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Autore: Tormenta    11/06/2016    3 recensioni
[Destiel]
Sulle note dei Coldplay, brevi storie autoconclusive incentrate sul rapporto e su interazioni tra Dean e Castiel.
#A sky full of stars - Percepisci qualcosa gonfiarsi nel petto ed è una sensazione talmente celestiale che No, ti dici, non è possibile. Come si può provare così tanto bene tutt’insieme?
#Miracles - «Non è questo il momento di fare domande» afferma una voce; una voce che, però, non è affatto una voce: è musica. Stramaledetta musica.
#Up&Up - La suoneria lo sorprese nel cuore della notte, cogliendolo mentre era spalmato sul bancone dell’ennesimo bar. Come un faro nel buio, sul display campeggiava il nome CAS.
#Hymn for the weekend - Questo momento merita perché, Dean, mentre lo vivi capisci d’essere letteralmente innamorato d’un angelo – ed è come aver fatto jackpot alla roulette cosmica.
#Magic - Lo perdona, perché Cas è ormai parte della famiglia, ed è così che si fa con la famiglia – ci si perdona, nonostante tutto.
#Ink - È Dean, e― Certo, certo che è lui. Chi altri, sennò?
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Genere: Sentimentale
Contesto: Inizio della quarta stagione (missing moment/headcanon)
Note: Pre!Destiel

 
From up above I heard
the angels sing to me these words
 
When I look in your eyes
I forget all about what hurts
 
 
Miracles
 
 
 
        D’improvviso, il caos.
        Insomma, più caos; il caos di per sé è nella norma – si tratta pur sempre dell’Inferno, e all’Inferno tutto brucia e graffia e si contorce, senza freno: affogate in un’aria pesante, densa d’un fumo torbido e costantemente lacerata da grida e da lamenti e dal suono di carne che si strappa, sempre vibrano lame, e rimbombano le eco di colpi su incudini, e strisciano catene, e ombre corrono, inseguono, subiscono e battono – non c’è pace, mai; nemmeno per un singolo istante. Dean Winchester, nero in volto, negli occhi e (teme) ormai anche nel cuore, a forza d’annaspare in quel continuo tormento, da tanto nutre la forte e banale convinzione che non ci sia al mondo nulla di peggiore.
        In ogni caso, come s’è detto― d’improvviso, più caos.

        L’oscurità viene repentinamente fessa da una luce accecante, e mille e mille occhi usi alle tenebre ne risultano orribilmente punti. Prima ancora che qualcuno possa questionare l’accaduto, il rimbombo d’un impatto scuote il terreno e subito s’alzano urla nuove e vecchie insieme. Su quelle, s’impongono poi nitide alcune parole in una lingua antica e incomprensibile e pura; sono solo poche sillabe, ma comunque compiono il miracolo di metter a tacere il disastroso rimestarsi infernale.
        Il tanfo di paura si fa insostenibile, rivelando un comune terrore ben più viscerale di quello che solitamente impesta l’aria.
        Le anime soffiano e gemono sottovoce, in coro, e poi stride un acuto verso risentito: come la frustra sprona il cavallo stanco a riprendere il galoppo, quel latrato inumano fa ripartire la ruota – ricominciano inesorabili le torture interrotte dalla luce, e con esse rimontano i tetri rumori di sofferenza e di lamento.
 
        Dean Winchester fa eccezione nella massa: non torna a far ciò che prima lo teneva occupato – non ci riesce, e la lancia aguzza che brandiva, con la quale è consapevole d’aver compiuto atti osceni, gli scivola di mano.
        Si sente come privato d’ogni energia e percepisce le ossa a pezzi, e allora trema e cade, in preda alla confusione e al timore; ha le palpebre fermamente serrate e, dietro quelle, i suoi occhi lacrimano incontrollati. Piange, dunque, riverso a terra e stordito e schiacciato come un verme, mentre attende. Cosa, non lo sa neanche lui.
        Di certo non s’aspetta quello che è sul punto di succedere.
 
