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Autore: Lory221B    10/06/2016    9 recensioni
Una nuova scena del crimine e una serie di indizi che portano ad un'ipotesi sconvolgente.
Sherlock e un avvocato d'ufficio, vecchio amico del detective, si lanciano in una lotta contro il tempo per dimostrare l'innocenza dell'unico indagato: John Watson.
(Johnlock)
Genere: Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'avvocato e l'indagato


John Watson era un medico militare, era un uomo che non si accontentava di una vita ordinaria in periferia, era il fedele assistente del detective più famoso di Londra, ma in quel momento, era solo il marito indagato di un cruento omicidio.

Questo, almeno, era quello che titolavano i giornali freschi di stampa e quello che credeva la maggior parte delle persone. Ma non Sherlock Holmes, mai avrebbe potuto credere che il suo migliore amico, il suo John Watson, potesse aver ucciso la moglie Mary, in un impeto d’ira.

Lui e Victor non si erano scambiati alcun convenevole e il detective aveva subito fatto strada verso il suo appartamento, dove si aspettava di ricevere una risposta o una spiegazione plausibile sulla rivelazione di Victor, che John aveva confessato l’omicidio.

- Sta proteggendo qualcuno, mi sembra ovvio, perché dovrebbe farlo altrimenti? - fece Sherlock, passeggiando nervosamente avanti e indietro. Era stanco, era abbastanza evidente. Non dormiva da oltre trentasei ore, non mangiava dalla colazione del giorno prima e ogni fibra del suo essere, cercava delle risposte.

John non era soltanto il medico militare, fedele assistente e compagno di avventure. Per Sherlock, quello che alla maggior parte delle persone sembrava un essere ordinario, era la persona migliore e più saggia che avesse mai incontrato. Non si rendeva conto nemmeno lui di quanto profondamente fosse legato a John e non aveva mai voluto approfondire oltre, non da quando John aveva lasciato Baker Street per una vita più normale.

Victor si sedette sulla poltrona di John, non poteva sapere che quella poltrona era sacra da quando il dottore se ne era andato, che nemmeno Moriarty l’aveva violata e che ormai Sherlock preferiva tenerla per sé, piuttosto che lasciare che i clienti si sedessero li.

Victor Trevor era il classico bravo ragazzo. Nato in una famiglia benestante, aveva fatto di tutto per dimostrare che valeva molto di più del suo cognome. Il destino aveva fatto sì che nella sua vita universitaria incontrasse un genio pazzo come Sherlock Holmes.

Erano passati tanti anni dall’ultima volta che si erano visti e se Sherlock non fosse stato così sconvolto dagli ultimi eventi, si sarebbe soffermato di più a osservare quanto fosse cambiato il suo ex compagno di stanza, ma al contempo quanto fosse così simile al ragazzo che aveva conosciuto.

I capelli erano più lunghi e c’era qualche striatura bianca nella chioma, oltre ad essere comparsa qualche piccola e affascinante ruga attorno agli occhi, ma lo sguardo vivace e il sorriso sincero erano rimasti gli stessi di un tempo.

Victor Trevor era stata la prima persona a sopportare e cercare di capire Sherlock, prima di John, prima dei vari Lestrade e Molly, ed era stato il primo ad innamorarsi inutilmente di lui.

Poteva vantarsi, inoltre, di essere stato l’unico appuntamento galante del detective, così espressamente definito da entrambi, nonostante poi Sherlock lo avesse classificato come un esperimento inconcludente.

Quella prima ed unica serata, conclusa con un goffo bacio del giovane detective ed un ancora più goffo commento “ero stufo di aspettare che ti decidessi, e onestamente non so se mi piace questa cosa del baciare”, non si era più ripetuta, nonostante la tremenda cotta che Victor aveva per Sherlock e le speranze che riponeva in una relazione diversa dall’amicizia.

Ma queste non erano le idee di Sherlock, che era scappato a gambe levate dopo quell’incontro.

Aveva subito sentito la mancanza di ossigeno, della libertà di cui sarebbe stato privato da una relazione sentimentale. O almeno, così credeva lui, ma in realtà, nel profondo, era la paura di essere ferito che lo aveva frenato. Doveva sembrare strano alle le persone “normali”, che vivevano ogni emozione come parte naturale della vita, pensare che qualcuno, nella fattispecie Sherlock, per evitare di essere ferito, schivasse ogni possibilità di essere felice e amato.

Victor lo aveva capito, era molto più sveglio e maturo di quello che credeva Sherlock e non aveva insistito, perché aveva compreso di non essere così speciale da fargli superare ogni paura e vivere appieno le emozioni; così, alla fine, erano tornati amici, anche se era sempre rimasta una qualche complicità.

