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Autore: kantsexhibition    13/06/2016    1 recensioni
Questa è una storia d'amore, fra l'anoressia e Daria, fra il suo essere ancora troppo piccola e il suo voler diventando grande rimanendo minuta.
L'anoressia ti fa bella è la nudità dentro la malattia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Non si può raccontare ciò che non si ha mai vissuto fin ora, ma credo che ogni storia abbia la sua lingua e ogni parola abbia il suo perché, il suo tono, il suo volume .
Ecco cos’è la mia vita, un vortice, un turbine emotivo messo al massimo volume, con i bassi che fanno tremare il pavimento, con la follia del suono, i battiti che accelerano e hanno bisogno di sentirsi anche loro umani per un secondo, di andare a ritmo dei nostri battiti .
Non credo esista una storia unica, ma per quanto ci sforziamo di raccontare rimangono solo parole che trovano conforto, in chi legge e in chi li scrive .
Non ho una data di quanto ho deciso di smetterla di mangiare, ma ho una data da quando sono iniziati i miei frequenti attacchi di panico. Il 28 Aprile 2011 .

I miei 17 anni, la mia ragazza al mio fianco e tutti gli amici intorno .
E’ pasquetta, in Sardegna non fa ancora abbastanza caldo per andare al mare ma noi decidiamo lo stesso di fare una gita per le spiagge, fregandocene del tempo, dei meteorologi che dicono che pioverà, fregandocene . Come siamo bravi a fare .
La mattina mi svegliai abbastanza presto, non scelsi il mio vestito migliore e ne mi preparai al meglio, nonostante la sveglia segnasse le sette del mattino era tardi, alle otto dovevo essere davanti alla stazione del bus a qualche kilometro dalla mia città .
La doccia diventò secondaria, anche la scelta dei miei abiti, sciatta com’ero ho messo il culo su quella macchina costosa dei miei genitori e sparato la musica nelle orecchie, perché amavo la musica, anche oggi la amo, credo che sia uno di quegli amori che durano per sempre, come nei film .
Musica ad alto volume, occhiaie che parlano e un bus da prendere con sconosciuti, tranne lei. La ragazza che amavo alla follia .
Buttata fuori dalla macchina c’erano tutti quanti loro, ammassati, non ricordo quanti eravamo ma ricordo che eravamo abbastanza per riempire due bus con tutto quello che poteva portarci il divertimento: alcol, erba . Solite cose insomma, solita adolescenza .
A volte tendo a dimenticare troppi particolari, troppe cose, come se i neuroni mi cedessero e non provassero nemmeno più a ricordare ciò che è stato, ciò che è il mio passato .
La velocità del bus era paragonabile alla lentezza dei miei movimenti quella mattina, solitarie vie di campagna percosse per una Pasquetta che doveva essere la nostra festa, ci sentivamo il dovere di renderla migliore, la più bella festa che avessimo mai passato e che tutti quanti avrebbero invidiato .
Eppure eravamo un ammasso di ragazzi che andavano al mare, nulla di così eccezionale, da noi in Sardegna lo fanno tutti .
Ne ho fatto anch’io tante di feste di quel genere, di giornate rubate agli agriturismi per addentrarci nella natura, nel sesso e nella droga, tutti quanti erano come noi .
Invisibili originalità che si credono uniche, si credono avventuriere e selvagge solo perché quel giorno non potevano postare su Facebook la loro avventura migliore, la loro canzone più bella e la loro pericolosità .
Mi sedetti accanto a lei, anche se si è omosessuali o eterosessuali la cosa rimane, chi è più dominante va sempre al fianco di chi lo è meno, nel mio caso io .
Ero più piccola di lei, dovevo darle sempre retta, lei era il mio idolo .
Diplomata con 100 alla maturità, ogni volta che lo citava ridondava sempre la stessa cantilena “ Non mi hanno messo la lode perché ero troppo brava “ era il mio idolo quella ragazza perché era riuscita ad avere riconoscimenti, cosa che io non ottenni mai in 17 anni .
Scapestrata, kefiah al collo, piercings sparsi per il corpo, nel bagno della stazione ero talmente vittima di quella omologazione metallica che chiesi ad una sua amica, giusto per provare a fare un po’ amicizia, visto che era l’unica che conoscevo di più di quei passanti, come curare il mio anellino all’ombelico che stava via via strappandosi .
Poche parole, poca considerazione, io non ero una persona, ero la ragazza di Francesca .
E’ buffo quando porti qualcuno in una comunità non sua, si annulla come persona e diventa “ L’amica di.. “ magari potrebbe anche essere migliore di quella persona, potrebbe aver anche vinto il premio Pulitzer o l’Oscar alla miglior fotografia, ma se tu entri in una comunità non tua rimani sempre “quello che è stato portato da..” e io uguale .
Per questo il sedermi affianco a lei, in quel gruppo avevo un’identità così, non in altro modo .
“ Perché ho accettato? “
Avessi potuto andarmene istantaneamente credo l’avrei fatto .
Dopo un po’ comparve il mare, l’acqua, la maestosità dell’acqua che solo la nostra terra sa dare, solo il nostro vento sa creare .
La Sardegna è una terra magica, talmente è bella che vuoi fuggirci appena puoi, sia per farti abbracciare da quella sabbia e sia per farti abbracciare dallo smog della città più lontana .
La Sardegna è una gabbia, diceva un articolo, una bellissima gabbia d’oro .
Nessuno quel giorno si fece il bagno, la vodka aveva già bagnato le loro vene di estrema euforia e gioia, che solo chi sa bere vodka fruttata calda sa percepire .
L’alcol anche se servito freddo riscalda le ossa, i pensieri e tutto quanto diventa un accogliente abbraccio, si diventa liberi quando si beve, ma liberi da cosa?
Stranamente quel giorno rifiutai da bere, rifiutai ogni cosa mi veniva offerta .
Vedevo l’offerta come un gesto di favore, non di piacere, come se non fosse per lei nessuno mi doveva niente, infatti se mi parlarono quel giorno era per cortesia .
La spiaggia era ventosa, avevamo infranto quel consiglio degli esperti che ci dicevano di non andare fuori città quel giorno, di rimanere in casa .
Ci fermammo a mangiare, io avevo preparato le mie cose la sera prima con cura, perché quando inizia l’ossessione non inizia tutta d’un botto, inizia piano . Con i piccoli gesti .
I miei furono eleganti quella sera prima, scelsi il pane integrale da brava novellina perché tutti quanti quelli a dieta lo mangiavano, lo dicevano nei film .
Scelsi il tonno perché meno calorico dell’affettato, scelsi altro perché meno rispetto ad altro .
Morsi quel pane, non ero ancora abituata a dar sapore con la mente a ciò che non mi piaceva, il pane integrale dopo aver mangiato per anni quel pane morbido appariva più amaro, di una consistenza grumosa.
Non era liscio, ma continuavo a mangiare comunque, d’inerzia .
Lei era grossolana, lei non aveva preparato niente, aveva comprato tutti gli ingredienti per crearsi il suo e lì in quella spiaggia, seduta a gambe incrociate, aprendo il panino con le mani e prendendo il prosciutto sempre con esse, dopo che quelle mani durante la giornata avevano toccato di tutto, diede un morso vorace .In quel frangente mi son chiesta “ E’ questa la donna che amo? “Grassoccia, ma sempre meno di me, più bassa, capelli neri anche lei non molto puliti, sopracciglia da rifare, occhi piccoli e mani ancora più piccole, più grande di me di quattro anni .
Era questa la vita che m’aspettava? Scampagnate con la giunta di quel paese che nemmeno copriva 2mila abitanti, festività insieme a quegli sconosciuti che cantavano con la chitarra canzoni in dialetto? Birra calda? Vodka ancora più calda? Erba girata male e discorsi da bar?
La donna che amavo m’appariva così insignificante rispetto a quello che avevo dentro, rispetto alla voglia di cambiare .Rispetto a tante cose lei appariva piccola, se io ero inferiore a lei, allora io ero sotto la terra, sotto il niente, iniziò a piovere fortissimo e dovevamo andarcene di tutta fretta, prendere le cose e ritornare dentro il bus e scappare da qualche parte, in un luogo riparato .
E’ strano come il cervello faccia degli sbalzi assurdi nei miei ricordi, ho un buco, un grosso buco e da lì inizia il mio attacco di panico .

