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Autore: miss potter    16/06/2016    1 recensioni
“Non devi nascondere il tuo corpo. Non c’è niente di sbagliato nel suo aspetto o nel modo in cui si muove, in cui lo muovi quando pensi che non ci sia nessuno a guardare…”
La voce di Magnus vantava la musicalità del canto di un usignolo.
“Sì, ma tu non chiamarmi tesoro.”
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Izzy—Io non… Noi non…” tornò a balbettare il maggiore interrompendo ogni contatto con Magnus come se questi scottasse, gli occhi cerulei piantati su quelli color carbone della ragazza come a scusarsi per la propria condotta.

“Fratellone,” ridacchiò sommessamente la giovane accennando un paio di passi aggraziati verso i due ragazzi, i lembi della vestaglia in seta color avorio svolazzanti come ali d’angelo sui fianchi generosi. “Non pensare neanche lontanamente di poter sfuggire alle mie domande sulla tua interessantissima ispezione orale. Dopotutto, tengo alla tua salute.”

E con l’ennesimo risolino un po’ frivolo da sorella inorgoglita, Isabelle riuscì nel suo intento di fare arrossire Alec fino ai limiti dell’incredibile. Tutto sommato, Magnus non era l’unico ad apprezzare quel particolare tono di rosso sulle guance del giovane Shadowhunter, come anche il sorriso timido di quest’ultimo quando si rendeva conto dell’impossibilità di celare il misfatto.

“Mia cara, sempre così premurosa. Ti ringrazio,” sciorinò mieloso lo Stregone, allungando una mano dove Isabelle appoggiò il faldone.

La ragazza fece spallucce gettandosi con nonchalance dietro una spalla la chioma di folti capelli bruni legati in una morbida treccia. Anche in tenuta casalinga, Isabelle Lightwood era in grado di emanare un fascino tutto suo, come il profumo di un fiore raro ricoperto di spine.

La sua pelle, liscia e leggermente olivastra, profumava di gelsomino.

“Confido nella solita riservatezza, Stregone,” così dicendo gli fece l’occhiolino, in caso non fosse abbastanza chiaro che Magnus, per Izzy, era molto più che un Nascosto. Magnus era semplicemente la ragione per cui il suo adorato fratello non veniva più tormentato da incubi notturni, o per cui cantava sotto la doccia, o sorrideva assorto mentre giochicchiava col cibo a cena. E Isabelle gli sarebbe stata grata fino al suo ultimo respiro, per questo ed altro.
Lo Stregone di Brooklyn le restituì l’affetto.

“Ovviamente, angelo mio,” …beccandosi un’occhiata storta da Alec. “Ti ho mai delusa?”

“D’accordo, voi due…” interruppe il ragazzo dagli occhi color del cielo intrecciando le dita di una mano a quelle di Magnus, facendolo restare piacevolmente di sasso. “Iz, non dovresti essere a letto?”

Isabelle scoppiò a ridere.

“La notte è giovane, mio caro fratello. E io non ho più cinque anni…”

Oh. Alec avrebbe dovuto immaginarlo.

“Consiglierei il Versace in sangallo nero,” intervenne Magnus prontamente, vestendo i panni dello stilista di fiducia di Isabelle. “… E l’intimo verde petrolio.”

Magnus!” Alec esclamò indignato, occhieggiando il suo ragazzo come una pudica zitella illibata a cui è stata lanciata una provocazione carnale.

“Dici?” chiese Isabelle, per niente scossa, portandosi un indice alle labbra carnose e reclinando la testa. “Meliorn apprezza il nero su di me, effettivamente.”

“Oh, santo cielo… Io me ne vado.”

Tuttavia, Alec non fece a tempo ad avanzare di un passo che un braccio di Magnus già gli avvolgeva la vita, trattenendolo stretto al proprio fianco.

“Ciò significa che io e Alexander abbiamo ‘casa’ libera?” mormorò questi, assottigliando ancora di più gli occhi color dell’oro in un ghigno a cui Isabelle rispose arricciando maliziosamente il naso.

“Aspetta,” disse Alec. “Come fai a sapere che… oh, Isabelle.”

“Oh, Alec,” ridacchiò sua sorella, intenerita, arricciandosi una ciocca ribelle attorno ad un dito. “Avevo sentito – okay, ho origliato – che Jace aveva programmato un appuntamento con Clary per stasera, ed io ho dovuto dare buca a Meliorn già la settimana scorsa per quello stupido allenamento dove avete insistito a coinvolgermi. Non potevo rifiutare ancora, capisci?… Né esimermi dal proporre a Magnus una serata intima, solo voi due, qui.”

