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Autore: alessandroago_94    06/06/2016    11 recensioni
Antonio Giacomelli è un ragazzo molto timido e introverso, a cui piace trascorrere i pomeriggi suonando il pianoforte. Vive una vita assolutamente normale fintanto che viene a contatto con una famiglia, la famiglia Arriga. E da quel fatidico momento, da quando ha modo di incontrarsi per la prima volta e di scontrarsi con uno dei suoi tre componenti, la sua vita cambierà per sempre, poiché sarà proprio quella stessa famiglia Arriga, assieme ai pesanti segreti che porta con sé, a sconvolgere e a cambiare la sua esistenza, tra immensi drammi e gioie inaspettate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 11

CAPITOLO 11

 

 

 

 

 

Questa è la prima volta che la mia memoria vacilla, in questo mio voler ripercorrere i miei ricordi di un passato ancora piuttosto recente.

Non avevo chiaro neppure al momento in cui il fatto si svolse se io avessi inteso bene e se avessi realmente vissuto quel flash di scene, e se per davvero avessi origliato qualcosa d’importante. Ma, alla luce dei fatti futuri, sono sempre convinto che sì, io quella notte avevo sentito bene e nulla era frutto della mia immaginazione.

Stava di fatto che, dopo essermi leccato le mie ferite interiori e aver studiato un po’, perlopiù letto poiché i miei sentimenti e la mia umiliazione non mi permettevano di concentrarmi troppo, quella stessa sera in cui avevo dovuto far fronte all’invasione del mio rifugio e alla violenza del mio nemico riuscii ad addormentarmi senza difficoltà, quasi a sorpresa. Calai quindi in un sonno leggero, agitato e ricco di sogni, che tendevano a tramutarsi in incubi.

Attorno a metà nottata, mi svegliai di soprassalto, senza però uscire dal mio stato di pesante sonnolenza, e guidato da un impellente bisogno di andare in bagno, fui costretto ad uscire dalla mia stanzetta. Tenendo socchiusi gli occhi e muovendomi per casa senza accendere le luci, in modo da non risvegliare totalmente i miei sensi, mi affidai alla luce fioca dei lampioni che, entrando dalle finestrelle della scala, illuminava pacatamente i luoghi che dovevo attraversare.

Per raggiungere il bagno, dovevo affrontare un percorso un po’ scomodo, poiché esso si trovava al piano inferiore, visto che quello al piano superiore era a disposizione dei nostri affittuari, quindi scesi le scale con lentezza, sempre tenendo gli occhi socchiusi, e come un automa giunsi finalmente al bagno.

Fortunatamente, non mi gettai subito sulla maniglia della porta, poiché udii un parlottio proveniente dal suo interno. Credevo si trattasse di mia madre, eppure non l’avevo mai sentita parlare da sola, e bisbigliare in quel modo così concitato. E la voce mi sembrava maschile.

Allungai la testa ed appoggiai il mio orecchio destro contro il legno della porta; il parlottio mi giungeva attutito, quasi distante, eppure qualche frase la potei udire chiaramente. E, ovviamente, potei anche capire che non era mia madre colei che si era chiusa dentro al nostro bagno, bensì Federico. Il suo bagno era al piano superiore, e il fatto che si recasse nel nostro mi dava molto fastidio, e non potei non chiedermi il perché di quella scelta.

In realtà, feci in fretta a conoscere la risposta. Il bagno a disposizione sua e dei suoi familiari era posizionato al lato opposto della mia stanza, ed era appiccato alla camera dei suoi genitori. Quindi, se lui voleva chiacchierare al telefono senza essere udito, il nostro bagno al piano inferiore si rivelava essere per davvero il luogo perfetto, poiché lì dentro poteva nascondersi senza essere scoperto, visto che raramente sia io che mia madre ci alzavamo durante la notte, a volte anche a costo di lottare un po’, imparando a resistere ai bisogni pur di non sfatare la nostra pigrizia notturna e di non perdere il sonno.