        Qualcosa lo chiama. Non per nome― spiritualmente. Una qualche forza lo vuole, cerca d’attirarlo a sé – chissà come, intuisce d’essere cercato, e inoltre che un’essenza indefinita dentro di lui, bypassando il suo volere, sta rispondendo all’appello.
        Prova angoscia e sussulta vigorosamente, cercando di nascondere il viso dietro un braccio; la luce, infatti, al di là delle palpebre strizzate, s’è fatta ancor più splendente, più vicina, e morde le sue pupille sensibili.
        Passano forse un paio di secondi, scanditi dagli strilli e dagli stridii metallici che lo circondano, ed ecco― ora può sentire incombere la fonte di tanto lume proprio su di sé; sa di essere nel suo mirino. Istintivamente cerca di farsi più piccolo, perché quel chiarore emana un calore tutto diverso da quello a cui è ormai abituato; è un calore che brucia come se non volesse ferire (o almeno, come se non volesse ferire lui) ed è da così tanto che Dean non entra in contatto con qualcosa che non ha intenzione di infliggergli chissà quale pena, che dà per scontato di non potersi fidare.
        Si persuade d’aver motivo di credere che sia giusto dubitare delle intenzioni della… cosa, entità, quel che è, quando si sente agguantare e stringere e sollevare.
        Reagisce gridando con tutta la voce che ha in corpo, e il panico lo spinge a cercare d’aprire gli occhi per difendersi, ma riesce appena a dischiuderli prima di doverli nuovamente strizzare perché maledizione, c’è troppa luce.
        E poi― Poi, tutto cambia.
 
        Sente il mondo correre via, come se stesse scivolando lontano da lui, come se lo stessero strappando dalla realtà, come se― come se l’essere che l’ha afferrato lo stesse trascinando verso l’alto ad una velocità stratosferica.
        Ed è così. Anche senza poterlo confermare visivamente, lo capisce – è quello che sta accadendo; qualcosa lo sta portando fuori dal buco infernale in cui era intrappolato. Non può non rendersene conto: il peso che l’opprimeva, che l’ha oppresso per anni, sta svanendo; i suoni delle torture si son fatti lontani e continuano ad affievolirsi; il dolore che tanto a lungo gli ha costantemente azzannato ogni fibra sta allentando progressivamente la sua morsa.
 
        Scombussolato al punto da sentirsi a malapena in grado di restar cosciente, “Un salvataggio?” pensa.
        “Non― no”.
        È tutto ciò in cui aveva tacitamente sperato. All’inizio. Ma ora― dopo aver ceduto alle tentazioni demoniache, dopo aver iniziato a far del male alle altre anime per non soffrire più così tanto― ora, le sue speranze sono avvizzite.
        “Non lo merito. Non ne vale la pena” recita all’infinito nella propria testa, sull’orlo d’un attacco d’ansia indotto dalla disperazione e dalla vergogna.
        Quasi singhiozzando mutamente, perde contatto con ciò che lo circonda – ma non sviene. Non esattamente, almeno; resta consapevole di sé, ma tutto gli risulta sfocato e flebile ed è come se fosse paralizzato.
 
        Non gli è dato quantificare il tempo che trascorre da quando quello stato catatonico inizia, a quando finisce – tutto ciò che sa è che d’un tratto comincia a star meglio. E anche se è stanco, stanchissimo (d’altronde quella è la prima volta in quarant’anni che fa qualcosa simile al riposarsi, allo star fermo), è sollevato, perché non c’è più alcuna pressione a comprimerlo, si sente leggero e fluttuante e addirittura la gran luce al di là delle ciglia gli pare essersi fatta sopportabile; tant’è che racimola il coraggio di sbirciare e, tastato il terreno, d’aprir a fessura gli occhi.
        C’è tanto bianco ovunque; un bianco candido e surreale che non riesce a mettere a fuoco e che l’abbaglia. Su quello sfondo, si staglia lo sfrigolio indefinito di raggi luminosi che, tiepidi, l’accarezzano blandamente.
        Per poco non ha un’altra crisi di panico, perché Dove cavolo sono?
        Un tocco freddo a livello del petto, elargito senza preavviso, lo fa rabbrividire prima che possa cercare una risposta. Di cosa s’è trattato, Dean lo ignora. Contrae i muscoli, allora, preparandosi al peggio; ma quella sua reazione sembra indispettire il chiarore in cui galleggia: immediatamente, infatti, il bagliore esplode in un picco d’intensità, costringendolo a riserrare le palpebre e a mugugnare dal fastidio.
 