Complicità che sembrava sussistere ancora, data la naturalezza con cui Sherlock l’aveva trascinato nel salotto di Baker Street, senza usare alcun formalismo. Alla fine, anche il detective aveva ceduto alla stanchezza ed era sprofondato nella sua poltrona.

- Che cosa vuol dire, che ha confessato? - chiese furente, immaginando già, che avrebbe urlato a John quanto fosse idiota.

Victor assunse un’espressione seria - Non è valida la confessione, io non ero ancora arrivato e non ha firmato niente. Ma sembra abbastanza sicuro di essere stato lui -

- Sembra? - chiese Sherlock.

- Non ricorda bene, era piuttosto ubriaco, Sherlock - rispose Victor.

Il detective registrò anche questa informazione. John non ricordava, poteva essere successo di tutto, anche che degli sconosciuti fossero entrati in casa Watson, mentre lui stava smaltendo la sbornia in camera da letto. Il discorso dell’alcool turbava un po’ Sherlock; John non era tipo da vizi, né da presentarsi a casa ubriaco. Era vero che negli ultimi tempi non erano riusciti a vedersi molto, ma il detective non immaginava che la vita di John si fosse diretta verso un binario accidentato.

Credeva che John fosse felice nel suo ruolo di marito e padre, per questo non era stupito del fatto che si fossero sentiti sempre meno.

In ogni caso, John Watson non avrebbe mai commesso un omicidio.

E il tassista, Sherlock?” fece la sua parte razionale, naturalmente impersonata da Mycroft.

Quello era diverso, ero in pericolo

Sicuro che qualcuno non fosse in pericolo anche questa volta?

La sua mente lo lasciò con quel gigantesco punto di domanda, perché si accorse che Victor lo stava fissando, come in attesa di qualcosa, e Sherlock si rese conto che l'avvocato non era abituato ai momenti in cui si isolava nel suo Palazzo Mentale.

- Non è stato lui! - commentò soltanto Sherlock, appoggiandosi allo schienale della poltrona

Victor sorrise, capendo che Sherlock non era cambiato negli anni, era sempre sfrontato e sicuro di sé. O lo amavi o lo odiavi, non c’era via di mezzo. Era così indisponente, sfacciato e arrogante ma al contempo geniale e affascinante, che di certo non passava inosservato. Tutto dipendeva da quale parte di lui restasse più impressa; c’era chi non superava le prime battute sfrontate e preferiva tenersi lontano dall’uomo intuitivo e complicato e c’era chi ne restava talmente affascinato da sopportare ogni stranezza. Victor era uno di questi ultimi.

- Ci sono diverse prove - Iniziò l’avvocato, non per scoraggiare l’amico, ma per prepararlo al peggio.

- Lo stanno incastrando, mi sembra ovvio. Quando finalmente vedrò la scena del crimine dal vivo e potrò esaminare... - Voleva dire il corpo, ma ancora non riusciva a pensare di passare sotto la lente di ingrandimento, quello che una volta era il corpo di Mary. Non era un sentimentale, ma non era nemmeno un robot. Era Mary, la donna che John amava e aveva scelto, la madre della figlia di John, la ragazza sveglia, molto più sveglia della maggior parte delle persone che aveva incontrato. Non era un’estranea, non era soltanto la vittima, era Mary.

Nel fascicolo di Mycroft c’erano soltanto le foto di come era stata trovata perché non era ancora stata esaminata dal coroner; era caduta in avanti, per cui la visuale delle foto era di schiena, faccia a terra e un’enorme pozza di sangue a incorniciare la maglietta bianca e i pantaloni neri.

- Potrai vedere la scena. Ogni cosa a suo tempo, la scientifica deve prima finire di fare il suo lavoro - fece Victor, non riuscendo a trattenere uno sbadiglio stanco.

Sherlock si mise a picchiettare le dita sul bracciolo della poltrona. Non era pensabile che rimanesse li, senza fare niente, in attesa che qualche idiota contaminasse la scena.

Victor strizzò gli occhi più volte, cercando di rimanere sveglio e solo allora Sherlock capì che stava pretendendo troppo dal suo vecchio compagno di Università.

Fece per scusarsi, per non averlo accolto con quel minimo di cortesia che si richiederebbe nei confronti di un vecchio amico, ma Victor lo anticipò - Possiamo sempre sentire i vicini, vedere se ricaviamo qualcosa da loro -

Sherlock annuì, sicuramente avrebbe messo sotto torchio chiunque nel raggio di chilometri, ci doveva essere per forza qualcuno che avesse visto chi si era introdotto da John e perché. Quel pensiero lo fece sobbalzare, quanto era lento quando si trattava di qualcuno a cui teneva - La serratura non era forzata, è stato fatto entrare, probabilmente da Mary - esclamò, mettendosi in piedi e cercando nel fascicolo di Mycroft, qualche prova che potesse evidenziare la presenza di una persona conosciuta, sulla scena del crimine.

