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Autore: Lucky_Didi    14/04/2009    6 recensioni
Alias My Supernatural Chris, perché ho deciso di cambiare il titolo
Chris è una ragazza di quindici anni. Perfettamente normale. Almeno, fino all'arrivo di Alex: poi succedono cose strane. Si tratta di una coincidenza, o Alex sta proprio spiando Chris, al punto di trasferirsi nella casa accanto alla sua? Il loro legame darà inizio a una serie di fatti strani, dalle visioni alla telecinesi, che li terrà l'uno vicino all'altra fino a rendere letteralmente indispensabile il distacco..
Il cambiamento dell'introduzione è dovuto a un mutamento della trama, su cui sto lavorando da un pezzo, e anche il titolo della storia potrebbe subire una piccola modifica. Clikkate, leggete e recensite in tanti!
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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My Supernatural Chris

capitolo 3 - ti fidi di me?


Il suono pedante della sveglia mi avvisò che un altro giorno mi aspettava. La spensi con una manata e mi misi a sedere, di malavoglia. Mi guardai intorno, e vidi tutto sotto un’altra luce. Mi sembrava tutto diverso, più luminoso, più accogliente. Non seppi spiegarmi quella sensazione, ma ero decisa a farla durare a lungo.
Andai in cucina, di buonumore. Sentii un buon profumo... sapeva di menta... mi rifiutai di credere che Alex Williams fosse in casa mia anche a quell’ora della mattina. Infatti era il tè alla menta di mia madre.
Il dolce buonumore si spense un pochino al solo pensare di essere ormai ossessionata da lui. Lo vedevo ovunque, aspettandomi sempre di trovarmelo davanti, dietro di me, o in lontananza.
Feci colazione in fretta, andai a vestirmi e presi lo zaino, pronta per quel maledetto compito di algebra. Avevo dormito tanto, e mi sentivo serena e riposata.
-Ciao, mamma! Ciao, piccolo!- dissi ai due componenti della mia famiglia che alla mattina mi facevano compagnia. Papà, al solito, era al lavoro. Indugiai sul prendere la giacca o no, era aprile e faceva caldo. No, sarei uscita senza. Con un imbarazzante sorriso ingenuo stampato sulla faccia (quando sono contenta risulto infantile, purtroppo), aprii la porta di casa... e me lo trovai davanti. Convinta che fosse uno scherzo della mia perversa mente, proseguii. Non potei fare a meno di rispondergli, però, quando mi parlò:
-Buongiorno!-
-Argh... ciao Alex- mugugnai, ricordando che ora risiedeva a una quindicina di metri dalla mia casetta.
-Stasera vieni?- chiese lui, ignorando la mia faccia
-Dove, scusa?- domandai, confusa
prima che potesse rispondere, esplose un idrante, in parte a noi. Stavo provando a non farci più caso: Alex significava cose strane a tutte le ore del giorno, quindi tanto valeva abituarsi. -Cavolo, già di prima mattina? Beh, comunque a cena da noi! Sei l’unica che non si è ancora presentata- rispose lui, scansando il getto d’acqua gelata. -Io da sola? A cena da te?- ribadii, scombussolata
-Sì-
-Ehm, lo fai per le regole del buon vicinato, giusto?- chiesi io sospettosa.
-In parte...- gongolò lui, sfoderando un sorriso da mozzare il fiato. Sconclusionato e... bellissimo? Naaah, o l’una o l’altra!! -Che vuoi dire con “in parte”?- gli urlai io, ma lui si era già diretto verso casa sua. Chissà perché! Credevo volesse andare a scuola. Lo aspettai per un po’ sul marciapiede, sorprendendomi di me stessa e domandandomi cosa stessi facendo là impalata ad attenderlo. Quando mi rassegnai all’idea di non so neanche che cosa, diciamo solo che mi rassegnai a non fare tardi a scuola, sentii un potente rombo alle mie spalle. “Cosa porca miseria è?” mi chiesi, voltandomi.