Dentro un bus pieno di gente, non mi ricordo perché non potevamo uscire e dovevamo rimanere uniti, io dovevo fare pipì .
Lì l’attacco di panico, avevo fottutamente paura di farmela addosso, come se i reni potevano non reggermi più da un momento all’altro .
Non parlai con lei del perché iniziai ad aumentare il battito, il respiro e tutto intorno a me girava vertiginosamente, le dissi solo che stavo male, troppo male e che volevo uscire di lì .
Volevo uscire e non ritornarci mai più, volevo andarmene a casa ma ero troppo lontana e senza i mezzi .
L’attacco di panico è qualcosa di brutto, come se qualcuno ti spingesse il petto e t’impedisse di respirare, ti stringesse i polsi e non ti volesse far circolare il sangue nelle vene, le mura del bus si facevano sempre più strette, le persone troppo vicine, sudavo freddo, non volevo il suo abbraccio, non volevo i suoi consigli, volevo solo graffiarmi il polso .
In quello ero molto brava, lacerarmi la pelle solitamente mi calmava dalle crisi di pianto che avevo .
Ma lì non si poteva niente, lì era tutto assurdo .
Dopo di quello ne seguirono altri, moltissimi altri attacchi, tutti durante la stessa giornata, lei sempre servizievole che me li placcava, da brava donna innamorata e servile, ero io quella debole non lei .
Ci sono tanti modi per far passare quella brutta sensazione, solitamente se si è fortunati dura solo mezz’ora, un lasso di tempo che quando la provi si dilata, ma nella realtà s’allunga sempre di più, riesce a trasportati in un orologio dove tutto si muove sempre più lentamente .
Vuoi che passi, vuoi che tutto passi ma ti ritrovi li, a cercare l’aria che manca dentro i tuoi polmoni .
Vuoi piangere, vuoi strapparti la pelle, vuoi fare qualsiasi cosa basta che ti passi, vorresti vendere anche l’anima al diavolo talmente sei disperata in quel momento, basta che quella bruttissima sensazioni non ritorni più, vuoi sentirti libera di sentirti . Di sentire che non hai una catena dentro che rinchiude il normale processo del tuo corpo . 
   
 
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