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Autore: tixit    16/06/2016    0 recensioni
... Non era una decisione da lasciare solo ai Maestri, e nemmeno solo ai Guerrieri: i primi erano troppo abituati alla vita, tanto da darla per scontata e desiderarla sopra ogni cosa - cosa non avrebbero fatto per prolungare di un singolo miserabile minuto una singola miserabile esistenza? Come se la morte non fosse inevitabile... - e i secondi erano troppo abituati al pensiero della propria morte per provare pena per quella altrui.
Poco canon, poco fanon e molto Jotun.
Alcuni elementi vengono dal film, altri dalla mitologia norrena, altri ancora provengono da alcune fanfiction che ho avuto la fortuna di leggere, e altro... proprio no!
Farbauti e Laufey in stile fantanorreno, insomma.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Laufey
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lascia Che Il Cuore Curi Le Sue Ferite

Farbauti rimase a lungo immerso nell’acqua calda della piscina, fino a quando non si sentì davvero spossato, ma di una spossatezza gradevole, una spossatezza, una volta tanto, completamente fisica e non mentale, come non gli capitava più da molto tempo.
Quando tornò a guardarsi intorno si accorse che Leiknir, ad un certo punto, doveva aver smesso di nuotare; per un po’ aveva percorso la piscina avanti ed indietro, con bracciate regolari, senza fretta: ricordava molto bene quel rumore che gli aveva tenuto compagnia, dettando un ritmo ai suoi pensieri, sempre meno caotici... ora il giovane se ne stava tranquillamente seduto sulla panca di pietra scura, massaggiandosi i capelli con dell’olio profumato; il telo bianco, annodato pudicamente sul fianco, contrastava con la sua pelle azzurrina.

Farbauti uscì dall'acqua e si sdraiò nella panca accanto. Incrociò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi.

“Se mi addormento, svegliami, ti prego.”

Sentì la risata bassa di Leiknir farsi strada tra i suoi pensieri, che si srotolavano pigramente verso il nulla. “Non ci penso nemmeno...” gli sentì rispondere e, dentro di sé, non poté che dargli ragione: voleva tanto dormire ed era pronto ad accogliere dentro di sé qualunque sogno gli si fosse presentato.

Quando si svegliò, la quasi totalità della luce della stanza proveniva dalle alghe sul soffitto, che emettevano una luce debole, tra il blu ed il viola, che si rifletteva nell'acqua. Si mise a sedere, stiracchiandosi, si passò una mano nei capelli - qualcuno glieli aveva sciolti ed asciugati. La pelle era asciutta e morbida.
Leiknir, che adesso indossava dei pantaloni e basta, con un gesto, lo invitò a spostarsi in un'altra stanza, più fredda. Lì, al centro su un tavolino basso, era apparecchiato un pasto frugale: pane scuro di segale, del formaggio bianco da spalmare, del pesce ed una ciotola con delle bacche rosse. Proprio al centro troneggiava una teiera scura, fumante. Leiknir doveva aver vegliato sul suo respiro e capito quando si sarebbe svegliato - gliene fu grato, gli sembrò di essere tornato bambino, con qualcuno che si occupava di lui.
Il giovane lo osservò a lungo, soppesando chissà quali dettagli nella sua testa, poi andò ad uno sportello nascosto nel muro e ne estrasse un barattolino di miele a forma di favo, con un minuscolo cucchiaino d’argento esagonale. Poggiò in tavola tutti e due gli oggetti davanti a Farbauti e non disse nulla - si limitò a sedersi su una stuoia, con le gambe incrociate, e a versarsi da bere in una tazza tonda. I suoi gesti erano lenti ed eleganti, come se stesse eseguendo una danza ed avesse tutto il tempo del mondo.
Farbauti era imbarazzato: il miele per uno Jotun, in piccole quantità, era ciò che su un altro pianeta avrebbero chiamato afrodisiaco - in grosse quantità… tutt’altro. Lui lo sapeva bene.
Il Fiore di Kryell, capace di lucidare una stella con un sorriso, gli stava chiedendo qualcosa? O gli stava offrendo qualcosa?

