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Autore: ShioriKitsune    10/06/2016    1 recensioni
[Hitman/Hacker/Mafia!AU ; Taekook ; side!JiHope
Basata sul prompt: "A" is a hitman assigned to kill "B"]
Si potrebbe pensare che Jeongguk non avesse un cuore, per essere così indifferente davanti alla morte, ma la verità era che aveva capito una cosa sola della vita, ed era quella giusta: uccidi o verrai ucciso.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Blow up louder!


(ssak da bultaewora, pow wow wow)




1.

Jeongguk fu svegliato da un insistente bussare alle prime luci dell'alba.

«Jeon».

Non rispose.

«Jeongguk».

Ancora nulla.

Yoongi sospirò, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. «Apri la porta, moccioso. Adesso».

E quel tono basso e minaccioso il minore proprio non poteva ignorarlo.

Aprì gli occhi e scalciò via le coperte, facendo scattare la serratura con il viso metà tra l'addormentato è il crucciato. «Cosa, hyung?».

Non usare quel tono con me, lo minacciò l'altro con gli occhi. «Namjoon ti vuole pronto in venti minuti. Hai un lavoro».

Jeongguk lanciò uno sguardo all'orologio appeso alla parete e grugnì. «Sono le sei del mattino! Non avrebbe potuto aspettare qualche ora in più?».

Yoongi serrò la mascella e assunse una postura così imponente che la differenza d'altezza svanì per qualche secondo. «Hanno dovuto svegliare me, per venire a svegliare te, e sai come reagisco quando i miei occhi sono aperti prima delle undici. Quindi, se non vuoi che questo hyung ti modifichi le connotazioni facciali, ti conviene presentarti alla base senza lamentarti».

Il minore sospirò, tornando dentro per prepararsi.

 

 

«Di cosa si tratta?».

«Un hacker sta cercando di penetrare il sistema di un'importante industria che, presumibilmente, ha troppe faccende losche alle spalle per potersi permettere un problema del genere. Vogliono che tu lo faccia fuori nel minor tempo possibile».

Jeongguk roteò gli occhi, incrociando le braccia. «Non avrebbero potuto farlo loro? È un nerd, quanto pensi ne sappia di autodifesa?».

Namjoon alzò un sopracciglio. «Se tutti ragionassero in questo modo, il nostro lavoro sarebbe inutile e ci ritroveremmo tutti a dormire sotto un ponte».

La base della loro organizzazione era un modesto ufficio al secondo piano di un palazzo, al centro della città. Era stata un'idea del loro capo, Kim Namjoon, evitare posti isolati che potessero attirare l'attenzione. In fondo, la loro attività non era propriamente legale.

«Okay, okay, e dove posso trovare questo tizio?».

«Hoseok lo sta rintracciando proprio adesso, ma quell'hacker è abbastanza in gamba: usa connessioni criptate e difficili da scovare, ma confido nel talento della nostra squadra».

Jeongguk lanciò un'occhiata ad Hoseok, che alzò lo sguardo dal computer per un momento e gli rivolse un sorriso luminoso.

«Cosa sappiamo di lui?».

«Molto poco. I database non hanno trovato un riscontro facciale né anagrafico, quindi non sappiamo cosa aspettarci. In effetti, non sappiamo neanche se sia un uomo o una donna».

Il minore aggrottò la fronte. «E come dovrei liberarmi di questo tizio se non so neanche quale sia il suo aspetto?».

Namjoon sospirò, sfogliando i documenti fornitigli dal cliente. «Sappiamo che sul web è conosciuto con lo pseudonimo V».

Giusto, adesso il cerchio si restringe.

Jeongguk si limitò a sistemarsi la giacca e nascondervi la pistola all'interno, evitando di dar voce ai suoi dubbi. Ma Namjoon, da bravo capo qual era, non aveva bisogno che la sua squadra parlasse per capire cosa passasse loro per la testa.

«Non preoccuparti, Gukkie, sono certo che farai un ottimo lavoro. Sei il nostro miglior sicario per una ragione».

La ragione era che era l'unico sicario del gruppo, a parte Yoongi che però era troppo pigro per scendere in campo se non in situazioni di estremo bisogno.

«Certo, uhm, grazie hyung».

«Ti manderò le informazioni tramite email quando aggancerò il server da cui si connette V», aggiunse Hoseok. «Per ora puoi andare».

Jeongguk annuì, allontanandosi dall'ufficio senza aggiungere altro.

