Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: GeorgiaRose_    11/06/2016    4 recensioni
Martina Stoessel è convinta che per lei la felicità non arriverà mai. Adottata a due mesi, a undici anni è dovuta tornare in orfanotrofio per via di un evento che le ha totalmente cambiato la vita. Non si fida più di nessuno. Non parla più ai ragazzi. Non ha più degli amici. Non ha più una famiglia. È sola. Ma l’incontro, dopo cinque anni, con il suo amico di infanzia Jorge Blanco le cambierà nuovamente la vita. Nonostante l’età, verrà adottata nuovamente, proprio dalla famiglia Blanco. Jorge, da sempre innamorato di lei, le starà vicino e diventerà, in poco tempo, più di un amico. Ciò che non sa, però, è che anche Jorge ha un brutto passato alle spalle. Riusciranno, insieme, ad affrontare e a risolvere i loro problemi?
“E adesso guardami, io non so più chi sono. Scaldami, quando resto da solo. Calmami, se mi sfogo con loro. Salvami.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jorge Blanco, Un po' tutti, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Avete mai avuto paura del futuro? Non sapere cosa ci aspetta il giorno dopo, o anche l’ora dopo. Quante volte saluti una persona non sapendo che è l’ultima volta che le stai parlando? Quante volte sei tranquillo in casa tua, senza sapere che da qualche parte, nel mondo, qualcuno non c’è più, da un momento all’altro? Io ho sempre avuto paura del futuro. Ma non solo per quanto sia imprevedibile e devastante, a volte. Nel presente, riesci a stabilizzarti. A, diciamo, renderti qualcuno, avere un tuo posto nella società, o qualcosa del genere. Ma nel momento in cui qualcosa finisce, come fai a ricostruire tutto? Come fai a iniziare un nuovo cammino? Come fai a prendere una nuova strada, la strada giusta per te, la tua strada? Non ho mai capito quale fosse la mia strada, fino a quando, oggi pomeriggio, sono entrata in un negozio di musica. Era affascinante. Spartiti, strumenti, accessori per suonare. Una musica classica di sottofondo. E poi c’era lui, Jorge, con il suo sorriso, che mi spiegava la differenza tra chitarra classica e chitarra acustica. Non mi vergogno di dire che non ci ho capito niente, ma non perché il concetto fosse complicato, ma perché ero troppo impegnata ad osservare le sue labbra muoversi per ascoltarlo. Quando ha preso una chitarra classica blu tra le mani e si è portato alla cassa, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Era così bello, ma non esteticamente, non solo. Aveva una chitarra tra le mani, sorrideva, gli occhi brillanti. Si vedeva che era felice. E in quel momento ho capito qual è la mia strada. Ma ancora non mi è chiaro se la mia strada sia la musica, quella chitarra, o se sia insieme a quel ragazzo che sta diventando il mio nuovo tutto. Probabilmente, entrambi.
Guardo il soffitto della mia camera, sono felice. Non mi sono mai sentita così. Ho quasi paura di quello che sto provando. Non capisco se sono emozionata, o eccitata, o confusa. Emozionata ed eccitata, perché ho una possibilità, per la prima volta. Ho l’occasione di non essere solo un qualcuno tra i sette miliardi di persone che ci sono su questo mondo. Ho l’occasione di essere qualcuno, qualcuno per chi mi interessa davvero (qualsiasi riferimento ad un ragazzo dagli occhi verdi è puramente casuale). Fino ad ora, non sapevo cosa ne avrei fatto della mia vita, non sapevo dove sarei andata a finire. A sedici anni, chiusa in orfanotrofio, senza amici, né parenti. Quale poteva essere la mia aspettativa di vita? E adesso eccomi qui, con una famiglia, un sogno, qualcuno di cui potermi fidare e tanta felicità. Ma allo stesso tempo sono confusa. Sì, perché, non solo mi stanno accadendo cose completamente nuove per me, ma anche perché non capisco perché quando penso a lui, mi spunta un sorriso idiota, così, senza motivo. Solo perché lo penso. Perché lui mi ha portato qualcosa in cui credere. Perché so che posso fidarmi di lui. O forse, quando lo penso sono felice, solo perché è semplicemente lui, ed ho l’occasione di averlo nella mia vita.