“Non ci sto provando, Farbauti…” la voce quieta di Leiknir ruppe il silenzio, ”Ne sarei onorato, ma ti ho osservato: non lo hai messo via tutto quel dolore, non sei pronto per…” scosse le spalle con un gesto indefinito che lasciò incompleta la sua frase, ma che non le tolse proprio nulla del suo significato - non era pronto per tante cose e Farbauti lo sapeva da sé.
Era arrivato a credere che non lo sarebbe stato mai più, che non gli sarebbe più successo di desiderare un cucchiaino di miele e tutto quello che c’era intorno e che faceva tanto male ricordare - una casa, dei passi leggeri, un sorriso, il tepore di un altro corpo nel letto, non necessariamente preludio al sesso, il profumo di una pelle che non era la sua, l’intrecciarsi della sua voce con quella di un’altra persona… Annuì e guardò Leiknir negli occhi, che proseguì senza imbarazzo “Ho solo pensato che, forse, un po’ di… gentilezza … avrebbe potuto aiutare. Più di tante parole…” gli sorrise, “se pensi di averne bisogno, posso darti la possibilità di dirle addio e lasciarla andare...” non lo disse, ma il pensiero aleggiò tra loro, tenero a suo modo, come tu mi hai tenuto la mano dal tatuatore, accanto al Gatto Blu, là sul pianeta degli uomini rossi, mentre anche io lasciavo andare qualcuno, perché il suo ricordo, così caro, non diventasse veleno.

Farbauti scosse la testa “dopo di…” la gola gli fece male, ma proseguì, senza osare pronunciare quel nome, “non l’ho più fatto. E non sarei gentile.” Capiva bene cosa gli si stava offrendo, e assolutamente non chiedendo, senza farglielo assolutamente pesare: un mutaforma può soddisfare un sogno. Può esaudire un desiderio malato.
Ma un mutaforma, di regola, non lo fa.

Aveva visto Leiknir uccidere in battaglia con gesti essenziali, senza godere della morte del suo nemico, e poi lo aveva visto occuparsi dei feriti: era gentile, era raro. Il suo seidhr si mescolava quasi cantando a quello dei feriti, le sue mani guarivano - magia e medicina, razionale ed irrazionale, e lui era sempre pronto a rassicurare, con la sua voce, lo Jotun ferito davanti a lui, mentre intanto faceva ciò che era necessario.
Leiknir gli stava offrendo di restituirgli un pezzetto del suo passato, giusto il tempo di permettergli di dire quelle cose che non aveva potuto dire cinque anni prima e che gli bruciavano dentro. Gli stava offrendo una splendida bugia, in cui lui, Leiknir, sarebbe stato assente, solo un mezzo.

Capì perché il suo compagno lo avesse scelto - non c’entrava solo l’indubbia bellezza.
Non capì, piuttosto, perché un Mago, un Mago decisamente Guaritore, avesse scelto di essere un Guerriero, anche se intuì che dietro c’era stato molto amore: come lui, anche Leiknir lo aveva fatto per il suo compagno, cambiare Gilda, cambiare lavoro, cambiare un po’ anche se stesso.

D’impulso glielo chiese, sperando di non offenderlo.

Leiknir fissò il liquido nella tazza riflettendo nel riflesso del suo sorriso, un po’ distante, ma, gli parve (o lo sperò) senza irritazione.
“Forse preferiva che gli altri sapessero che fotteva e si faceva fottere da qualcuno che avrebbe potuto uccidere chiunque ci avesse trovato qualcosa da ridire. Amava Jotunheimr, ma era della famiglia reale e viaggiava sugli altri mondi: superava il provincialismo del nostro mondo, ma… certe aperture sono anche chiusure.”

Altro non disse.

Farbauti non chiese.

Se lo domandò, però, se il silenzioso Leiknir, compagno discreto di un figlio del Re, per cui, nel tempo libero, lucidava stelle e nel tempo assolutamente non libero uccideva per rendersi degno di quell'amore, avesse mai sofferto di essere stato amato con riserva, con un legame mai reso ufficiale, o se avesse accettato i difetti del compagno insieme ai suoi pregi.

“Sono ancora in lutto.” sussurrò e l’altro annuì.