Mestamente e cercando di non fare rumore, avvicinai il mio orecchio al legno della porta, e potei udire la voce stanca ed assonnata del mio coetaneo, che cercava di convincere qualcuno a far qualcosa. Il tutto mi era ignoto.

‘’Te l’ho detto, oggi pomeriggio mi è arrivata quella roba… nessun rischio, dai! Se volete… no, per ora ho parlato anche troppo, magari ci accordiamo domani… a domattina, ora ormai è notte fonda e voglio andare a chiudere un occhio…’’.

Udendo quelle parole, dopo essere rimasto per un po’ ad origliare, mi ritrassi dalla porta, e a passi felpati mi diressi prontamente verso il piano superiore. A quanto pareva, Federico stava per concludere una qualche conversazione telefonica, e non volevo farmi trovare nei paraggi del bagno o in giro per casa.

Il mio cuore batteva all’impazzata mentre, con attenzione, cercavo di raggiungere la mia stanza da letto, ed avevo il timore che i suoi battiti facessero frastuono come i tuoni di un temporale, dal tanto che risuonavano nel mio petto e nella mia mente.

Salii rapidamente le scale, giusto in tempo per udire il rumore attutito della serratura del bagno del piano inferiore che scattava, e m’infilai nella mia camera richiudendo in fretta la porta, stando sempre attento a non fare alcun genere di rumore.

Solo quando mi fui nuovamente barricato al sicuro, e fui certo che il mio nemico non doveva essersi accorto di essere stato spiato, tirai un sospiro di sollievo, mentre il mio cuore pian piano quietava i suoi battiti folli.

Tornai in fretta sotto le coperte, ormai incurante del bisogno fisico che mi aveva spinto a scendere al piano inferiore, e spensi la luce, coprendomi per bene con le lenzuola e riflettendo. In realtà i miei bisogni li potevo ancora sentire in tumulto dentro me, mentre mi rivolgevano qualche dolorosa richiesta, però in modo meno impellente, poiché la mia mente era tutta concentrata sul discorso che avevo avuto modo di udire poco prima.

Federico di certo si era nascosto a parlare al cellulare dentro al nostro piccolo bagno per essere sicuro di non venir udito dai genitori, nascondendosi anche nel luogo meno trafficato di casa mia. Inoltre, solo in quel momento mi venne da chiedermi cosa intendesse il mio coetaneo con la parola roba. E poi, quel pomeriggio era andato a pranzare fuori con amici, non a prendere qualcosa. A meno che tutto non fosse poi così limpido e chiaro come avevo voluto vederlo io fino a quel momento, ma che si trattasse proprio di quel genere di roba.

Volli allontanare quella supposizione malevola, forse eccessiva e dalla parvenza ancora infondata.

I movimenti loschi del mio nemico, le domande di Roberto che mi avevano tormentato durante il pomeriggio del giorno precedente, le chiamate segrete, la prepotenza in generale, tutto ciò non mi lasciava tregua e si sovrapponeva nella mia mente. I miei pensieri erano diventati tutto a un tratto una sorta di vortice, che mi spingeva giù, verso un punto a me sconosciuto.

Senza poter riflettere oltre, tornai a sprofondare nuovamente in un sonno agitato, che mi avrebbe lasciato poi piuttosto confuso al risveglio.

 

Quando mi svegliai, la mattina successiva, fuori il sole stava sorgendo e gli uccellini cinguettavano sul tetto.

Tutto aveva una parvenza normale, tutto tranne me. I miei occhi erano infossati, stanchi e dilaniati da una nottata colma di incubi, dominata da un sonno agitato ed inclemente, senza contare tutto il resto delle difficoltà. E senza pensare a ciò che avevo udito.

Esordii scrollando le spalle, e preparandomi per andare a scuola, anche se, inutile ormai dirlo, rischiavo di collassare sul posto e di riprendere a dormire. Eppure, quella nottata mi aveva lasciato un retrogusto amaro, e, visto che nella mia mente gli incubi si confondevano con la realtà, mischiandosi abilmente, giunsi persino a pensare di aver sognato di essere andato in bagno. D’altronde, il mio aguzzino mi aveva fatto del male anche la sera prima, e quindi la mia mente estremamente suggestionata doveva aver riprodotto in modo verosimile tutto ciò in un semplice sogno.