“Qui? Quando mamma e papà—”

Se mamma e papà lo verranno a sapere, volevi dire?” Incalzò quella peste che si ritrovava come parente.

Magnus le diede ragione con un’alzata di sopracciglia ed un cenno, dunque abbassò lo sguardo complice per rivolgerlo quasi implorante ad Alec, che ora si teneva la base del naso tra indice e medio.

“Prometto di fuggire allo scoccare della mezzanotte, mio principe…” Magnus gli baciò teneramente e a lungo uno zigomo.

Alec sussultò, e si morse l’interno di una guancia perché il destino non poteva essergli stato così ostile da porlo nella stessa stanza con le uniche due persone al mondo a cui gli era semplicemente impossibile negare qualcosa.

“… E va bene.”

Isabelle applaudì saltellando sul posto, mentre Magnus gli sorrise più apertamente sul collo lasciandoci poi un altro bacio umido.

“Ma— ho delle condizioni.”

“Oh, che noia che sei. Sentiamole…” sospirò la ragazza, le mani sui fianchi.

“Tu,” la indicò, le sopracciglia corrugate, “non fare niente che non farei io.”

A quel punto, dopo un paio di secondi di silenzio tombale, Isabelle e Magnus scoppiarono a ridere in sincrono.

“Con tutto il rispetto, ritengo che per quello sia già tardi, tesoro mio…” si intromise Magnus mordendosi il labbro inferiore per imporsi di smetterla di sghignazzare, guadagnandosi una gomitata nelle costole dal suo ragazzo.

“Dico davvero, Izzy. Niente drink delle fate, niente vol au vent delle fate, niente… giochetti delle fate. Sono stato chiaro?”

“Cristallino, guastafeste che non sei altro!” esclamò Izzy sopprimendo invano un ghigno birichino, ma già gli dava le spalle facendo svolazzare una mano a mo’ di saluto. “Io e Meliorn ci guarderemo negli occhi tutta la serata recitandoci poesie di Pablo Neruda sorseggiando due tisane senza zucchero.”

Alec già stava per replicare a quell’evidente provocazione, se non fosse stato per quel braccio ancora solidamente arpionato alle sue anche. Isabelle, con una risata zuccherina, li lasciò soli.

“E cosa hai da dire per me, mm?” mormorò quella dannata voce comparabile alle fusa di un dannato gatto nel suo dannato orecchio.

“Tu… beh— Tu dormirai sulla poltrona,” fu la decisamente poco pronta replica di Alec, di nuovo paonazzo.

“Ah, quindi mi permetti di restare per la notte!” esclamò Magnus, facendo scomparire l’impiccio cartaceo che gli occupava una mano con un sonoro schiocco delle dita. Finalmente poté tornare ad accarezzargli con entrambi i palmi la curva mascolina della mandibola.

Alec sentì lo stomaco sprofondargli nelle viscere.
“Non ho detto que— ehm, forse.”

“Sul mio nome e soprattutto sul sentimento di profondo rispetto ed affetto che provo nei tuoi confronti, prometto di non agire in contrasto al tuo onore e alla tua sensibilità.”

Ora pure la stanza aveva cominciato a girare assieme alla sua testa.

“Oh.”

Magnus sorrise teneramente prima di lasciargli l’ennesimo bacio a tradimento tra mandibola e gola e dunque allontanarsi da un Alec visibilmente scosso.

Lo Stregone si sfregò i palmi indossando un’espressione che non prometteva nulla di buono e dirigendosi a grandi passi verso il corridoio che conduceva in cucina.

“Sarai affamato. Che ne pensi se ti preparo qualcosa di speciale mentre ti dai una rinfrescata?”

Alec sospirò sollevato; dopotutto, Magnus pareva essersi deciso ad allentare un po’ la presa sui propri nervi.

“Penso che… sia okay, grazie,” disse il giovane guerriero stringendosi nelle spalle.

Magnus gli regalò un sorriso allegro prima di strizzargli l’occhio e sparire oltre la porta socchiusa della palestra nel fruscio della sua pregiata camicia di seta.

Alec fece appena in tempo a riacciuffare tutte le sue cose sparse praticamente ovunque per la stanza e correre nel piccolo bagno degli spogliatoi dove si lasciò andare ad una imprecazione a denti e pugni stretti: ma che immenso cretino. Non solo Magnus lo aveva visto mentre, beh… mentre ballava a quella maniera così inopportuna. Adesso al più grande dei fratelli Lightwood stava risultando difficile, se non impossibile, persino guardarsi in faccia.