Poi Leiknir, glielo chiese, senza giudicarlo “Vuoi del miele?” sottintendendo più di un cucchiaino. Come su Musspellheimr.

“No, non mi drogo più.”

Leiknir sorrise - “Mi fa piacere,” e non aggiunse altro.

Mangiarono insieme come buoni amici, senza bisogno di riempire il silenzio con un cicaleccio inutile.

“Tu per cosa voteresti?” chiese Farbauti ad un certo punto, “Cosa diresti? nel Consiglio, intendo.”


Leiknir ci pensò su e poi si strinse nelle spalle “Non sono un Consigliere...” disse.

“Ma…” lo invitò a proseguire.

“Ma credo mi piacerebbe qualcosa in cambio: del terreno su Midgard, meno aspro del nostro, per far crescere, sai, i bambini e dopo riportarli su Jotunheimr. Una lunga estate. Vita per vita, un buono scambio alla pari che non metterebbe in obbligo nessuno.”

“Miele quindi...”

“Miele, ma non per …”

“Mi è chiaro.”

“Però,” aggiunse Leiknir, “io presumo che tu avresti avuto un’altra soluzione da proporre, se fossi rimasto nel Consiglio. Una diversa da quella di Heldi, forse più crudele…” lo guardò con calma, sempre senza emettere giudizi. “Temi Asgard? Non credo sia solo a causa del dolore per ciò che è successo...”

“Credo che quel giorno gli Aesir abbiano fatto una cosa terribile, anche se forse fu solo un gruppo di sbandati, credo che se ne vergognino e credo che non si fidino del nostro perdono, che in fondo non fu un perdono, ma solo l'accettazione forzata di ciò che non aveva rimedio. E chi non si fida… è sempre pericoloso. Per cui io credo che la soluzione di Heldi, anche se molto elegante, sia pericolosa.”

“Credo manchi la tua voce al Consiglio, Heldi è in gamba…” Leiknir soppesò le parole.

Farbauti annuì

“Ma,” proseguì il giovane, “è come un Guerriero che scocca la freccia per colpire un bersaglio di legno: gli piace trovare una soluzione ad un problema difficile ed affinare la sua tecnica, esattamente come ad un Guerriero piace trovare la concentrazione ed il gesto definitivo per qualcosa di molto meno nobile...”

“Ma?”

“Ma Heldi non vede che non è un bersaglio a cui sta tirando, ma a qualcosa di vivo, ci sono conseguenze e premesse che con un bersaglio sono chiare, con degli esseri viventi, Jotun o Aesir, no.”

“Lo penso anche io. E penso che saresti stato un buon Consigliere.”

“E allora ascolta il mio consiglio,” con tenerezza Leiknir gli prese la mano e sfiorò la sua linea della vita “E’ lunga” disse con voce dolce “non sei ancora morto e non lo sarai per molto tempo...”

Farbauti sorrise, stanco “Era questo che guardavi quella sera mentre ondulavi tra te stesso e quel Gatto Blu... ti ho visto fissarti il palmo delle mani...”

“Vive con me, da quel giorno...”

“Guardavi questo? Le linee sulla tua mano?”

“Si e contavo quanto tempo e quanto ancora… pensaci anche tu.”

Farbauti sospirò e poi disse con un sorrisetto “Penso che andrò ad Asgard con la delegazione, se decideranno di aiutarli, oppure, se decideranno per il no, ci andrò per visitare un pianeta per l’ultima volta, .”

“E perché no?”

“Penso che non sarò un bravo Jotun, ma berrò birra asgardiana.” lo stva decidendo in quel momento e l'idea non gli spiacque.

“E perché no?”

“E bacerò una asgardiana dai capelli chiari e la pelle rosata.” e non sarò gentile, ma è ora di voltare pagina.

“E perché no?” Leiknir sogghignò prendendolo in giro.

“E starò lontano dal miele.”

“Questo lo dovo per scontato.” Leiknir lo guardò severamente. Poi scoppiarono a ridere tutti e due.



Questo ventun mesi prima meno un giorno, quando seppe che aveva ancora un buon amico.
   
 
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