Victor avrebbe voluto ribattere che la maggior parte delle persone avrebbe detto che la serratura non era forzata, perché l’omicidio lo aveva commesso John e che per statistica, l’assassino va sempre cercato tra i parenti della vittima, ma Sherlock era troppo contento dell’ultima deduzione per smorzargli l’entusiasmo.

- Se Mary l’ha fatto entrare - continuò Sherlock - doveva essere qualcuno che conosceva. Cosa sappiamo del misterioso amante? -

- Credo sia un ex di Mary. John ha visto dei messaggi, ma non ha voluto parlarmene. Per il momento è ancora sotto shock -

- Voglio vedere John - affermò soltanto il detective, ne aveva più bisogno che mai.

- Certo, lo immaginavo. A tal proposito, c’è qualcosa che devo sapere? -

- Che intendi? - chiese il detective.

- Che girano delle voci su di voi, non vorrei dover affrontare questo problema in aula, sarebbe un ulteriore movente per l’omicidio. John che nasconde una relazione omosessuale alla moglie, lei che di ripiego si trova un amante e lui che per risolvere tutto… -

- Non arriveremo in aula, John sarà scagionato prima dell’inizio del processo, perché troverò il colpevole - rispose Sherlock, mettendo a tacere ogni possibile opposizione di Victor. Una volta il detective aveva chiesto al dottore, se fosse sicuro di conoscerlo al cento per cento. Ora era il suo turno di dimostrare che conosceva perfettamente John. - Comunque, non c’è niente da sapere - aggiunse, un po’ a malincuore, rimpiangendo tutte le volte che il dottore aveva scherzato sopra alla loro relazione:  “…mi hai tolto i vestiti in una piscina buia” … “adesso sì, che la gente parlerà” … “sono così che sono iniziate certe voci”.

Victor gli sorrise e non aggiunse altro, la strada era ancora ripida, prima di poter pensare di scagionare John. Ma aveva davanti Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo del Mondo. Si alzò dalla poltrona e si avvicinò piano al detective, che sembrava completamente distaccato dalla realtà, in quel momento  - Sherlock, se vuoi andiamo a parlare con Watson anche adesso, dubito stia dormendo -

Il detective fece un abbozzo di sorriso e si preparò ad uscire di nuovo - E’ comunque bello rivederti, Victor -  gli disse soltanto e Trevor si ritrovò a ridere della situazione - Anche per me -

***** *****

John sapeva che prima o dopo, Sherlock gli avrebbe fatto visita in cella e avrebbe dovuto guardarlo in faccia e ammettere che lo aveva deluso. Non riusciva a pensare lucidamente, ricordava i rumori e lui che guardava il corpo inerte di Mary, un attimo prima che la polizia facesse irruzione. In quel momento c’era solo lui in casa, lui e la piccola, nessun altro.

Non aveva ancora elaborato tutto quello che era successo, non riusciva a pensare coerentemente. Continuava a chiedersi cosa ne sarebbe stato della figlia e se poteva richiedere che fosse affidata a Sherlock. A tutti sarebbe sembrata un’idea folle, ma lui non riusciva a pensare a essere umano migliore, in quel momento.

Quando la poliziotta venne a prenderlo per scortarlo in una stanza privata, dono di Lestrade, John era sicuro che vi avrebbe trovato Sherlock.

La seguì a capo chino ed entrò nella stanza, arredata soltanto da un tavolino e due sedie. Una delle due, naturalmente, era occupata dal detective, che mantenne la necessaria compostezza, finché la porta non si chiuse e la poliziotta li lasciò soli.

Si alzò e si diresse verso John. Erano entrambi stravolti, come se un rullo fosse passato sopra ad ognuno di loro, più e più volte.

- John, stai bene? - fece il detective, trattenendosi dal toccarlo per esaminarlo meglio.

John fece un sorriso triste, chiuse gli occhi ed inspirò - Sherlock, sono sicuro di essere stato io -

- Smettila, perché dici così? - sbottò Sherlock, furente, allontanandosi da lui come a prendere le distanze da quelle parole così pesanti.

- Perché, come dici sempre tu, è quello che dimostrano le prove. Me le hanno sbattute davanti -

Sherlock cercò di calmarsi e si rimise a sedere, incoraggiando John a fare altrettanto - Spiegami, cos’è successo tra te e Mary, perché eri ubriaco? -

John si passò stancamente una mano sulla testa - Una serie di problemi - liquidò velocemente, come se non volesse parlarne.

