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Autore: Captain Willard    05/06/2016    1 recensioni
Gabriel Gracelyn ha quarantadue anni e si accontenta di lasciarsi passare la vita accanto: l'amore per la sua fidanzata è ormai appassito, la musica non gli dà più soddisfazioni ed è stanco delle solite facce, della solita ipocrisia, di un'esistenza apatica che lo tiene avvinto.
È quando meno se lo aspetta che le fondamenta delle sue abitudini vengono scosse nel profondo: una ragazza a una festa dove entrambi si sentono estranei, un incontro atteso e inaspettato che lo costringe ad affrontare i fallimenti di una vita piena di successi; occhi verdi come i prati d'Irlanda, a guidarlo verso qualcosa di diverso. Sbagliando e cadendo, ma sempre rialzandosi.
“E pensò che forse si era perso più di quanto voleva credere, in tutti quegli anni.”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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- a perfect blue evening -

 

 

 

«Sei malvagia!» protestò Loren, seguendo ostinatamente Maebh mentre quest'ultima era impegnata a sistemare una pila di libri nelle apposite sezioni.

«Smettila o mi spaventi i clienti.»

«Non me ne frega niente, io voglio sapere! Ne va della mia stessa sanità mentale» sbuffò la moretta, incrociando le braccia.

«Ecco, e ne va di quella del novellino se non cambi posa ed eviti di strizzarti le tette. Quante volte te lo devo ripetere?» Si voltarono entrambe in direzione del ragazzotto brufoloso a cui le mani tremavano troppo per riuscire a prezzare dei fumetti, tanto la visuale della ragazza lo emozionava. Loren sorrise e gli fece l'occhiolino, quello avvampò e gli caddero tutti i volumi.

«Ehi, dita di burro, fai attenzione!» lo rimproverò Maebh ridendo. Loren le diede un pugno amichevole su una spalla.

«Non trattarlo così duramente! È carino, se non fossi cotta di un altro ci uscirei volentieri.»

«Certo, così esploderà direttamente come un fuoco d'artificio.»

«Sì, be', tornando a discorsi più importanti: ho visto che avevi la camicia stropicciata sabato sera, quando sono passata a salutarti. Che è successo?» riprese Loren, facendo danzare le sopracciglia in modo eloquente.

«Ovvero quando mi sei sfrecciata davanti per dirmi che andavi in qualche pub col sassofonista, abbandonandomi a una festa di cui non me ne poteva fregare di meno? Comunque, per risponderti, nulla che sia degno di nota.»

«Oh, andiamo! Io ti ho detto tutto della serata con Alberto!»

Il suo sguardo si fece sognante ripensando a soli pochi giorni prima: le ore passate a bere in quel localino, le loro gambe che si sfioravano sotto il tavolo, le mani dell'uomo a prendere le sue, le sue labbra appena screpolate a posarvi dolci baci; erano usciti a notte fonda, a passeggiare in un parco, Alberto non si era fatto attendere troppo e l'aveva presto stretta a sé, approfittando dell'oscurità e della solitudine del giardino per farle scivolare una mano tra le gambe e l'altra dietro la nuca, smorzando i suoi gemiti con la bocca.

«Sì, be', veramente sei tu che ti sei precipitata qui nel mezzo della mattinata – paccando biecamente la scuola – e mi hai sputato addosso il resoconto della serata.»

«È perché tu sei la mia priorità! Dai, quid pro quo, io narro a te e tu narri a me.»

«Non c'è niente da dire! ...Solo un bacetto.»

«Non sapevo che i baci avessero le mani per palpare il seno!» rise Loren, ma cambiò presto espressione vedendo lo sguardo dell'amica. «Oh, ti sto solo sfottendo un po'! È una cosa fantastica, perché non me lo volevi dire?»

Maebh si nascose il viso tra le mani. «Non lo so... è che non volevo che succedesse, lui è fidanzato! Però...»

«Però ti piace troppo per resistergli.»

