabriel. Lui era l’unico fra tutti che poteva farla soffrire fino a quei punti. Spaventata e con la mente totalmente in tilt scivolò sul pavimento e si appoggiò con la schiena ad una gamba della tavola. Si teneva la mano macchiata in grembo e la cullava con l’altra, come se questo bastasse per far andar via il nero.

Gabriel aprì la porta ed entrò in casa, il suo viso accennava ad un sorriso. Era bellissimo quando sorrideva. Appena la vide si bloccò. L’ombra del sorriso si spense e indietreggiò come colpito al petto. Tempo due secondi di ripresa e subito le fu vicino. Corse e si inginocchiò sul pavimento.  

“Rebecca, stai bene? Che hai fatto?” la scorlò.

Rebecca spalancò la bocca, stupita.

Possibile che lui non vedeva il veleno scuro che le scorreva dentro la pelle?

Ah, giusto. Lui non è cattivo e i suoi occhi non riescono a vedere le tenebre.

Non è come me, lui.

Rebecca mosse una mano a toccare il braccio teso del ragazzo e lo accarezzò lentamente. “Sto bene, sto bene. Ho solo avuto un piccolo svenimento”

Gabriel era molto preoccupato, aveva tutti i nervi tesi come corde di violino. “Sei sicura che sia stato solo un piccolo svenimento? Oddio, se stai male dimmelo che ti porto da un curatore”

“No, sto bene, ti ho detto. Può succedere, non sono ancora nel pieno delle mie forze. Probabilmente devo ancora riprendermi, non ho mangiato molto ultimamente” mentì. Gli sorrise. “Sarà stato un calo di zuccheri”

Gabriel la guardò come se non le credesse per niente. Si alzò e l’aiutò ad alzarsi in piedi. Una volta in piedi Gabriel l’attirò verso di sé e l’abbracciò con disperazione. Nascose la faccia tra i suoi capelli e le strinse i fianchi possessivamente. Rebecca gli circondò il collo con le braccia e fece un sospiro.

Gabriel sciolse l’abbraccio e, prendendola per mano, la fece sedere su una sedia.

“Devi mangiare, sono stato un idiota a non dartene subito. Ora stai ferma lì che ti faccio un bel pranzo come si deve”

Rebecca lo guardò malissimo. “Gabriel, è mattina. Se hai tutta questa voglia di cucinare per me almeno fammi la colazione”

“Uova e pancetta?” le propose.

Rebecca storse il naso.

“Verdura e arance?”

La ragazza si portò un dito in bocca e fece finta di vomitare.

“Frittelle e latte?”

La ragazza sfoderò un sorriso smagliante e battè le mani. “Sì! Vada per le frittelle e il latte, allora!”

Gabriel si voltò verso i fornelli e prese una pentola, la prima che trovò nel ripiano. Rimase qualche secondo con la pentola in mano.
 
“Accidenti, e ora come si fanno le frittelle?” lo sentì borbottare.

“Ehm, vuoi che ti dia una mano? Io so farle, se ti va le facciamo insieme”

Gabriel girò la testa di scatto e la fulminò con gli occhi. “Tu stai ferma al tuo posto, ci penso io a farti la colazione. Non è possibile che sia sempre tu quella che fa da mangiare, servirò pure io a far qualcosa in questa casa, o no?”

Rebecca tossicchiò e, volutamente, alzò gli occhi verso il soffitto. Era arrossita. Gabriel la guardò basito.

“Oh, grazie tante! Servo solo a quello per te?”

“Beh, a tua discolpa bisogna dire che lo fai bene”

Gabriel mise giù la pentola sul ripiano e puntò i suoi occhi esterrefatti verso la ragazza. “Ma stai zitta! Allora potevi trovare chiunque che venisse a letto con te!”