- Dovrai essere più esplicito - rispose spazientito.

- Sherlock, smettila, sono stato io -

Il detective roteò gli occhi e scosse la testa.

- Ci ho pensato tante volte, Sherlock, come sarebbe stato tutto più semplice se Mary non ci fosse stata. Se fosse andata improvvisamente via e fossimo rimasti solo io e la bambina - disse serio, con una punta di vergogna.

- Pensarlo non significa mettere in atto un omicidio, John. Ma cosa è capitato tra voi? Mi sembrava tutto a posto l’ultima volta che vi ho visti -

- Intendi mesi fa, al battesimo?- fece John, con una leggera punta di risentimento, anche se non era chiaro se fosse indirizzata a Sherlock o a se stesso - Come fai a perdonare qualcuno che ti ha mentito dal primo giorno e ha finito anche per tradirti? -

- Non lo so, ma tu lo avevi fatto. Hai perdonato persino me - commentò Sherlock.

- E’ diverso, non ti ho sposato - cercò di scherzare John.

Sherlock si morse un labbro, ma cercò di continuare la conversazione, ritornando sui fatti e non sui sentimenti che ruotavano attorno alla vicenda - Parlami della pistola -

John abbassò lo sguardo - La mia vicina di casa era perseguitata dall’ex e aveva paura. Le volevo procurare una pistola e le vie legali erano troppo lunghe -

Sherlock si guardò attorno spazientito, sospirò e poi puntò su John, uno sguardo che racchiudeva biasimo e fastidio - John, ma perché non sei venuto da me, prima di metterti a girare per covi di tossici? -

- Perché posso arrangiarmi da solo, Sherlock - commentò il dottore duro, senza sapere perché se la stesse prendendo con il detective.

- Vedo, infatti sei in prigione senza alibi e con un movente -

- Non sono la tua damigella in pericolo ed è per questo che mi assumerò la responsabilità di quello che ho fatto - rispose piatto John, senza tradire alcuna emozione.

- Non sei stato tu, anche se credi che le prove portino a te. Non è possibile, John. Tu non sei un assassino a sangue freddo, un femminicida. Tu sei una persona buona, leale, sei un soldato, sei… - iniziò ad elencare, e il tono di voce si era fatto più concitato.

- Smettila, nessuno è così perfetto! - rispose John, con la voce leggermente incrinata.

- Tu sì - esclamò soltanto Sherlock, prendendogli le mani, in una risposta che ricordava terribilmente il dialogo di tanti anni prima, a parti inverse, sul tetto del Bart’s.

John sorrise, assaporando uno dei pochi momenti sentimentali dell’amico e per un attimo, rimasero in silenzio, a fissarsi, incontrando ognuno gli occhi profondi dell’altro.

- L’amante di Mary? - esalò soltanto Sherlock, togliendo le mani da quelle di John e interrompendo il contatto visivo.

- David, te lo ricordi? Era al mio matrimonio - rispose, ricomponendosi.

- Come dimenticarlo - commentò Sherlock con una alzata di sopracciglio - Altri problemi? Qualcuno che poteva avercela con te? -

Il dottore scosse la testa e Sherlock non riuscì a capire se era solo molto provato o se stesse nascondendo qualcosa.

- Il tuo avvocato è un mio vecchio amico, un compagno di Università - continuò il detective.

- Sì, mi ha detto di conoscerti -fece John, anche se non aveva capito si trattasse proprio di un amico, credeva che Sherlock non classificasse nessuno in quel modo, a parte lui.

- Presto verrà fissata la tua udienza per la cauzione - affermò Sherlock, cercando di dargli speranza, facendogli capire che presto sarebbe uscito di prigione, ma il dottore non lo stava ascoltando. Continuava a fissare le sue mani, dove prima erano strette quelle di Sherlock.

Al detective si strinse il cuore a vederlo così distrutto e senza alcuna voglia di riprendersi. Non riuscirono a dirsi altro, perché furono interrotti dal poliziotto di turno, il tempo della visita era già scaduto.

Sherlock si alzò dalla sedia, tenendo gli occhi fissi su John, con un mezzo sorriso - Questa non è la tua caduta John, ci sarò io a fermarla
-

****** ******

Angolo autrice:
Intanto grazie a tutti quelli che hanno letto, commentato e aggiunto in qualche lista questa storia.
Il titolo di questo capitolo fa un po' Grisham ;)
si rallenta un po' il ritmo, dopo un epilogo più che "agitato" :-P spero vi sia piaciuto.
Alla prossima
   
 
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