Maebh annuì, mugolando dietro il suo nascondiglio. «È così...»

«Sexy

«No! Cioè, sì, ma non è solo quello, lui è-»

«Scusa un attimo» la interruppe Loren, girandosi poi verso un paio di ragazzini che la stavano fissando. «Ehi, se avete tanta voglia di guardare un culo, perché non andate a guardare quello di vostra madre?!»

I due sussultarono, presi in contropiede; uno dei due assunse uno sguardo ferito. «Mia madre se n'è andata di casa un anno fa...» mormorò afflitto.

«Chissà perché non sono stupita» infierì la moretta, al che il ragazzino prese l'amico per un braccio e uscì di corsa. Maebh si spalmò una mano sulla fronte ed emise un lungo sospiro.

«Grazie, mi hai fatto perdere due clienti.»

«Ma non hai visto? Stavano per prendere Cinquanta sfumature di grigio, santo cielo!»

«Ah be', allora direi che siamo a posto!»

«Uh, quanto la fai lunga! Be', io vado che faccio un salto da B-Side, dovrebbe essere arrivato il cd che avevo ordinato.»

Si alzò sulle punte per dare un bacio sulla guancia alla rossa, poi si rivolse all'apprendista che continuava a guardarla come fosse stata una dea.

«Ehi tesoro, mi fai pagare questo?» cinguettò Loren, sventolandogli davanti il volume Lick – una commedia erotica in sei atti. Il ragazzo parve sul punto di strozzarsi con la sua stessa lingua, Maebh alzò gli occhi al cielo.

«Mattia, se non ti calmi giuro che ti lascio a morire lì!»

 

 

***

 

Cesare sbuffò per l'ennesima volta e prese a massaggiarsi le tempie. «Questo ticchettio mi snerva.»

«Idem» gemette Maebh, appoggiandosi contro la sua schiena. «Quanto ne abbiamo ancora?»

«Conosci Marco. Minimo un'altra ora.»

«Per scegliere un orologio. Roba da matti!»

«D'altronde solo un matto potrebbe collezionare orologi» sogghignò Cesare.

«Orologi davvero brutti, peraltro.»

«Guardate che vi sento!» esclamò un altro uomo, raggiungendoli: era poco più alto di loro, con corti ricci castani e barbetta appena inargentata, gli occhi grigi erano appena infossati e sormontati da sopracciglia piuttosto movimentate.

«Capirai» sogghignò Maebh, Marco preferì ignorarla per tornare ad assillare il commesso del negozio, un ometto con baffetti che sembravano ammollarsi di più a ogni parola di quel cliente molesto.

Gli altri due tacquero per un po', stanchi e annoiati, finché ad un tratto Maebh si decise a parlare. «Cesare...»

«Mh?»

«...Ho conosciuto uno.»

L'uomo si irrigidì palesemente. «Ah.»

«È un tipo a posto.»

«Come si chiama?»

Maebh sospirò. «Gabriel, ma non posso dirti di più. Ho dei buoni motivi.»

«Senti, sei sicura di quel che fai?»

«Lui non è come Leonardo» sussurrò Maebh, stringendo involontariamente i pugni. Chiuse gli occhi e trasse un profondo respiro, dopo anni quel nome riusciva ancora a farle paura. Ma ora era cambiata: era più forte. «Sono cresciuta, lo sai. Sto bene.»

«È solo che non voglio più vederti stare così male. Quando i tuoi cari genitori sono morti, ti ho presa con me e sei diventata la mia famiglia, e non è facile stare tranquillo, soprattutto dopo quel che è successo.»

«Lo capisco e lo apprezzo, io-» Maebh fu interrotta da un piccolo bip del proprio cellulare, lo prese dalla tasca e lo sbloccò.

«Chi è?» domandò Cesare, aggiustandosi gli occhiali dalla sottile montatura metallica sul naso a patata. La ragazza non sentì, ma mentre leggeva l'sms piegò le labbra in un sorriso che contagiò l'uomo.

