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Autore: lady hawke    26/03/2005    19 recensioni
Elisabetta, la grande regina, è il simbolo di un epoca che ormai vede il suo triste declino. Alla sua morte Giacomo VI di Scozia sarà il nuovo re, il fondatore di un nuovo capitolo della storia. Ma lei, la Signora è lucida, fino all' ultimo istante, fino all' ultima goccia di vita che ha in corpo
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
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FAIR ELIZA

FAIR ELIZA

L’enigma d’Elisabetta I

 

 

ELISABETTA:
il nome deriva dall’aramaico Elischeba e significa "colei che giura per Dio".

 

 

 

Una donna < molto strana > Elisabetta, per usare le parole di un ambasciatore spagnolo, orgogliosa della propria indipendenza e del proprio potere, ma al contempo votata ad un ineluttabile destino di solitudine, capace di sublimi tenerezze e gesti di sfida, innamoramenti e < solenni ingiurie >.

                                                                                                   Carolly Erickson

 

 

 

I medici vanno e vengono, la gente nasce e muore, mentre io sono qui, ferma, vigorosa, eterna, sono la Regina d’Inghilterra e voglio esserlo per altri cent’anni almeno.

Mento in realtà, mento a me stessa come sempre. Sono vecchia e sì, sono anche stanca; per quanto il mio orgoglio mi spinga a lottare non ha più senso sfuggire alla morte. Lei arriverà presto, e io lo so. Ma non starò inerme, in un letto, ad aspettarla. Sarà lei a venire da me, e non io da lei, questo mai.

Non mangio, non mi occupo più della cara Inghilterra. Dopotutto ora mi ritengono inutile, incapace di prendere decisioni, e ho intenzione di farglielo credere; per loro sono già sepolta, dimenticata, non solo i cortigiani, anche i miei servi non vedono l’ora di disfarsi di me.

Ma io sono qui, sono ancora viva, e non sono lontani i giorni in cui essi, timorosi, imploravano la mia protezione. Il popolo solo mi acclama ancora come una semi-divinità, ma loro sono volubili, e il loro cuore presto griderà lealtà a Giacomo, non a me.

Eppure per loro sono come una madre, la donna più vecchia d’Inghilterra, quanti cari, quanti amori e quanti nemici ho visto morire, ai miei piedi; io sono stata la più forte, la più spregiudicata.

 

Una lacrima scende solitaria sulla mia guancia ancora truccata e bianca, questo è sempre stato il mio peggior difetto; l’essere donna, l’essere fragile.

Eppure sono figlia di mio padre, mio padre Enrico, io sono come lui; ma quante volte ho dovuto lottare, battere i piedi, urlare per essere ascoltata. Per tutti ero solo una donna, una semplice giovane che presto si sarebbe sposata lasciando campo al nuovo re. Gli uomini comandano, non le donne.

Ma io sono la regina,io sola devo comandare.

E’ stato difficile rimanere sola, la mia voglia di potere forse mi ha fuorviato. Caro Robert, mio amato, quante volte ho urlato anche a te che io, soltanto io ero la padrona, soltanto io. Mi hanno odiato per questo, mi hanno odiato per molte cose.

Sono stata madre, sposa, amante della mia terra, ho reso l’Inghilterra forte, fiera, ricca e libera, lontana anche dalla prepotente Chiesa di Roma. Ho lottato, strenuamente, come un leone, mi sono lanciata pericolosamente, e sempre con la mia testa. I consiglieri spesso mi seguivano solo perché costretti. Ma ho vinto la mia battaglia, il tempo mi ha dato ragione e nonostante questo sono sola.

 

Altre lacrime,

Lacrime amare che mi bruciano la pelle.

Sono una superstite, una sopravvissuta che vive in un mondo cambiato, che non mi appartiene più, che non riconosco più. Sono circondata dai figli dei miei coetanei, mi hanno lasciato qui sola sui miei bei cuscini ricamati. Loro non comprendono me, e io non comprendo loro.

Sola e abbandonata nel momento peggiore, mentre la vita mi sfugge via. Per tutta la vita ho fuggito il matrimonio, ma mi manca la presenza di un figlio ora.