La mia testa sta scoppiando, troppe emozioni tutte insieme, troppe cose nuove, troppe “occasioni”. Ma ciò non vuol dire che non ne sia felice, ovviamente.
I miei pensieri vengono interrotti dal leggero cigolio della porta e dei leggeri passi sul parquet. Cecilia entra con due tazze dal quale esce del vapore che tiene su un vassoio rosso.
«Ecco la camomilla per il mal di testa» Mi sorride, piegando in avanti il busto per permettermi di prendere una tazza.
Inizio a sorseggiare, mentre Cecilia, dopo aver preso la tazza restante, poggia il vassoio sul comodino e si siede accanto a me.
«Allora, come va? Sei riuscita ad ambientarti?» Mi chiede, premurosa.
«Sì, qui è tutto fantastico. Niente poteva essere peggio dell’orfanotrofio, comunque. E poi ci siete voi. Tu, Alvaro, Cande, … Jorge. Mi state aiutando tutti, chi in modo e chi in un altro.» Dico alludendo alla tazza di camomilla che mi ha appena preparato nonostante stesse giù nel letto da un po’.
«Di niente, tesoro, anche io avevo sete, comunque.» È incredibile quanto sia dolce con me, per non farmi mai sentire in imbarazzo o per non farmi sentire in colpa. «Adesso, però, vorrei sapere perché sei arrossita quando hai detto il nome di Jorge.» Ridacchia. Come non detto, mi ha appena messo in imbarazzo. «Dai, ne puoi parlare con me, lo sai»
«Il fatto è che non so che dire» Le spiego.
«Potresti dirmi semplicemente ciò che provi.» Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
«Non so di cosa tu stia parlando.» Faccio la finta tonta, per quanto mi sia difficile mentire.
«Con chi credi di star parlando?» Chiede in modo giocoso. «So che hai qualcosa, qualcosa che ti fa spuntare un sorriso appena dici il suo nome, o solamente lo pensi.»
«Non so, sono confusa.» Decido di confessarle.
«Io, invece, credo proprio che tu lo sappia, solo che non lo vuoi ammettere, o, molto semplicemente, non lo hai ancora capito.» Dice, prima di bere un po’ di camomilla.
«Cosa dovrei capire esattamente?»
«Di cosa stiamo parlando? Di ciò che provi per Jorge, no? Tesoro mio, certo che sei proprio ingenua.» ridacchia, ma comunque non mi sento offesa. Ha ragione: ammetto che in alcuni ambiti non sono molto sveglia.
«Io non provo niente per Jorge, o, almeno, niente di speciale. Per lui provo esattamente ciò che provo per tutti voi altri. Gli voglio bene, certo, ma niente di più.»
«Niente di speciale, dici?»
«Esatto. Cioè, Jorge con me è molto dolce, è simpatico, premuroso, …» Mi fermo rendendomi conto che sto divagando. E ciò lo dimostra anche il fatto che Cecilia mi sta guardando con uno sguardo malizioso, ma allo stesso tempo comprensivo.
«Va bene, ma sappi che se avrai bisogno di parlare, io sono qui. E scommetto che anche a Cande farebbe piacere ascoltarti. Va bene?»
«Sì, lo so, grazie mille.»
«Di nulla, tesoro» Si alza, per poi avviarsi verso la porta. «Ah, e un’altra cosa. Quando andrai in camera di Jorge per dormire con lui anche stanotte, non fare troppo rumore: ad Alvaro non piace essere svegliato.» Mi raccomanda. Non potrei essere più imbarazzata di così.
«Ma come…?»
«Come lo so? Non potete nascondere niente a me.» Si vaneggia. «Non preoccuparti, non è un problema per me e non lo dirò a nessuno. Buonanotte, Martina»
«Notte.» Le dico, prima che lei chiuda la porta.