Rebecca fece segno di no con l’indice assumendo un’aria da saputella. “No, io volevo il più carino”

Gabriel ghignò. “Questa mi pare una scusa cretina”

“Giusto, hai ragione” gli disse e si alzò dalla sedia. Gli andò incontro camminando molto sensualmente. Gabriel si accorse di trattenere il respiro. Non smetteva di seguire i suoi passi fluidi e leggeri. Quando Rebecca fu a quindici centimetri dal suo viso gli sussurrò: “La verità è che quando ti ho visto la prima volta non ho potuto non pensare a come sarebbe stato bello stare con te”

“Stare con me…?”

“Sì” finì per lui. “Nel senso intimo del termine”

Gabriel sentì improvvisamente un gran caldo intorno. Ma la cosa gli piaceva, eccome se gli piaceva…

Giocò un po’ con lei. “E io che pensavo che ti stessi antipatico”

“Erano preliminari, angelo. Proprio tu dovresti saperlo”

“Senti angelo, sono stati preliminari lunghi un anno intero. Non potevi velocizzare i tempi, ad esempio, farmi delle avances prima?”   

Lei corrucciò la fronte. “E a quale scopo? Così ti ho reso la caccia molto più difficile ed eccitante”

“Hai ragione” mormorò, completamente perso dentro i suoi occhi profondi.

Rebecca passò una mano tra i suoi capelli e lo attirò verso di lei. Fece incontrare le loro bocche in un bacio appassionato. Sentì il respiro di Gabriel farsi sempre più veloce, via via che approfondivano il bacio.

Gabriel le circondò i fianchi e la sollevò da terra mentre Rebecca agganciò le gambe attorno al suo bacino. Il ragazzo la depose sopra al bancone da cucina e si piazzò tra le sue gambe. Il mantello che Rebecca indossava le lasciò scoperte le gambe e anche parte delle cosce. Gabriel passò una mano sulle sue cosce aperte e lei gemette contro la sua bocca. Lui la guardò con smarrimento.

“Non riuscirò a sopravviverti, Rebecca” le disse e poi riprese a baciarla.

Ora anche il respiro di Rebecca era irregolare e affannoso. Le mancava l’aria, non riusciva a respirare con lui così addosso. Gabriel era ovunque sul suo corpo. Con le gambe se lo attirò più vicino. Gabriel appoggiò i palmi aperti delle mani sul freddo bancone e lei si aggrappò alle sue spalle. Rebecca si distese sul ripiano e trascinò Gabriel con sé.

“Devo farti le frittelle” disse ad un certo punto il ragazzo.

“Chi se ne importa delle frittelle ora!”

“Devi mangiare”

“Mi sto già nutrendo”

Gabriel si staccò e le diede un bacio a stampo sulla tempia. “Dai tesoro, avremo tempo dopo”

Detto ciò si allontanò e riprese la terrina fra le mani lasciando Rebecca sul tavolo con le gambe aperte e il mantello che le era sceso sul davanti, coprendo di poco il seno.

Lui la fissò con sguardo adorante. “Guardati, sei bellissima”

“E allora ritorna qui, per favore” lo pregò Rebecca.

Lui fu irremovibile. “No, ora mangi”

Con uno sbuffo Rebecca scese dal bancone e si sistemò il mantello. Ritornò a sedersi sulla sedia di prima con il broncio. Gabriel scoppiò a ridere.

“Che c’è?” sbottò la ragazza.

“No, stavo pensando che è un controsenso: ti faccio mangiare le frittelle e poi facciamo l’amore così bruci le calorie appena prese e siamo di nuovo da capo”

Anche Rebecca rise. “Ecco perché io avevo proposto di farlo subito, prima delle frittelle” incrociò le braccia al petto.

Si baciarono. Gabriel se la caricò in braccio e ritornò ad adagiarla sopra al bancone.

“Vedo che ti attira l’idea di farlo sopra il bancone!” disse Rebecca.