Mi autoconvinsi di ciò, e comunque la mia irritazione riposta nei confronti del giovane Arriga mi spingeva anche a farmi gli affari miei e a cercare di indagare o fantasticare il meno possibile su di lui, e di girargli alla larga senza stare a farmi troppi viaggi mentali, che come in quel caso apparivano assurdi.

Molto probabilmente avevo sognato tutto, e se così non fosse stato non era affare mio. Certo, mi scocciava per il fatto del bagno occupato, ma non mi restava altro da fare che sperare nel fatto che le successive notti non si fosse riverificato quello stesso problema.

Deciso a sotterrare tutto quanto, mi affrettai a scendere al piano inferiore con lo zaino in spalla, giusto in tempo per bere due sorsi di latte e trangugiare una di quelle brioches ipercaloriche che tanto piacevano a mia madre, per poi salutare rapidamente Roberto, che in giardino si gustava il timido sole di ottobre.

‘’Di fretta, questa mattina?’’, mi pungolò l’uomo. Temendo che potesse attaccar bottone per tornare a chiedere del mio stato di salute e a farmi rievocare gli eventi della sera precedente, non gli diedi assolutamente corda e sveltii il passo.

‘’Come sempre’’, mi limitai a dirgli, abbandonando frettolosamente il mio giardino. Sapevo che mi stavo comportando in modo non molto educato, ma non riuscivo a fare altrimenti, e un po’ mi dispiaceva per quell’uomo che invece in fondo mi stava simpatico, oltre che sempre pronto a dimostrarsi premuroso nei miei confronti.

A passo rapido, dopo che ebbi effettuato la prima svolta, mi ritrovai a rallentare, solo per riprendere fiato.

Giunsi comunque a scuola con un po’ di anticipo, arrivando in modo calmo e tranquillo nel piazzale antistante l’edificio. E lì mi attendevano nuovi eventi.

Notai fin da subito che l’atmosfera era strana; tutti i ragazzi dell’istituto che erano già presenti sul posto formavano dei piccoli capannelli, allo stesso modo dei cospiratori. Logicamente, i vari gruppi parevano essersi riuniti per chiacchierare di qualcosa di recentemente accaduto.

In cinque anni di frequentazione, di fronte al mio liceo c’era stato quel clima teso solo poche volte, perlopiù nei giorni di sciopero, quando si cercava di convincere i pochi compagni restii a salire sul primo autobus e a dar buca alla scuola, e quando era accaduto qualcosa di brutto ad alcune personalità eminenti o molto conosciute nell’ambiente scolastico. Quella mattina, così davvero tanto lontana dal clima disteso e pacifico che regnava quasi ogni giorno a quell’ora, era davvero molto strana.

Mentre mi muovevo in cerca di Alice, che avevo scorto di sfuggita poco distante, mi ricordai che il giorno precedente non avevo scritto neppure un messaggino a Jasmine, per sincerarmi del suo stato di salute; quasi mi fermai a dare una testata contro un vicino lampione, rimproverandomi per la mia sbadataggine, scusandola con il fatto che ero rimasto vittima dell’ennesimo attacco del mio aguzzino, e pure nel mio rifugio quella volta.

Mi ritenni imperdonabile, e brontolando mi ripromisi di scriverle entro le due del pomeriggio di quello stesso giorno. Stavo anzi per afferrare il mio cellulare, un vecchio Nokia Lumia che aveva visto giorni decisamente migliori, in modo da poter rimediare subito alla mia dimenticanza, ma il clima teso che mi circondava tornò ad allontanarmi dal mio intento, guadagnando la mia attenzione. In qualche gruppetto regnavano le risatine, in altri i toni cupi e sommessi.