Okay, Cecilia lo sa e ha detto che non è un problema. Ma il punto adesso è un altro: perché Cecilia è convinta che io provi qualcosa per Jorge? Ma, cosa più importante, perché lo penso anch’io?
 
Il sabato è passato senza problemi e molto, troppo velocemente. Cande ed Jorge hanno preferito uscire la sera, mentre io sono rimasta a casa a leggere un libro, come mio solito. Alvaro e Cecilia hanno deciso di rimanere a casa con me, non che la cosa mi facesse differenza, o almeno così credevo. Quando Jorge e Cande sono usciti, alle 20:00 in punto, Cecilia ed Alvaro mi hanno letteralmente trascinato al piano di sotto per guardare una maratona di film di Hunger Games –non li facevo così moderni-; hanno ordinato le pizze e Cecilia ha preparato anche i popcorn. Mi sono molto sorpresa quando Cecilia mi ha rivelato che ricordasse ancora il mio gusto preferito di pizza ed era molto lieta che i miei gusti non fossero cambiati. Insomma, una serata da ricordare. Il mio primo sabato a casa Blanco dopo anni, è stato probabilmente il sabato più divertente della mia vita. In più, dopo aver finito anche il terzo film, verso le 3:00 di notte –Jorge e Cande ancora dovevano tornare-, i miei secondi genitori adottivi mi hanno raccontato alcune delle imbarazzanti avventure di Jorge e Cande, come quando il primo ha rischiato di incendiare il garage. Verso le 3:20, Alvaro e Cecilia sono andati a dormire, mentre io sono uscita, come mio solito, in giardino per osservare il cielo. Questa sera era stupendo. Pieno di stelle e costellazioni. Ma forse non era il cielo ad essere più bello, forse ero semplicemente io che lo guardavo con occhi diversi, più spensierati, più tranquilli e rilassati. Ho deciso di aspettare Candelaria e Jorge. Cecilia ed Alvaro mi hanno anche assicurato che è loro solito fare così tardi e che quindi non si preoccupavano. Ma io non sono loro. Per quanto fossi determinata ad aspettarli, il sonno si è fatto sentire e non ho potuto far altro che addormentarmi sui cuscini del divano. Ero persino troppo stanca per aprire gli occhi quando mi sono sentita sollevare da qualcuno, probabilmente braccia maschili per via della durezza delle braccia dell’estrema facilità con cui mi hanno sollevata. E non mi sono sorpresa quando ho riconosciuto il profumo di Jorge. Mi ha poggiato su un letto, troppo freddo, ma subito mi sono sentita al caldo e protetta quando si è steso accanto a me e mi ha stretto da dietro sussurrandomi un –Buonanotte, piccola-. Probabilmente prima o poi morirò con i suoi sussurri.
E adesso sono qui, in camera mia, a prepararmi per andare in un posto dove, in realtà, non vorrei. La Domenica di solito è il giorno nel quale si sta con la propria famiglia, ed è per questo che vado al cimitero: è lì la mia famiglia. Per quanto io possa amare la famiglia Blanco, è mia madre la mia famiglia, solo lei. E sarà sempre così.
«Martina, sei pronta?» Mi chiede Cecilia da dietro porta.
«Sì, arrivo»
Provate ad immaginare l’imbarazzo quando è venuta a svegliarmi in camera di Jorge. Come è suo solito, non mi ha messo per niente in imbarazzo quando mi ha detto –So che vorresti stare lì per almeno qualche altra ora, ma dobbiamo andare- ed, ovviamente, con “lì” non intendeva al caldo, nel letto, ma intendeva al caldo, tra le braccia di Jorge. Probabilmente non riuscirò mai a toglierle la convinzione che Jorge mi piaccia. Ma, alla fine, perché farlo? Anche io ne sono convinta, o quasi.