Gabriel le torturava il collo con le labbra. “Sì perché qui non l’abbiamo mai fatto”

“Un giorno dovremmo collaudare l’intera casa”

“Io ci sto!” esclamò con enfasi.

Rebecca non smetteva di ridere. Poi, mentre Gabriel scendeva a baciarle il corpo e pian piano la spogliava, aprì gli occhi e si accorse di com’era il suo corpo nudo. Le labbra di Gabriel erano posate sul suo ventre e le sue mani le toccavano i fianchi.

Ancora una volta si chiese come faceva a non vedere che la sua pelle era quasi completamente nera.



***



“Bastian vuole che tu lo raggiunga” le disse Gabriel dopo che ebbero finito di fare l’amore.

Rebecca si appoggiò con il gomito e guardò il ragazzo. “Davvero? Pensi che voglia darmi una missione?”

Gabriel non fu contento di leggere nel suo sguardo una certa trepidazione ed eccitazione. Si incupì. “Sì, anzi, sono sicuro che ti darà una missione. Stamattina sono venuti Rosalie e Denali apposta per dirmelo. Che farai?”

“Come che farò? È ovvio che andrò da lui! È da troppo che sono ferma e non sto facendo niente, sarà bello ricominciare ad essere d’aiuto”

“Detta così suona bene” brontolò.

“Oh, Gabriel…”

Gli prese la testa fra le mani e lo baciò dolcemente. Poi lo abbracciò e lo tenne cullato tra le sue braccia. “Non ti preoccupare, andrà tutto bene”

“Posso accompagnarti da Bastian?”

Rebecca si tirò indietro e lo osservò meglio. “Ne sei proprio sicuro?”

“Sì, almeno sentirò per intero di cosa tratta la tua missione”

“Perché?” si mise a ridere lei. “Io non ti racconto mai niente?”

“Mi dici sempre il mimino indispensabile, tanto perché io sappia le cose fondamentali. Hai paura che di nascosto ti insegua per tenerti d’occhio?”

“Diciamo che ho preso in considerazione l’ipotesi, sì”

“E che ne pensi?” domandò guardandola di traverso.

“Che se solo ti azzardi a seguirmi ti inforco con la spada, dico sul serio”

Gabriel sbuffò e assunse un’espressione frustrata e dispiaciuta. Rebecca gli tirò una sberla sul petto.

“Ma stai scherzando, vero? Gabriel, vado in missione, mica a divertirmi! Te ne starai a casa ad aspettarmi, proprio come i mariti aspettano le mogli di ritorno dal lavoro”

Il ragazzo inarcò le sopraciglia e puntò i suoi occhi incuriositi e divertiti al tempo stesso su Rebecca. “Hai detto mariti?” non credeva di aver sentito bene.

Rebecca si ritrovò a boccheggiare un paio di volte. “No, non l’ho detto”

“Sì, hai detto che devo aspettarti a casa come fanno tutti i bravi mariti. Vuoi così tanto essere mia moglie, Rebecca?” chiese, con un tono talmente divertito da far arrossire la ragazza.

“Ho avuto un lapsus” esclamò, a mo scusa.

“Tu che parli tanto di Freud, lo sapevi che questo simpatico uomo affermava che i lapsus linguae non sono soltanto errori verbali ma indicano i veri desideri e le passioni nascoste di una persona? Quello che ha parlato al posto tuo era il tuo desiderio inconscio più grande. Questi lapsus sono determinati tutti, naturalmente, da fattori sessuali”

“Imbroglione che non sei altro! Lo conoscevi allora Freud!” esclamò con aria offesa. “Ti diverti tanto a prenderti gioco di me?”

“Qualche volta succede”

“Sai che ti dico? Soffocati con il cuscino!”   

“Oh, andiamo! E sai, la cosa interessante è che i lapsus derivano da fattori sessuali repressi” la guardò con occhi ardenti e pieni di voluta provocazione.