 

 

Se qualcuno gli avesse chiesto come diamine si fosse trovato, a soli vent'anni, a fare il sicario di professione, Jeongguk avrebbe semplicemente fatto spallucce. Per quanto ne sapeva, era cresciuto con la pistola in mano.

La famiglia di Namjoon svolgeva quest'attività da anni ed era stato un fortuito caso che suo padre, il signor Kim, avesse trovato il piccolo Jeongguk nascosto in un angolo della sua stanza, le braccia strette intorno al corpo e le minute mani che nascondevano il viso in lacrime, dopo aver assistito all'omicidio dei suoi genitori da parte di una qualche associazione criminale.

Jeongguk all'epoca non sapeva che la sua famiglia fosse invischiata con la mafia, ma dopo quel giorno decise di non voler essere più tenuto all'oscuro di nulla.

Il signor Kim era stato chiamato dal padre di Jeongguk quella stessa sera, perché quest'ultimo aveva bisogno di commissionargli un lavoro. Ma i suoi avversari erano stati più veloci di lui e il signor Kim era arrivato quando non c'era più nulla da fare.

Decise di portare il bambino con sé e crescerlo con la sua famiglia e, qualche anno più tardi, si scoprì soddisfatto di quella decisione.

Jeongguk era un fenomeno: tutto ciò che le sue mani toccavano diventava oro e sembrava avere un talento innato per l'omicidio a sangue freddo. Non c'era nulla che il minore non sapesse fare e questo aveva fruttato molti guadagni alla loro attività.

Si potrebbe pensare che non avesse un cuore, per essere così indifferente davanti alla morte, ma la verità era che aveva capito una cosa sola della vita, ed era quella giusta: uccidi o verrai ucciso.

 

Jeongguk camminava con le mani nelle tasche, indeciso su cosa fare in attesa delle informazioni.

Optò per una breve sosta in caffetteria, dato che il suo organismo aveva ancora problemi a realizzare il fatto di essere in piedi alle sette del mattino e aspettò pazientemente che la ragazza al bancone prendesse il suo ordine.

Ma quando si voltò, la tazza fumante in mano, pronto a tornare ai suoi obblighi, si scontrò con qualcosa.

Beh, qualcuno.

«Oh mio Dio! Mi dispiace! Stai bene?»

Jeongguk sospirò, abbassando lo sguardo sulla sua maglietta pulita che adesso sfoggiava un'enorme chiazza di caffè proprio al centro. Il ragazzo, in piedi di fronte a lui, gli stava rivolgendo uno sguardo colpevole.

«Uhm, sì, sto be-»

«Te la ricomprerò! E ti ricompro anche il caffè! Mi dispiace così tanto, sono sempre sbadato e non guardo mai dove metto i pie-».

«Ehi», lo interruppe Jeongguk, aggrottando la fronte. «Ho detto che sto bene, non preoccuparti. È solo una maglia».

L'altro sporse il labbro inferiore, passandosi una mano tra i capelli. Erano di un tenue lilla, un colore insolito per un ragazzo, ma Jeongguk pensò che non gli stessero affatto male. «Permettimi almeno di offrirti il caffè», mormorò, stringendosi nelle spalle.

L'altro guardò il cellulare. Non aveva ricevuto ancora nessuna informazione da Hoseok e aveva del tempo da ingannare, quindi...

«Va bene».

Il viso dello sconosciuto s'illuminò in un sorriso rettangolare. «Arrivo subito!», disse, fiondandosi verso la cassa e ordinando due caffè da portar via.

Qualche minuto dopo, camminavano fianco a fianco per la strada, le bevande calde in mano.

«Io sono Taehyung, comunque», si presentò il ragazzo, allungando la mano.

«Jeongguk».

Taehyung sorrise.

I due passeggiarono per un po', chiacchierando del più e del meno.

In quel breve lasso di tempo, Jeongguk scoprì che Taehyung era più grande di lui di qualche anno e che studiava all'università, che quell'anno si sarebbe laureato in lingue straniene e che amava i bambini e gli animali più di ogni altra cosa al mondo.

«E tu invece, cosa fai nella vita?».

«Uhm», Jeongguk esitò. «Lavoro per l'azienda di famiglia».

Taehyung annuì, interessato, sorseggiando il suo caramel macchiato. «E di cosa ti occupi?».

Niente di che, giusto qualche omicidio qui e lì. «Relazioni pubbliche».

«Wow! Devi essere davvero talentuoso per ricoprire un ruolo così importante alla tua età!».

Il minore fece spallucce.

In quell'istante, il telefono nella sua tasca vibrò.