Avrei potuto svenire, là di fronte alla Jaguar xf nero metallizzato, ma non sarebbe stato decoroso.
Quel maledetto angelo mi passò accanto, da bravo spandone, chiedendomi con aria spavalda dalla sua cabrio tenuta a passo d’uomo come un leone tenuto al guinzaglio: -Serve un passaggio?-. La mia risposta fu un mormorio simile a “sfrontato, sfacciato, presuntuosissimo spaccone...!” seguita da un udibile: -No, ti ringrazio! Rachel mi aspetta- mi stavo letteralmente sciogliendo: incassò il rifiuto senza il minimo rancore, anzi quasi soddisfazione, quando percepii appena un veloce occhiolino e un sorriso beffardo. Poi partì a tutta velocità.
Passai dalla mia amica, senza dire una parola per tutto il tragitto fino a scuola, con ancora davanti agli occhi quello scemo. Che bisogno c’era di mostrare una Jaguar in una zona tranquilla e semplice come quella in cui abitavo io? Almeno però sapevo una cosa in più su di lui: aveva sedici anni, avendo la patente. Non gliene avrei dati di più.
Arrivammo a scuola, e nel parcheggio, tra tutte le altre modestissime autovetture, spiccava da esattamente in mezzo al parcheggio, la sua auto, che suscitava invidia, stupore, meraviglia e strilli di ragazzine a non finire. Alex era già entrato a scuola, ma si poteva facilmente immaginare di chi fosse quel bolide. Anche Rachel tirò un breve urlo molto frivolo, nel vedere la Jaguar. -Rachey, ti prego! E’ solo un’auto!- la tranquillizzai, spingendola avanti, ma lei era immobile e voltata all’indietro mentre cercavo di farla avanzare.
Quando la mia amica, finalmente, si scordò di quell’auto passò all’argomento del giorno: Alex Williams. -Ehi, ho saputo che si è trasferito!- esclamò lei, mentre andavamo a biologia.
-Sì, infatti. Adesso abita in parte a me- dissi a denti stretti, cercando di far apparire la cosa meno entusiasmenate possibile, sperando che non le venisse un altro collasso.
-Cosa?! Dici sul serio?- disse lei, mollandomi una pacca sulla spalla. Annuii, con mio grande rammarico, ripromettendomi di non parlare più di Alex in presenza di Rachel, almeno per quel giorno.
Però ormai non pensavo più ad altro nemmeno io: Alex, superpoteri, superpoteri, Alex...
A biologia non riuscivo a non far fluttuare per aria la matita, causando ogni volta uno sguardo dubbioso del prof. Alex era molto vicino, in effetti: prima di entrare in classe lo avevo visto dirigersi in aula di francese, giusto in parte a quella di biologia.
-Chris stai ferma!- mi intimò Rachel, che cercava di seguire. -Uhm, sì scusa!- dissi io, lottando letteralmente contro la matita. “Alex, detesto doverti chiedere aiuto, ma come si ferma una matita volante?” pensai, mortificata.
“Oh, wow Chris! Ce l’hai fatta ad arrivare a scuola anche senza la mia auto?” pensò lui, divertito.
“Alex, come si tiene ferma una matita che levita?”
“Beh, in realtà quella Jaguar è di mia madre, ma oggi non è andata al lavoro, perciò l’ho presa io!” continuò facendo finta di non capire.
“Alex!” urlai immaginariamente, mentre lui gongolava sereno.
“Ok, ok! Semplicemente, tieni in mano la matita, o attaccala al banco con il nastro adesivo!” rispose lui. “Che imbecille” pensai rivolgendomi a me stessa. Per una volta non ci furono malintesi, e capì anche lui che non lo stavo insultando.
“A che cosa miri, per stasera?” chiesi io, con uno strano bisogno di non chiudere la conversazione.