«Ah, ma che te lo chiedo a fare.»

Maebh si riscosse, digitò velocemente qualcosa e guardò Cesare, una muta preghiera negli occhi. Lui rise e le aggiustò la treccia su una spalla. «Vai pure tesoro, ci penso io alla belva.»

La ragazza lo abbracciò di slancio e lo salutò, correndo via giusto un momento prima che dall'altra sala del negozio tornasse Marco. Cesare si alzò dal piccolo sofà e lo raggiunse.

«Be', dov'è andata Maebh? Doveva aiutarmi a scegliere tra questi due orologi!» mugugnò il più giovane, mostrando due scatole al compagno. Cesare guardò le figure sulle confezioni e sogghignò.

«Tanto fanno schifo tutti e due.»

«Tu che ne sai, non hai gusto.»

Cesare sbuffò. «Certo, io sono l'uomo, tu la checca.»

«Sgualdrina.»

«Puttana» sibilò l'uomo, poi fece cenno all'imbarazzato commesso di incartare uno dei due orologi; Marco borbottò un insulto ma non intervenne, preferendo aggrapparsi al collo di Cesare. Quest'ultimo arrossì appena, consapevole che il compagno stava studiando la sua espressione; sorrise appena quando Marco gli baciò la fronte, facendo distendere per un momento le rughe che la solcavano.

«Sei preoccupato.»

«Mh-mh.»

«Ed è per Maebh.»

«Si vede con qualcuno. Un certo Gabriel.»

«Mi sembra una bella notizia.»

«Lo è, sono io che... oh, mi conosci. Sono un paranoico, pauroso omuncolo. Vorrei fare di più, ma so che lei ormai è grande e se la sa cavare da sola e io... me ne posso solo restare con le mani in mano.»

Marco lo baciò delicatamente a fior di labbra, sorridendogli. «Ci vuole coraggio anche per lasciare andare le persone che amiamo. Maebh è grande, vero, ma sa che potrà sempre contare su di noi, e tu...» il suo sorriso si fece malizioso mentre faceva scivolare una mano fino al bordo dei suoi pantaloni. «...non sei certo un omuncolo, penso di poterlo affermare con certezza.»

Cesare rise e gli scansò la mano, per poi cingergli la vita con un braccio. «Sarai anche un pirla, ma sai sempre dire la cosa giusta.»

«È per questo che mi ami» ghignò trionfante Marco. «E ora andiamo, voglio appendere l'orologio prima di cena. Vedi di non fare buchi nel muro stavolta.»

«Sì, belva.»

«Cafone.»

 

***

 

Il sostituto marmoreo del David svettava nella luce del crepuscolo, ma Gabriel era indifferente alla forza che il suo sguardo eterno emanava, anzi continuava a controllare l'ora sull'orologio al polso, sentendosi nervoso come un ragazzino.

Lo stridio improvviso d'una frenata lo fece trasalire, si voltò giusto in tempo per vedere uno scooter inchiodare a un passo da lui. Maebh si tolse il casco, radiosa e coi capelli tutti spettinati.

«Ehi! È tanto che aspetti?»

«Mi hai appena fatto perdere dieci anni di vita.»

«Esagerato» sbuffò lei, smontando. Da sotto la sella prese un altro casco e glielo porse. «Dai, salta su, ho una fame da lupi.»

«Preferirei prendere un taxi» borbottò Gabriel, regolando la cinghia sotto il mento e salendo dietro di lei.

«Non temere, non ci schianteremo da nessuna parte...» Avviò bruscamente il mezzo, Gabriel le si strinse istintivamente contro, afferrando lo zaino che aveva sulle spalle. «...Almeno credo.»

Le proteste dell'uomo si persero nel vento, mentre sfrecciavano via.