Rebecca grugnì. “Guarda che arriva il cazzotto entro sera, Gabriel”

“Facevo per dire, anche perché…” si avvicinò al suo viso, il suo sguardo era di un’intensità mai vista. “…non mi sembra che tu abbia istinti sessuali repressi. Devo dire che vengono sempre fuori, infatti non ti ho mai sentita lamentarti”

“Potrei iniziare da ora a lamentarmi, e allora vedrai come ti lamenti anche tu”

“Tremo di paura” disse il ragazzo roteando gli occhi.

Rebecca schioccò la lingua. “Niente sesso fino al matrimonio. Vedrai ora come diventerai represso”

Detto ciò fece per alzarsi dal letto ma non appena Gabriel vide che si stava allontanando da lui la bloccò per un braccio e lei gli ricadde addosso. Le mani del ragazzo le strinsero i fianchi più forte che poterono. Con un unico movimento la inchiodò sul materasso. Una mano si spostò dai suoi fianchi alle sue gambe e gliele aprì. Si fece spazio tra le sue gambe aperte e spinse il bacino contro quello di lei. Rebecca mugolò di piacere e dovette mordersi il labbro inferiore per non gridare.

“Allora, sei ancora dell’idea del sesso dopo il matrimonio?” la stuzzicò Gabriel col respiro rotto.

Lei non poteva più parlare. Ogni volta che sentiva il corpo di Gabriel su di sé fremeva e non capiva più nulla. Ormai era da molto tempo che facevano l’amore ma ogni volta era come se fosse la prima. Il fuoco e la passione che li bruciava non sembrava volersi spegnere mai. Così quando Gabriel, pochi secondi dopo, entrò in lei, Rebecca sospirò. Era una pace divina che le toglieva sempre il respiro e la rendeva completa.

E lei era sua, e non c’era verità più bella di questa.

Fecero l’amore e nel momento dell’orgasmo Rebecca lo sentì gemere come se cercasse di non piangere.

Gabriel ricadde sul letto e si coprì gli occhi con un braccio.

“Dio, si può amare più di così?”

“Hai mai amato di più?”

“No. No, Rebecca”

Lei si accoccolò di fianco a lui e gli posò la testa sulla spalla.



***



Nel pomeriggio andarono entrambi da Bastian. Rebecca era da molto che non lo vedeva, ormai anche lui, come tutti gli altri, stava diventando un contorno di quella che era divenuta la sua nuova vita. Lei stessa non si sentiva più al sicuro in nessun luogo che non fosse casa sua e non riusciva più a stare con le persone che non fossero Gabriel. Si era allontanata dai suoi amici, tutti avevano paura di lei. Pure Bastian aveva preso le distanze, i suoi legami con il capo-villaggio si erano incrinati e irrimediabilmente compromessi.

Era normale che non si sentisse più a casa?

Possibile che passeggiava per le strade del suo villaggio e tutto le era indifferente, lontano e sconosciuto?

Dentro di lei si svolgeva un conflitto interiore che l’aveva cambiata, per sempre. Suo padre, addirittura, aveva smesso di parlarle, poiché dipendeva dalla sua volontà.

La scoperta, inoltre, di poter vedere il suo vero aspetto l’aveva demoralizzata. Poteva vedere a che punto era la trasformazione da parte del veleno ma era un’immagine troppo repellente e agghiacciante per essere richiamata quotidianamente alla mente. Il più delle volte preferiva non vedere. Ed era una fortuna che Gabriel fosse cieco a tutto ciò. Per una volta ringraziava la sua cecità.

Rebecca era così presa dal suo monologo interiore da non accorgersi neppure che Gabriel le stava parlando. Si riscosse, perplessa e immediatamente sull’attenti.

Fece una smorfia quando sentì ciò che il ragazzo le stava dicendo.