“Come hai detto tu, alle regole del buon vicinato” rispose lui, con aria innocente. Ooh, no, non me la bevevo per niente. Tramava qualcosa. “D’accordo, se lo dici tu...” ribattei io facendo finta di convincermi.
Per miracolo, riuscii a seguire il resto della lezione, e mi feci interrogare senza problemi. Rimediai una B+, e così avrei fatto felici anche i miei genitori.
-Ti va di venire a vedere un film, stasera? Ci vengono anche Jason e Michelle- mi chiese Rachel, subito fuori dalla classe. Stavo per rispondere “certo! Cosa andiamo a vedere?” ma da dietro sbucò Alex, direttamente da francese, che mi sussurrò qualcosa all’orecchio, con tono suadente: -Ci vediamo alle sette, Chris-. Io mi bloccai come una scema in mezzo al corridoio, arrossendo stupidamente. Aveva parlato a voce bassissima, ma almeno quattro o cinque ragazze lì vicino lo avevano sentito, Rachel la prima di tutte; rimasero a guardarmi con un’espressione di scandalo misto a invidia pura.
-Beh?- mugolai io, con troppo poca convinzione. Nemmeno io avevo ancora mandato giù la cosa. Rachel non insistette più sull’argomento “cinema” per ovvi motivi, ma rimase a fissarmi con occhi storti per tutto il tragitto fino all’armadietto. Poi dovemmo affrontare il maledettissimo compito di algebra, di cui io mi ero perfettamente scordata.

-Com’è andato?- mi chiese Michelle, che fra parentesi non è certo la prima della classe. -Uhm, non esattamente come speravo!- dissi io, che già pregustavo le lavata di testa di mia madre, quando avrebbe scoperto che come minimo mi sarei presa una D. Stra-abbattuta posai il foglio quasi bianco sulla cattedra. La B+ che avevo appena preso in biologia non sarebbe servita a molto. Cavolo, però avevo passato praticamente un pomeriggio sui libri con Rachel per prendere una schifo di sufficienza... -Rachel ti ha parlato del cinema?- mi chiese Michelle, distraendomi alla grande.
-Ehm, certo- risposi
-Allora, sei dei nostri?- proseguì
-Beh, veramente ho già un impegno per stasera...- dissi io, sperando che non chiedesse altro, ma fu Rachey ad anticiparmi le cose: -Sì, si vede con Alex Williams!- esclamò lei, tutta agitata. Altri strilli di gioia da parte di tutt’eddue, cominciavo ad averne abbastanza. Per cosa poi, per uno sbruffone odioso impiccione del calibro di Alex? Il resto della giornata a scuola volò via in un secondo, e mi ritrovai già fuori, con mio splendido sollievo. Ecco però ricomparire il moro che faceva impazzire tutte le ragazze della scuola.
-Hey Chris, vuoi un passaggio?- disse lui, passandomi accanto, stavolta sconvolgendo realmente ogni ragazza nel raggio di dieci metri di distanza. Perché doveva indispormi ogni volta? “Cosa dico cosa dico cosa dico?” pensai in fibrilazione, e lui mi rispose prontamente, e soprattutto ad alta voce: -Pensa solo se vuoi fartela a piedi o no, e visto che siamo vicini di casa non devo neanche fare strada in più!-
Se avessi detto di sì tutta la scuola avrebbe pensato che tra di noi ci fosse stato del tenero (cosa che assolutamente mancava!), se avessi detto di no mi sarei sentita una scarica di insolenze da parte dalle mie amiche, che mi avrebbero rimproverato per l’occasione persa. In più avrei dovuto farmela a piedi. Ok, al diavolo cosa pensava la gente... -Certo!- accettai, senza però mostrare la timidezza che mi fregava ogni volta con lui, e mi faceva sentire un’imbranata. Montai in macchina con grande sicurezza, per una volta godendomi tutti gli sguardi. Anche Alex sembrò stupito, e facendo roteare le chiavi per l’anello del portachiavi sussurrò... -Finalmente!-
Guidava abbastanza veloce, ma non esageratamente da pazzo. In macchina, decisi per una volta di provocarlo io, senza pensarci troppo anche perché ero sicura al cento per cento che mi stesse leggendo i pensieri...