 

» Nuova email da: Hoseok-hyung

Rintracciato, ah! Segui l'indirizzo allegato alla mail. Buon lavoro, Jeonggukie!!”

 

«Ehi, adesso devo andare. Il lavoro chiama».

«Ah, certo! Mi dispiace per averti trattenuto così a lungo, Jeongguk-ah!».

Jeongguk fece un cenno con la mano. «Grazie per il caffè».

Ma quando si voltò per andare via, la voce dell'altro lo trattenne. «Uhm! Beh, so che ci siamo appena incontrati e tutto il resto, ma ti andrebbe, non so, di scambiarci i numeri? Così potremmo vederci per un altro caffè o... non so». Taehyung ridacchiò, imbarazzato.

In quel momento, Jeongguk fu colto dall'indecisione.

Non aveva amici, escludendo la sua squadra, perché era rischioso avvicinarsi a gente esterna. Ma quel ragazzo sembrava a posto e forse, pensò, non gli avrebbe fatto male fingere di essere normale, una volta tanto.

«Uhm, certo».

L'altro gli rivolse uno dei suoi sorrisi rettangolari, porgendogli il proprio telefono. «Salva pure il tuo numero come preferisci, io e la tecnologia non siamo proprio in ottimi rapporti».

Jeongguk sollevò un sopracciglio, prendendo l'apparecchio dalle sue mani mentre cercava di reprimere un ghigno. «Sei un po' all'antica, per essere così giovane».

Taehyung fece spallucce.

Il minore salvò il suo numero sotto il nome di “Jeongguk” - non aveva proprio voglia di invetare qualcosa e poi quello era il suo nome, maledizione – e gli restituì il cellulare.

«Allora ci vediamo».

«Ci vediamo, hyung».

E Jeongguk si allontanò mentre l'altro agitava la mano a mo' di saluto.

 

 

«Sono davanti all'ingresso», mormorò.

«Perfetto», rispose Hoseok, a telefono. «Prendi le scale fino al terzo piano, il server mi ha indirizzato alla seconda porta sulla sinistra».

Il minore annuì, concludendo la telefonata senza perdere tempo in saluti.

Seguì le istruzioni fornitegli, forzando la serratura ed entrando il più silenziosamente possibile nell'appartamento.

Sembrava vuoto, ed era strano, ma Jeongguk aveva un udito abbastanza sviluppato da percepire il lievissimo rumore di passi proveniente dall'altra stanza. Impugnò la pistola tenendola davanti al viso, pronto a mirare, e quando aprì la porta con un calcio, si ritrovò davanti un ragazzo in pigiama dallo sguardo assonnato.

«Non urlare o sei morto». Non aggiunse che sarebbe morto comunque.

Questi, preso alla sprovvista, sgranò gli occhi e sollevò le mani in segno di resa. «Cosa? Che sta succede-chi diavolo sei?!».

Jeongguk si avvicinò lentamente, senza abbassare l'arma. «Fine dei giochi, V, ti abbiamo beccato. A qualcuno non sono andati giù i tuoi ultimi tentativi di hackeraggio al sistema».

All'altro quasi cadde la mascella. «Hackeraggio? V? Mi chiamo Jimin, maledizione! Park Jimin! E non sono capace di hackerare neanche il mio stesso profilo facebook!»

Jeongguk aggrottò la fronte, studiandolo. In effetti, non sembrava chissà quanto furbo o intelligente ma Hoseok non si era mai sbagliato.

«Per favore, signor assassino! Giuro che non sono io la persona che sta cercando! La prego, non mi uccida! Non posso morire prima di aver scoperto cosa c'è nella maledetta cantina di Eren Jaeger!».

A quello, il sicario sollevò un sopracciglio. Nello stesso istante, il telefono vibrò e si accinse a tirarlo fuori, portandolo all'orecchio senza spostare la mira dal ragazzo in ginocchio di fronte a lui.

«Hyung?»

«Il segnale si è spostato, Jeonggukie. Credo di aver fatto un buco nell'acqua».

Jeongguk sospirò. «L'avevo vagamente intuito».

«Che intendi?»

Jeongguk abbassò la guardia, rimettendo la pistola al suo posto mentre il ragazzo di fronte a lui riprendeva a respirare. Gli si avvicinò, decidendo cosa fare prima di rivolgersi nuovamente al suo interlocutore.

«Abbiamo un nuovo problema, Hoseok-hyung. E questo problema pare chiamarsi Park Jimin».

 

   
 
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