 

***

 

«Be', non pensavo che avrei mai preso da mangiare al McDonald's, ma è proprio vero: mai dire mai» commentò Gabriel, esaminando il contenuto della grossa busta. Maebh rise e stese una coperta per terra, poi si dedicò al focolare. Gabriel seguì attento ogni suo gesto, mentre lei sistemava la legna che avevano raccolto in una piccola piramide, dentro un cerchio di pietre disposto su uno spiazzo secco. Con un coltellino tagliò a listelli un paio di rametti e mise i ciuffi alla base della piramide, con un accendino li infiammò e nel giro di poco la legna prese a bruciare laboriosa.

 

«Certo che sei pronta per ogni evenienza tu, eh? Eri negli scout?» le chiese, sedendosi accanto a lei. Pescò dalla busta il proprio panino e lo scrutò sospettoso.

«Yup. Io e Loren ci siamo conosciute lì, e anche se io ho lasciato verso i sedici anni siamo rimaste amiche di ferro. Quando fa bel tempo, ci piace venire qui e passare una serata insieme, con cibo, alcol e fumo. Magari lei porta la chitarra e cantiamo.»

«Immagino saprai fare un sacco di nodi, utili se vuoi uccidere qualcuno in modo fantasioso» scherzò lui, addentando il panino. Maebh sorrise, rosicchiando delle patatine.

«Si può essere fantasiosi anche nel letto» buttò lì. Gabriel quasi si strozzò, lei gli batté piano sulla schiena mentre lui tossiva. «Ti avverto, non conosco la manovra di Heimlich.»

«Conosci altre manovre, però» commentò lui malizioso, una volta scongiurato il dramma. Maebh gli scoccò uno sguardo felino, scansò il cibo e gli si avvicinò gattonando; Gabriel trattenne il fiato quando lei gli posò una mano sul petto, le punte delle dita scivolarono lentamente fino al bordo dei suoi jeans.

«Questi discorsi mi fanno venire fame...» sospirò la ragazza, allungandosi fino a solleticargli il collo col suo respiro caldo. Gabriel si girò appena verso di lei, alzò una mano a toccarle il viso ma lei saltò indietro, recuperando le patatine fritte. «E infatti mangio, prima che si raffreddi!»

All'uomo quasi gli cadde la mascella per lo stupore, ma non riuscì a non ridere. «Sei fantastica» sospirò, concentrandosi sul panino. «E questo è davvero un bel posto» aggiunse, empiendosi lo sguardo del panorama che gli si stendeva davanti. Maebh l'aveva portato fuori città, seguendo una strada sterrata fino alla cima di un colle screziato di macchie boscose. Si erano lasciati Firenze alle spalle, abbastanza lontano dalle luci artificiali da poter vedere chiaramente le stelle che ora, mentre il sole tramontava alla loro destra in un orizzonte sanguigno, spuntavano nella metà opposta del cielo come piccoli buchi luminosi in un oceano vellutato.

 

«Non ho mai fatto niente del genere.»

Maebh gli rivolse uno sguardo curioso, Gabriel arrossì appena e si grattò la testa, sentendosi stranamente imbarazzato.

«Voglio dire, un appuntamento così, mangiare cibo spazzatura... stare sotto le stelle. Non riconosco nemmeno una costellazione.»

Maebh parve considerare a lungo quell'affermazione, fece per dire qualcosa ma richiuse la bocca. Gabriel proseguì.

«Ero sempre così preso dalla musica... solo a lei ho riservato il mio affetto, il mio tempo, ogni aspetto della mia vita verteva su di essa. Vi ho costruito me stesso.»

«Te ne sei pentito?» domandò lei a bocca piena, Gabriel ridacchiò e le accarezzò una guancia, pulendola da alcune briciole; indugiò tuttavia sulla sua pelle, riflettendo.

«Non so risponderti con esattezza. Forse no, non sono pentito, da una parte ho avuto tanto dalla musica... però dall'altra mi dispiace non essermi aperto a esperienze diverse. Magari sarei diventato una persona decente.»