-Come mai ti sei offerto di accompagnarmi?-
Non sembrò in difficoltà come speravo. Non era mai in difficoltà. -Perché ho una macchina a due posti, perché mi dispiace vedere la gente che cammina e perché volevo farti provare la Jaguar e far rodere il fegato ad un po’ di quelle ochette...- proferì sciolto e leggermente divertito. Anche vanitoso, quindi. Fantastico. Comunque, giusto per non chiudere la conversazione, continuai. -In che senso ti dispiace vedere la gente che cammina?-
-Stasera, forse, capirai meglio- vago, irritante. Semmplicemente era Alex. Già ieri mi aveva detto che oggi una sorpresa mi avrebbe aspettata.

Quel pomeriggio cercavo di concentrarmi sui compiti di inglese, ma veramente non ce la facevo. Buttai le crocette di grammatica a caso e corsi di sopra a prepararmi per andare a casa del mio nuovo vicino. Mi sorpresi ad essere entusiasta, e giurai a me stessa di non comportarmi da stupida, timida, imbranata e quant’altro. Soprattutto, per mantenere il profondo disprezzo che provavo nei confronti di Alex, dovevo tenere a bada la mia agitazione.
Reclutai Calvin per aiutarmi a scegliere i vestiti; non che ci capisse molto di look, ma era per coinvolgerlo un po’. -Allora Cal, cosa ne dici di questa maglia?- chiesi, mostrandogli una t-shirt a maniche corte, blu scuro con un accenno di scollo. Era semplice, non volevo più di ogni altra cosa apparire tutta in ghingheri, in fondo era solo un compagno di scuola. -Carina- disse lui. -Con cosa sta bene il blu, secondo te?- gli chiesi.
-Con il blu... con il bianco...- elencò lui. Wow, ci capiva qualcosina!! -Grazie Cal!-
avevo dei pantaloni bianchi e stretti, e un’infinità di jeans. Optai per i jeans, ogni forma di eleganza doveva essere categoricamente repressa. Decisi per un paio di sformati, comodissimi. Cintura nera, quella che usavo sempre, e scarpe da ginnastica bianche. Ci stava, nel completo? Sì, dai, non era male come abbinamento!
Corsi a lavarmi i capelli, ma non li passai alla piastra. “Niente eleganza, niente frivolezze, niente inutilità” ripetei mentalmente, asciugandomi la chioma. “Oh no! Cavolo! Spero solo che non mi stia spiando!”.
Finii di prepararmi per le sei e mezzo, così feci in tempo ad avvertire mio padre che andavo a cena da Alex e che tenevo il cellulare acceso. Infilai le scarpe, ripassai inglese e alle sette meno cinque avevo chiuso la porta di casa alle mie spalle, con un vassoietto di pasticcini che mi aveva dato mia madre da portare come dolce. Feci un respiro profondo e mi avviai verso la casetta dei vicini. Non mi ripetei le regole mentalmente, sapevo per certo che qualcuno si divertiva a leggere nella mia mente.
Suonai, abbastanza tranquilla. Pochi secondi dopo vidi la persona più splendida che avessi mai incontrato nella mia vita. Anzi, la rividi. Esatto, mi aprì Alex: indossava una camicia bianca che risaltava i capelli scuri e un paio di blue-jeans che ero sicura fossero di qualche marca costosa; portava una collanina di spago che reggeva un piccolo pendaglio a forma di spada, una di quelle catenine che usano i maschi; portai lo sguardo a terra e notai che ai piedi portava niente meno che un fantastico paio di... pantofole a forma di cagnolino??
-’Sera, signorina Adams!- disse lui, elegante come al solito. La frangetta scura contrastava ancora di più con i suoi occhi azzurri, e quella sera non mi feci scrupolo a smarrirmi completamente in quell’oceano ghiacciato.