La smorfia di profondo imbarazzo e costernazione dipinta sul proprio volto lo fissava infame dal minuscolo specchio quadrato appeso sopra a uno dei lavandini… e il ragazzo soppresse il desiderio di sputarsi addosso. Dov’era finito il giovanotto provocante e sicuro di sé di neanche qualche minuto prima, spigliato e irriverente?

“Dannazione…” mugolò sottovoce, affondando tutte e dieci le dita nei capelli scuri, selvaggi, umidi di sudore, sforzandosi invano di appiattirli lungo la linea dello scalpo. Sospirò ancora, inorridito nei confronti della propria immagine riflessa, e distolse frettolosamente lo sguardo sopprimendo a malapena un moto di pianto.

Il getto d’acqua tiepida della doccia striminzita dello spogliatoio agì da calmante sui nervi a fior di pelle di Alec, che con abbondante olio di gomito aveva usato la spugna abrasiva per grattare via ogni traccia di sudore con rabbiosa forza, come se assieme alla sporcizia e alla fatica della giornata di allenamenti potesse cancellare anche quell’opprimente senso di vergogna.

Uscì dal bagno con attorno alla vita un asciugamano di cotone grigio ed i capelli bagnati. Buttatosi addosso la prima maglietta nera a mezze maniche ed un paio di pantaloncini corti fino al ginocchio, a passi cauti raggiunse la cucina da cui proveniva un insolito ma piacevole odore di spezie.

“Ah, Alexander. Bentornato,” trillò la voce calda e affettuosa di Magnus, i cui fianchi stretti erano sapientemente stati fasciati da un grembiule da cuoco.

“Ciao…” disse quasi tra sé Alec, osservando il ragazzo dai capelli screziati e la carnagione color cannella intento a destreggiarsi tra pentole e padelle sui fornelli. “Cosa cucini di buono?”

Magnus si voltò velocemente per rivolgergli un sorriso enigmatico, che sembrava anticipare chissà quali prodezze, prima di tornare a mescolare lentamente quella che doveva essere una sorta di salsa all’interno di un pentolino di rame.

“È una sorpresa, mio caro. Prometto di non deluderti.”

‘E come potresti?’ pensò Alec concedendosi un sorriso sotto i baffi mentre prendeva posto al tavolo già apparecchiato. Gli occhi limpidi e cerulei come il cielo d’estate del ragazzo non si scollarono un attimo dal profilo del sommo Stregone al lavoro.

Appoggiò il mento al palmo di una mano, il gomito vicino al proprio piatto, come incantato.

“Il profumo è ottimo,” commentò ad alta voce, sforzandosi di complimentarsi almeno una volta al posto di Magnus. “Di solito siamo costretti ad arrangiarci con le zuppe di Izzy, quando nostra madre non c’è. Sanno tutte incredibilmente di pollo, ma si dice che anche le cavallette sappiano di pollo…”

Ora, l’effetto collaterale di un Alec che tentava di fare conversazione per non pensare a quanto fosse socialmente imbarazzante sfociava di solito nel suo rendersi ancor più sconveniente, ad esempio cominciando a blaterare a macchinetta come in quel momento.

Il giovane Shadowhunter arrossì, rendendosene improvvisamente conto, ma Magnus ridacchiò affettuosamente.

“Isabelle, Isabelle…” scosse il capo, un ciuffo di capelli colorato gli ricadde sulla fronte alta. “Ti vuole molto bene, sai?”

Le sopracciglia di Alec si corrugarono a quel cambio repentino di argomento.

“Immagino di sì,” mormorò, come perso nella matassa dei propri pensieri. “Si preoccupa sempre… troppo.”

“Oh, tu no?”

“Sì, ma… è diverso,” ribatté Alec, giochicchiando col lembo della tovaglia a scacchi. “Lei è più piccola, ma già così… libera, ribelle.”

C’era della malinconia, invidia, piuttosto che preoccupazione, nel tono roco di Alec, e Magnus si voltò nuovamente verso di lui, un sopracciglio sollevato, mentre con cautela toglieva la pentola dal fuoco.

“Sa badare a se stessa. Ha più grinta e coraggio lei nel proprio dito mignolo che tanti Shadowhunter in tutta una vita,” commentò distrattamente lo Stregone, aggiungendo un pizzico di sale al suo preparato.

“Oh, perché di Shadowhunter tu sei un esperto, mm?”

Tale frecciatina, sibilata dal giovane Nephilim in un ghigno appena abbozzato, produsse una fragorosa risata in Magnus che gli restituì, al posto di una replica, l’ennesimo occhiolino.