Maebh si gli accostò e gli prese la mano tra le proprie, carezzandola. Si era fatta seria. «Non dire più una cosa del genere. Tu sei una bella persona, Gabriel. Certo, sarai imperfetto, a volte un vero stronzo, ma musica come la tua non sarebbe mai scaturita da un brutto animo. Quindi, ripeto, sei una bella persona.»

«Hai sentito la mia musica?» chiese l'uomo con malcelato entusiasmo, quando lei attaccò un secondo panino.

«God bless Youtube. Il tuo primo disco mi ha fatto dormire benissimo.»

«È un complimento o un insulto?»

Risero entrambi, tornò poi il silenzio. Poco lontano, una civetta emise il suo richiamo.

«E i tuoi genitori?» domandò Maebh, sorseggiando del tè ghiacciato.

«Mh?»

«Loro che fanno?»

«Oh, sono entrambi ancora vivi, ma hanno divorziato che io avevo sedici anni. Mio padre insegna storia in un collegio in Germania, mia madre invece è docente al Berklee College of Music.»

«Mortacci!» commentò Maebh, impressionata. Gabriel la guardò perplesso. «Scusa. Mia madre era di Roma. Dicevi?»

«Mah, è tutto qui. Non ho mai avuto un rapporto concreto con loro, sono sempre stati molto presi dal lavoro e io ne sono il degno figlio, direi.»

«Un po' invidio i miei genitori, invece» sospirò la ragazza, stendendosi supina sull'erba, incrociando le braccia dietro la testa. Gabriel si stese su un fianco, sollevandosi su un gomito.

«Perché?»

«Vedi, mia madre era una pittrice, mio padre invece come già sai un violinista. Eppure, nonostante svolgessero due lavori molto impegnativi sono sempre riusciti a conciliare la pittura e la musica, l'amore e la famiglia. Ed ecco, li invidio perché ricordo benissimo quanto si amassero, con così tanto rispetto e devozione che penso capitino una volta su un milione.»

«Non ti facevo così romantica» commentò lui, facendosi più vicino.

«Lo sono, ma poco. Tipo un dieci percento. Diciamo che la vita mi ha insegnato a stare coi piedi bene a terra.»

Gabriel le carezzò la cicatrice sulla guancia, sfiorandola con la punta dell'indice. «C'entra qualcosa questo?»

«Chiamalo promemoria, sì» sospirò lei, ma sorrideva. L'uomo si stese al suo fianco, posando il capo sul suo seno morbido. Maebh gli passò un braccio intorno alle spalle, lui sospirò a quella stretta rassicurante.

«Tu mi piaci molto, Maebh.»

La sentì ridacchiare. «Be', meno male, altrimenti questa situazione sarebbe diventata molto imbarazzante!»

«Dai, sono serio.»

«Lo so» sbuffò appena la ragazza, posandogli un bacio tra i capelli. «E anche tu mi piaci, se è per questo.»

«È solo che non voglio farti promesse che non so se sarò in grado di mantenere» sussurrò lui.

«Io non te ne chiedo.»
 

Gabriel sorrise e le circondò il grembo con un braccio, lasciandosi cullare dal suo respiro. Era tutto così semplice, insieme a lei. I frammenti sbrindellati della sua vita sembravano tornare insieme a poco a poco, frammenti che di nuovo combaciavano, più belli.

Gli venne in mente la tecnica Kintsugi, una tradizione giapponese di cui gli aveva parlato la moglie di Fabio, anni prima. Un vaso rotto sarà più bello di prima, e ciò che era stato infranto veniva riunito da una morbida resina d'oro, a mostrare come ogni cambiamento possa essere occasione di nuova bellezza, nuove possibilità.

Avrebbe voluto parlarne a Maebh, ma preferì tacere e vivere il momento. Più tardi sarebbe stato il turno delle parole; ora, quello di un attimo sospeso.

 

***



 

 

  
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