Quando arriviamo al cimitero, prendo dal fioraio le camelie bianche che tanto piacevano a mia madre per poi dirigermi verso la sua tomba. Cecilia decide di restare a circa dieci metri di distanza, sotto il gazebo di pietra bianca che si trova al centro del cimitero. Cambio i fiori e poi mi siedo sullo sgabello di legno che ormai qui è fisso. Peter, il guardiano, mi ha prestato uno di quelli che si trovano qui in cimitero e mi ha detto addirittura che ormai lo posso considerare mio, cosa che non accadrà. Bacio alcune dita della mia mano destra per poi toccare la foto di mia madre in cima alla lapide. Le prime volte che sono venuta qui ero solo una bambina; mi piaceva parlarle, raccontandole quello che avevo fatto quel giorno con tanto entusiasmo quanto quello che avevo quando era ancora viva, per me era come se non fosse cambiato nulla. Incredibile quanto possa essere ingenua una bambina di undici anni. Ma poi, crescendo, incominciando a capire, sentendo la sua mancanza, le cose, ovviamente, sono cambiate. Oramai le parole sarebbero inutili, le lacrime si sono prosciugate, ne ho versate talmente tante che non ne ho più, così mi limito a stare con lei, ad osservare la sua lapide con le date di nascita e morte iscritte, chiedendomi perché è successo a me, perché è successo a lei. Chiudendo gli occhi e sperando che sia tutto un fottuto incubo dal quale devo svegliarmi. Ma poi quando li riapro sono ancora qui, al cimitero, su uno sgabello che ormai cigola per le tante volte in cui mi ci sono seduta, con la lapide di mia madre davanti, e con un freddo glaciale che mi distrugge il cuore.
 
Dopo aver pranzato in mensa, io e gli altri ci dirigiamo verso l’aula di arte. Tra me, Cande e Mechi, non potrebbe andare meglio. Cande mi ha sussurrato, durante il pranzo, che si era sbagliata sul conto di Mercedes, che in realtà è simpatica, e molto carina. Ma questo già lo sapevo.
Entriamo in aula e ci sediamo dietro a dei cavalletti da pittore. Ho la fortuna (cogliete l’ironia, per favore) di sedermi vicino a Damien.
«Ehi, splendore.» Mi chiama, ma lo ignoro. «Oh, andiamo, parlami.» Prova ancora. «Perché non mi parli?» Si lamenta.
«Lasciami in pace, Damien.» Gli ordino. Wow, mi complimento con me stessa. Sono riuscita a rivolgere parola ad un ragazzo come Damien. È un progresso, anche se minimo.
Fortunatamente la professoressa entra in classe ed interrompe il nostro dialogo, se così si può chiamare.
«Allora, ragazzi, ricordate il discorso dell’altra volta? Avevamo iniziato a parlare del futuro, dei sogni. E avevamo già detto che in questa lezione avreste dovuto rappresentare, in qualsiasi tecnica desiderate, la vostra idea di futuro. Ci siamo?» Sorrido pensando alla mia idea di futuro. «Perfetto, iniziate pure, poi mi consegnerete il lavoro al termine dell’ora».
Prendo un foglio e lo attacco al cavalletto utilizzando un gancio, per poi prendere una matita. Voglio ricorrere alla semplicità. Cosa è più semplice di una matita, alla fine? Prendo, però, anche il colore verde che mi servirà successivamente. Al termine dell’ora, sono contenta del risultato. Sorrido guardando il mio disegno: un sentiero lungo, del quale non si vede la fine, e, sulla destra, seduto su una panchina, un ragazzo dagli occhi verdi che suona una chitarra.


 

*Angolo autrice*
eeehi! Okay, lo so, meriterei di essere picchiata per il mio enorme ritardo. Quanto tempo è passato? Due mesi? Chiedo scusa, davvero, ma la scuola è stata davvero stressante. Ma adesso è finiita! E quindi aggiornerò più spesso, almeno spero. Ciò che vi posso assicurare, però, è che ho tutte le intenzioni di terminare la storia, quindi state tranquille. Okay, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima. :)

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: GeorgiaRose_