Alice non mi aveva notato e continuava a muoversi da sola nel mezzo della folla, e mentre la raggiungevo scorsi in lontananza Federico, che naturalmente era assieme al suo solito trio, che un tempo credevo di conoscere tanto bene e di apprezzare. I quattro ragazzi ridacchiavano e scherzavano tra loro, parevano rilassati.

Tornai a concentrarmi su Alice, che nel frattempo avevo raggiunto alle spalle e senza che lei se ne accorgesse, per poi sfiorarle delicatamente un braccio. La ragazza sobbalzò al mio contatto.

‘’Oh, Antonio!’’, disse poi, una volta tranquillizzatasi dalla mia comparsa a sorpresa.

Mi sorrise dolcemente. Anch’io le sorrisi.

‘’Jasmine non viene neppure oggi a scuola, non so quando rientrerà… ha le placche, mi sa’’, aggiunse, con tono deluso e dispiaciuto.

Mi parve di sentir rigirare il coltello nella piaga, e tornai a darmi dello stupido. Quella ragazza per me era bellissima, stupenda e gentilissima. Ancora non riuscivo a farmene una ragione del come avessi fatto a dimenticarmi di fare quel passo avanti che volevo effettuare il giorno prima. Il destino mi aveva lasciato un altro po’ di tempo a disposizione per farlo, ma comunque la mia rabbia e il mio nervosismo furono parzialmente rivolti a Federico.

Non avevo mai odiato con intensità nessuno in vita mia, ma in quel momento mi sorpresi ad odiare parecchio quel mio coetaneo, quasi a ribollire di rabbia solo a pensarlo. Eppure, non avevo il coraggio per fare altro ed oppormi alle sue prepotenze.

‘’Mi spiace, pomeriggio le scrivo, così sento come sta. Piuttosto, che è accaduto questa mattina? Mi sembra tutto così insolito’’, dissi, cercando di deviare il discorso e percorrendo l’intero piazzale con lo sguardo.

‘’Sai che ho udito strane cose, poco fa? Proprio due minuti fa mi ha raccontato qualcosa Angela, quella di terza b. Non ci ho capito molto, ma a quanto pare Federico deve averne compiuta un’altra, questa volta con l’ausilio dei suoi tre amichetti’’, si limitò a rispondermi Alice, anche lei osservando gli altri. Di tanto in tanto, qualche risata di elevava da alcuni gruppetti, dove i vari componenti erano tutti occupatissimi a tenere gli sguardi fissi sugli schermi dei loro cellulari.

‘’Uhm…’’, mormorai, pensieroso, chiedendomi se tutto ciò aveva qualcosa a che fare con quello che forse avevo sognato durante la notte.

‘’Ne sai qualcosa di più, tu?’’, mi chiese, ma io scossi la testa. Provai a ricordare qualche frase forse udita durante la nottata ma non riuscii a collegare nulla all’ambiente scolastico.

Alice allora scrollò le spalle, come per volersi lasciare scivolare addosso ogni altro pensiero riguardante Federico, per poi sorridermi di nuovo, timidamente.

‘’Oggi ho ben due verifiche. Le prime dell’anno! Mamma mia, giuro che tremo solo a pensarci…’’, tornò a dire la mia amica, per poi rabbrividire per davvero.

‘’Stai tranquilla, sono certo che andrà tutto bene. E poi, non hai mai avuto problemi di nessun genere a differenza di altri’’, cercai di tranquillizzarla, mostrando un sorrisetto tremolante e mettendola indirettamente al corrente delle mie difficoltà a raggiungere le sufficienze nei precedenti anni scolastici.

‘’No, non posso stare tranquilla. Oggi ho anche la verifica di matematica, e come se non bastasse ho anche un po’ di mal di testa’’, aggiunse, senza sorridere quella volta.

Scese il gelo su di noi; la matematica era il grande incubo di chiunque, al liceo.

Non avevamo insegnanti particolarmente validi in quella materia così complessa, ma essi apparivano comunque molto esigenti soprattutto nelle verifiche scritte, che quasi nella totalità dei casi finivano per essere valutate ampiamente sotto la soglia della sufficienza. Anche i più bravi in tutte le altre materie vacillavano abbondantemente in matematica, finendo per crollare sotto il peso di tutti quei calcoli astrusi.