-’Sera, signor Williams! Complimenti per le scarpe... Hogan?- ridacchiai io, a mio agio perfettamente.
-Prada!- disse lui, di rimando, felice che io mi sentissi bene. Si adattava ad ogni situazione, era impressionante!
Entrammo in casa: una splendida dimora dalle pareti bianco latte. C’era un grande salone d’ingresso che si univa con la cucina. Era tutto perfettamente arredato in colori pastello, anche i divani e le sedie, il tavolo e il frigorifero: tutto coordinato nello stile e nel colore. Non mancava niente, come se quella casa fosse stata già pronta da settimane prima che arrivassero gli Williams. Personalmente non mi ero accorta di nulla, e non mi sembrava di ricordare così la casa degli Harrison. Ed erano arrivati il pomeriggio prima.
Nella cucina aperta e pulita come uno specchio trovai la madre di Alex che si stava dando da fare con il forno.
-Ma’, questa è Kyrsten Adams- mi presentò lui. Chissà come diamine faceva a sapere il mio vero nome! Come avevo già fatto più volte, sorvolai e sfoderai un sorriso, stringendo la mano alla signora Williams. Era una donna graziosa e giovane, dai capelli castano chiaro, quasi rosso, medio-lunghi e dritti con una frangetta sul davanti. Era di media statura, magrolina e pallida, ma sempre bella. Ciò che mi folgorarono furono gli occhi, doveva essere un dono di famiglia: due smeraldi luccicanti, non avevo mai visto niente di simile! Verdi... molto verdi...
Si tolse un guanto da forno e mi strinse la mano, sorridendo: -Piacere Ginevra! Ma tu chiamami Ginny, Kyrsten!- -Ehm, nessuno mi conosce come Kyrsten! Mi chiamano Chris, di solito!-
-Ok, Chris!- rise, lei rimettendosi le presine e tornando ad armeggiare con il forno. Mi stava già simpatica, quella donna.
-Mia madre è in gamba!- si pavoneggiò Alex, di nuovo tra i miei pensieri.
-Sì, lo è! E ti sarei grata se tu non continuassi a leggermi nella mente, per favore!-
-Come desidera, Chris!- scherzò lui. Era di buon umore, almeno. Del resto lui lo era sempre, ma di certo non guastava! Mi accomodai a un tavolino tondo, apparecchiato per tre. -Tuo padre non è in casa?- tentai di chiedere io, mentre anche lui si sedeva. -No, direi proprio di no- annunciò lui, con un sospiro. -Ho detto qualcosa di male?- chiesi io. “Niente domande a senso unico, niente domande stupide, niente domande ovvie” ripassai.
-Non ti preoccupare. Vedi, io non so nemmeno chi sia, mio padre- rispose lui, un po’ nostalgico.
-Scusa, figura di merda!-
-Nessun problema-. Non andammo oltre, e Ginny arrivò con la cena subito dopo. -Non hai problemi con l’uranio, vero?- sghignazzò Alex. -Lo bevo al posto del succo d’arancia, la mattina!- dissi io. “Sciolta, Chris, sciolta! Sono due brave persone! Almeno, Ginny lo è...”
Ad un tratto mi chiesi se sua madre sapesse... e il moro mi rispose subito: -Sì, eccome. Direi che in un certo senso è il suo lavoro!-
-Che lavoro fai, Ginny?- chiesi io, sollevata al pensiero di non dover fare finta anche con lei.
-E’ un discorso un po’ complicato. Diciamo che sono una scienziata e mi occupo delle cose paranormali-
-E io e Alex... insomma... ce l’abbiamo nel sangue, o cose del genere?-
-No, si nasce con i poteri a caso. Una piccola variazione genetica, indipendente, e molto strana. Per quanto ne so, i figli di una persona con i poteri potrebbero nascere pefettamente normali.- rispose lei, sicura.