A quel punto, Alec rimase in silenzio, osservandolo sovrappensiero mentre versava gli spaghetti nello scolapasta e poi il tutto di nuovo nella padella assieme al sugo che vi borbottava allegramente. Lo Stregone cominciò a far saltare la pasta con l’abilità di uno chef professionista.

Alec, incuriosito, si sporse appena in avanti, facendo leva sui gomiti.

“Non… ti saresti dovuto disturbare, comunque. Avremmo potuto ordinare qualcosa al take-away,” disse, poco sincero.
Magnus si corrucciò bonariamente, indirizzando al suo ragazzo un’espressione di amorevole biasimo.

“Non permetterò che il mio angelo mangi da asporto praticamente tutte le sere. E poi… farebbero la fila in molti per poter vantare un ragazzo che ti prepara una cena speciale con una ricetta così antica come questa qui, signorino.”

E detto ciò, con un pizzico di orgoglio, gli presentò davanti una scodella piena quasi fino all’orlo di succulenta pasta rossa, il profumo invitante del sugo che stuzzicava le narici di Alec, già con l’acquolina in bocca.

“Wow. Dove hai imparato?”

Armato di mestolo e forchettone, Magnus rise leggero mentre cominciava a servire il compagno con una abbondante porzione di pasta.

“Ricetta di una adorabile signora di Roma. Doveva essere… il 1933. Che estate indimenticabile… anche se piuttosto cocente. L’aiutai a ottenere un lasciapassare per la Svizzera ai tempi del regime fascista.”

Alec assottigliò lo sguardo, la forchetta sospesa a mezz’aria neanche fosse un pugnale avvelenato.

“… E no. Non ci sono andato a letto,” soggiunse Magnus roteando gli occhi, come leggendo i pensieri del suo sospettoso Shadowhunter, non ancora del tutto convinto.

“Mm,” mugugnò questi, attendendo che Magnus lo raggiungesse prima di portarsi una buona forchettata di pasta alla bocca. “Dio, è…”

“Troppo salata?” chiese Magnus girando abilmente la forchetta nel proprio piatto, una punta di timore nel tono di voce.

“Perfetta.”

Compiaciuto, Magnus schioccò le dita e dal nulla apparve sul tavolo, vicino ai piatti, una bottiglia di vino rosso e due calici di cristallo.

Alec sorrise masticando, ormai assuefatto dai trucchi di magia del compagno.

“Addirittura?”

“Questo ed altro per il mio Alexander,” rispose semplicemente Magnus stappando la bottiglia e versandone un dito dentro al bicchiere di Alec, quindi nel proprio. “Assaggia.”

Alec si portò alle labbra appena sporche sugo il calice e, con simulata aria da intenditore, assaporò la bevanda di un profondo color bordeaux.

“Niente male…”

“Ah, niente male eccome…” lo imitò Magnus, annusando delicatamente il vino prima di sorseggiarlo e gustandolo a lungo. “Che annata feconda, il ’99.”

Alec sollevò un sopracciglio appoggiando il bicchiere sul tavolo.

“… 1899. Parigi, l’estate dell’amore.”

“Oh, Mags.”


La cena si prolungò per un paio di incantevoli ore insaporite dai racconti delle mirabolanti avventure attorno al globo di Magnus, delle risate cristalline di entrambi, dei loro sorrisi nascosti dietro ai sempre più facili bicchieri di vino francese, e dei sospiri innamorati di Alec mentre lo Stregone, con il suo usuale tono spigliato, commentava le richieste più folli dei clienti.

Si era fatta quasi mezzanotte quando gli occhi di Alec si posarono casualmente sull’orologio a muro appeso in cucina: era davvero trascorso tutto quel tempo?

“Magnus?”

“Sì, dolcezza?” rispose questi mentre sparecchiava, particolarmente soddisfatto del proprio operato.

Alec sorrise scoprendo i denti, le guance rosse per il vino e sicuramente non solo per quello.

“Ti va di… vedere la mia camera?”

Ma che… Okay, era suonata decisamente meglio nella sua testa. Se possibile, il ragazzo dagli occhi blu arrossì ancora di più.

Magnus appoggiò ogni cosa che teneva in mano sulla prima superficie orizzontale disponibile per voltarsi a fronteggiarlo. Si slacciò il grembiule, gettandolo sul lavandino con davvero poco riguardo.

“Mi va di vedere la tua camera, sissignore.”

Alec rise basso, alzandosi da tavola con la testa che gli girava appena. E davvero, non poteva aver bevuto così tanto vino… Doveva essere decisamente qualcos’altro.

  
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