“…e se qualche soldato ti importuna tu non farti problemi a scagliargli addosso una qualche maledizione, ok? Gli conosco quegli uomini e sanno essere molto pesanti a volte, diciamo che non resistono ad una bella ragazza…poi se questa ragazza sa anche prendergli a calci nel culo ai loro occhi è ancora più appetibile. Quindi non farti problemi, minaccia verbalmente tutti quelli che vuoi e se solo uno di loro ti tocca hai il mio permesso personale di ammazzarlo. Rebecca, mi stai ascoltando?”

“Sì, e stai dicendo un mucchio di cavolate”

“Non dire così. Guarda che succede di continuo che i soldati si approfittano di ragazze come te”

“Non ragazze come me, Gabriel. Si approfittano di ragazze in generale, ma non ragazze come me. Se ci tengono alla loro vita è bene che non avvicinino un dito verso di me”

“Io comunque starei attento” ribadì.

Rebecca saltellò sul posto e imprecò. “Mamma mia, possibile che tu non ti fida mai di me?”

“Io mi fido di te” disse in tono sorpreso, come se fosse più che palese ciò che intendeva dire. “È degli altri che non mi fido”

“Taci e cammina” lo spintonò.

“Sono un po’ troppo geloso?” chiese in tono innocente.

“No!” esclamò sarcasticamente la ragazza. “Gabriel, tu sei troppo geloso, troppo protettivo e troppo possessivo!”

Gabriel le diede un colpetto con il gomito. “Beh, ma dì la verità che ti piace”

Lei lo fulminò con gli occhi. “Se è un modo per pararti il didietro non funziona con me”

“Si dice pararsi il culo, signorina so-tutto-io”

“L’ho detto solo per non essere maleducata” sbottò. “Ma tu non hai niente di meglio da fare che rompermi le palle?”

Gabriel la prese per le spalle e la baciò con passione. Rebecca si sentì svenire, per fortuna le braccia forti di Gabriel la sostenevano. Quando si staccarono Gabriel aveva stampato in faccia un enorme sorriso.

“Ci sarebbe questo, di meglio da fare”

Ripresero a camminare, Rebecca teneva la testa bassa e lasciava ciondolare le braccia lungo i fianchi. Gabriel non parlò. Arrivarono davanti alla casa di Bastian e lo scorsero dietro ai cespugli. Stava parlando con Alan. Rebecca sentì i muscoli del suo ragazzo irrigidirsi. Gli diede un pizzicotto sul braccio.

“Non fare cazzate” lo avvertì.

Gabriel soffiò, senza lasciare che i suoi occhi si allontanassero da Alan.

“Ciao, Alan” lo salutò Rebecca andandogli incontro con un largo sorriso. Gabriel la guadò sbalordito.

Rebecca abbracciò Alan con immenso affetto, dandogli delle pacche sulla schiena. Alan le diede un bacio sulla guancia e lasciò vagare i suoi occhi su di lei.

“Fatti guardare” disse lui. Rebecca girò su sé stessa con una piroetta. Alan allargò ancora di più il suo sorriso. “Sei in forma, e sempre più bella a quanto pare” le fece l’occhiolino.

La ragazza udì Gabriel sbuffare.

“Alan, è da tanto che non ti vedo. Come stai? Ciao, Bastian!” urlò Rebecca sbracciandosi per salutare il capo-villaggio che era ancora intento a lavorare tra i cespugli. Bastian drizzò la schiena e la salutò con la mano.

“Arrivo!” le disse.

Rebecca annuì e lui tornò a lavorare tra le erbacce.

Alan le diede un buffetto sulla guancia. “Io sto bene, ma tu? Ho sentito che non te la sei passata stupendamente”

“Ne ho passate di peggio, ora mi sento super in forma. Non vedi?” aprì le braccia e volteggiò, il suo viso era così luminoso da creare luce.

“Sì, lo vedo” le rispose l’uomo.