        C’è qualcosa, lì; qualcuno. Deve parlarci.
        «Cosa―» biascica, roco «cosa sei?»
        A lungo, aleggia uno spaventoso silenzio che Dean non ha alcun modo di decifrare; inerme, non può che attendere una replica di qualche tipo.
        E quando la ottiene― oh, quando la ottiene vibra e s’agita, perché non è nulla di ciò che s’aspettava – «Non è questo il momento di fare domande» afferma una voce; una voce che, però, non è affatto una voce: è musica. Stramaledetta musica, davvero; potrebbe giurarlo. E non è il rock che a lui piace tanto, né null’altro che possa veramente riconoscere – ma è certamente musica; musica d’un tipo tutto nuovo, che lo rivolta e gli solletica le orecchie e gli rimbomba dentro trasmettendogli una sensazione di riverenza e sicurezza che quasi lo fa palpitare e boccheggiare. È composta da note basse e riverberanti che provengono da tutte le direzioni e che lo lambiscono come l’acqua fresca lambisce una gola secca, rintronandolo in modo delizioso. «Per ora, ti basti sapere che mi hanno inviato per te» prosegue il canto, e Dean non può che sciogliersi, inebriato.
        «Per me?» soffia, incredulo, «No― uhm». Quell’armonia l’ha definitivamente destabilizzato, ma deve sforzarsi, deve capire, perché se― se… «Sam―» riesce a bisbigliare, e già solo il nome del fratello gli causa una stretta al cuore.
        Che Sammy abbia fatto un patto, per salvarlo? Se sì, con chi? È in pericolo? Cos’ha sacrificato per lui, per un’anima che ormai appartiene all’Inferno?
        Decine di domande gli affollano la mente e, pizzicato da tocchi freddi uguali a quello di poco prima che dal nulla iniziano a susseguirsi veloci, si perde tra i punti interrogativi. Ragionare, ora come ora, per Dean Winchester è davvero molto più complicato di quanto non lo sia mai stato.
        «Cosa―?» mormora, tentando disperatamente di combattere contro la confusione; non può arrendersi, non può― ma una scarica gelida più intensa delle altre pare volerlo mettere a tacere.
        «Non è il momento» ribadisce melodiosa e perentoria la voce, e Dean, arricciandosi in una beatitudine che va oltre ogni comprensione, non può che capitolare.
        Tace, quindi, e per un istante rischia di perdersi nuovamente in uno stato vegetativo; pur d’evitarlo, s’impone di provare a riaprire gli occhi e― oh. Solo: oh.
        Finalmente, vede. Ed è terrificante ed illuminante ed enorme, e tutto quello gli istilla in petto l’assoluta convinzione d’esser debole, ma allo stesso tempo di poter essere forte; è come se solo restando lì, a guardare, potesse dimenticare il dolore provato e― dannazione, non lo sa descrivere; non è mai stato bravo con le parole. Ma in fondo, descriverlo sarebbe un gran peccato: è tanto più bello ammirarlo e basta.
 
        Il chiarore sfarfalla: impercettibilmente, pare tentennare, come se la consapevolezza d’avere addosso il misero sguardo d’un’anima mortale l’intrigasse.
        (Dietro la nube di luce, Castiel sa di non poter essere veramente visto, e che quello che Dean Winchester sta osservando non è che un’ombra della sua reale forma, ma comunque― è la prima volta che tiene un’anima tanto vicina a sé, che ne cura così minuziosamente le ferite. Ed è dunque la prima volta che un umano, sebbene probabilmente per via della massiccia quantità di Grazia che gli sta iniettando sottopelle, risulta essere a tanto così dal guardarlo davvero, che l’ascolta – quindi sì, è intrigato. E per un attimo – un solo attimo – esita.
        Poi, torna diligentemente ad assolvere il proprio compito. Pulisce l’anima, ne riempie le crepe; ed è come soffiare via la polvere dalla copertina d’un vecchio libro: sotto alla fuliggine, allo sporco incrostato dovuto alla permanenza all’Inferno, brilla uno spirito forte e determinato, che a dispetto dei danni riportati resiste con orgoglio e tenacia. È quello spirito che vuole riportare a galla con i propri tocchi sapienti e calibrati – e decisamente non delicati. È un guerriero, non una bàlia; la delicatezza non gli appartiene. Ma Dean Winchester non si lamenta; continua semplicemente a scrutarlo, con le ciglia evidentemente pesanti – sembra essere ad un passo dall’addormentarsi. Castiel non sa dire se desidera che quel sonno arrivi, o meno; sembra tanto patetico, eppure una parte del suo essere vuole quegli occhi addosso.
        Non gli è stato comandato di mantenere l’umano cosciente durante il processo. Ma― non gli è stato nemmeno proibito di farlo.
        Esita ancora – è così strano, per lui – e poi sceglie.
        Cancellando una macchia, è di proposito più brusco del dovuto: conduce una scarica fredda abbastanza intensa da causare all’uomo un piccolo spasmo. Lo punzecchia, insomma, e può subito notare che i suoi occhi tornano ad essere appena più vispi.
        È profondamente soddisfatto del risultato ottenuto.)
 