Ma ho ancora la forza, quanto basta per brandire la vecchia spada arrugginita di mio padre (che sempre portavo con me, temendo per la mia vita) e scagliarla lontano, imprecando

< Per la morte di Dio ! >

Voglio tornare alla mia gioventù, voglio ancora essere la giovane, la Fanciulla di cui cantano i poeti. C’è chi pensa ad una leggenda, chi al mito, ma quella Fanciulla ero io, sono ancora io. Sono qui, forte, orgogliosa, combattiva come allora.

Prendo uno specchio e mi guardo.

Eccomi, vecchia e rugosa, con la mia parrucca rossa, fulva, in ricordo dei miei bei capelli. Non sono mai stata bella, bella come le principesse dei sogni e delle favole, ma ero affascinante, arguta e caparbia. Conquistavo gli uomini con i gesti, con le parole, con gli occhi, tutti cadevano ai miei piedi, stregati. Già, anche i miei occhi castani stanno perdendo colore, ma sono vivi ancora, austeri. Lancio lo specchio, mostro di verità, s’infrange contro la parete e un servo accorre. Lo caccio via urlando come un cane qual è, un lurido cane che vuole solo metter mano ai miei tesori.

< Andate via, VIA, voglio stare sola! > s’inchina ed esce. Io rimango qui con la mia vita.

 

Ecco, mi hanno messo a letto, normalmente l’ avrei impedito, mi sarei opposta, ma ormai a che serve ribellarsi? Mi giro di lato e chiudo gli occhi, non voglio vedere nessuno di quelli che mi stanno intorno, non ho alcuna voglia di vedere su di me sguardi ansiosi di chi attende il mio oblio. Sento una voce, è il mio arcivescovo, il caro Whitgift, sorrido e gli stringo la mano; c’è la speranza nelle sue parole, mi parla di Gesù e del regno dei cieli. Vorrei parlare, assicurargli che ho piena fiducia nella mia salvezza < solo per meriti e la misericordia di Cristo >; ma non riesco più a parlare, la mia gola è muta. Sollevo il braccio e indico il soffitto, il cielo.

Ovunque c’è l’attesa degli eventi.

Sto crollando, non resisto più, la morte è con me. Strana morte, non mi si addice, stona con il mio stile roboante.

Addio a questo mondo di gioie e dolori, Robert l’ultimo pensiero in vita è per te, forse nel regno dei cieli saremo felici come mai abbiamo avuto occasione d’essere qui.

< Non è cosa piacevole vivere, perché s’intraprende un lungo viaggio, dove ora si sale e ora si scende, e a volte si cade, spesso si è esausti e sull’orlo della disperazione >, queste le parole immortali di Seneca. Chiudo gli occhi e il mio regno finisce qui.

La notizia passò di bocca in bocca, il cavaliere montò in sella e il suono degli zoccoli al galoppo riecheggiò nella notte piovosa.

 

Weepe, little isle, and for thy Mistris death

Swim in a double sea of brackish waters:

Weepe little world, weepe for great Elizabeth;

Daughter of warre, for Mars himself begate her,

Mother of peace, for she bore the latter.

She was and is, what can there more be said,

In earth the first, in heaven in second Maid.

 

Piangi, piccola isola, e per la morte della tua Signora

Nuota in un mare d’acque due volte salmastre:

Piangi, piccolo mondo, piangi per la grand’Elisabetta;

Figlia della guerra, perché generata da Marte in persona,

Madre della pace, perché pace portò.

Ella fu ed è, che cosa si può dire,

Nella terra prima, nei cieli la seconda Fanciulla.

                                                                                   Poesia d’epoca Tudor

 

L’incipit (firmato) e la frase finale sono opera di Carolly Erickson scrittrice americana che ha steso una biografia su Elisabetta I, personaggio storico a me caro. I riferimenti storici, come pure la poesia sono tratti dal suo libro “Elisabetta I, la vergine regina”.

Sarei felice se qualcuno commentasse questo lavoro.

Vi ringrazio in anticipo

Un bacio Lady hawke.

 

 

  
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