Inaspettatamente Rebecca gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò. Preso in contro piede Alan rimase con le braccia a mezzaria e lo sguardo confuso. Gli bastò puntare un attimo gli occhi su Gabriel per vederlo infastidito.

Rebecca avvicinò le labbra all’orecchio di Alan e sussurrò: “Sono contenta che tu e Adele abbiate trovato la felicità. Non badare Gabriel, è sempre stato molto geloso verso le persone che ama e sua madre è una di queste. Lui ti vuole molto bene ma dagli il tempo di digerire la cosa” detto ciò si staccò e gli fece un sorriso incoraggiante.

“Grazie” sillabò Alan.

“Di niente” sillabò a sua volta la ragazza, senza emettere alcun suono dalla bocca.

Si voltò verso Gabriel e gli andò incontro. Lo prese per mano e lo condusse verso Alan. Prima che i loro discorsi venissero uditi da tutti Gabriel le disse sottovoce:

“Non è molto carino da parte tua avere queste confidenze con il nemico”

“Non è un nemico, è soltanto il tuo futuro padre”

Per poco Gabriel non si ingozzò. Tossì talmente tanto e forte che quando raggiunse Alan lui lo guardò con preoccupazione.

“Tutto bene, Gabriel?”

Gabriel prese fiato. “Sì, Alan” si sforzò nel dire il suo nome. “Va tutto a meraviglia”

L’imbarazzo dell’uomo era palpabile. Abbassò gli occhi. Rebecca si strinse al braccio di Gabriel e guardò Alan con compassione.

Il ragazzo diede un bacio sulla nuca a Rebecca. “Sono contento per te, Alan. Ho saputo che ti sei innamorato di mia madre, abbi cura lei, mi raccomando”

Dire che Alan ne rimase contento è troppo poco. Quasi quasi si metteva a fare i salti di gioia, e anche Rebecca rimase molto soddisfatta del suo ragazzo. Incontrò gli occhi di lui e gli sorrise teneramente. Gabriel si piegò su di lei e la baciò.

Arrivò anche Bastian con le maniche arrotolate fino al gomito, la pelle abbronzata e i pantaloni sporchi di terra.   

“Cosa mi sono perso? Fate felice anche me” disse, riferendosi all’allegria generale che aleggiava negli sguardi di quelle tre persone.

Rebecca si strinse a Gabriel e lui le circondò i fianchi. “Ogni cosa va come deve andare, Bastian. Sono così contenta di vederti…non sei mai passato a trovarmi”

Lanciò un’occhiata a Gabriel prima di rispondere. “Casa vostra, mentre eri nel letto catatonica, era praticamente invivibile. Gabriel era un mastino, non faceva altro che abbaiare e sbattere porte in faccia. Alla fine ci ho rinunciato” fece spallucce.

Rebecca si voltò con la bocca aperta verso il ragazzo. “Hai dato di matto?”

“Beh, succede sai quando non sai più che santi chiamare per salvare la ragazza che ami” sbottò Gabriel.

“Mi pare di vederti: nervi a fior di pelle e appena qualcuno osa parlare tu gli salti addosso urlando”  

“Infatti è successo proprio così” disse Bastian, poi aggiunse. “Scommetto che sei venuta qui per sapere della tua missione”

“Sì” rispose lei seriamente.

Gabriel le afferrò ancora più saldamente i fianchi. Bastian le fece cenno di seguirla. Non appena anche Gabriel si avviò con loro, Bastian lo fermò.

“No Gabriel, dobbiamo parlare io e lei da soli”

La cosa non piacque proprio per niente al ragazzo che indietreggiò con aria minacciosa. La delusione nei suoi occhi intenerì Rebecca che dovette trattenersi dall’abbracciarlo e confortarlo.  

“Ci vediamo dopo” gli disse Rebecca con amore, lo incoraggiò con occhi dolci e premurosi.

Poi sparì oltre la soglia di casa.



***





 

 





 

    

 

 
  
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