Provavo pena per la mia povera amica, e non la invidiavo affatto, ma ciò portò pure me a tremare. Sapevo che ben presto sarebbe stato il turno della mia classe, e in quella materia non ero riuscito a concludere praticamente nulla.

I compiti a casa non lo facevo quasi mai; l’insegnante non controllava se erano stati svolti, ed io non me ne preoccupavo, preferendo dedicare il mio tempo al pianoforte. Ma quando poi mi trovavo con la verifica sotto al naso e non ero in grado di risolvere nulla, molto spesso mi veniva da lasciarmi andare ad un pianto silenzioso ed impotente, anche se poi logicamente mi trattenevo.

Però, sapevo che era inutile disperarsi sul latte ormai versato, e quindi l’unica cosa che potevo fare era cercare di ripromettermi di prepararmi meglio per il compito in classe successivo, e di impegnarmi a svolgere gli esercizi e i compiti a casa, cosa che puntualmente non facevo. E, allora, la medesima situazione della verifica consegnata pressoché bianca si riverificava con costanza, ogni mese e per anni.

Questa vicenda si è poi tramutata in uno dei miei incubi più ricorrenti; ancora oggi, quando ho un sonno agitato, mi ritrovo in quella stessa aula e con grande realismo scorgo quelle fotocopie colme di numeri e di concetti che non so gestire, dominato da una lugubre impotenza e dall’incapacità di fare qualcosa. Solo, incapace di muovermi dalla sedia, trascorro intere notti a rivivere quei momenti che, effettivamente, dovevano avermi segnato moltissimo nell’istante in cui li vivevo.

Tuttora spero che, prima o poi, questo incubo ricorrente possa sparire dai miei sogni, ma ne dubito, vista la costanza con cui esso si ripresenta. Nulla viene dimenticato tanto in fretta, così come non ho mai dimenticato finora l’espressione che aveva sul volto la mia cara Alice quella mattina, che si preannunciava così lugubre e tesa sotto tutti gli aspetti.

Non riuscii a dirle altro, o a parlarle dei miei problemi in quella materia, poiché la campanella suonò e fummo costretti a dividerci, per dirigersi nelle nostre classi. La mia amica era così triste e agitata che pareva che stesse per essere condotta al patibolo.

E così, senza alcun buono auspicio, entrai nella mia sezione e mi preparai ad affrontare la nuova mattinata scolastica.

 

Non sapevo ancora il perché, ma i miei compagni di classe in quel periodo parevano essere diventati più gentili, nei miei confronti. Se fino a qualche tempo prima nessuno manco mi salutava, ed era come se fossi un fantasma e non esistessi, in quei giorni qualcuno cominciò a rivolgermi qualche superficiale buongiorno, o mi rivolgeva qualche frase di rito.

Niente di che, ma era un passo in avanti che a mio avviso non avevo in alcun modo cercato di compiere con le mie forze, visto che avevo gettato la spugna già durante il primo anno, quando tutti mi prendevano in giro per il rossore che compariva sul mio viso quando dovevo parlare con qualcuno di loro, ma tuttavia la situazione che si stava creando non mi dispiaceva affatto. Anzi, il gracile Francesco aveva pure cominciato a rivolgermi qualche sorriso, come se l’evento di bullismo al quale entrambi eravamo stati sottoposti dallo stesso aguzzino ci avesse avvicinati.

Se il quasi insormontabile divario tra me e gli altri componenti della classe si era ridotto di qualche millimetro, quello tra me e Federico continuava ad essere violentemente insostenibile.

Per far capire chiaramente che con me non voleva averci nulla a che fare, umile sfigato com’ero, ogni mattina aveva preso l’abitudine di staccare leggermente il suo banco dal mio. Un gesto simbolico, un’espressione senza parole che mi faceva capire che per lui ero solo uno scarto, e che ai suoi occhi dovevo apparire come l’essere più indegno del mondo.