-Ok- dissi io. Che coincidenza, nascere con i poteri e avere una madre che li studia! -Quando hai cominciato ad occuparti dei casi strani?- chiesi io, per informarmi il più possibile.
Lei ridacchiò e mi disse che prima faceva l’assistente di laboratorio, poi ha notato delle doti particolari in Alex e ha deciso di prendere una laura in qualcosa di particolare che adesso non mi ricordo.
-A Jacksonville ci c’era come me e te?- domandai, rammentando il criterio degli avvenimenti anormali.
-Da piccolo giocavo con una bambina, Jodie- mi rispose Alex.
-E’ la ragazza di cui mi parlavi?-
-Sì, lei- concluse lui. Poi cambiammo argomento, e il moro stette ben attento a non ripassarci sopra. In fondo traslocare non era mai bello, soprattutto dopo tanto che si rimane in un luogo. Penso che non ne parlasse più perché provava nostalgia. Anzi, me ne assicurai quando lessi per una volta nei suoi pensieri, come lui faceva con me ad ogni ora del giorno. Gli mancava Jodie.

Finito di mangiare e di parlare, ridere e scambiarci informazioni, giunse il momento della sorpresa, di cui onestament mi ero quasi dimenticata. Ginny era simpatica e parlava tantissimo, mi chiedeva della mia famiglia, della scuola, dei miei passatempi... era bello parlare, e scoprii che Alex non era così male. Soprattutto dopo cena...
-Avanti angelo, portala fuori!- lo esortò Ginny, complice, mentre sparecchiava.
-Bene signorina Chris, è giunto il momento che lei abbia la tua sorpresa! Spero che quella non sia una delle sue magliette migliori!- disse lui, alzandosi da tavola. -Mmh, in effetti no, non è proprio la mia maglia migliore.- risposi io, confusa. Che cosa diamine aveva in mente? Lo guardai storto, e lui rispose con un sorriso. -Vado a cambiarmi, torno fra un secondo- disse lui, sparendo in corridoio.
-Ginny, che cos’ha in mente tuo figlio?- le chiesi io, sperando di estrarre qualche altra informazione.
-Vedrai. Questo Alex lo considera il lato migliore dei superpoteri.- rispose lei, sempre sorridente, e con uno sguardo sognante. Con un balzo, il moro mi si presentò davanti: non aveva più la stupenda camicia bianca, e ora indossava una maglietta a maniche corte verde militare. Era figo, non si poteva dire altro.
-Coraggio!- esclamò lui, correndo fuori casa, prendendomi per un braccio. Trasalii, e arrossii, ma mi affrettai a calmarmi. Prese la Jaguar, che faceva ancora più figura, di sera. Salii e mi portò qualche isolato più in là, dove c’era un campo di granturco. Ad aprile inoltrato si sentiva appena il profumo del mais e delle spighe. Appariva tutto dorato, sotto i deboli raggi della luna, e il cielo appena dopo il crepuscolo era color oltremare.
-Carina come sera!- buttai lì, giusto per dire qualcosa.
-Vero- confermò, prendendomi per mano. Ci fermammo a una decina di metri dal ciglio della strada, immersi nelle spighe. -Sai perché mia madre mi ha chiamato angelo, prima?-
-Nomignoli stupidi delle madri, che non smettono mai di ripetere?- ipotizzai, scherzando
-Non esattamente- rise lui -la verità è che ci spuntano le ali-
sussurrò lui, con un sorriso sincero e impaziente. Mi lasciò la mano e si allontanò di qualche metro. Ero a dir poco sconcertata: anche le ali avevamo? Restai in attesa, mentre il mio cuore accelerava ogni secondo di più. Lo vidi sorridermi un’ultima volta, prima di chinarsi a terra; poggiava un ginocchio contro il suolo, e l’altra gamba era alzata, come prima di una corsa; le mani strette a pugno e seldate contro il terreno, sulle nocche, la testa rivolta verso il basso.
“Sta per succedere qualcosa” pensai, rabbrividendo dall’ansia.