        «Cosa mi stai facendo?» mugugna Dean, con la lingua impastata.
        «Non serve che te lo dica ora. Comunque non lo ricorderesti».
        Quella risposta, per quanto fornitagli sulle note d’una melodia di cui dubita potrebbe mai stancarsi, non gli piace per niente. «Uh?» Non ha modo d’articolare maggiormente la domanda, perché l’ennesima scossa fredda gli investe nientemeno che il viso, congelandolo momentaneamente.
        «A tempo debito» asserisce la voce, danzante e armonica – sempre splendida, ma segnata quella volta da un’inflessione quasi dispiaciuta che prima era assente.
 
        Dean sta per riuscire a scandire qualche sillaba, quando d’improvviso si sente cadere, sprofondare – subito tenta di gridare, ma inefficacemente.
        La luce, in un flash, torna ad essere insopportabile: lo costringe a strizzare le ciglia; e l’esser privato della vista non fa che nutrire l’affamato terrore che, da poco assopito, sta tornando a crescergli con prepotenza nel petto.
        Sta per essere rigettato nella fossa?
        “No―” pensa in un baleno, dimenandosi, e la sua paura è tanto grande che nemmeno s’accorge che quel No s’è trasformato in un’incomprensibile cantilena che gli sta scivolando come un fiume in piena fuori dalle labbra.
 
        (Al veder una tale angoscia immotivata manifestarsi, Castiel non può che provare una benevola pietà.
        Si chiede come può Dean Winchester credere che proprio lui abbia cattive intenzioni, quando è colui che l’ha appena rimesso in sesto – tra sé e sé, conclude che, probabilmente, si tratta d’istinto umano.
        Non può parlargli per rassicurarlo, non mentre sfreccia in picchiata verso la superficie terrestre – a quella velocità, la sua voce non lo raggiungerebbe. Tutto ciò che può fare è stringerlo, e sperare che tanto basti.)
 
        Il boato che rimbomba al loro impatto col suolo è a dir poco fragoroso, e l’onda d’urto che l’accompagna sferza e ricurva le sterpaglie e la secca flora nel raggio di diversi metri.
 
        Sotto terra, tornano ad unirsi un corpo e la sua scalmanata anima, trattenuta in posizione da una salda presa su una spalla.
 
 
 
 
 
        Quando poco dopo Dean risorge, emergendo dal terreno sporco ed affaticato e parecchio intontito, ignora che lo sguardo d’un angelo è incollato sulla sua persona.
 
        (Castiel l’osserva, invisibile, ponderando la prossima mossa.
        Una strana sensazione lo travolge; non ne sa discernere ogni componente, ma senza dubbio una è la soddisfazione: Dean Winchester cammina di nuovo tra i vivi, e il merito è suo. Ne è felice.)








 
Angolo di Tormenta
Doveva esserci più fluff e meno oddio quanto fa schifo la dannazione eterna, ma sapete, questo è quello che succede quando si decide di dare tre esami in otto giorni – ci si sente in vena di parlare dell’inferno. XD 
Comunque sia, spero che il racconto sia piaciuto. :) Baci,
T. ♪
 
   
 
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