Non mi dispiaceva comunque stargli lontano, e in classe tutti lo guardavano in modo diverso rispetto al primo giorno in cui si era presentato. Anche lui a modo suo stava diventando una sorta di emarginato, all’interno dell’ambiente scolastico, e le uniche persone con cui era riuscito a legare erano proprio Giulio, Luca e Davide, ed ormai erano diventati i suoi unici compagni fissi durante le brevi pause.

Come ogni mattina, le lezioni iniziarono in fretta e in modo noioso, mentre per il momento continuavo ancora a ringraziare il Cielo per il fatto che nella nostra classe i vari professori erano stati molto clementi fino a quel momento, e solo pochi avevano iniziato ad interrogare e ad appuntare sui registri qualche verifica scritta.

La prof Carlucci quella mattina sarebbe tornata a parlare di Leopardi, cosa che ormai faceva dall’inizio della scuola, affermando di non voler lasciare nessun punto interrogativo su quel grand’uomo che si era reso immortale grazie ai suoi scritti. Le sue poesie non mi piacevano molto, lo ammetto, poiché le trovavo spesso troppo articolate, e magari eccessivamente complesse, e ciò si scontrava con l’idea che avevo della poesia, ovvero che essa dovesse essere una forma semplice di espressione. Ma non ho mai voluto sminuire quel grandissimo poeta, che tuttavia non mi dispiaceva studiare.

Con la coda dell’occhio notai che Federico aveva cominciato fin dall’inizio delle lezioni a giocare col suo cellulare, e mi chiesi se in quelle tre settimane di frequentazione avesse mai sfiorato una penna con un dito. Si era fatto coraggioso, e spesso, come in quel momento, paciugava col suo attrezzo elettronico ben posizionato sul tavolo, protetto dalla vista della prof dalla borsa a tracolla scura, sempre adagiata sul banco e tirata leggermente su come se fosse una barriera protettiva.

Non gli prestai ulteriore attenzione, e mi sopii, lasciando trascinare i miei pensieri lontano, lungo il tortuoso percorso poetico di Leopardi.

Immerso nelle spiegazioni della prof, e cercando di stare attento e di assimilare più informazioni possibili, per poi dover studiare di meno una volta giunto a casa, sobbalzai quando scoppiò un putiferio inaspettato, ma che non mi dispiacque per nulla.

‘’Professoressa Carlucci, un suo studente non fa altro che giocare al cellulare’’, disse improvvisamente una voce, frantumando il silenzio che regnava nell’aula, interrotto solo dal roco tono monocorde dell’insegnante.

Il tempo parve fermarsi, e mi voltai indietro di scatto, seguendo il suono di quella voce che aveva interrotto le spiegazioni, notando che apparteneva a una delle due insegnanti di sostegno che, di tanto in tanto, seguivano una mia compagna, Clara. Entrambe entravano poco in classe, visto che Clara aveva seri problemi a concentrarsi e a seguire lo svolgimento delle lezioni, e quindi seguiva parzialmente un programma più semplificato, restando in classe con noi solo alcune ore al giorno.

Nessuno aveva notato che l’insegnante di sostegno era entrata in classe assieme alla nostra compagna, poiché erano state molto silenziose ed avevano utilizzato la porta secondaria situata nell’ampio retro dello stanzone, di cui potevano usufruire in modo da poter entrare e uscire senza dover interrompere le lezioni con il loro passaggio, visto che la porta principale dell’aula era situata proprio alla sinistra dell’insegnante e di fronte agli alunni.

Ebbene, l’insegnante di sostegno, una donnina minuta e dall’aspetto gentile ma deciso, stava proprio segnalando Federico alla professoressa.

Vidi il mio nemico che, a pochi centimetri da me, era stato colto di sorpresa, e con rapidità si era lasciato sfilare il cellulare tra le mani, per poi spegnerne lo schermo e cercare di infilarlo all’interno della tracolla, ma ovviamente a quel punto non poteva più fare altro senza essere visto, poiché tutti quanti lo stavamo fissando.