Poi, successe la cosa più meravigliosa, stupenda, strana, bizzarra, fiabesca che potesse succedere in quel momento. Mentre stavo immobile, in piedi a guardare il ragazzo, là chiuso su sé stesso e tutto concentrato... sentii uno strappo: osservai la schiena perfetta, che era la cosa più visibile, e notai che dal cotone lacerato della maglietta spuntarono due piume candide e lucenti. Le piume si alzarono, lasciando posto ad altre piume, e presto capii che erano niente meno che ali. Un paio di enormi, maestose, bellissime ali nivee e bianchissime, alte circa due metri, si stagliavano contro il blu del cielo notturno. Ero a bocca aperta, senza parole, assolutamente ipnotizzata.
Alex rialzò la testa, e notai due luccichii azzurri. “Oh no, i suoi occhi no! Adesso svengo!” pensai, sempre più sbalordita. Sorrise, a denti candidi, e si rialzò, spiegando le grandi ali e sbattendole per controllare l’equilibrio. Fece due passi verso di me e mormorò: -Anche tu hai le ali-
Indietreggiai. Non so perché lo feci, ma qualcosa in lui era cambiato.
-Ehiehi, ti fidi di me?- aggiunse, quasi per rassicurarmi. Provai a fidarmi, ma un luccichio nei suoi occhi mi mise in dubbio. -Ok- risposi in un flebilo di voce.
Tese la mano verso di me, l’afferrai e lasciai che mi guidasse. Mi spaventava, tutto a un tratto.
-Ok, fai come ho fatto io. Vai giù, piegati, e credi intensamente che dalla spina dorsale partano due ali. Funziona, ma la prima volta fa male- mi incitò lui. “Fa male?” pensai io preoccupata, tuttavia mi piegai.
Mi concentrai a mia volta, pensando fortemente di avere le ali, come la sera prima avevo controllao il getto dell’asciugacapelli. Mi girava la testa, ma non mollai. Dentro di me sentii che c’eravamo quasi. Lanciai un un urlo di dolore, mi si spezzò la carne e mi sentii morire. La fitta passò a poco a poco, ma sentii sulle guance che stavo piangendo. Sul bruciore delle ferite sentii una carezza lievissima e delicata, che proveniva dall’interno. Mi stavano inconfondibilmente spuntando le ali.
-Alex!- lo chiamai distrutta, per sollevarmi, e la mia voce risultò una specie di lamento. Ansimai per un po’, tenendomi al suo braccio. “In piedi” pensai, raddrizzandomi. Era una sensazione strana, riuscivo a controllare i miei nuovi arti (se così si possono chiamare) quasi perfettamente, ma mi ci volle qualche minuto per stabilire l’equilibrio. “Che cosa mi ha fatto?” mi chiesi disperata. Sicuramente l’aveva udito anche lui, ma non ribatté.
-Ok, e adesso?- dissi io, guardando quelle enormi cose bianche e lisce, a dir poco stupefatta. “Queste cose sono mie???” continuavo a domandarmi incredula. A poco a poco spuntò un sorriso di soddisfazione, che prese il posto al male delle ferite. -E adesso impari a volare- rispose lui, con il viso incredibilmente vicino al mio.
-Devi prima ritrarre le ali. Riavvolgile dentro la schiena. Non è una cosa fisica, non chiedermi come facciano a starci.- disse lui, contento. Feci come aveva detto, e tirai in dentro le ali: di nuovo quella sensazione di sfioramento, molto piacevole. -Se non ti senti troppo debole devi correre- mi spiegò lui. “Tanto vale provarci, ormai” pensai, e a quel punto non potevo più nascondere il mio entusiasmo. Poi mi lasciò là, spiccando una corsa in avanti; dopo una decina di metri lo vidi saltare e fare una capriola in aria, e mentre era sollevao da terra, raggomitolato, dalla schiena rispuntarono le ali. Non posso descrivere come fece esattamente, ma dal groviglio di piume, il ragazzo si distese, la testa rivolta in alto, e poi... spiccò il volo. Sbatteva le ali con assoluta grazia, e io restai là a fissarlo.
Ad un tratto si fermò, ad un paio di metri da terra e si girò verso di me, dicendomi:
-Avanti! Corri, salta come per fare una capriola e poi tiri fuori le ali! Non è difficile come sembra!-
Riacquistata un po’ di sanità mentale e fisica decisi di provare.
Con il cuore a mille, scattai in avanti, saltai più in alto che potei e tentai di girarmi in aria; era difficile coordinare anche le ali, ma riuscii a spiegarle prima di rovinare a terra con un capitombolo.
“Appena in tempo!!” mi dissi, mentre impiegavo tutta me stessa per scuotere le ali. Anch’io diventai un groviglio di piume, tutta rannichiata su me stessa a un metro da terra, ma non so come, ad un certo punto, controllai i miei spettacolari superpoteri e dntro di me si mosse un qualcosa di strano, come la prima volta che provi qualcosa. Stavo volando!! -Alex! A-Alex, g-guarda!! Sto... sto...-
Rise, sincero. Stavo in overing, ferma a mezz’aria e contemplavo la sera: era tutto magnificamente stupendo. Quello che ormai stava diventando il mio amico mi venne vicino, si parò di fronte a me e mi sfidò:
-Non puoi startene ferma lì! Non te le stai godendo quelle ali, oltretutto dovremmo salire un po’! PRENDIMI!-
detto questo si piegò sulle ginocchia e prese la spinta necessaria per spararsi in alto, almeno venti metri più in su di me. Sogghignai: -Arrivo!- e lo imitai, stupendomi di me stessa di essere così abile la prima volta.
Che bello volare! Lo inseguii provando al massimo le mie capacità, mentre lui volava e faceva evoluzioni per aria, mentre giù a terra esplodevano tutti gli idranti dell’isolato. -Yahuuuuu!- urlai a pieni polmoni, elettrizzata e schifosamente divertita, mentre cercavo di prenderlo. Non so per quanto rimanemmo a inseguirci come due mocciosi che giocano, ma mi sentivo stranamente bene, e non volevo smettere. Forse Alex non era poi tanto male: era solo un inguaribile gradasso. Rideva anche lui, e ciò mi riempì il cuore di gioia: era bello sentirsi così accettati. Stanca e ridente come un’idiota, mi costrinsi a volare a terra per evitare un clamoroso collasso, ma sentii tirarmi verso l’alto. Mi aveva preso la mano, di nuovo.
-Hey!- disse lui, tirandomi su per le mani. Ci guardammo negli occhi: -Non si dice grazie?- ridacchiò lui.
Mi scivolò una lacrima, dall’emozione. -Grazie- dissi io, abbracciandolo onestamente.
-Ehiehi, gli angeli non dovrebbero piangere!- disse lui, sciogliendomi.
Non c’era motivo di mantenere l’aspetto di dura con lui, era inevitabile essere “angeli” e non essere amici, specie se era stato lui a farmi scoprire di avere le ali piumate. Ricambiò l’abbraccio e stemmo così, fermi in mezzo al cielo, grati l’uno all’altra di esistere.

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spero non vi siate stancati di leggere, lo so che è lungo ma è anche bello! E' un capitolo concentrato di romanticherie!! Recensite!!! Soprattutto: se vuoi infime anime prive di fantasia mi avete copiato la frase THE ANGELS SHOULDN'T CRY, avete fatto un clamoroso auto-gol! E' una frase che ho inventato io e appartiene alla mia storia, quindi per non fare brutte figure toglietela di mezzo e rispettate chi ha una zucca per inventarsi le cose!!
_SparklinG_JulieT_

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ringrazio enormemente tutti coloro che mi hanno recensito e letto la storia!! (grazie Marty Vampiro non me n'ero accorta!)

  
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