La professoressa Carlucci, che era sempre stata più cortese ed accomodante nei confronti del nuovo arrivato, forse nel vano tentativo di farlo sentire più a suo agio in quell’ambiente nuovo, quella volta lo osservava con un’espressione attonita e colma di rancore talmente tanto sorprendente che ancora oggi la ricordo come se l’avessi avuta di nuovo di fronte a me.

Con lentezza, si mosse verso Federico, che se n’era rimasto totalmente spiazzato ed inerme, senza neppure più cercare di insabbiare i fatti, e allungò una mano, afferrando il cellulare. Osservò per un attimo il magnifico Samsung, mentre tutti i presenti se ne stavano in silenzio a gustarsi la scena, prima di parlare.

‘’Questo è sequestrato. Eravamo stati chiari sul fatto che in ambiente scolastico è severamente vietato utilizzare il cellulare, per qualsiasi futile motivo. Ora annoto l’evento nel registro, e per riavere il telefono dovrai far venire a scuola un tuo genitore, in modo che possa prendere atto del tuo atteggiamento scorretto e che possa parlare con me, la coordinatrice di classe’’.

Sentenza severa ed apparentemente inappellabile.

‘’Non è la prima volta che lo vedo mentre gioca col telefono. Anzi, l’ho visto quasi tutte le volte che sono venuta in classe’’, aggiunse l’insegnante che aveva segnalato il misfatto, quasi infierendo.

Federico si voltò indietro e la incenerì con un’occhiataccia, prima di tornare a fissare la prof Carlucci, ormai davvero molto irritata. Sapevamo tutti che era sempre parecchio severa, e che non si faceva problemi a rispettare il regolamento scolastico e a distribuire sanzioni appropriate ma pesanti. Tuttavia, si trattava di sanzioni giuste.

‘’Prof, sono maggiorenne. Me lo riprendo il telefono, mi metta pure una nota. E lei si faccia gli affari suoi, non è una mia professoressa!’’, concluse il furioso Federico, addentando l’insegnante di sostegno.

‘’Tu non puoi nulla. E non azzardarti a rispondere in questo modo agli insegnanti di questo istituto, o ti mando direttamente nell’ufficio della preside. Per quanto riguarda il resto, fai venire qui a scuola i tuoi genitori, perché ho come l’impressione che tu non ti stia comportando in modo corretto, in alcuni casi, e vorrei poter parlare a quattr’occhi con loro. Anzi, li vado a chiamare subito dalla segreteria’’, disse la professoressa, implacabile e senza lasciar parlare il colpevole, facendo cenno all’insegnante di sostegno di non rispondere in alcun modo alle provocazioni. Si doveva essere sentita presa in giro dal nuovo arrivato, e non l’avevo mai vista così tanto arrabbiata.

‘’No…’’, si lasciò sfuggire il mio nemico, con un ultimo rantolo colmo di disperazione.

La prof uscì nel corridoio, affidandoci per un attimo alla sorveglianza dell’insegnante di sostegno, ed andò a contattare Roberto e Livia.

Non mi sembrava vero; guardavo estasiato il mio nemico, per poi riabbassare gli occhi sui miei libri, per non farmi sfuggire un sorriso. Mi dispiaceva tantissimo per Roberto, ma ritenevo che quella fosse la giusta punizione per Federico, che dal canto suo rivolgeva occhiate furenti all’insegnante che l’aveva denunciato alla prof.

Per la prima volta dopo alcune settimane, per un po’ mi sentii meglio, crogiolandomi nell’ansia e nell’agitazione del figlio degli inquilini di mia madre, che tante volte si era mostrato perfido ed implacabile con me, e in quel momento gli stava venendo reso una minuscola parte del conto da pagare.

Mi sentivo perfido come non mai, ma quella volta non mi importava davvero. Avevo solo una gran voglia di sorridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Continuo a ringraziare chiunque stia seguendo e sostenendo il racconto. Davvero, grazie di cuore per la fiducia che riponete in me e nei miei scritti.

Ancora grazie, e buona giornata! A lunedì prossimo J

 

   
 
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